L’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta di registro in sede di vendita fallimentare e giudiziaria
1. Premessa.
Non esiste norma che disciplina in modo specifico l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto alle cessioni conseguenti all’effettuazione di vendite giudiziarie o di vendite effettuate da curatori fallimentari dei beni (espropriati o appresi dalla procedura fallimentare).
In prima analisi, bisogna pertanto riferirsi alla disciplina generale sull’IVA dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
In generale, senza alcuna pretesa di esaustività, ai sensi del citato DPR 633/72 (cfr in particolare art 1), va ricordato che un’operazione rientra nel campo di applicazione dell’IVA quando sussistono contemporaneamente tre requisiti:
– oggettivo: devono essere effettuate cessioni di beni o prestazioni di servizi (cfr. artt. 2 e 3);
– soggettivo: le cessioni o prestazioni devono essere effettuate da imprese, artisti e professionisti, nell’esercizio dell’attività (cfr. artt. 4 e 5) ;
– territoriale: le operazioni devono essere effettuate nel territorio italiano (cfr artt. 7-9).
Nella fattispecie in esame, assumendo che gli incanti si svolgono nel territorio italiano, si ritiene che sia verificato il requisito della territorialità.
Resta da chiarire quando gli altri due presupposti valgono ai fini dell’applicazione dell’IVA.
Una volta individuato l’eventuale assoggettamento ad IVA della cessione, per il principio di alternatività sancito dalla disciplina di cui al DPR 131/86, si potrà valutare se l’atto sia soggetto all’imposta di registro in misura fissa o proporzionale.
2. Presupposto oggettivo e soggettivo per l’applicazione dell’IVA
Per verificare il presupposto oggettivo e soggettivo occorre stabilire se l’alienazione del compendio appreso dalla procedura fallimentare oppure dal debitore esecutato sia “cessione di beni” ai sensi dell’articolo 2 del DPR 633/72 e sia effettuata “nell’esercizio di impresa” ai sensi dell’art. 4 del DPR 633/72.
Si premette innanzitutto che, in virtù del combinato disposto dei due articoli sopra citati, non soddisfano il requisito oggettivo i beni personali del soggetto fallito oppure esecutato, pertanto, le operazioni che avranno per oggetto l’alienazione di tali beni non ricadono nell’ambito di applicazione dell’IVA.
L’Amministrazione Finanziaria si è pronunciata sull’argomento, tracciando alcune direttive di particolare interesse per le implicazioni che ne derivano.
La soppressa Direzione Generale Tasse ed Imposte Indirette Sugli Affari, con stringato telegramma n. 562739 del 10 febbraio 1973, ebbe a chiarire sul punto che: è dovuta l’IVA sulle operazioni di vendita giudiziaria di beni provenienti da imprese, nonchè sulle vendite effettuate da curatori fallimentari, senza addurre motivazioni in proposito .
Successivamente, con la circolare del Ministero delle Finanze 17 gennaio 1974 n. 6 avente ad oggetto “IVA. Adempimenti dei curatori fallimentari e degli incaricati delle vendite giudiziarie”, richiamando il telegramma n. 526739 del 10/2/1973, ha ribadito il principio che è dovuta l’imposta sul valore aggiunto per le vendite effettuate dal curatore e per le vendite giudiziarie aventi ad oggetto beni provenienti da impresa.
2.1. Procedure fallimentari
Con riferimento specifico alle procedure fallimentari, vengono in evidenza tre particolari disposizioni, da cui si evince l’assoggettabilità ad IVA delle operazioni aventi ad oggetto la cessione di beni provenienti da impresa fallita:
– l’art 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge fallimentare, di seguito, in breve, “L.F.”) ai sensi del quale sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano una attività commerciale esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori;
– l’art. 42, L.F., ai sensi del quale “la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data della dichiarazione di fallimento. Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi”;
– l’articolo 74 bis, DPR 633/72, al comma 2, stabilisce che: “Per le operazioni effettuate successivamente all’apertura del fallimento o all’inizio della liquidazione coatta amministrativa gli adempimenti previsti dal presente decreto, anche se e’ stato disposto l’esercizio provvisorio, devono essere eseguiti dal curatore o dal commissario liquidatore. Le fatture devono essere emesse entro trenta giorni dal momento di effettuazione delle operazioni e le liquidazioni periodiche di cui agli artt. 27 e 33 devono essere eseguite solo se nel mese o trimestre siano state registrate operazioni imponibili”.
In proposito, la prassi dell’Amministrazione Finanziaria rileva quanto segue.
Già prima dell’entrata in vigore dell’articolo 74 bis, la citata circolare N° 6 del 1974 recitava testualmente: “Il curatore fallimentare il quale, nell’adempimento degli obblighi ad esso derivanti dalle proprie funzioni, effettua cessioni di beni il cui possesso e’ stato trasferito all’ufficio fallimentare a seguito della dichiarazione di fallimento, viene, in sostanza, a sostituirsi a tutti gli effetti al soggetto d’imposta ed e’, pertanto, tenuto all’osservanza degli obblighi sanciti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, N° 633, avvalendosi anche dei registri e degli altri documenti dell’impresa fallita”.
La tesi, in vigenza dell’art 74 bis, è stata nuovamente avvalorata dalla recente circolare dell’Agenzia delle Entrate 42/E del 4 ottobre 2004 che chiarisce: “Nell’attuale sistema normativo, con l’avvio della procedura fallimentare i beni dell’impresa vengono vincolati al soddisfacimento delle ragioni dei creditori e, di conseguenza, il curatore subentra all’imprenditore dichiarato fallito nella conduzione dell’impresa. Con la sentenza dichiarativa di fallimento, si realizza, più precisamente, una sorta di cristallizzazione del patrimonio aziendale il quale diviene insensibile all’operato del suo effettivo titolare. Il soggetto dichiarato fallito perde, tuttavia, esclusivamente la disponibilità del proprio patrimonio (che viene acquisita dall’ufficio fallimentare), non anche la titolarità sui propri beni (principio, quest’ultimo, da tempo recepito dalla giurisprudenza di legittimità, sin dalla pronuncia della Cass. Civ, 13 luglio 1957, N° 2847). La stessa formulazione letterale delle disposizioni relative ai poteri del curatore conferma che l’apertura del fallimento non provoca il trasferimento della proprietà dei beni avocati alla relativa procedura. Qualora, infatti, si verificasse il trasferimento in capo alla curatela della proprietà della massa dei beni costituenti l’attivo fallimentare, perderebbe di significato la previsione che specifica il trapasso agli organi della procedura della facoltà di detenzione e dell’amministrazione degli stessi beni, necessariamente comprese nei diritti del proprietario. Per altro aspetto, deve ritenersi, in conformità con l’indirizzo della giurisprudenza prevalente (cfr., ex multis, Cass. Civ., 7 luglio 1981, n. 4434), che alla sentenza dichiarativa di fallimento non consegue l’incapacità di agire, né la perdita della capacità imprenditoriale del fallito: assoggettata al fallimento non è la persona fisica o giuridica, bensì l’impresa.
2.2. Vendite forzate
Riguardo alle vendite forzate, non effettuate in sede di procedura fallimentare, bensì esecutiva, con la recente risoluzione del 26 novembre 2001, n° 193, la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad un’istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000 N° 212, in merito al corretto trattamento tributario, ai fini IVA ed imposta di registro, cui assoggettare le operazioni di vendita all’incanto di beni immobili, oggetto di espropriazione forzata, a carico di una società cooperativa costruttrice degli stessi, ha fornito chiarimenti riguardo ai requisiti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto che assumono valenza anche per la fattispecie in esame .
Per quanto riguarda la rilevanza oggettiva ai fini IVA delle vendite forzate, secondo la predetta risoluzione, nell’ampia formula definitoria adottata dal legislatore per caratterizzare la nozione di cessione di beni di cui all’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica N° 633 del 1972, rientrano non soltanto le figure negoziali tipiche di diritto privato, ma tutti gli atti giuridici che comportano, come effetto giuridico, un trasferimento della proprietà di beni di ogni genere (ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento) a titolo oneroso, “ivi compresi gli atti autoritativi della Pubblica Amministrazione, come espropriazione e requisizione in proprietà, nonché gli atti giurisdizionali come le vendite forzate e le sentenze che importano trasferimento di proprietà o costituzione di diritti reali di godimento”.
Tale tesi è avvalorata dalla sentenza della Corte di Cassazione N° 7528 depositata il 12 agosto 1997, citata dalla stessa risoluzione, secondo cui le vendite forzate costituiscono cessioni di beni agli effetti dell’IVA, poiché l’articolo 2, primo comma del D.P.R. 633/72 non distingue “(…) fra la natura volontaria o coattiva del trasferimento che, nella specie, è peraltro a titolo derivativo, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto vantato dal debitore esecutato (…)” (cfr. anche Cass. 1299/77).
Accertato che la vendita forzata è astrattamente sussumibile nella categoria delle cessioni di beni di cui al comma 1 dell’art 2 DPR 633/72, continua la risoluzione ai fini dell’imposizione IVA, occorre che tali cessioni “siano effettuate nell’esercizio di impresa, ovvero che il debitore esecutato sia qualificato come soggetto passivo d’imposta e che i beni siano inerenti l’attività esercitata dallo stesso. Al riguardo, non rileva la circostanza che le operazioni di vendita siano effettuate coattivamente, con l’intervento del Giudice delle esecuzioni, in considerazione del fatto che tali cessioni dispiegano i loro effetti giuridici ed economici direttamente sul patrimonio dell’imprenditore esecutato che è e resta il soggetto passivo d’imposta”.
Alla luce delle considerazioni esposte, conclude l’Organo Centrale nella risoluzione 193/01, qualora la cessione sia effettuata nell’esercizio di impresa (nelle accezioni di cui sopra), “il prezzo pagato dall’aggiudicatario costituisce l’attribuzione patrimoniale a favore del debitore esecutato ed assume natura di corrispettivo, come tale da assoggettare ad IVA all’atto del pagamento, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica N° 633 del 1972, e, conseguentemente, ad imposta di registro in misura fissa”.
3. Adempimenti ai fini IVA
Una volta specificati i presupposti soggettivi ed oggettivi, affinché la vendita giudiziaria e fallimentare venga assoggettata ad IVA, è opportuno ricordare i particolari adempimenti prescritti per la fattispecie prospettata.
La citata remota circolare del Ministero delle Finanze 17 gennaio 1974 N° 6 avente ad oggetto “IVA. Adempimenti dei curatori fallimentari e degli incaricati delle vendite giudiziarie”, ha dettato gli adempimenti che il curatore fallimentare e gli incaricati degli istituti di vendite giudiziarie devono osservare.
3.1. Procedure fallimentari
Riguardo agli adempimenti per le cessioni di beni compresi in procedure fallimentari, la suddetta circolare 6/74 recita:
a) “Il curatore fallimentare (…) è tenuto all’osservanza degli obblighi sanciti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, N° 633, avvalendosi anche dei registri e degli altri documenti dell’impresa fallita”.
b) (…) Per le cessioni di cui trattasi, il curatore deve emettere regolare fattura ai sensi dell’art. 21, con l’indicazione dell’imposta addebitata in via di rivalsa. Le fatture debbono essere numerate ed annotate nel registro di cui all’art. 23.
c) (…) Qualora la cessione di beni compresi in procedure fallimentari venga dal curatore effettuata per il tramite di un proprio incaricato, e’ quest’ultimo che e’ tenuto all’emissione della fattura con l’addebito della relativa imposta; copia di detto documento, in uno all’ammontare dell’ I.V.A. riscossa, deve essere rimesso al curatore del fallimento, il quale e’ tenuto a provvedere, entro 15 giorni dal ricevimento, alla registrazione ed agli altri adempimenti prescritti dalle norme che disciplinano l’applicazione del tributo.
Il punto c) è una prescrizione di tipo regolatorio che presenta problematicità nella sua applicazione.
A seguito di tale posizione, si trova sovente applicata la seguente prassi :
1. Il curatore attiva due registri sezionali <fatture emesse>, con distinte numerazioni progressive, uno per le fatture emesse a seguito delle cessioni effettuate direttamente e un altro per le fatture emesse dall’I.V.G. per le vendite all’asta.
2. Il curatore incarica l’I.V.G. dell’emissione delle fatture per le vendite all’asta effettuate e, a tal fine, comunica la numerazione da adottare, i dati identificativi e numero di partita IVA del soggetto passivo, la descrizione dei beni e l’aliquota applicabile.
3. L’I.V.G. emette la fattura nei confronti dell’aggiudicatario – in nome e per conto del fallimento – relativamente ad ogni cessione effettuata, trasmettendone copia alla curatela per gli adempimenti consequenziali di registrazione, liquidazione e dichiarazione.
Come osservato dalla dottrina , l’interpretazione ministeriale non costituisce fonte idonea a porre l’obbligo di fatturazione a carico dell’I.V.G. e nel 1974, anno di emissione della circolare, non era in vigore l’articolo 74 bis del DPR 633/72.
Infatti, dal tenore letterale di quest’ultima norma, si desume che lo stesso curatore deve adempiere agli obblighi previsti dal DPR 633/72 ed inoltre, in deroga alla disciplina generale sull’emissione di fattura dettata dall’art 21 del citato DPR 633/72 , il curatore può emettere fattura entro 30 giorni dal momento di effettuazione dell’operazione.
La dottrina, pertanto, sostiene che “con la fissazione di un congruo termine per provvedere, si è messo il curatore nella condizione di poter rispettare i tempi di emissione della fattura, dopo aver acquisito presso l’I.V.G. la bolletta di aggiudicazione, che espone i dati necessari per la sua compilazione (elementi identificativi dell’acquirente, prezzo di aggiudicazione, ecc.), distintamente dalla percentuale sulla vendita spettante all’Istituto” e conclude affermando l’opportunità di “superare la prassi citata, non essendovi dubbio che il soggetto obbligato all’emissione della fattura all’aggiudicatario (e dunque responsabile per le eventuali violazioni formali o sostanziali) sia il curatore, salvo che l’incarico assuma i caratteri della <commissione di vendita>, nel qual caso si verifica un duplice trasferimento – ai fini IVA – ex art. 2, 2° comma, N° 3 D.P.R. n. 633/72 (si dovranno cioè emettere due distinte fatture: la prima dall’I.V.G. all’aggiudicatario, comprensiva di prezzo ed oneri accessori, e la seconda – al netto della commissione di vendita – dal fallimento all’I.V.G.). Resta ferma, ovviamente, per il curatore la possibilità di conferire all’I.V.G. – che accetti – di emettere la fattura in nome e per conto del fallimento, ma rimanendo egli curatore l’unico obbligato all’adempimento, ai sensi di legge, con le conseguenze relative”.
3.2. Vendite forzate
Riguardo agli adempimenti per le cessioni conseguenti ad esecuzione specifica, la circolare 6/74 ha affermato che:
1) Per le vendite giudiziarie, l’I.V.A. si rende dovuta, (…), soltanto quando i beni oggetto della vendita siano provenienti da impresa.
2) Tale provenienza deve esplicitamente risultare dai processi verbali di sequestro o di pignoramento, nei quali l’ufficiale giudiziario procedente deve riportare le dichiarazioni rese dal rappresentante dell’impresa esecutata.
3) Quest’ultima, nell’accennata ipotesi, deve annotare nelle proprie scritture, a norma dell’art. 53, terzo comma, l’avvenuta consegna dei beni all’incaricato della vendita (commissionario, cancelliere, ufficiale giudiziario, Istituto di vendite giudiziarie) il quale, come e’ stato precisato per gli incaricati delle vendite fallimentari, ha l’obbligo di emettere la fattura con l’addebito della relativa imposta sul valore aggiunto.
4) Copia della fattura, in uno all’importo del tributo riscosso, dovrà essere trasmessa all’impresa cedente (soggetto esecutato) la quale provvederà, entro quindici giorni dal ricevimento, alla registrazione del documento ed agli altri adempimenti prescritti dalle norme che disciplinano l’applicazione del tributo.
Riguardo a questi ultimi due punti, pare opportuno sottolineare, come già esposto, che l’interpretazione ministeriale non costituisce fonte idonea a porre l’obbligo di fatturazione a carico dell’incaricato della vendita.
E’ pur vero che l’articolo 21, comma 1 del DPR 633 del 1972, nel disporre che “per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura”, non specifica se l’obbligo di emissione sia delegabile a terzi, lasciando margine all’ipotesi di fatturazione in nome e per conto dell’impresa esecutata , ma il pronunciamento dell’Organo Centrale non è da solo idoneo a costituire titolo per conferire tale delega all’incaricato della vendita.
Pertanto, il soggetto obbligato all’emissione della fattura all’aggiudicatario resta l’impresa esecutata, responsabile per le eventuali violazioni formali e sostanziali in materia IVA.
Nell’ipotesi che essa non emetta fattura, incomberà sull’aggiudicatario l’obbligo di emettere un’autofattura, versando anche la relativa imposta a debito per l’esecutato. Dispone in tal senso l’articolo 6, comma 8 del Dlgs 471/97, che pone in capo al cessionario o committente l’obbligo, altrimenti sanzionato, di provvedere a sostituirsi nell’adempimento dello stesso.
4. Imposta di registro
La disciplina vigente sull’applicazione dell’imposta di registro è dettata dal DPR 131 del 1986.
Tale imposta colpisce, nella misura indicata nella Tariffa allegata al citato DPR 131/86, gli atti soggetti a registrazione e quelli volontariamente presentati per la registrazione.
L’art. 40, fissa il principio di alternatività IVA/Registro, con prevalenza dell’IVA e assoggettamento ad imposta di registro fissa degli atti, anziché ad imposta proporzionale, la quale viene riservata quindi agli atti estranei al campo di applicazione dell’IVA.
Inoltre, ai sensi del primo comma dell’art. 44 “per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione diminuito, nell’ipotesi prevista dall’articolo 587 del codice di procedura civile, della parte già assoggettata all’imposta”.
Il citato articolo 587 cpc rubricato, “Inadempienza dell’aggiudicatario”, dispone che “Se il prezzo non è depositato nel termine stabilito, il giudice dell’esecuzione con decreto dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto. Per il nuovo incanto si procede a norma degli articoli 576 e seguenti. Se il prezzo che se ne ricava, unito alla cauzione confiscata, risulta inferiore a quello dell’incanto precedente, l’aggiudicatario inadempiente è tenuto al pagamento della differenza”.
In conclusione,
vale, pertanto, ai nostri fini, la seguente metodologia:
1. prima si distingueranno i beni esecutati in beni privati e beni appartenenti all’impresa;
2. i beni appartenenti all’impresa saranno soggetti ad IVA. Occorrerà distinguere se dovrà essere applicata l’imposta di registro in misura fissa perché la cessione è imponibile ovvero se dovrà essere applicata l’imposta di registro in misura proporzionale (il caso frequente è quello di cessione di fabbricato esente ai sensi dell’art 8 bis del DPR 633/73) sulla base imponibile determinata ai sensi dell’art 44 del citato DPR 131/86, e cioè sul prezzo di aggiudicazione (diminuito in caso di nuovo incanto a seguito di inadempienza dell’aggiudicatario, della parte già assoggettata all’imposta);
3. i beni privati non sono assoggettabili ad IVA e, di conseguenza, si renderà applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale, sulla base imponibile determinata ai sensi dell’art 44 del citato DPR 131/86;
4. nel caso di vendita fallimentare, di beni appartenenti e provenienti da impresa, l’emissione della fattura è posta a carico del curatore, con la conseguente registrazione della fattura ed il relativo pagamento dell’imposta mediante modello F24;
5. nel caso di vendita giudiziaria, di beni appartenenti e provenienti da impresa, l’emissione della fattura è posta a carico del soggetto esecutato, in quanto unico soggetto passivo di imposta, il quale riceverà la somma relativa all’IVA, e procederà alla registrazione della fattura ed al relativo pagamento dell’imposta mediante modello F24;
6. nel caso di mancata emissione della fattura da parte del soggetto esecutato, l’aggiudicatario (se professionista o imprenditore, ai sensi del D. Lgs. 471/97) emetterà autofattura, versando la relativa imposta a debito per l’esecutato, sempre mediante modello F 24.
TULLIO PANNELLA
GIOVANNI SIRAGUSA