sabato, 23 novembre 2024

CORTE COSTITUZIONALE , Sentenza 279/2010, termine per il reclamo avverso il decreto motivato del tribunale di chiusura del fallimento, Art. 119, c. 2°, del regio decreto 16/03/1942, n. 267, nel testo anteriore alle modifiche apportate da decreti legislativi 09/01/2006, n. 5 e 12/09/2007, n. 169.

SENTENZA N. 279

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 119, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore alle modifiche apportate dai decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80) promosso dalla Corte d’appello di Napoli nel procedimento vertente tra A.C. e A.G. ed altri con ordinanza del 30 aprile 2009, iscritta al n. 18 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 30 aprile 2009, la Corte d’appello di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 119, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti legittimati a tale impugnazione agevolmente identificabili sulla base degli atti della procedura fallimentare, dalla data dell’affissione di tale decreto alla porta esterna del tribunale, anziché dalla data della comunicazione dell’estratto del medesimo decreto che a tali soggetti deve essere inviata a norma del combinato disposto dello stesso art. 119, secondo comma, e dell’art. 17, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (nel testo originario) e dell’art. 136 del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il reclamo in questione risulta proposto da A.C. – titolare di un credito prededucibile liquidato dal giudice delegato, ma non integralmente soddisfatto, prima che la procedura fallimentare nei confronti della A.G. s.a.s. fosse chiusa ai sensi dell’art. 118, n. 2, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e, dunque, certamente legittimata a proporre siffatta impugnazione – il 13 gennaio 2003, mediante il deposito nella cancelleria della Corte d’appello del relativo ricorso, allorché era già scaduto il termine di quindici giorni previsto dall’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare, per la sua proposizione, termine che decorre dalla data dell’affissione per estratto alla porta esterna del tribunale del decreto di chiusura del fallimento. L’affissione, nella specie, risultava eseguita il 13 dicembre 2002: il reclamo andrebbe, pertanto, dichiarato inammissibile perché tardivo.

Il rimettente afferma di non ignorare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 153 del 1980, ha già giudicato tale previsione normativa non in contrasto con l’art. 24, secondo comma, Cost., poiché giustificata: a) dalla difficoltà di identificare coloro che hanno interesse a proporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento; b) dall’esigenza di assicurare un’unitaria trattazione e decisione di tutti i reclami eventualmente proposti; c) dalla possibilità per chi si ritenga pregiudicato dalla chiusura del fallimento disposta per insufficienza di attivo di chiederne la riapertura ai sensi dell’art. 121 della legge fallimentare.

Tuttavia, siffatti argomenti, secondo il giudice a quo, a maggior ragione se considerati alla stregua dell’art. 3 Cost., non appaiono convincenti e adeguati rispetto ad altre più recenti pronunce della medesima Corte costituzionale in ordine alle forme di propalazione degli atti – e, in particolare, di quelli aventi natura decisoria – previsti dalla legge fallimentare. Vengono citate le sentenze di questa Corte: n. 255 del 1974; nn. 151, 152 e 155 del 1980; n. 303 del 1985; nn. 55, 102 e 156 del 1986; n. 273 del 1987; n. 881 del 1988.

Il rimettente riferisce a questo punto di avere già sollevato questa stessa questione di costituzionalità e che tuttavia nelle more del relativo giudizio incidentale, l’art. 119 della legge fallimentare veniva modificato, prima, dal d.lgs. n. 5 del 2006, entrato in vigore il 16 luglio 2006, e, poi, dal d.lgs. n. 169 del 2007, entrato in vigore il 1° gennaio 2008, sicché questa Corte, con ordinanza n. 303 del 2008, dispose la restituzione degli atti alla Corte d’appello ai fini di una rivalutazione, sulla base dello ius superveniens, non solo della persistente rilevanza della questione, ma altresì della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata.

Riassunto il giudizio, il giudice rimettente ha osservato che la questione conserva intatta la sua rilevanza nel giudizio a quo.

Infatti, a suo avviso, secondo quanto può ricavarsi dagli artt. 150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e dall’art. 22 d.lgs. n. 169 del 2007, le modifiche apportate da tali decreti legislativi alla disciplina della procedura fallimentare contenuta nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel suo testo originario, non sono applicabili alle procedure fallimentari aperte prima del 16 luglio 2006, come quella di specie, né, deve ritenersi, alle relative procedure incidentali, quali quella di chiusura del fallimento, regolata dagli artt. 118-120 della legge fallimentare.

Di conseguenza, deve ritenersi che, nella specie, vada ancora applicato l’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare, nel testo anteriore alle modifiche apportatevi dai suindicati decreti legislativi, che faceva decorrere il termine per la proposizione del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento dalla data dell’affissione di tale decreto per estratto alla porta esterna del tribunale per tutti i soggetti legittimati a tale impugnazione.

Né pare al rimettente che la questione incidentale già sollevata possa essere superata attraverso una lettura costituzionalmente orientata della norma impugnata, che fa chiaramente ed inequivocamente decorrere il termine per la proposizione del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento dalla data dell’affissione di tale decreto per estratto alla porta esterna del tribunale per tutti i soggetti legittimati a tale impugnazione e, dunque, anche per quelli, come la reclamante, agevolmente identificabili sulla base degli atti della procedura fallimentare.

Ritiene pertanto il rimettente che la questione sia tuttora rilevante nel caso di specie, in cui il decreto di chiusura reclamato non risulta esser mai stato comunicato, a norma dell’art. 136 cod. proc. civ., alla reclamante, che ne ha preso visione per la prima volta il 7 gennaio 2003, ossia quando ormai era troppo tardi per proporre reclamo.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’Appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale dell’art. 119, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti legittimati a tale impugnazione, agevolmente identificabili sulla base degli atti della procedura fallimentare, dalla data dell’affissione alla porta esterna del tribunale, anziché dalla data della comunicazione dell’estratto del medesimo decreto, che a tali soggetti deve essere inviata a norma del combinato disposto degli artt. 119, secondo comma e 17, primo comma, dello stesso r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e 136 del codice di procedura civile, in violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, per la irragionevolezza della individuazione del dies a quo per la proposizione del reclamo dall’affissione dell’estratto del decreto anche con riguardo ai creditori agevolmente identificabili solo a causa della difficoltà, agli stessi non addebitabile, di identificare gli altri creditori, e per il vulnus al diritto di difesa dei primi.

2. – La questione è fondata.

2.1. – Questa Corte, nell’esaminare identico problema, ha dichiarato, a suo tempo, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui fa decorrere il termine per la proposizione del reclamo dalla data di affissione del decreto di chiusura del fallimento (sentenza n. 153 del 1980), argomentando la legittimità della scelta del legislatore sulla base della difficoltà di identificare coloro che hanno interesse a proporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento e sulla esigenza di riunione di più reclami in unica trattazione camerale.

Successivamente a tale decisione, però, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte – a proposito di disposizioni della legge fallimentare nella versione originaria – sulla possibilità che la legge faccia decorrere termini perentori, previsti per impugnare provvedimenti (asseritamente) lesivi di diritti soggettivi, da momenti (emanazione del provvedimento, affissione) diversi da quelli della notificazione o comunicazione dei provvedimenti stessi.

In proposito è stato osservato che «la scelta dell’affissione, quale forma di pubblicità idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione di un atto, può essere giustificata solo dalla difficoltà di individuare coloro che possono avere interesse a proporre l’impugnazione stessa (sentenze n. 273 del 1987 e n. 153 del 1980), risultando priva di razionale giustificazione se riferita a soggetti preventivamente individuati dal legislatore (sentenze n. 251 del 2001, n. 151 del 1980, n. 255 del 1974). Ciò in quanto l’affissione determina una mera presunzione legale, peraltro insuperabile, di conoscenza dell’atto ed è quindi compatibile con il diritto di difesa del destinatario nei soli casi in cui l’individuazione di questi, ed il conseguente ricorso a mezzi di comunicazione diretta dell’atto stesso risultino impossibili o estremamente difficoltosi» (sentenza n. 224 del 2004, n. 154 del 2006).

Sulla base di questi principi la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 98, primo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui prevede che il termine per l’opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva decorra dalla data del deposito dello stato passivo in cancelleria anziché dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento, con le quali il curatore deve dare loro notizia dell’avvenuto deposito (sentenza n. 102 del 1986); b) dell’art. 190, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di cessazione degli effetti dell’amministrazione controllata dalla data del decreto anziché dalla sua rituale comunicazione all’interessato (sentenza n. 881 del 1988); c) dell’art. 209, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui prevede, per la liquidazione coatta amministrativa, che il termine di quindici giorni per proporre l’impugnazione dei crediti ammessi decorre dalla data del deposito in cancelleria, da parte del commissario liquidatore, dell’elenco dei crediti medesimi, anziché da quella di ricezione della lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale lo stesso commissario deve dare notizia dell’avvenuto deposito ai singoli interessati (sentenza n. 201 del 1993); d) dell’articolo 144, quarto comma, della legge fallimentare, nella parte in cui prevede che il termine per la proposizione del reclamo decorre dalla affissione della sentenza stessa anziché dalla sua comunicazione (sentenza n. 224 del 2004); e) dell’articolo 213, secondo comma, della stessa legge fallimentare, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei creditori ammessi, il termine perentorio di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di riparto, totale o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in cancelleria, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altre modalità previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006).

Alla luce dei principi enunciati dalla richiamata giurisprudenza è evidente che la norma denunciata nel testo anteriore alle modifiche apportate – non potendosi queste ultime, contenute nel d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della l. 14 maggio 2005, n. 80) e nel decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis della l. 14 maggio 2005, n. 80) applicarsi a procedure fallimentari chiuse nel 2003 (argomentando dagli artt. 150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e 22 d.lgs. n. 169 del 2007), come ha plausibilmente motivato il giudice a quo – nello stabilire che il termine di quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti legittimati a questa impugnazione, dalla data dell’affissione di tale decreto alla porta esterna del tribunale, sacrifica gravemente ed ingiustificatamente il diritto dei creditori di avere conoscenza del decreto, per potere proporre reclamo avverso lo stesso. Gravemente, in quanto richiede un onere di diligenza inesigibile, attesa la necessità di accedere, almeno ogni quindici giorni, per tutta la durata della procedura, sovente tutt’altro che breve, per accertare la data del deposito, dal quale soltanto decorre il termine de quo; ingiustificatamente, perché l’indeterminatezza dei soggetti interessati può legittimare modalità di “informazione”, quale quella prevista dalla norma censurata; il che però non avviene nel caso come quello del titolare di un credito prededucibile liquidato dal giudice delegato, ma non integralmente soddisfatto, in cui tali soggetti siano non solo individuabili, ma altresì individuati. In tale ipotesi, che ricorre nel caso di specie, l’onere di diligenza che la norma censurata impone ai creditori è incomparabilmente più gravoso e gravido di conseguenze pregiudizievoli di quello cui deve sottoporsi l’ufficio che sia tenuto a dare conoscenza del decreto di chiusura del fallimento ai creditori ben individuati (sentenza n. 154 del 2006).

L’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare – nel suo testo originario – deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei soggetti interessati e già individuati sulla base degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il decreto motivato del tribunale di chiusura del fallimento dalla data di pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall’art. 17 della stessa legge fallimentare, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalità di comunicazione previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 119, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r. d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei soggetti interessati e già individuati sulla base degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il decreto motivato del tribunale di chiusura del fallimento, dalla data di pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall’art. 17 della stessa legge fallimentare, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalità di comunicazione previste dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2010.

Il Cancelliere

F.to: MILANA

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