Non appare ad oggi ancora chiaro, nonostante la ristrettezza dei tempi, se a seguito della soppressione del libro soci, spetti o meno al curatore l’obbligo di depositare nel registro imprese la dichiarazione apposita per integrare le risultante del registro delle imprese con quelle del libro soci, così come previsto dall’ art. 16, co.12-undecies del D.L 185/2008. Si tratta di un adempimento che, come sappiamo deve essere effettuato entro e non oltre il prossimo lunedi 30 marzo e che è posto a carico degli amministratori. Tale adempimento è stato posto a carico di tutte le società a responsabilità limitata, comprese le società fallite. Qualcuno si è posto il problema se la comunicazione dell’elenco soci sia da porre, in caso di fallimento, a carico del curatore o meno. Chi scrive sostiene che tale adempimento non spetti al curatore fallimentare, bensì all’organo amministrativo. La dichiarazione di fallimento di una società a responsabilità limitata non ha infatti l’effetto di estinguere il contratto sociale. Si pensi ad esempio a quanto previsto in tema di rapporti obbligatori interni dall’articolo 150 L.F. Per stabilire chi debba effettuare l’annotazione del trasferimento sul libro soci, bisogna tenere presente che la dichiarazione di fallimento di una società, se da un lato priva infatti la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio, dall’altro non comporta di per sé alcuna alterazione dell’organizzazione sociale. Gli organi sociali restano in funzione, sia pur con le limitazioni che derivano dall’intervenuta declaratoria di fallimento. Ciò spiega perché, a differenza di quel che accade in relazione alle altre cause di scioglimento (art. 2449 e 2278, in relazione all’art. 2452 C.C), in tal caso gli amministratori rimangono in carica e possono compiere tutti gli atti che rientrano nella loro sfera di competenza. La responsabilità per i danni causati al patrimonio sociale grava sugli amministratori ed è configurabile, ad avviso di chi scrive, in caso di violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto (art. 2392, co.1, C.C. art. 2476, co.1 C.C.), sia nel corso della vita ordinaria della società, sia dopo che si sia verificata una causa di scioglimento della medesima. Si è soliti affermare che gli amministratori sono chiamati a compiere le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale e dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, a gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore patrimonio sociale (art. 2486, co.1, C.C.) e vi devono provvedere con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Le scelte gestionali, se non sono sindacabili ex post, lo sono sicuramente ex ante sotto il profilo della violazione dell’obbligo di diligenza. Non ci dimentichiamo infatti che la legge in alcuni casi fa riferimento agli amministratori quali legali rappresentanti della società fallita nel corso della procedura concorsuale. Cito ad esempio quanto disposto dall’articolo 87, terzo comma, nella parte in cui il legislatore prevede che prima della chiusura dell’inventario il curatore debba invitare il fallito o, se si tratta di società, gli amministratori a dichiarare se hanno notizia che esistano altre attività da comprendere nell’inventario, avvertendoli delle pene stabilite dall’articolo 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione. Si ricorda inoltre quanto previsto dall’articolo 146, co.1 L.F relativo alla responsabilità degli amministratori e dei liquidatori in tema di obblighi imposti al fallito dall’articolo 49 LF, proprio in tema di dichiarazioni da fare al curatore; infine l’articolo 152, co.1 LF che prevede la sottoscrizione della proposta di concordato da parte di coloro che hanno la rappresentanza sociale e che nelle società a responsabilità limitata è appunto in capo agli amministratori.
Il tema è stato affrontato con disomogeneità di pensiero da parte degli interessati. Anche le stesse Camere di Commercio hanno adottato comportamenti difformi. Sul sito della Camera di Commercio di Milano, ad esempio, è stato pubblicato lo scorso 13 marzo 2009 uno scritto a firma del Conservatore nel quale testualmente si dispone che non sono soggette all’adempimento le società sottoposte a fallimento. E a ben pensare, per molti aspetti effettivamente si tratta di un adempimento assolutamente superfluo, soprattutto per società i cui fallimenti sono aperti da molti anni e per le quali, qualora anche solo diligentemente il curatore decidesse di avvisare l’amministratore ricordandogli l’adempimento in questione, spesso diviene anche difficile contattare i soggetti stessi.
In conclusione pertanto il parere di chi scrive è orientato a non attribuire tale incombenza al curatore fallimentare, che al limite potrà ricordare agli amministratori della società di provvedere entro il termine del 30 marzo ad effettuare tale comunicazione, stante comunque che si tratti sempre e soltanto di una raccomandazione e non di un obbligo. Questo perché come emerge anche dal Sole 24 Ore del 27 marzo 2009 la sanzione prevista in caso di dimenticanza può costare cara. Secondo la Circolare Unioncamere 2453 dell’11 febbraio 2009, l’effettuazione oltre il termine non solo dovrebbe comportare la perdita della esenzione da bolli (quindi la necessità di versare 30 euro per diritti e 65 euro per bolli) ma sarebbe colpita anche da sanzione di 412 euro (articolo 2630 C.C) irrogata ad ogni componente del consiglio di amministrazione.
A cura di Silvia Cecconi.