Cassazione Civile, sez. I, 29 marzo 2012, n. 5106
Con sentenza n. 5106 del 29 marzo 2012 la Suprema Corte di Cassazione afferma il principio secondo cui la cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali.
Ne consegue la sua potenziale soggezione alla revocatoria fallimentare, anche se pattuita contestualmente alla concessione di un ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Plenteda Donato – Presidente –
Dott. Dogliotti Massimo – Consigliere –
Dott. Cultrera Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. Giancola Maria Cristina – Consigliere –
Dott. Didone Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), a seguito della fusione per incorporazione del (OMISSIS) SPA in BANCA
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS),
presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SOC. COOP.VA A R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (C.F. (OMISSIS)), in persona
del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato
(OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. (OMISSIS) della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2012 dal Consigliere Dott. (OMISSIS);
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso; 2
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. (OMISSIS) che ha concluso per
l’inammissibilità dei motivi da 1 a 3 o, in subordine rigetto; per il rigetto del 4 motivo e per l’accoglimento
del 5 motivo.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.- Con sentenza depositata il 10 novembre 2009 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione del
tribunale, ha accolto la domanda L. Fall., ex art. 67, proposta dalla liquidazione coatta amministrativa della
soc. coop. a r.l. (OMISSIS) dichiarando l’inefficacia di cessioni di credito avvenute dal 12.4.1995 al 9.7.1995
per la parte eccedente le anticipazioni concesse alla Cooperativa (OMISSIS) dall’allora (OMISSIS) S.p.a.,
incorporata dalla s.p.a. (OMISSIS), condannando quest’ultima a restituire alla procedura appellante la
somma di Euro 273.630,54, oltre interessi dalla data dei singoli versamenti al saldo, nonchè a rifondere alla
stessa le spese del giudizio, anche di primo grado.
Contro la sentenza di appello la s.p.a. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi
illustrati con memoria depositata nei termini di cui all’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso la l.c.a. intimata.
2.1.- Con il primo motivo la banca ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67,
comma 1, n. 2, lamentando che la Corte territoriale non ha realmente esaminato i documenti di causa,
perchè in quelli non vi è alcun riscontro di quanto da essa affermato e la conclusione alla quale essa è
pervenuta è gravemente errata.
Deduce che dai documenti prodotti risulta che alla data di accredito di ciascun incasso relativo alle fatture
(anticipate e) cedute il saldo del conto ordinario era attivo ed era sempre rimasto tale fino alla chiusura del
conto.
Tutti gli incassi oggetto di cessione, una volta stornati gli importi corrispondenti alle anticipazioni effettuate
in favore della Cooperativa, sono stati accreditati in conto e lì rimasti nella disponibilità piena ed effettiva
della correntista, che ha potuto utilizzarli per le sue esigenze. Nè le relative somme hanno concorso a
ridurre gradualmente lo scoperto di conto, per la semplice ragione che quest’ultimo non era scoperto, ma
al contrario presentava un saldo attivo, che tale sarebbe rimasto fino alla sua chiusura.
I contratti di cessione non hanno avuto funzione solutoria bensì di garanzia.
2.2.- Con il secondo motivo di ricorso la banca ricorrente denuncia omessa e comunque insufficiente e
contraddittoria motivazione circa due punti decisivi della controversia: la prova della natura asseritamente
solutoria delle operazioni oggetto di causa e le risultanze della CTU. Deduce che la corte di merito si
sarebbe limitata ad affermare – del tutto apoditticamente e senza in realtà aver esaminato i documenti di
causa – che il conto sul quale erano stati accreditati gli incassi delle fatture cedute sarebbe stato “scoperto e
non affidato”, ma senza precisare da dove si evincerebbe questo dato, che risulta confutato dal contenuto
degli estratti-conto e dalla relazione del c.t.u..3
La corte di merito si sarebbe limitata ad affermare che le conclusioni del c.t.u. si basavano su un’
interpretazione formalistica dei quesiti.
2.3. – Con il terzo motivo di ricorso la banca denuncia omessa e comunque insufficiente motivazione circa
un ulteriore punto decisivo della controversia: la funzione di garanzia dei contratti di cessione oggetto di
causa. Invoca il principio enunciato da Cass. n. 2517/2010.
2.4. – Con il quarto motivo di ricorso la banca denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio:
l’inscientia decoctionis dell’Istituto di credito convenuto in giudizio.
Deduce che una volta accertato che il soggetto convenuto non ha intrattenuto con la Cooperativa i rapporti
oggetto di causa, e che gli stessi erano riferibili ad un soggetto diverso, e cioè il “vecchio” (OMISSIS) (che ha
poi ceduto alla società convenuta in prime cure il suo intero complesso aziendale, circostanza questa di cui
riferisce anche la Corte d’Appello nella sentenza impugnata e che è comunque pacifica fra le parti), la Corte
territoriale avrebbe dovuto anche conseguentemente concludere che la Banca convenuta non poteva
conoscere lo stato di insolvenza della Cooperativa, non avendo con la stessa mai intrattenuto alcun
rapporto e quelli cui si riferiscono le domande della Procedura le sono stati semplicemente conferiti nel
contesto di una cessione di azienda.
Deduce che manca ogni motivazione sul punto.
2.5.- Con il quinto motivo di ricorso la banca denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 cod.
civ. e L. Fall., art. 67.
Lamenta che la corte territoriale abbia riconosciuto in favore della procedura anche gli interessi legali dalla
data dei singoli versamenti al saldo, anzichè dalla domanda e invoca la giurisprudenza delle Sezioni unite di
questa Corte circa la natura di debito di valuta dell’obbligazione restitutoria del soccombente in
revocatoria.
3.- I primi quattro motivi del ricorso sono infondati. Invero, quanto alla natura solutoria delle cessioni (primi
tre motivi) la corte di merito, con congrua e logica motivazione, ha accertato che le modalità
dell’operazione oggetto di revoca erano consistite nella erogazione dell’anticipazione, che la cessione di
credito doveva garantire, mediante accredito dell’importo richiesto sul conto corrente di corrispondenza n.
(OMISSIS) e contestuale annotazione a debito su apposito conto di evidenza o conto anticipi n. (OMISSIS).
L’accredito dei pagamenti del terzo debitore era avvenuto direttamente sul conto corrente ordinario, con
contestuale storno dell’importo anticipato dal conto suddetto al conto anticipi.
Correttamente, dunque, la corte di merito ha evidenziato che le somme che, per differenza tra l’importo
della cessione e l’importo dell’anticipazione, affluivano sul conto ordinario, andavano a gradualmente
ridurre lo scoperto di conto, tale mantenutosi per l’intero periodo, al di là di talune sopravvenienze attive, 4
così da rivelare la strumentante, quanto meno parziale, dei negozi di cessione e, con essa, l’anomalia del
risultato conseguitone, tale da rendere quelle revocabili ai sensi della norma in concreto invocata.
Talchè, “solo in linea teorica può dirsi che la Banca non trattenne le somme per differenza fra le
anticipazioni concesse e l’ammontare degli incassi poichè in realtà il versamento di quelle differenze sul
conto corrente di corrispondenza, scoperto e non affidato, ha avuto come automatica conseguenza il
soddisfacimento della posizione a credito della Banca”.
Alla luce di tale accertamento in fatto, poi, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio per il
quale la cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si
caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti,
in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali,
ed è suscettibile di revocatoria fallimentare anche se pattuita contestualmente alla concessione di un
ulteriore credito al cedente che versi già in posizione debitoria nei confronti del cessionario, dovendosene
escludere la revocabilità solo quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del
debito che venga così estinto (Cass., 2011/9388; Cass., 2009/1617; Cass., 2009/17683).
I primi tre motivi, con i quali è contestata la natura solutoria delle cessioni e la violazione della L. Fall., art.
67, comma 1, n. 2, sono, pertanto, infondati mentre sono inammissibili le censure nella parte in cui si
risolvono essenzialmente, pur se titolate come violazione di legge e come vizi di motivazione, nella
prospettazione di una diversa analisi del merito della causa e in una critica dell’apprezzamento delle
risultanze istruttorie operata dal giudice del merito, incensurabile in questa sede di legittimità perchè
sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici e giuridici.
Inammissibilmente la società ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando
che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e
costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione
per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte
ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta (per tutte, v. Sez.
Un., n. 14699/2010). Dalla natura solutoria delle cessioni e, dunque, di pagamento anomalo delle stesse,
derivava l’onere della società convenuta di provare l’inscientia decoctionis, anche alla luce del rilievo della
corte di merito secondo cui risultava pacifica, in fatto, l’avvenuta cessione di azienda da (OMISSIS) (poi
Banca (OMISSIS) S.p.a.) a (OMISSIS) S.r.l. (che ha nel frattempo assunto la denominazione della società
cessionaria) in data successiva al compimento delle operazioni oggetto di revoca e senza alcuna inerente
limitazione. Talchè correttamente la corte di appello ha concluso che essa ha comportato il trasferimento,
se non del rapporto negoziale intercorso tra la cedente e la Cooperativa (OMISSIS) (rapporto venuto a
cessare con la messa in liquidazione di quest’ultima), certamente delle obbligazioni ad esso relative, tra le
quali incontestabilmente rientra quella oggetto di causa, che trae origine dalla pretesa inefficacia delle
cessioni del credito intervenute nell’ambito di quel rapporto. In materia, invero, è applicabile il principio
per il quale il presupposto soggettivo della revocatoria promossa nei confronti di una società di capitali, non
conosce criteri differenziati di valutazione dello stato di “scienza” o di “ignoranza” dello stato di insolvenza, 5
ed infatti tali stati soggettivi, nel caso delle persone giuridiche, si identificano normalmente, in quelli delle
persone fisiche che ne hanno la rappresentanza in virtù del nesso organico (Sez. 1, n. 8735/2009; Sez. 1, n.
10383/1997).
Da tale principio, poi, discende che, atteso il rapporto di immedesimazione organica che sussiste fra la
società ed il suo legale rappresentante, il mutamento della persona dell’amministratore non incide sulla
riferibilità all’ente della volontà negoziale espressa dall’amministratore precedente, nè comporta che
nell’indagine attinente al presupposto soggettivo dell’azione revocatoria debba aversi riguardo alla scientia
od all’inscientia del nuovo amministratore, anzichè di quello che ha a suo tempo concluso il contratto. Di
quest’ultimo, non risulta che sia stata fornita la prova dell’inscientia.
D’altra parte, dalla sentenza impugnata si evince che la banca si era difesa soltanto formulando
un’eccezione di difetto di legittimazione passiva mentre la questione relativa all’inscientia – come risulta
dallo stesso ricorso a pag. 35 – è stata posta soltanto con la comparsa conclusionale in sede di appello.
Anche il quarto motivo, dunque, è infondato.
3.1.- Il quinto motivo, invece, è fondato perchè in ipotesi di vittorioso esperimento dell’azione revocatoria
fallimentare relativa ad un pagamento eseguito dal fallito nel periodo sospetto, l’obbligazione restitutoria
dell’”accipiens”, soccombente in revocatoria, ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l’atto
posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza
di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva; ne consegue che anche gli interessi sulla somma
da restituirsi decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno,
riveniente dal ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria, spetta solo
ove l’attore lo abbia allegato specificamente, dimostrando poi di averlo subito (Sez. 1, n. 12736/2011).
La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata limitatamente all’attribuzione degli interessi legali a
far tempo dai singoli versamenti anzichè dalla domanda e la Corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., può decidere
la causa nel merito attribuendo gli interessi con tale ultima decorrenza.
Quanto alle spese processuali dei gradi di merito e del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – esse,
in considerazione dell’esito complessivo della lite, vanno poste a carico della banca ricorrente nella misura
di 2/3, con compensazione della restante parte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa il provvedimento impugnato in relazione
al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi legali dalla domanda e condanna la
società ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura di due terzi, dichiarando compensato il
rimanente terzo; spese che liquida per l’intero in Euro 12.320,00 per il primo grado (di cui Euro 2.650,00
per diritti e Euro 8.500,00 per onorari), Euro 15.947,60 per il grado di appello (di cui Euro 2.750,00 per
diritti e Euro 13.000,00 per onorari) e Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per il giudizio di
legittimità, il tutto oltre al rimborso delle spese generali e accessori come per legge.6
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2012