IL FALLITO E LA SUA PROCEDURA
dedicato agli studi in onore di Giuseppe Ragusa Maggiore
DOMENICO
MAZZOCCA
Presidente
della Corte di Appello di Salerno
La
figura del debitore, anche al di là della sfera giuridica,
ha una pregnante connotazione negativa, che, se può
trovare una certa motivazione generale nel suo inadempimento,
quale atto certamente contrario al fisiologico sviluppo
dei rapporti economici e sociali (che trascende la sfera dello
stesso creditore, quale soggetto danneggiato) si materializza
nellanimo di qualsiasi individuo, che avverte più
o meno coscientemente, un pericolo per se stesso, in quanto
partecipe allaggregato sociale (come in materia penale
ogni reato incide sulla coscienza generale).
Non
è qui il caso di attardarsi a ricordare quale trattamento
avesse il debitore inadempiente in tempi che, benché
remoti, vantavano già un ordinamento giuridico,
quale quello del diritto romano, che pur riconosceva al creditore
insoddisfatto quel diritto sulla persona che comprendeva elementi
di vendetta più che di reintegrazione patrimoniale
e di sanzione giuridica.
Tale
considerazione del debitore, che non intendiamo neppure definire
pregiudizio, avendo pur sempre un valore positivo ogni ripulsa
di atti che violano diritti altrui, ha permeato conseguentemente
in maniera massiccia la persona del fallito fin da quando
in epoca di mezzo, si manifestò lembrione
della procedura concorsuale, mentre già il nostro Paese
si illuminava della grandezza del rinascimento, che non esauriva
i suoi effetti nel mondo delle belle arti, ma restituiva dignità
alluomo ed alla sua interiorità.
E
nozione elementare che il termine fallire derivi etimologicamente
da fallare (con iI suo intenso significato che è ingannare)
e che si riteneva decoctor ergo fraudator, attribuendosi
con mano pesante al fallito qua e là diverse ma
pur sempre pesanti ed infamanti sanzioni.
Come
è noto, in tal periodo Ia bancarotta suscitava un giustificato
allarme che si era al primo evolversi dei rapporti commerciali
intesi in senso più moderno.
La
civiltà poi si evolveva, raggiungendo i traguardi importanti,
ma non sempre confortanti, dellera industriale e post-industriale,
nella
quale ultima ci andiamo incamminando con speranze ma anche
preoccupazioni.
Gli ordinamenti giuridici nel contempo si perfezionavano e
raffiguravano ed anche e particolarmente in diritto penale
prevalevano i principi garantistici.
Viene però di chiedersi sino a che punto è veramente
mutato latteggiamento sociale e degli operatori
verso il fallito (termine che nel linguaggio comune costituisce
ancora uningiuria grave anche fuori del mondo commerciale).
Non saremo però certo noi a volere manifestare una
semplicistica commiserazione emotiva a favore del fallito,
avendo, anzi, in più occasioni espressa la nostra preoccupazione
per il fatto che gli ordinamenti giuridici, anche sotto Ia
spinta di esasperati orientamenti garantistici, finiscono
talvolta con lassicurare più tutela concreta
al debitore (in campo civilistico ) o aIlimputato
(in quello penalistico) che rispettivamente al creditore ed
alla parte lesa.
Non è questa Ia sede per diffondersi sul fatto che,
anzi, i ritardi cronici della giustizia, almeno nel nostro
paese, nella realtà già concedendo un vantaggio
basso il tasso degli interessi Iegali (con grave sproporzione
rispetto a quelli commerciali), ha contribuito a suscitare
atteggiamenti dolosi di inadempienza, in considerazione
dei tempi del giudizio e laumento del tasso dal precedente
5 per cento al 10 per cento, ha solo ridotto leffetto
nefasto.
Buon
senso, però, vuole che non si generalizzi in senso
negativo rispetto allo status (1) di fallito, in quanto, come
per ogni stato personale, cè ampia diversificazione
dei soggetti sul piano morale.
Può partirsi dal dato sostanziale che quel particolare
debitore che è il fallito è soggetto passivo
(2) del fallimento sia sul piano personale che patrimoniale,
con indiscutibile interesse, rilevante anche sul piano giuridico,
al miglior svolgimento della procedura esecutiva che lo coinvolge.
Consegue
che non ci sembra azzardato affermare che, a prescindere anche
dalleventuale opportunità di modifica di alcune
norme che lo riguardano, nella prassi spesso venga data
aI fallito minore attenzione di quanto sarebbe giusto
e, peraltro, opportuno nellinteresse stesso del fallimento
per i contributi di esperienza e notizie che lex imprenditore
potrebbe dare.
Nella
nostra lunga esperienza giudiziaria, anzi, non raramente abbiamo
incontrato qualche poco esperto curatore che si vantava di
tenere a distanza il fallito, quasi che fosse da considerare
un untore, per il rischio di sospetti di rapporti scorretti
o illeciti.
Tale
inconveniente si verifica soprattutto nella prima fase del
fallimento e poco conta iI fatto che non pochi falliti mostrano
a loro volta uguale disinteresse e talvolta tentino di
sottrarsi allincontro per occultare illeciti atti precedenti
o esistenza di beni, persino immobili, che per la loro ubicazione
potrebbero sfuggire allautonoma (e talvolta non attenta)
ricerca del curatore (qualche volta fortuitamente e fortunosamente
furono appresi beni anche nelle more della chiusura della
procedura).
Nella
procedura di accertamento dei crediti (che innegabilmente
è una delle fasi più delicate del fallimento)
si palesa appieno in molti casi la dannosa mancanza di
congrui contatti tra il fallito ed il curatore, a cui, peraltro,
un solerte giudice delegato con i suoi poteri coercitivi potrebbe
almeno parzialmente ovviare, cosa che purtroppo non sempre
avviene anche per il ponderoso carico di lavoro che opprime
gli uffici fallimentari, specie in tribunali importanti (a
parte la diffidenza eccessiva che qualche volta anima anche
il giudice delegato) (3).
Così la verifica dei crediti avviene quasi a tentoni
sulla scorta solo della documentazione, spesso equivoca, offerta
(quando ciò avviene) dagli istanti. Siamo dellopinione
che una più larga e convinta collabonazione, portando
a più esatte conclusioni, limiterebbe notevolmente
il numero delle opposizioni allo stato passivo, con evidente
beneficio dello stesso ufficio ed mediatamente dei creditoni,
anche quanto ai tempi della procedura.
Del resto trattasi solo di rendere più operante Ia
disposizione contenuta dallart. 95 legge fallim. che
richiede che venga sentito iI fallito.
Nel
corso della procedura il fallito rimane ai margini senza possibilità
di alcun concreto intervento, salvo sempre la possibilità
di fare segnalazioni al giudice.
La sua stessa tutela giudiziaria è estremamente limitata,
salvo che per i diritti personali.
Alla
perdita del diritto di disporre corrisponde laltro effetto
della perdita della capacità processuale. Lincapacità,
pur non avendo carattere generale (non dipendente da
unincapacità completa) è estremamente
ampia.
Fa
eccezione, oltre i casi previsti espressamente dalla legge
e che trovano giustificazione proprio nella dichiarazione
di fallimento (come è a dirsi per i giudizi di opposizione
alla dichiarazione di fallimento, di omologazione del
concordato o relativi a pochi atti della procedura), solo
la possibilità di tutela dei beni personali ed inespropriabili.
De
jure condendo potrebbe trovare maggiore attenzione linteresse
del fallito, che, per la sostituzione processuale del curatore,
ha possibiltà di azione molto minore di un comune debitore
assoggettato ad esecuzione individuale.
Alla
pur ragionevole limitazione, ancora più grave in relazione
agli atti del curatore che il fallito dovesse ritenere illegittimi
anche sul piano formale (opposizioni ex art. 717 cod. proc.
civ,), corrisponde unancora più drastica esclusione
della facoltà di intervenire in giudizio.
Lart. 43 legge fallim. drasticamente limita Ia possibilità
di intervento «salvo per le questioni dalle quali può
dipendere un imputazione di bancarotta a suo carico
o se lintervento è previsto dalla legge».
Prescindendo
dallesplicita previsione legislativa limitata a pochi
casi rientranti nella dinamica del fallimenro, riteniamo eccessiva
Ia limitazione allipotesi di bancarotta.
Innanzitutto
in via generale ci sembra che, a parte lindicato fenomeno
di sostituzione processuale, se unopportuna limitazione
alla legittimazione processuale del fallito a promuovere giudizi
si giustifica anche sul piano pratico per il pericolo che
la procedura possa subire ingiustificati ritardi per la definizione
di giudizi voluti dal fallito solo per guadagnare tempo ai
più vari e non
confessabili
fini, tale rischio è molto ridotto quando il giudizio
sia stato già ritenuto opportuno dallufficio
fallimentare, o comunque instaurato da un terzo.
Il
problema non può che affidarsi al legislatore per qualche
sia pur parziale correttivo.
Premesso
che la specifica indicazione dellipotesi di bancarotta
non ha consentito interpretazioni giurisprudenziali elastiche
(4), riteniamo che potrebbe allargarsi la previsione a qualche
altro reato.
Considerando
poi, le possibili aspettative del fallito sul patrimonio (Ia
cui amministrazione per effetto dello spossessamento è
passata al curatore, sotto il controllo degli organi giurisprudenziali),
esse sono assolutamente inconsistenti, salvo la ben rara evenienza
di un supero.
Se
possono in certo senso rilevarsi le analogie con gli effetti
del pignoramento nelle esecuzioni individuali, bisogna riconoscere
che anche in presenza di un consistente patrimonio il fallito
non può utilizzare neppure la minima parte di esso
per le più urgenti necessità di vita proprie
e della famiglia.
Tale
affermazione non sembra essere contraddetta dalla previsione
degli alimenti riconosciuti dallart. 47 legge fallim.
nel caso che il fallito non riesca a produrre reddito di lavoro.
Invero la norma, come avemmo occasione di illustrare (5),
non riconosce un vero diritto disponendo che il giudice
delegato, sentito il curatore ed il comitato dei creditori,
se è stato nominato, «può» concedere
al fallito un sussidio a titolo di alimenti per lui e la famiglia.
Trattasi pur sempre così di un potere discrezionale
del giudice e se è vero che questo non può attuarsi
in modo arbitrario ed irragionevole è da riconoscere
che la legge a riguardo non assicura al fallito in concreto
un potere forte.
Indubbiamente
non può essere consentito che per questa via (il sussidio
può essere una tanturn o periodico) il fallito polverizzi
quellattivo sul quale si puntano Ie più che legittime
aspettative dei creditori, ma è tuttavia certo che
il sussidio viene talvolta concesso con estremo rigore anche
per i pareri non raramente contrari del comitato dei creditori
e dettati in qualche occasione da pur comprensibile animosità
verso il fallito.
Rimanendo
in tema di alimenti ex art. 47, sottoliniamo che il comma
2 riconosce (a differenza che per gli alimenti) un vero diritto
soggettivo alla conservazione dellabitazione per esso
fallito e famiglia nella casa di sua proprietà,
fino alla liquidazione totale delle attività, disponendo
Ia norma che la casa «non può essere distratta
sino a quellevento».
Se
la conclusione è condivisa anche dalla giurisprudenza
(6), non si è mancato di ritenere, in senso riduttivo,
che particolari esigenze della procedura possano autorizzare
lufficio fallimenrare a procedere alla vendita della
casa prima della fase finale.
Premesso
che la conservazione della casa è limitata alle effettive
esigenze della famiglia e, quindi, può essere attuata
anche in modo parziale, ove possibile, può venir
meno, essendo pur sempre Ia disposizione inserita nellart.
47 relativo agli alimenti, quando questa esigenza in concreto
sia venuta a mancare, come nel caso del trasferimento di residenza
del fallito o di sicura disponibilità da parte sua
di casa altrui a titolo gratuito.
Tuttavia,
nei limiti operativi della neccssità, è certo
che, come riconosce Ia giurisprudenza indicata, nel caso di
stretta necessità per Ia procedura di liquidazione
anticipata della casa, lamministrazione fallimentare,
in sostituzione, è onorata del pagamento del canone
della casa che il fallito prenderà in locazione (7),
casa che dovrà pur sempre essere proporzionata alla
effettiva necessità e che potrà essere
ubicata anche in diversa zona cittadina, meno appetibile,
purché non estremamente disagiata, tenendo anche conto
dei bisogni dei familiari.
Poiché
il diritto allabitazione è posto anche a beneficio
dei familiari del fallito, consegue che può essere
vantato in caso di dichiarazione di fallimento di imprenditore
deceduto (o di suo successivo decesso) anche dal coniuge non
legalmente separato e dagli altri familiari conviventi.
Allatto
della vendita lufficio intima al fallito di lasciare
la casa ed in caso di rifiuto, può procedere direttamente
allesecuzione dellordine.
Naturalmente
il rifiuto sarebbe giustificato nel caso che la vendita non
fosse stata eseguita nel rispetto delle condizioni previste.
Più
in generale per il mancato rilascio dellimmobile al
terzo acquirente sorge un obbligo a risarcire il danno a carico
del fallimento, venditore tenuto alla consegna, e del
fallito per lilIegittimità del mancato rilascio
(8).
Non
pare sostenibile poi che Ia disposizione contempli oltre limmobile
anche i mobili arredanti Ia stessa, non essendo espressamente
indicati e per i quali bisogna solo fare riferimento ai noti
limiti di espropriabilità.
Lart.
46 legge fallim. precisa poi i beni non compresi nellacquisizione
a fallimento. Al numero 1) sono indicati i beni ed i diritti
di natura strettamente personale, la cui esclusione è
giustificata proprio dallo stretto collegamento con la
personalità del fallito, che rende preminente la natura
e funzione loro rispetto al valore economico, che, comunque,
deve sussistere occupandosi Ia norma di elementi patrimoniali
sottratti ad una esecuzione coattiva.
Non
trattasi, peraltro, di una rilevanza del sentimento del solo
fallito, pur meritevole in certi limiti di considerazione,
ma di una particolare valutazione che detti rapporti
ricevono dalla coscienza sociale, alla quale ripugna
che di alcune cose qualsiasi uomo sia spogliato.
Esclusi,
quindi, per il carattere non patrimoniale quei diritti personalissimi
relativi alla posizione giuridica del soggerto nellordinamento
(quali lo stato di cittadinanza, di famiglia, di riconoscimento
di prole ecc.), rientrano nella disposizione quelli relativi
allimmagine, allingegno, ecc., che, specie in
alcuni casi, hanno un potenziale o già attuale valore
economico, tenuto conto di particolari qualità del
soggetto.
Sempre
per la pregnante connessione allaffettività e
moralità vanno esclusi anche quei diritti potestativi
come Ia revoca per indegnità di una donazione.
Benché
possano essere influenzati da considerazioni delicate e personaIi,
viene acquisito il diritto ad accettare eredità o donazioni
per le quali lart. 35 legge fallim. prevede solo una
valutazione degli organi fallimentari di carattere, però,
esclusivamente economico (pur potendo sussistere, invece,
valutazioni particolari di ordine morale).
Interessandoci
qui solo un profio essenziale della posizione del fallito
nella procedura non ci soffermiamo in particolare analisi
delle fattispecie per le quali rinviamo alla nostra opera
segnalata.
Nellambito
dei rapporti personali non oggetto dello spossessamento provocato
dal fallimento (art. 46), può constatarsi maggiore
e opportuna larghezza nella determinazione della parte da
lasciare al fallito per il «mantenimento»
suo e della famiglia di quanto il fallito guadagni con iI
suo Iavoro, tenuto conto che i limiti di tanto sono fissati
autonomamente dal giudice delegato, senza che Ia norma
prescriva espressa necessità di parere degli altri
organi.
Non
condividiamo a riguardo innanzitutto lautorevole opinione
che il termine mantenimento usato daIIart. 46 sia corrispondente
a quello di alimenti, per cui non dovrebbero esserci
apprezzabile differenza sostanziale (9), non comprendendosi
le ragioni di questa.
A
noi sembra, invece, che sul piano giuridico e morale corra
diversità sostanziale tra i beni di un patrimonio ormai
assoggettato alla realizzazione della garanzia di favore dei
creditori, ed il denaro che, senza sottrazione di beni preesistenti,
il debitore continua faticosamente a guadagnare con il suo
lavoro autonomo o subordinato, Ia cui funzione e dignità
è espressamente riconosciuta dalla costituzione (art.
36), che proclama il riconoscirnento di unesistenza
libera e dignitosa.
Anche sotto il profilo di tecnica interpretativa, del resto,
non ci sembra corretto dare uguale significato a termini diversi
(e che sul piano contenutistico in senso diverso vengono
utilizzati dal codice civile e dalla giurisprudenza)
collocati, peraltro, in due norme della stessa legge.
Per
la sottolineata funzione costituzionale del guadagno derivante
dallattività lavorativa, non ci sembra poi condivisibile
laffermazione che, in mancanza di determinazione del
giudice, si verifichi lacquisizione totale della somma
da parte dellufficio fallimentare e, anzi, riteniamo
che in tal caso (che, peraltro, potrebbe chiamare in causa
negligenze dellufficio) iI fallito possa trattenere
interamente la somma in attesa della determinazione del giudice
che, ovviamcnte esso fallito dovrà aver cura di informare
(10).
Inoltre
è da sottolineare che il prevalente orientamento (11)
esclude che a titolo di alimenti possano concedersi somme
necessarie per spese mediche, interventi chirurgici e
simili e tale esclusione se già appare troppo drastica
per gli alimenti, diventa addirittura ingiustificata ed iniqua
nel caso di mantenimento, in cui vè un persistente
sforzo lavorativo del soggetto, tanto che la mancanza di cure
potrebbe portare persino allinterruzione di tale rendita,
certo con conseguenze non favorevoli per la stessa massa dei
creditori. Naturalmente anche in questo caso si impone
una valutazione equllibrata del giudice che tenga conto
delle concrete necessità del fallito e dei sussidi
terapeutici non troppo dispendiosi, nellambito di quel
diritto alla salute identificato ormai dallevoluzione
giuridica anche a livello costituzionale.
Nella
sfera dei rapporti personali, però, un accenno può
farsi anche al dibattuto problema dellavocabilità
del credito per risarcimento dei danni alla persona del fallito
neIlambito dei rapporti strettamente personali.
E
noto che un orientamento sostiene che lufficio fallimentare
dovrebbe in via generale surrogarsi al fallito e far propri
i risultati economici favorevoli del giudizio.
A
tale indirizzo si oppone altro che, sottolineando la peculiare
natura del danno, spesso connesso alla successiva qualità
e persino durata di vita, nonché alla stessa riduzione
e alla capacità di lavoro e del conseguente reddito
del soggetto che ha sopportato danni anche invalidanti, afferma
che da ciò non possa prescindersi e che conseguentemente
non possa privarsi lindividuo di quanto ricevuto
a risarcimento dei danni fisici subiti e che ha funzione di
mantenere il precedente equilibrio psico-fisico-economico
(12), alterato dallevento dannoso.
Ci
sembna innegabie il valore giuridico e sociale di tali ultime
considerazioni e preferiamo aderire alle conseguenti
conclusioni favorevoli al fallito, ritenendo che, altrimenti,
nella sostanza si realizzerebbe, quasi, una nuova forma
dellarcaica esecuzione non più sul patrimonio
ma sulla stessa persona del debitore. Ci dichiariamo
così anche poco propensi ad ammettere lacquisizione
di somme riscosse a titolo di danno morale per il decesso
di familiare, ripugnandoci unesecuzione addirittura
sul dolore.
Richiamiamo
in tale ordine di idee lautorevole orientamento che
esclude che il fallimento possa essere costretto dagli
organi fallimentari a consentire lo sfruttamento di quelle
qualità strettamente connesse alle particolari capacità
lavorative del soggetto (artista, inventore ecc.) o addirittura
dalla sua stessa immagine che in particolari casi (notorietà
della persona, avvenenza fisica, ecc.) può avere
un valore economico anche rilevante. Naturalmente quando
il fallito non intende esercitare Ie sue possibilità
lucrative in detti casi e preferisca astenersi da ogni attività
non potrà certo legittimamente pretendere alcunché
per alimenti.
Lant.
46 continua lelencazione dei beni non compresi nel fallimento
e che, a parte quanto detto, sono costituiti, oltre che dai
beni non pignorabili per disposizione di legge (n. 5), dei
frutti di beni con destinazione familiare quali frutti derivanti
dallusufrutto legale sui beni dei figli e dai redditi
dei beni costituiti in patrimonio familiare, salvo quanto
disposto dagli art. 170 e 326 del codice civile (n. 3), nonché
dai frutti dei beni costituiti in dote e dai crediti dotali,
salvo quanto è disposto dallart. 188 del codice
civic (n. 4), ipotesi, per labolizione dellistituto
dotale ormai limitata alle costituzioni precedenti.
Prescindendo
da unanalisi approfondita di tali disposizioni, ci limitiamo
ad unosservazione in ordine al fatto che, in seguito
alla nascita normativa del fondo patrimoniale, viene
meno il patrimonio familiare (tra gil istituti, analogia
a parte, non vè coincidenza).
Leffetto
essenziale rimane che essi sono assoggettabili allesecuzione
solo per i crediti sorti nellambito delle obbligazioni
contratte per i bisogni della famiglia ed in tali limiti nel
fallimento non determinano per i relativi creditori alcun
privilegio sostanziale, rimanendo acquisiti alla massa (13)
fermo restando la specifica destinazione.
Seguendo
liter della procedura nella sfera di attività
degli uffici per la ricostruzione del patrimonio del fallito
può constatarsi che questi non ha alcun specifico ruolo,
limitato essendo il suo contributo a fornire utili informazioni,
oltre che sullubicazione di eventuali altri beni da
inventariare, sulle circostanze di precedenti atti negoziali
assoggettabili a revocatoria, simulazione ecc.
Bisogna,
però, riconoscere che proprio qui è più
che mai giustificata la diffidenza verso il debitore fallito.
Quanto
al reperimento di tutto lattivo, con la ricerca anche
in luoghi estranei al fallito, è evidente, infatti,
che questi è il meno sensibile a tale acquisizione
se ha operato con lintenzione fraudolenta di sottrarre
le attività proprio allacquisizione al fallimento.
Non raramente, anzi, nellimminenza della dichiarazione
di fallimento, qualche imprenditore, specie utilizzando maliziosamente
schemi societari, ha già provveduto a trasferire specie
merci poco identificabili anche sotto apparenti gestioni altrui,
non trattenuto dal timore di sanzioni penali che solo raramente
si riesce poi ad infliggere.
Per
le azioni revocatorie, di simulazione e simili, vale sostanzialmente
lo stesso discorso: se il fallito ha posto in essere atti
in frode ai creditori, salvo improbabili, anche se non impossibili
pentimenti, le sue affermazioni non possono che apparire sospette
ed inaffidabili.
Lufficio
fallimentare rimane solo e si espone per azioni giudiziarie
poco sicure a condanne alle spese, oltre che a ritardi esiziali
della fase di chiusura della procedura.
Tali
considerazioni di concreto pessimismo non giustificano però,
una mancata audizione a riguardo del fallito, anche perchè
questi, oppresso dallinsolvenza, potrebbe aver
agito sotto pressioni illecite ed, a fallimento dichiarato,
potrebbe nutrire maggiore inclinazione a collaborare alla
ricostituzione del suo patrimonio e godere di qualche
beneficio anche in sede penale.
Naturalmente
il debitore dovrebbe essere bene interrogato, cosa che nella
prassi non sempre avviene anche per ristrettezza di tempo.
Benchè
lanalisi delle varie azioni esuli dai limiti di questo
lavoro, ci sembra opportuno un fugace cenno alla dibattuta
questione della persistenza o meno della presunzione
muciana.
II
nostro motivato orientamento (14) per la persistenza della
stessa è confortato dallautorità
di vari studiosi e da numerose decisioni di giudici di merito,
ma è innegabilmente contrastato da altrettanto autorevole
dottrina e recentemente da alcune decisioni della Corte di
Cassazione che ha dichiarato il decesso della storica
Muciana, anche nei casi di regime di separazione dei beni
(15), che sembravano ancora più sottratti agli effetti
modificativi della disciplina del diritto di famiglia.
Riservandoci
di tornare sullargomento in più opportune occasioni,
non possiamo qui omettere di sottolineare che Ia motivazione
addotta dalla suprema Corte, anche neIIultima decisione,
fonda sullaffermazione della preminenza degli interessi
della famiglia rispetto a quelli dei creditori.
Con
il dovuto riguardo ci sembra che tale conclusione si ponga
in assoluto contrasto con le linee della legge fallimentare
(di carattere pur sempre speciale) che, come riteniamo di
avere qui sottolineato, invece comprimono gli interessi del
fallito e della sua farmiglia, dando prevalenza a quello della
categoria dei creditori e della stessa economia nazionale.
Ne
opiniamo possibile che solo per un caso particolare possa
stravolgersi il sistema, specie nel persistente silenzio
del legislatore. Manifestando così di non essere certo
noi tra i difensori ad ogni costo delle esigenze economiche
del fallito, riteniamo incoerente restringere gli alimenti
e lo stesso mantenimento (non consentendosi talvolta
cure mediche essenziali), adottare interpretazioni restrittive
in tema di patrimonio familiare e fondo patrimoniale
ed, in altro momento della procedura, allopposto previlegiare
la famiglia nellunico caso in cui ci appare necessaria
una grande prudenza, versandosi in tema di accordi fraudolenti,
più che possibili molto probabili e facilmente
realizzabili per i rapporti affettivi e di interesse che legano
i coniugi.
Nella
successiva fase della liquidazione dei beni non vi è
molto spazio per iniziative del fallito, anche per Ia mancanza
di azioni previste a favore del debitone esecutato nellesecuzione
individuale. Ciò trova natunalmente giustificazione
nella particolare organizzazione che cura la vendita dei beni
del fallito con la maggiore partecipazione del giudice delegato
e Ia natura dellincarico del curatore che lo obbliga
a curare gli interessi di tutti i partecipanti allesecuzione.
Benchè
Ie norme sulla liquidazione dellattivo escludono ogni
necessità di audizione del fallito, e ciò anche
nel caso di vendita degli immobili senza incanto (art. 108
legge fallim.), in cui é allargata laudizione,
appare consigliabie (anche ai fini del maggior successo
della vendita), utilizzare anche lesperienza del fallito,
specie nei casi di cespiti importanti.
Se,
come si è detto, nel corso della procedura sono abbastanza
ristretti i limiti di intervento del fallito nella procedura
in cui altri liquida il suo patrimonio, nella fase conclusiva
di essa vè invece, un notevole recupero di tutela
del predetto.
Ciò
è a dirsi particolarmente con riferimento al rendiconto
del curatore sostanziale amministratore liquidatore dei beni
oggetto dello spossessamento.
Così
in sede di approvazione il fallito non ha solo una facoltà
di interloquire ma una piena legittimazione allimpugnazione
del conto.
Tale
potere è ancora più concreto e significativo
tenendo conto che, comè generalmente riconosciuto
in dottrina e giurisprudenza, tale rendiconto non può
intendersi Iimitatamente come mero rendiconto contabile, bensì
come rendiconto di gestione in senso più ampio (che
trascende lespressione alquanto riduttiva dellart.
116), costituendo loccasione in cui il curatore deve
dimostrare di aver avuto nelle vane scelte operative ed in
generale nelIadempimento delle sue funzioni una
condotta diligente, ma anche oculata, si da rendere la liquidazione
la migliore possibile nellinteresse non solo dei creditori,
ma anche dello stesso debitore (16)
La
previsione legislativa così dimostra come lesercizio
di unazione giudiziaria da parte del fallito può
convenientemente giovare oltre che a se stesso (in maniera
molto indiretta) anche ai creditori, in definitiva concreti
beneficiari di ogni somma che il curatore fosse chiamato
a pagare, se responsabile; creditori peraltro, che per
vane ragioni non seguono la procedura con quella attenzione
e continuità che meglio può attuare un fallito
vigilante.
In
definitiva in tale conclusiva occasione viene a realizzarsi
nellambito del rendiconto fallimentare quellobbligo
del mandatario verso il mandante, anche se non è proprio
da tale schema giuridico che iI curatore trae i suoi poteri,
che traggono origine in un particolarissimo rapporto pubblicistico.
In
sede di ripartizione dellattivo la legge non riconosce
alcuna facoltà al fallito, che pure è rimasto
il titolare del patrimonio da liquidare e da ripartire,
mentre è previsto dallart. 110 legge fallim.
giustamente laudizione del comitato dei creditori destinatari
dei pagamenti e tale disparità ci sembra alquanto criticabile.
Invece
concreta è la possibilità di iniziativa del
fallito nel momento finale della chiusura del fallimento,
potendo lo stesso, ai sensi dellart. 119 legge fallim.
sollecitare formalmente il decreto di chiusura per gli effetti
a lui favorevoli che questa comporta.
Inoltre,
benché lart. 119 legge fallim. esplicitamente
preveda solo che il fallito debba essere sentito dalla corte
di appello in caso di reclamo (ovviamente altrui), condividiamo
il prevalente orientamento (17) favorevole al riconoscimento
della legittimazione al reclamo del fallito, il quale in particoIari
circostanze (in genere possibilità di maggiore realizzo)
può vantare quel concreto interesse che legittima al
reclamo.
Infine
in sede di concordato fallimentare la legittimazione del fallito
(altro caso previsto dalla legge) è piena poichè,
come è noto, Ia proposta è riservata proprio
al debitore fallito e questultimo deve essere sentito
dal giudice delegato (art. 129 legge fallim.) prima della
fissazione delludienza (in una forma di sostanziale
contraddittorio con i creditori).
Inoltre
il fallito è conseguentemente legittimato aIlimpugnazione
della sentenza che conclude il giudizio (art. 131 legge fallim.).
Abbiamo
lasciato per ultimo Ia trattazione di una questione che, pur
rientrando negli effetti del fallimento, ha una sua particolare
rilevanza e può presentarsi in qualunque momento della
procedura.
Ci
riferiamo allammissibilità o meno di un nuovo
esercizio dellimpresa commerciale da parte dellimprenditore
fallito nel corso della procedura fallimentare.
II
quesito è di non facile risoluzione e ciò giustifica
autorevoli orientamenti contrastanti.
Abbiamo
avanti ricordato che al fallito rimane (con le poche limitazioni
personali) Ia possibilità di esercitare qualsiasi professione
o mestiere ed in forma autonoma o subordinata.
Il
problema in esame si accentra sul fatto che per gestire unimpresa
sono necessari normalmente consistenti mezzi economici per
lacquisto o Ia locazione di macchinari (o anche pen
unaffitto dazienda), che verrebbero distolti dalla
naturale destinazione di soddisfare, secondo il principio
concorsuale, i creditori precedenti.
Inoltre
si presenta lulteriore e conseguente analoga questione
relativamente alle somme ricavate dalla gestione.
Tutto
ciò non sussiste per unattività lavorativa
diversa sia subordinata sia autonoma, perché anche
in questultimo caso i mezzi operativi sono di valore
economico limitato.
Anche
in tale campo, certamente consentito, del resto opera il principio
che il fallito può trattenere per se solo quanto necessanio
per il mantenimento della famiglia, conseguendo al curatore
Ia differenza che in alcuni casi, sia pure rari, potrebbe
essere consistente per il valore professionale delIindividuo.
La
questione della possibilità di esercitare una nuova
impresa (già delicata con riferimento allimprenditore
commerciale individuale) assume aspetti ancora più
complessi per limprenditore sociale.
Daltra
parte non vediamo come potrebbe ritenersi una soluzione diversa
per questultimo sia sul piano tecnico giuridico, sia
già specificamente su quello della legittimità
costituzionale con rifenimento agli artt. 3 e 41 cost.
Peraltro
a tal proposito è da ricordare che ormai è pacifica
la sopravvivenza alla dichiarazione di fallimento non
solo della società (essendo detta dichiarazione solo
un caso di scioglimento ex art. 2448 cod. civ.), ma degli
stessi organi societari, che continueranno ad esercitare le
loro funzioni nei limiti ristretti consentiti dalla gestione
del curatore basti pensare alla richiesta di concordato
fallimentare) (18).
Le
difficoltà specifiche per la società sussisterebbero
già per lutilizzazione della denominazione, che
non raramente per Ia sua importanza, anche sotto il profilo
dellavviamento, ha valore economico che il fallimento
deve acquisire e che da unulteriore gestione da parte
della fallita potrebbe avere danno.
Tra
le altre problematiche basti pensare alla necessità
di ricapitalizzazione, ai bilanci distinti anche sotto il
profilo fiscale, allincapacità ad amministrare
sancito dallart. 2382 cod. civ., che costringerebbe
probabilmente a nominare nuovi amministratori per la nuova
impresa.
Tornando
al tema generale osserviamo che dalle premesse accennate risulta
Ia nostra opinione contraria alla possibilità di detto
esercizio dimpresa da parte di un fallito, che abbiamo
già da tempo diffusamente motivato (19).
Tale
conclusione negativa già era stata da tempo efficacemente
proposta da autorevole dottrina (20) e sembrava destinata
a prevalere, ma recenti altrettanto autorevoli orientamenti
contrari anche della giurisprudenza della Corte di Cassazione
ci hanno fatto avvertire lopportunità di un nuovo
nostro contributo sulla spinosa disputa.
Opiniamo
utile premettere che già sul piano aziendalistico,
specie in relazione alle maggiori esigenze economiche delle
imprese moderne, appare incongruo ipotizzare una nuova gestione
sul mercato da parte di imprenditore fallito che già
non gode della necessaria fiducia e manca conseguentemente
della possibilità di ricorrere a finanziamenti (peraltro
dalla sorte quanto mai incerta), nonché di quel pur
modesto capitale che assicura attività operativa e
riserva per le varie emergenze (e tale osservazione vale che
nellipotesi in cui il fallito gestisca con unazienda
di cui siano titolari terzi).
Passando
ad un esame più specificamente normativo, pacifico
essendo che il fallito non perde Ia capacità di agire,
va preso innanzitutto in considerazione il fatto che, mentre
lart. 551 del codice di commercio del 186 stabiliva
espressamente nel codice di commercio del 1882 e nella legge
vigente.
Tale
silenzio veniva così ritenuto dai sostenitori della
tesi ammissiva (21) come una vera innovazione legislativa
che legittimava il fallito ad una nuova impresa commerciale.
Ci
sembna che, invece, la cennata mancata previsione normativa
sia stata sopravvalutata, in quanto, comè stato
osservato (22) la tendenza Iegislativa italiana è stata
sempre contraria allulteriore attività commenciale
del fallito e linnovazione avrebbe dovuto trovare più
sicura manifestazione.
Sotto
tale profilo, anzi condividiamo laffermazione (23) che
il diritto vigente ha posto «il fallito in una
condizione inconeciliabile con la facoltà di esercitare
unattività imprenditizia commerciale».
In
effetti più di una mera omissione a nostro parere vale
tutto il sistema della legge fallimentare ed in più
specifico riferimento normativo può farsi alle norme
che dispongono lo spossessamento patrimoniale, linefficacia
degli atti dispositivi successivi al fallimento (che
non rientrino nella sfera strettamente personale), nonché
Ia già richiamata incapacità del legale rappresentante
della società ad amministrare altra società
(che ci sembra di portata maggiore a quella di una norma particolare).
A
confonto della nostra conclusione negativa riteniamo utile
richiamare osservazioni che provengono da autorevoli esponenti
dellorientamento da noi non condiviso.
Innanzituno
da parte di essi viene generalmente ammesso che la gestione
in questione non potrebbe essere ottenuta con unazienda
di proprietà del fallito proprio per i principi normativi
da noi sopra richiamati, che imporrebbero limmediata
acquisizione allattivo falimentare dei beni costituenti
lazienda.
La
gestione, dovrebbe quindi attuarsi con mezzi openativi di
terzi messi a disposizione del fallito (con o senza corrispettivo),
ma anche in tal caso si presentano notevoli ostacoli per linevitabile
problematica relativa al ricavo di gestione.
Potrebbe
ammettersi (per Ia parte di profitto che superi Ie necessità
familiari) un investimento nellimpresa del denaro
ricavato o questo dovrebbe devolversi alle finalità
del fallimento?
Come
stabilizzare i pagamenti fatti dallimprenditore nella
gestione tenendo conto dellacennato principio dellinefficacia
e come regolamento lo stesso rapporto di nuovo conto corrente
bancario che più volte ha suscitato contrasti
nella giurisprudenza anche della Corte di cassazione?
Potrebbe
farsi ricorso, ad eliminare almeno parzialmente le indicate
discrasie, allart. 42, comma 2, legge fallim. e
considerare così (contro Ia stessa opinione di alcuni
sostenitori della tesi contraria alla nostra (24) le spese
di gestione «passività incontrate per Iacquisto
e la conservazione dei beni» e sottrarli per questa
via al sistema dellinefficacia?
Ci
sembra arduo dare risposta affermativa a tutti tali quesiti.
Affermare
poi che il fallito potrebbe rivolgersi a schemi associativi
(anche per mascherare Ia sua diretta gestione), nel mentre
che non elimina sostanzialmente la problematica e porta
il discorso sullaquisizione delle quote di titolarità,
pone in evidenza la possibiità di manovre confliggenti
con Ia necessità di trasparenza sempre più avvertita
anche nel campo dei rapporti commerciali.
E
pertinente, anzi richiamare il pensiero del Provinciali, che
pur non ravvisando un divieto legislativo aIlesercizio
del fallito, disapprova tale omissione sottolineando che «tale
sistema si presta ad abusi, complicazioni e gravi intralci
al fallimento in corso» (25).
Del
resto è sintomatico che anche il Ferrara, a sua volta
autorevole esponente dellorientamento favorevole, sottolinea
che il fallito non è in condizione di formarsi un patrimonio
su cui possano fare affidamento i creditori successivi ai
fini del soddisfacimento e non può disporre dei beni
acquistati senza rendersi colpevole del reato di bancarotta
fraudolenta e che, pertanto, il fallito non può essere
sottoposto ad un nuovo fallimento (26).
Infine
il Satta, anche lui favorevole allesercizio dellimpresa
da parte del fallito, dopo aver premesso, in contrasto con
Ferrara e Andrioli, che lart. 42 comma 2 non è
invocabile, conclude che «finché il fallito non
incide nei diritti dei creditori concorsuali, è padrone
di fare quello che crede e anche di seminare nuove azioni
a danno dei terzi» (27), coclusione che ci pare non
tener conto del principio di buona fede e degli interessi
generali delleconomia, la cui considerazione è,
invece, tra Ie finalità essenziali di carattere pubblicistico
alle quali si ispira il legislatore fallimentare.
Trattasi,
comè palese, di osservazioni critiche pesanti
che già dovrebbero indurre a non dar troppo peso
allomessa esplicita previsione del divieto, che, invece,
può agevolmente ricavarsi dal sistema, tanto più
che, nellopinabilità di una soluzione, sembra
più congruo preferire quella più consona allesigenza
dell economia.
Bisogna
tuttavia registrare che, modificando alquanto lorientamento
giurisprudenziale, la Corte di cassazione recentemente sembra
implicitamente aver seguito la tesi che esclude il divieto
con la decisione a sezioni unite del 10 dicembre 1993, n.
12159 e richiamando quella n. 1417 del 1989, in materia di
apertura di conto corrente da parte di un fallito, ha stabilito
(in contrasto con la sentenza n. 6777 del 1988): «applicando
tale criterio al caso che il fallito, dopo Ia dichiarazione
di fallimento, abbia esercitato una nuova attività
di impresa, rispetto alla quale in astratto è dato
alla curatela di acquisire, oltre che i singoli beni aziendali,
lazienda nel suo complesso (in modo che la massa consegue
anche lavviamento) ovvero gli utili dellimpresa»,
con Ia medesima sentenza è stato esattamente affermato
che in questultima ipotesi, la quale soltanto viene
in questa vicenda in esame, lacquisizione è necessariamente
limitata agli utili netti, non potendo essere acquisiti anche
i ricavi che sono stati inseriti nellesercizio dellimpresa,
per i quali chiaramente sussiste il rapporto di inerenza richiesto
dallart. 42 comma 2 (28).
La
detta sentenza, con riferimento poi alla stipulazione del
contratto di conto corrente, aggiunge che «i pagamenti
ed i versamenti alluopo eseguiti dal fallito costituiscono
atti dellesercizio dellimpresa, opponibili al
fallimento anche della banca presso cui il conto corrente
è stato aperto in quanto presentato il carattere
di passività incontrate dal fallito per il conseguimento
dellutile».
A
prescindere da questultima parte che rimane fuori dal
nostro argomento, ci sembra che questa sentenza pare
affermare la possibilttà di unimpresa del
fallito piuttosto teorica, essendo legata Ia sua sopravvivenza
alla volontà o meno di una sua acquisizione da parte
del curatore del fallimento.
Ne comprendiamo come limpresa possa svilupparsi se ogni
utile venga acquisito dal precedente fallimento (a prescindere
dalle necessità familiari del fallito).
Non
possiamo fare a meno di osservare che la decisione prende
in considerazione la nuova impresa più come dato
di fatto oggettivo, senza soffermarsi a riconoscere e
motivarne esplicitamente la legittimità, limitandosi
soprattutto a stabilire gil effetti dellattività
commerciale intrapresa dal fallito e lapplicabilità
o meno del comma 2 dellart. 42 legge fallim. allinstaurato
rapporto di conto corrente, questioni che avevano precedentemente
diviso nella soluzione le sezioni della stessa Corte di cassazione,
riunitesi a sezioni unite per risolvere il contrasto.
Conclusivamente
ribadiamo La nostra convinzione contraria aIlammissibilità
dellesercizio da parte del fallito di una nuova impresa
(tanto più nelle contraddizioni che si manifestano
nellorientamento contrario al nostro.
Più
che mai, poi, escludiamo la possibilità di una seconda
dichiarazione di fallimento che ancor più sicuramente
riteniamo in contrasto con il principio basilare allo
stato della nostra legislazione che fallisce limprenditore
e non limpresa e che nel corso della stessa procedura
(altro il caso di una ripresa successiva dellattività
sulla quale torneremo in unaltra occasione) non può
dichiararsi due o più volte il fallimento dello stesso
imprenditore.
Solo nel caso che di fatto il fallito abbia comunque esercitato
una nuova impresa potranno trovare applicazione i principi
enucleati dalla dottrina e giurisprudenza sulle conseguenze
sul piano economico.
A
conclusione del nostro lavoro a volere esprimere un giudizio
complessivo sul trattamento stabilito dalla legge aI
fallito nellimpianto strutturale della sua procedura
(rispetto alla quale, a secondo dei casi, puo essere considerato
«colpevole» o talvolta soltanto «vittima»)
ci sembra di poter concludere che se in generale è
condivisibile lo schema normativo, non manca qualche momento
di squilibrio, sia considerando levoluzione la più
tutelata posizione del debitore nellesecuzione individuale.
Comurique
è certo che il miglior esito è assicurato non
solo dal massimo impegno degli organi fallimentari (generalmente
però oppressi da un eccessivo carico) ma anche
dallo stesso fallito, che troppo spesso, invece si disinteressa
della procedura per negligenza o incapacità.
NOTE
(1)
DE MARTINI, Gli elementi costitutivi ed estintivi dello status
di fallito, in questa rivista, 1943, I, 39; CARNELUTTI,
Diritto e processo, in Trattato di diritto processuale civile,
Napoli, 1958, pag. 389; PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare,
Milano, 1974, pag. 145. Sembrano vicino a tale concezione:
Cassazione, sez. pen., 29 novembre 1958 e 9 novembre 1959
in questa rivista, 1959, II, 611 e 1960, II, 260; contra SATTA,
Sul preteso (ed inesistente) status del fallito, ivi, 1962l,
II, 5; PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Milano,
1974, pag. 772; RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, Napoli,
1974, pag. 249; PRVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni di
diritto fallimentare. Padova, 1988, pag. 231. Ci sembra che
il termine status più che in senso tecnico, che escludiamo
in quanto in questo caso estraneo al nostro ordinamento vigente,
possa essere utilmente usato per esprimere sinteticamente
Ia condizione in cui trovasi il fallito con riferimento ai
complessi effetti del fallimento, che pur giustificano la
sua indicazione nel registro dei falliti. V. in generale:
GRISPIGNI, La condizione giuridica del fallito nel diritto
pubblico interno, in Riv. dir. comm., 1912, I, 598; CARNELUTTI,
Capitis deminutio del fallito, in Riv. dir. proc., 1952, II,
582; Id., Il fallito nel suo processo, in questa rivista,
1972, I, 249.
(2)Acutamcnte
osserva al riguardo il PROVINCIALI, Trattato cit., I, pag.
24: «questa peculiare situazione del debitore (che,
avendo la titolarità del patrimonio che forma oggetto
delIesecuzione collettiva, mentre è parte
nei confronti dellufficio concorsuale che conduce lesecuzione,
è soggetto passivo della realizzazione che lufficio,
a lui sostituendosi, compie del patrimonio stesso) spiega
come, nel mutare dei rapporti e della situazione patrimoniale,
egli si presenta ora con qualità di parte, ora come
soggetto passivo del provvedimento, riproducendosi in
questultima situazione lo stato di soggezione in cui
si trova per la garanzia patrimoniale che lo sovrasta...»
. Sul punto V. BONELLI, Del fallimento, Milano, 1923, n. 249,
pag. 519 (pur nella sua superata concezione di patrimonio
separato e dellente fallimento).
(3)
Ancora recentemenre B0NGI0RN0, La prova dei crediti per lammissione
al concorso, in Riv. dir. proc., 1995. pag. 353, afferma che
«il procedimento di verifica è giuridicamente
organizzaro in modo tale da mortificare ed emarginare il debitore
fallito, che, non assumendo in qualità di parte, non
può neppure impugnare le decisioni che si riflettono
sul suo patrimonio». V. anche PR0VINCIALI-RAGUSA
MAGGIORE, Istituzioni, cit.. pag. 472, che osserva «il
fallito non ha poteri e legittimazione processuale in ordine
alle azioni che incidono sulla consistenza del suo patrimonio,
ma non sarebbe giusto che nessuna altra persona provveda alla
tutela di questo partimonio che rappresenta poi Ia garanzia
verso una pluralità di creditori. La legittimazione
nel curatore è sostitutiva di quella del debitore in
relazione al giudizio di verifica». Per la nostra concezione
sul provvedimento di verifica e per ulteriori richiami rinviamo
a MAZZOCCA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1966,
pagg. 359 segg. ed anche per Ia nota questione della mancanza
di legittimazione del fallito ad impugnare lo stato passivo.
(4)
Motto critico sulla limitazione PROVINCIALI, Trattato, cit.,
II, pag. 881, che, comunque, ritiene ammissibile lintervento
anche col riferimento a reati diversi da quello di bancarotta.
Cfr. Tribunale Roma, 28 luglio 1951, in Foro it., 1952, I,
1143. Contra: BONSIGNORI, Il fallimento, in Trattato di diritto
cornmerciale e di dir. Pubbl. econ. diretto da Galgano, Milano,
pag. 338; Cassazione, 19 gennaio 1970, n. 1001, in Giur. it.,
1971,I, 1, 1750; 5 agosto 1960, n. 2307, in questa rivista,
1960, II, 815 (neppure se la decisione della controversia
può avere unefficacia soltanto mediata ed indiretta);
Tribunale Genova, 11 maggio 1985, in Giur. comm., 1985, II,
812.
Per
Ia legittimazione del fallito nel caso di disinteresse del
curatore (a condizione della ratifica) Cassazione, 11 novembre
1967, n. 2734, in Mass. Giust. civ., 1967, 1425; 11 aprile
1983, n. 2544 e 14 aprile 1983, n. 2599, in quesra rivista,
1983, II, 1029; 15 novembre 1983, n. 7400, ivi, 1984, II,
391 (sempre che Iufficio abbia dimostrato di volersi
interessare ma è ancora inerte). V. però PROVINCIALI
Trattato, cit., pag. 861 e FERRARA, Il fallimento, pag. 42.
che escludono ogni iniziativa in quanto Ia tutela dellinteresse
è trasferita allorgano pubblicistico. In senso
meno rigoroso SATTA, Istituto, cit., pag. 387; VOCINO, in
questa rivista, 1972, I, 249; PROVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE,
Istituto, cit., pag. 241; MAZZOCCA, Manuale, cit., pag. 209.
Non può agire però il singolo creditore: Cassazione,
9 dicembre 1966, n. 884 in questa rivista, 1966, II, 238;
SACCO, Legittimazione del creditore nel fallimento a procedere
in via surrogatoria, in Giur. It., 1992, I, 850. In generale
Iintervento è ritenuto ammissibile anche per
le società di capitale tramite gli amministratori:
Tribunale Napoli, 3 aprile 1981, in questa rivista, 1981,
II. 307: leccezione, però, viene esclusa da Cassazione,
10 agosto 1960, n. 2263, ivi, 1960, II, 619, per gli amministratori
di società non dichiarati falliti.
(5)
Manuale, cit., pag. 204; così PAJARDI, Manuale, cit.,
pag. 289.
(6)
Cassazione, 30 giugno 1959, n. 2070, in questa rivista, 1959,
II, 597; conf. FERRARA, Il fallimento, pag. 305 che ritiene
che la casa debba liquidarsi per ultimo); PROVINCIALI-RAGUSA
MAGGIORE, Istituzioni, cit., pag. 219, ove è sottolineato
che fuori della norma è il caso che il fallito abiti
in casa di terzi senza avere alcun titolo a rimanervi; così
Cassazione, 18 ottobre 1967, n. 2487, in questa rivista, 1968,
II, 201. Poichè Ia disposizione stabilisce che la casa
non «può essere distratta sino alla liquidazione
delle attività», luso del plurale esclude
che possa più limitatamente intendersi che il diritro
del fallito è solo a rirnanere in casa sino alla vendita
di essa attuabile in qualsiasi momento, come ritenuto anche
da Cassazione, 17 marzo 1958, n. 869, in questa rivista, 1958,
II, 5, con diffusi richiami. In senso riduttivo anche PROVINCIALI,
Trattato, cit., II, pag. 1412, in nota. In caso di fallimento
di società di persone, benché il socio, in quanto
fallito, possa far ricorso agli alimenti, non può vantare
il relativo diritto alla casa di proprietà della scuola
per Tribunale Milano, 10 novembre 1988, in Fallimento,
1988, 444.
(7)
Cassazione, 30 giugno 1959, n. 2070 cit.; conf. PAJARDI, Manuale.
cit., pag. 289, contra, Cassazione, 17 marzo 1958, n.
869 cit.
(8)
Per Tribunale Roma, 25 febbraio 1955, in questa rivista, 1955,
II, 367, è responsabile solidale, mentre per Pretura
Palombara Sabina, 12 agosto 1966 in Mon. trib., 1967, 619,
risponde solo il fallito. V. Appello Roma, 18 febbraio 1957,
in questa rivista, 1957, 11, 390. In generale v. PROVINCIALI,
Trattato, cit., II, pag. 783
(9)DE
SEMO, Diritto fallimentare, Padova, 1968, pag. 240; PAJARDI,
Manuale, cit., pag. 287.
(10)
Nel primo caso, DE MARTINI, Il patrimonio del debitore nelle
procedure concorsuali, Milano, 1956, pag. 160; ANDRIOLI, Il
fallimento, pag. 403, (che, ravvisando un rapporto tra il
debitore e il curatore, ritiene che questo si liberi versando
in tal caso gil emolumenti al primo e ritiene che Ia regola
fallimentare, allopposto di quella ex art. 545 cod.
proc. civ., sia quella che gli assegni siano compresi, salvo
che per Ia parte esclusa dal provvedimento, conclusione che
non ci sembra armonizzarsi con il dettato normativo in quanto
lart. 46 stabilisce che «non sono compresi nel
fallimento...», a parte Iidendità di funzione
dei beni nelle due norme); Cassazione, 13 novembre 1964 n.
2738, in Giur. it, 1965, I, 1, 578; nel secondo senso, PAJARDI,
op. loc. cit., che osserva che per lart. 44 la regola
è lesclusione dallo spossessamento e ritiene
che lesclusione valga anche per i crediti da lavoro
cessato; su tale ultimo punto contra Cassazione n. 2738/1964,
e conf. DE FERRA, Una particolare categoria di beni sopravvenuti,
in Temi, 1959, 566. Si è ritenuto che la norma deroghi
alla disciplina fissata per i pubblici dipendenti dal
t.u. 5 gennaio 1950 n. 180 e art. 2 legge 18 maggio 1968 n.
315, in materia di pignorabilità degli stipendi: PAJARDI,
Manuale, cit., pag. 287; Cassazione, 10 Iuglio 1968, n. 2399,
in Giur. it., 1969, I, 1, 497; 25 luglio 1986, n. 4758, in
questa rivista, 1987, II, 9; contra, PROVINCIALI, Trattato,
cit., II, pag. 829.
(11)
PROVINCIALI, Trattato, cit., pag. 782; PROVINCIALI-RAGUSA
MAGGIORE, Istituzioni, cit., pag. 218; contra, CELORIA-PAJARDI,
Commentario della legge fallimentare, Milano, 1963, pag. 747;
DE FERRA e GUGLELMUCCI, Commentario della legge fallim. della
Zanichelli, Bologna, pag. 154; Tribunale Napoli, 22 ottobre
1982, in Fallimento, 1983, 698.
(12)
Nel primo senso, PROVINCIALI, Trattato, pag. 825, che eccettua
solo il caso di risarcimento in forma specifica come Ia somma
per lacquisto di una protesi e ritiene che lufficio
fallimentare (che dovrebbe agire in generale indipendentemente
dalliniziativa del fallito, mentre la giurisprudenza
ritiene questa necessaria) non possa farlo solo quando trattasi
di particolari reati quail lo stupro, la diffamazione e simili.
Cassazione, 7 maggio 1963, in Giur. it, 1964,I, 1, 704; 31
maggio 1971 n. 1652, in Foro it., 1971,I,2,2801 (anche per
Ia morte di un congiunto, salva Ia facoltà del giudice
delegato di lasciare parte della somma al fallito); 4 febbraio
1992 n. 1210; ivi, 1993, II, 955, che, pur sempre sulla precisazione
dellavocabilità solo quando il diritto abbia
per effetto del giudizio assunto valore economico, riconosce
al fallito la possibilità di ottenere parte della somma
per il mantenimento di cui al n. 2 dellart. 46; Cassazione,
20 maggio 1982, n. 3115, in questa rivista, 1982, II, 901
(ritiene giustamente in questo caso acquisibile il risarcimento
del danno da parte di chi abbia provocato il dissesto);
nel secondo senso AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure,
Torino, 1961, pag. 516; RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare,
pag. 287; PAJARDI, Manuale, cit., pag. 286, ed Avocabilità
al fallito del credito di risarcimento di danno alla persona,
in questa rivista, 1958, I,105; DI GRAVIO, I beni non compresi
nel fallimento, in Collana diretta da Greco, Milano, 1994,
pag. 85.
(13)
Per la riconosciuta differenza tra i due istituti secondo
un orientarnento giudiziario non opererebbe per il fondo patrimoniale
lesclusione dellindicato n. 3 ed i beni sarebbero
aquisibili alla massa, andando a costituire una massa separata
destinata aI pagamento dei debiti sorti nellinteresse
della farniglia: Tribunale Catania, 2 giugno 1986, in questa
rivista, 1986, II, 740, con nota di Abramo; Tribunale Catania,
31 maggio 1987, in Giur. comm., 1987, II, 267, con nota di
AULETTA. Per SATTA, Diritto fallimentare, aggiornato da VACCARELLA
e LUISO, Padova, 1990, pag. 146, lesclusione sussiste
solo per i precedenti patrimoni familiari, mentre i beni del
fondo patrimoniale per diversa sua natura, sono acquisibili,
fermo restando la destinazione al pagamento delle obbligazioni
familiari. V. PROVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni, cit.,
pap. 642.
(14)
Espresso nel nostro Manuale, a pag. 118.
(15)
Cassazione, 29 dicembre 1995, n. 13149 in questa rivista,
1996, II, 169, con nota favorevole di RAGUSA MAGGIORE, La
presunzione muciana è definitivamente caduta, e contraria
di RAGO, In difesa della presunzione muciana. Contrarie anche
Ie conclusioni del procuratore generale di udienza. Riteniamo
opportuno segnalare che la decisione non ha chiuso il dibattito,
essendo stata seguita già da una decisione di segno
opposto della Corte dappello di Napoli in corso di pubblicazione.
(16)
Conf. PROVINCIALI, Il rendiconto del curatore, in questa rivista,
1963, I, 165; PROVINCLALI-RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni, cit.,
pag. 608; Cassazione, 13 giugno 1953, n. 1742, in Giur. Compl.
Cass. Civ., 1953, 38, con nota di DE MARCO, Sulla disciplina
del rendiconto del curatore; 1957, n. 3287, II, 1957,
II, 554; 23 gennaio 1985 n. 277, in questa rivista, 1985,
Ii, 400; RAGUSA MAGIORE, Fallimento (liquidazione e ripartizione),
in Enc. giur. Treccani, pag. 21 privilegia la natura pubblicistica.
E da considerare che in tale sede, secondo lorientamento
prevalente, PROVINCIALl, Trattato, cit., pag. 2715; FERRARA,
Il fallimento, cit., pag. 541; Cassazione 7 febbraio 1970,
n. 289, in Giust. Civ., 1970, I,330; n. 287/1985 cit., possa
chiedersi laffermazione di responsabilità per
danni: contra Tribunale Roma, 24 gennaio 1963, in Temi rom.,
1963, 25. Vedi DE MARTINI, Portata ed effetti della partecipazione
del fallito agli atti della procedura fallimentare, in Riv.
dir. Comm., 1948, II, 141 segg., in nota critica a Cassazione,
27 giugno 1947.
(17) PROVINCIALI, Trattato, cit., pag. 791;DE SEMO, Diritto
fallimentare, cit., pag. 459; SPARANO, La chiusura del fallimento
ed il completamento della liquidazione coatta amministrativa,
Padova, 1994, pag 258.
(18)
Sul punto v. MAZZOCCA, Manuale, cit., pag. 511.
(19)
MAZZOCCA, op. cit., pag. 60.
(20)
CANDIAN, Non altro fallimento in costanza dellattuale,
in Temi, 1956, 457, e Imposibilità di una nuova impresa
in costanza di fallimento, in questa rivista, 1958, I, 113;
AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali,
Torino, 1961, pag. 571; BIANCHI DESPINOSA, Lattività
commerciale del fallito, in Giust. civ., 1956, I, 1214; SCALFI,
Impresa esercitata dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento,
in questa rivista, 1967, I, 224; v. BONELLI, Del fallimento,
Milano, 1923, I, pag. 369
(21)
PROVINCIALI, Trattato, cit., pagg. 370, 811; ANDRIOLI, Fallimento,
in Enc. dir XVI, pag. 406; DE MARTINI, Attività negoziale
ed attività processuale del fallito durante il fallimento
in questa rivista, 1971, I, 205; FERRARA, Il fallimento, Milano,
1974. pag. 300; SATTA, Diritto fallimentare, cit., pag.
141.
(22)
BRUNETTI, Diritto fallimentare, Roma, 1932, pag. 261.
(23)
AZZOLINA, op. cit., pag. 555.
(24)
FERRARA, op. cit., pag. 300; contra: ANDRIOLI, op. loc. cit.;
SATTA, op. loc. cit.
(25)
PROVINCIALI, Op. loc. cit.
(26)
FERRARA, Il fallimento, cit., pagg. 297, 284, 300.
(27)
SATTA, op. cit., pag. 142.
(28)
In questa rivista, 1994, II, 411; in giurisprudenza a favore
della seconda impresa: Tribunale Venezia, 3 fehbraio 1989,
in Fallimento, 1989, 1140; contra Tribunale Roma, 29 maggio
1959, in Giust. civ., 1959, I, 2230; più problematica
Cassazione, 4 luglio 1956, n. 2430, in questa rivista, 1956,
II, 641; 24 marzo 1962. n. 607, in Giust. civ, 1962, I, 1283.
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