giovedì, 21 novembre 2024

Cassazione civile, sezione prima – 15 Giugno 2012 – n° 9857; PROCEDIMENTO FALLIMENTARE = PROCEDIMENTO CIVILE: OBBLIGO DI SEGNALAZIONE AL PM IN CASO DI DESISTENZA DEL CREDITORE ISTANTE – STATO DI INSOLVENZA

La massima

La trasmissione al pubblico ministero della notitia decoctionis emersa nel corso del procedimento non è un atto avente contenuto decisorio, neppure come precipitato di una cognizione di tipo sommario e non incide – né direttamente, né indirettamente – sui diritti di alcuno mentre il giudice che a ciò procede non fa altro che esercitare il potere-dovere di denunzia di fatti che prima facie gli appaiano potenzialmente lesivi dell’interesse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai d’insolvenza.

Trattandosi di un atto “neutro “, privo di specifica valenza procedimentale o decisoria, «il cui impulso riposa su una valutazione estemporanea, che non vincola nessuno», la valutazione decisoria del tribunale non è tecnicamente “pregiudicata” dall’avvenuta segnalazione, perché il tribunale, all’esito dell’istruttoria prefallimentare, può rigettare con decreto la richiesta del pubblico ministero.

Il contesto normativo

ART.6 LEGGE FALLIMENTARE (INIZIATIVA PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO).

Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.

Nel ricorso di cui al primo comma l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla presente legge.

ART.7 LEGGE FALLIMENTARE (INIZIATIVA DEL PUBBLICO MINISTERO).

Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6:

1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;

2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

ART.15 LEGGE FALLIMENTARE (PROCEDIMENTO PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO).

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.

Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del sesto comma. Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.

Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata; può richiedere eventuali informazioni urgenti.

I termini di cui al terzo e quarto comma possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi.

Il tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.

Le parti possono nominare consulenti tecnici. Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.

Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 1.

ART.18 LEGGE FALLIMENTARE (RECLAMO)

Contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni.

Il ricorso deve contenere:

1) l’indicazione della corte d’appello competente;

2) le generalità dell’impugnante e l’elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello;

3) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni;

4) l’indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.

Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata, salvo quanto previsto dall’articolo 19, primo comma.

Il termine per il reclamo decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’articolo 17 e per tutti gli altri interessati dalla data della iscrizione nel registro delle imprese ai sensi del medesimo articolo. In ogni caso, si applica la disposizione di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile.

Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designa il relatore, e fissa con decreto l’udienza di comparizione entro sessanta giorni dal deposito del ricorso.

Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, a cura del reclamante, al curatore e alle altre parti entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto.

Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni. Le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello.

La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

L’intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalità per queste previste.

All’udienza, il collegio, sentite le parti, assume, anche d’ufficio, nel rispetto del contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari, eventualmente delegando un suo componente.

La corte provvede sul ricorso con sentenza.

La sentenza che revoca il fallimento è notificata, a cura della cancelleria, al curatore, al creditore che ha chiesto il fallimento e al debitore, se non reclamante, e deve essere pubblicata a norma dell’articolo 17.

La sentenza che rigetta il reclamo è notificata al reclamante a cura della cancelleria.

Il termine per proporre il ricorso per cassazione è di trenta giorni dalla notificazione.

Se il fallimento è revocato, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.

Le spese della procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale, su relazione del giudice delegato, con decreto reclamabile ai sensi dell’articolo 26.

Il caso

Il Tribunale di Forlì, su iniziativa del locale Pubblico Ministero, ha dichiarato il fallimento della società Alfa srl.

La fallita ha proposto reclamo ex art. 18 L.F. innanzi alla Corte d’Appello di Bologna.

La Corte bolognese, ha accolto il reclamo del fallito, condividendo l’unico arresto di legittimità pertinente al caso deciso (S.C. 26.2.2009, n. 4632), ed ha escluso, che la nozione di procedimento civile di cui all’art. 7 n. 2 L.F. possa altresì ricomprendere il procedimento per la dichiarazione di fallimento, nel cui ambito alla desistenza del creditore istante era succeduta la menzionata segnalazione, con ciò dubitando del pieno rispetto del principio del giusto processo ove permanga un’ingerenza dell’organo giudicante sulla nascita o sull’ultrattività della procedura già avanti a sé pendente.

Il fallimento della società Alfa ha proposto ricorso per Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 co. 1 n. 2 e 15 L.F.

Secondo il ricorrente il giudice di merito avrebbe erroneamente considerato equivalenti l’iniziativa d’ufficio del tribunale (preclusa dopo la riforma) e la mera segnalazione al P.M. dell’insolvenza rilevata trascurando che questa seconda, risolvendosi in una comunicazione, non ha natura decisoria e nemmeno presuppone un accertamento pieno dell’insolvenza, bensì costituisce un atto neutro, privo di valenza procedimentale o decisoria diversa dall’esaurire un obbligo di riferimento all’unico organo sopravvissuto titolare della potestà pubblicistica di intervento ed azione in materia, il P.M.

L’iniziativa di quest’ultimo, a sua volta, non è obbligatoria, dovendo egli vagliare ogni segnalazione ricevuta e poi non ha alcuna portata vincolante verso il giudice cui è diretta, ove sia cioè trasformata in rituale richiesta di fallimento.

La decisione

La Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame al Giudice di appello, in diversa composizione.

La Corte nella sentenza in esame precisa che il nuovo art. 7 L.F., va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l’insolvenza di un imprenditore “deve” farne segnalazione al Pubblico Ministero e – specularmente – il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6 «quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile».

Le ragioni della decisione sono rappresentate dal fatto che la Suprema Corte, ha rilevato che, giudice civile è anche il tribunale fallimentare, per cui ove venga a conoscenza nel corso di un procedimento della stato di insolvenza dell’imprenditore, deve” farne segnalazione al Pubblico Ministero.

Tale obbligo sussiste anche dopo l’introduzione della nuova disciplina che ha eliminato il potere del Tribunale di dichiarare d’ufficio il fallimento, lasciando l’iniziativa al P.M.

Riassunto:REPUBBLICA ITALIAN

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10356/2010 proposto da:

FALLIMENTO ALFA S.R.L.

RICORRENTE

contro

ALFA S.R.L

CONTRORICORRENTE

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FORLÌ

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA

INTIMATI

Nonché da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FORLÌ

CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA, ALFA S.R.L., FALLIMENTO ALFA S.R.L.;

INTIMATI

sul ricorso 11962/2010 proposto da:

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA;

CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

contro

FALLIMENTO ALFA S.R.L., ALFA S.R.L., PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FORLÌ;

INTIMATI

avverso la sentenza n. 266/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/03/2010.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.1. Con sentenza 4 marzo 2010, n. 266, la Corte d’Appello di Bologna accoglieva il reclamo, interposto ex art. 18 l. fall., dalla società ALFA SRL., dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì il (OMISSIS) , ritenendone viziata la pronuncia per essere stata emessa a seguito di illegittima iniziativa del locale Pubblico Ministero (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì) dopo che al medesimo era pervenuta segnalazione dell’insolvenza da parte dello stesso tribunale fallimentare. Nella sentenza oggetto del successivo ricorso per cassazione, si da conto, più specificamente, che il Tribunale di Forlì era stato in origine investito di una istanza di fallimento da parte di un creditore, con successiva desistenza.

La corte bolognese, condividendo l’unico arresto di legittimità pertinente al caso deciso (S.C. 26.2.2009, n. 4632), ha escluso che la nozione di procedimento civile di cui all’art. 7 n. 2 l. fall., possa altresì ricomprendere il procedimento per la dichiarazione di fallimento, nel cui ambito alla desistenza del creditore istante era succeduta la menzionata segnalazione, con ciò dubitando del pieno rispetto del principio del giusto processo ove permanga un’ingerenza dell’organo giudicante sulla nascita o sull’ultrattività della procedura già avanti a sé pendente.

1.2. Il Fallimento ALFA SRL censura l’impugnata sentenza sulla base di tre motivi.

Con il PRIMO motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 co. 1 n. 2 e 15 l. fall., nonché degli artt. Ili Cost., in relazione agli artt. 360 co. 1 nn. 3 e 4 cod. proc. civ. o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. Il giudice di merito avrebbe invero erroneamente considerato equivalenti l’iniziativa d’ufficio del tribunale (preclusa dopo la riforma) e la mera segnalazione al P.M. dell’insolvenza rilevata (prevista dall’art. 7 n. 2 l. fall.), trascurando che questa seconda, risolvendosi in una comunicazione, non ha natura decisoria e nemmeno presuppone un accertamento pieno dell’insolvenza, bensì costituisce un atto neutro, privo di valenza procedimentale o decisoria diversa dall’esaurire un obbligo di riferimento all’unico organo sopravvissuto titolare della potestà pubblicistica di intervento ed azione in materia, il P.M. L’iniziativa di quest’ultimo, a sua volta, non è obbligatoria, dovendo egli vagliare ogni segnalazione ricevuta e poi non ha alcuna portata vincolante verso il giudice cui è diretta, ove sia cioè trasformata in rituale richiesta di fallimento.

Con il SECONDO motivo si deduce violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo ed ancora omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo.

La sentenza impugnata trascurerebbe di considerare che la nozione di procedimento civile, inaugurata all’art. 7 n. 2 l. fall., e sostitutiva della più circoscritta figura del giudizio civile, di cui all’abrogato art. 8 l. fall., permette di ricondurre il potere di segnalazione ad ogni procedimento di cognizione, ordinario e speciale, camerale e di esecuzione, senza eccezioni. Non è invero condivisibile l’orientamento restrittivo, fatto proprio da S.C. n. 4632/09, secondo cui dall’istruttoria prefallimentare potrebbe sorgere una segnalazione ma solo a carico di soggetto diverso da quello contro cui l’iniziativa in quel processo era diretta, cioè di un imprenditore terzo. Le stesse perplessità, in punto di imparzialità e terzietà del giudicante, si riprodurrebbero, ove a tale segnalazione seguisse l’esercizio, da parte del P.M., della iniziativa di fallimento, senza contare l’irragionevolezza di trattamento praticata con la situazione oggetto della vicenda in esame. E d’altronde, proprio l’eventualità di una segnalazione dall’istruttoria prefallimentare è stata fatta propria dalla Relazione ministeriale alla riforma.

Con il TERZO motivo si riproducono gli stessi profili di censura investendo criticamente la nozione di terzietà e imparzialità del giudice fatta propria dai giudici bolognesi: questi avrebbero omesso di considerare come più appropriata la chiave di risoluzione dei relativi problemi facendo ricorso agli istituti, sequenziali, dell’astensione e ricusazione di cui agli artt. 51-52 cod. proc. civ., in concreto non utilizzati.

1.3. In questo senso il ricorrente chiede in via principale la cassazione della sentenza impugnata.

1.4. Il ricorrente incidentale Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Forlì ritenendo la fondatezza del menzionato ricorso per cassazione del fallimento ALFA SRL avversa la sentenza impugnata con un unico complesso motivo. Il P.M. richiama il proprio ricorso di fallimento volto non solo a far attestare la conclamata insolvenza della ALFA SRL ma altresì a scongiurare comportamenti di trattamento preferenziale a favore di alcuni creditori. Vengono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 15 l. fall., e 111 Cost. in relazione agli artt. 360 co. 1 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., oltre illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il ricorrente sottolinea la natura non decisoria della segnalazione della notitia decoctionis al P.M., il ruolo di presidio di tale organo rispetto ad interessi tuttora pubblicistici, l’impossibile commistione tra tale segnalazione e la futura e solo eventuale decisione del tribunale (che può anche essere diverso da quello segnalante), la non sovrapponibilita tra il processo da cui nasce la segnalazione ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento attivato su iniziativa autonoma del P.M., l’illogica distinzione tra debitore e terzo cui riferire la notizia e ciò ai fini della legittimazione del P.M. ed infine le perplessità costituzionali che si darebbero a fronte di una interpretazione restrittiva, non potendo il P.M. svolgere alcun ruolo istituzionale, come per l’art. 238 l. fall., in caso di desistenza del creditore originariamente istante.

1.5. In questo senso il ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata.

Le medesime richieste e conclusioni sono state formulate dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Bologna che parimenti ha impugnato la sentenza con atto spedito il 7 maggio 2010. 1.6. La controricorrente società ALFA SRL contraddice ai ricorsi proposti chiedendone la reiezione, con conferma della sentenza impugnata: si riporta alla tesi, ivi espressa, dell’abolizione dell’iniziativa d’ufficio quale ratio ispiratrice di una conseguente riduzione del ruolo del giudice procedente, cui sarebbe preclusa sia l’azione diretta sia ogni altra sollecitazione, come quella rivolta al P.M., in grado di fargli recuperare il medesimo ruolo in passato coerente con la predetta officiosità; anche tale impulso rivelerebbe una precognizione da parte del giudicante, incompatibile con i profili di terzietà ed imparzialità introdotti dalla riforma.

1.7.- Parte ricorrente ha depositato memoria nei termini di cui all’art. 378 c.p.c..

I ricorsi – proposti contro la medesima sentenza – devono essere riuniti.

2.- È noto che, prima della riforma, due giudici di merito avevano investito la Corte costituzionale dubitando della legittimità costituzionale della disciplina dell’apertura del fallimento d’ufficio alla luce del nuovo testo dell’art. 111 Cost.

In particolare i rimettenti ritenevano che l’iniziativa officiosa del tribunale per la dichiarazione di fallimento, prevista dal previgente art. 6, l. fall., confliggesse con i principi di terzietà e imparzialità del giudice, “di cui il canone nulla iurisdictio sine actione costituisce l’indefettibile corollario logico”.

Quando la stessa autorità che deve decidere si è autonomamente attivata contro la parte cui il provvedimento decisorio è destinato si verificherebbe la violazione, appunto, del principio di terzietà e imparzialità. Dubbio di incostituzionalità esteso al previgente art. 8, l. fall. nella parte in cui prevedeva che la segnalazione dell’insolvenza dovesse essere fatta al tribunale anziché al pubblico ministero.

La Corte costituzionale, chiarito che si sottraeva alla censura di illegittimità costituzionale ogni ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento intervenisse a conclusione di un procedimento comunque avviato da soggetto diverso dal giudice decidente, come il creditore sedicente o non legittimato o rinunciante, ovvero dal pubblico ministero o, infine, dallo stesso imprenditore che chiedeva l’ammissione ad una procedura concorsuale, così come le ipotesi di fallimento dichiarato d’ufficio in via di estensione ex art. 147, l. fall. (nel testo previgente), ha argomentatamente escluso la fondatezza della questione sollevata.

Ha rilevato la Corte che “l’iniziativa officiosa prevista dal legislatore in ragione di peculiari esigenze di effettività della tutela giurisdizionale – non lede il fondamentale principio di imparzialità – terzietà del giudice, quando il procedimento è strutturato in modo che, ad onta dell’officiosità dell’iniziativa, il giudice conservi il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti”. Ha puntualizzato, poi, la Corte che “le prevalenti finalità pubblicistiche, che caratterizzano la procedura fallimentare (Sentenze 141-142/1970, 110/1972, 148/1996), imponevano al tribunale di attivarsi anche in assenza di un’iniziativa di parte, dando cosi attuazione alla volontà della legge, che ha già valutato, preventivamente e una volta per tutte, l’interesse pubblico sotteso; di tal che non poteva dubitarsi che il tribunale, procedendo d’ufficio, agisse non come attore, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes’ (Sentenza 148/1996)”.

La Corte, peraltro, non ha puramente e semplicemente dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, bensì ha precisato, nella parte motiva, che gli artt. 6 e 8, l. fall. (nel testo previgente), “correttamente interpretati”, non erano in contrasto con l’art. 111, 2 co., Cost.. Ciò ha affermato dopo avere puntualizzato che “soltanto al collegio spetta il potere di disporre l’audizione del fallendo”, dopo avere acquisito e delibato legittimamente la notizia decoctionis, questa dovendo provenire ab externo (rispetto al collegio), quale riferimento del giudice civile ex art. 8, l. fall., (ora abrogato).

La Corte, poi, ha espressamente definito come illegittimo il comportamento del giudice relatore che disponga la comparizione del debitore in luogo dell’organo collegiale che è il “giudice” fornito del potere giurisdizionale di delibare la notizia decoctionis al fine dell’instaurazione ex officio del procedimento prefallimentare. In altri termini, sulla base delle norme ora modificate, avrebbe potuto il giudice delegato ai fallimenti segnalare al collegio la notizia decoctionis. Il tribunale avrebbe dovuto disporre ulteriore istruttoria, delegando un componente del collegio e, delibata come non manifestamente infondata la notitia decoctionis, avrebbe dovuto ordinare la convocazione del fallendo per contestargli le risultanze dell’istruttoria (o preistruttoria) e metterlo in grado di difendersi.

3.- Il nuovo art. 6 l. fall., non prevede più l’iniziativa officiosa del tribunale per la dichiarazione di fallimento mentre il nuovo art. 7 (Iniziativa del pubblico ministero), introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006, dispone che il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6:

1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;

2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Il primo comma riprende sostanzialmente il testo previgente della disposizione (Quando l’insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore, il procuratore della Repubblica che procede contro l’imprenditore deve richiedere il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento) con la significativa variante – per la parte che interessa la questione oggetto dei ricorsi – che l’insolvenza non deve più risultare necessariamente da un procedimento penale “contro l’imprenditore” insolvente ma, semplicemente, «nel corso di un procedimento penale». Ciò denota che il legislatore ha individuato nel Pubblico Ministero l’organo terzo dal quale – secondo la menzionata sentenza della Corte costituzionale – la notizia decoctionis potesse pervenire, “questa dovendo provenire ab externo (rispetto al collegio)”, alla pari del «riferimento del giudice civile ex art. 8, l. fall.», essendo egli legittimato – come il debitore o i creditori – a proporre istanza di fallimento ai sensi del nuovo art. 6 l. fall.

L’art. 8 l. fall, è stato abrogato ed il suo contenuto è stato inserito nell’art. 7, comma 2, con la precisazione (anche qui) che l’insolvenza può risultare dalla «segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile» e non più – come previsto dall’abrogata disposizione – se «nel corso di un giudizio civile risulta(va) l’insolvenza di un imprenditore (che fosse) parte nel giudizio» (e in tal caso, il giudice ne doveva riferire al tribunale competente per la dichiarazione del fallimento).

La nozione di procedimento civile è diversa e più ampia di giudizio civile e vale a ricomprendere l’istruttoria prefallimentare «disciplinata ex novo dall’art. 15, L. Fall., nel testo introdotto dalla riforma del 2006, come un procedimento speciale a cognizione piena» (Sez. 1, Sentenza n. 1098 del 2010).

4.- Dalla Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali si evince che “la soppressione della dichiarazione di fallimento di ufficio risulta bilanciata dall’affidamento al pubblico ministero del potere di dar corso alla istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice al quale, nel corso di un qualsiasi procedimento civile, risulti l’insolvenza di un imprenditore; quindi anche nei casi di rinuncia (c.d. desistenza) al ricorso per dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti”.

L’intenzione storica del legislatore quale che in concreto essa sia non risulta mai vincolante per l’interprete. Ma se ciò è vero, nel senso che quell’intenzione non è mai vincolante, tuttavia – ed è agevole constatarlo dall’esame di non poche pronunce della Corte costituzionale difficilmente da essa si può prescindere qualora sia conforme al risultato del procedimento ermeneutico condotto alla luce dei criteri indicati dall’art. 12 disp. prel.

In tal senso è il procedimento ermeneutico da sempre seguito dalla Corte costituzionale, allorquando, ad esempio, pone a base del giudizio di costituzionalità il significato della norma quale risultato di «interpretazione, fatta palese dalla lettera del precetto» che appaia «perfettamente in consonanza rispetto a quanto emerge dai lavori preparatori» e come «si rileva in modo assolutamente inequivoco dalla Relazione al testo definitivo» (C. cost. 7 luglio 1992 n. 340. Per altri esempi di utilizzazione di tale procedimento ermeneutico, cfr. C. cost. 23 marzo 2010 n. 138; C. cost. 3 maggio 2005 n. 282; C. cost. 11 luglio 1985 n. 214; C. cost. 7 maggio 1975 n. 120).

Se i lavori preparatori hanno un valore limitato, esistono alcuni casi in cui è legittimo fare ricorso al c.d. «argomento psicologico», almeno come argomento ausiliario (cfr. Cass., sez. un., 26 gennaio 2004 n. 1338; Cass. 17 gennaio 2003 n. 654; Cass. 16 marzo 1996 n. 2238; Cass. 27 febbraio 1995 n. 2230; Cass. 7 dicembre 1994 n. 10480; Cass., sez. un., 30 ottobre 1992 n. 11843; Cass. 7 dicembre 1994 n. 10480).

Dunque, il nuovo art. 7 l. fall., va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l’insolvenza di un imprenditore “deve” farne segnalazione al

Pubblico Ministero e – specularmente – il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6 «quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile». Giudice civile è anche il tribunale fallimentare che abbia rilevato l’insolvenza nel corso di un procedimento ex art. 15 l. fall., anche se definito per desistenza del creditore istante.

5.- Infine, quanto alla conformità al precetto di cui all’art. 111 Cost. della interpretazione innanzi accolta, oltre alla già menzionata pronuncia della Corte costituzionale, depone per essa il rilievo della dottrina secondo cui la trasmissione al pubblico ministero della notitia decoctionis emersa nel corso del procedimento non è un atto avente contenuto decisorio, neppure come precipitato di una cognizione di tipo sommario e non incide – né direttamente, né indirettamente – sui diritti di alcuno mentre il giudice che a ciò procede non fa altro che esercitare il potere-dovere di denunzia di fatti che prima facie gli appaiano potenzialmente lesivi dell’interesse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai d’insolvenza.

Trattandosi di un atto “neutro “, privo di specifica valenza procedimentale o decisoria, «il cui impulso riposa su una valutazione estemporanea, che non vincola nessuno», la valutazione decisoria del tribunale non è tecnicamente “pregiudicata” dall’avvenuta segnalazione, perché il tribunale, all’esito dell’istruttoria prefallimentare, può rigettare con decreto la richiesta del pubblico ministero.

La natura di valutazione prima facie dell’insolvenza e il potere esercitato dal tribunale fallimentare a seguito di cognizione piena, se del caso difformemente da quella prima valutazione, sta a confermare, semmai, la terzietà dell’organo giudicante.

6.- Le considerazioni innanzi svolte inducono la Corte a disattendere il precedente applicato dalla corte di merito.

I ricorsi devono essere accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie; cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 maggio 2012.

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