Misure di prevenzione e procedimenti concorsuali:
gli ultimi sviluppi della giurisprudenza
Prof.
Girolamo Bongiorno
Ordinario di procedura civile Università Roma Tre
Legge antimafia e procedure concorsuali.
1. Una errata interpretazione della sentenza della Corte costituzionale
n. 190 del 19 maggio 1994 (la massima, pubblicata in Fallimento,
1994, 804 segg., non e molto chiara e può indurre
in equivoco i lettori disattenti) ha portato alcuni tribunali
penali ad affermare che i giudici della Consulta hanno negato
ai creditori qualsiasi forma di tutela nellipotesi di
confisca dei beni ex legge 31 maggio 1965, n. 575 (modificata
dalla legge 13.9.1982, n. 644). Ma, a ben guardare, ci si
accorge che le cose non stanno esattamente cosi.
La Corte di appello di Palermo nel corso di un giudizio di
opposizione allo stato passivo (promosso dallAmministrazione
Finanziaria dello Stato contro il Fallimento del Salone del
Mobile del 2000) aveva sollevato la questione di legittimità
costituzionale della legge 575 del 1965 in relazione allart.
24 Cost., nella parte in cui non è previsto che nellambito
del procedimento per misure di prevenzione i terzi creditori
del soggetto proposto possano ottenere tutela giuridica satisfattoria
dei diritti vantati sui beni sequestrati o comunque definitivamente
confiscati. Segnatamente era stato chiesto alla Corte costituzionale
di suggerire quelle tecniche di tutela che potessero assicurare
ai terzi di buona fede di soddisfare le proprie ragioni creditorie
nei confronti di una impresa fallita i cui beni erano stati
assoggettati a sequestro ex legge anfimafia. Correttamente
i giudici della Consulta hanno osservato che soltanto un intervento
legislativo potrebbe porre rimedio a tale deficienza e che
pertanto destinatario della richiesta avanzata dal giudice
a quo non potrebbe essere altri che il legislatore, non certo
questa Corte. Forse non sarebbe stato necessario sollevare
la questione di costituzionalità atteso che, diversamente
da quanto afferma una isolata sentenza del Tribunale Fallimentare
di Palermo dellormai lontano 1989 (sentenza n. 972),
la legge non prevede affatto che le pretese dei terzi creditori
di imprese mafiose debbano essere sottoposte al vaglio del
tribunale penale, nellambito unitario del procedimento
di prevenzione.
Tantè che, correttamente, il Tribunale di Palermo
(Sezione Misure di Prevenzione) con decreto depositato il
2 gennaio 1996 (nel procedimento n.81/94 R.M.P. nei confronti
di Ienna Giovanni) ha precisato che lattuale normativa
in materia di misure di prevenzione non ammette, nellambito
del procedimento per lapplicazione di una delle misure
patrimoniali previste dalla L. 575/65, alcun tipo di tutela
giuridica per i terzi creditori del proposto ... e quindi
la possibilità di soddisfare le loro pretese sul bene
oggetto della proposta. Tuttavia, i medesimi giudici
hanno ad un tempo precisato che resta pertanto impregiudicato,
ovviamente, il diritto di chiedere al giudice dellesecuzione
civile di far valere le pretese in questione, una volta che
si sia addivenuti ad una pronuncia definitiva di confisca
e, a seguito del mancato adempimento dei propri obblighi da
parte del soggetto proposto, sia maturata la possibilità
di valersi delle garanzie reali da cui sono assistiti i diritti
di credito.
A ben guardare non occorre nessuna nuova norma di legge per
consentire al creditore di procedere esecutivamente sui beni
oggetto di sequestro o di confisca, tanto più quando
si tratta di creditori privilegiati, che abbiano acquisito
un diritto reale di garanzia in data certa, anteriore allinizio
del procedimento per misure di prevenzione.
Su questo delicato problema negli ultimi anni si è
formata una giurisprudenza (ormai consolidata) che consente
ai creditori ipotecari di procedere esecutivamente sui beni
sequestrati ex legge antimafia (avvalendosi degli strumenti
previsti dagli artt. 682, 2° comma, cod. proc. civ., 158
disp. att. cod. proc. civ., 498 cod. proc. civ. e 547 ultimo
comma cod. proc. civ.) ovvero confiscati (artt. 602 e segg.
cod. proc. civ. e art. 510 cod. proc. civ.). I giudici nei
tribunali civili tendono ad escludere che lacquisto
del bene confiscato in capo allo Stato avvenga a titolo originario;
e ciò sulla considerazione che quando il diritto del
prevenuto sia ridotto e compresso dai diritti che terzi possano
vantare sulla cosa, per realizzare il fine specifico della
misura di sicurezza è sufficiente privare il prevenuto
dei residui diritti che egli ha sul bene confiscato senza
necessità di sacrificare anche i diritti che sulla
cosa hanno i terzi, la cui tutela, oltre che in un generale
precetto dellordinamento giuridico, trova dunque una
particolare giustificazione nella inutilità del sacrificio
dei loro diritti sulla cosa per il perseguimento dei fini
propri della confisca. Questo principio venne affermato per
la prima volta dalla Suprema Corte con sentenza del 20.12.1962
(Stringari, in Giust.pen., 1962, II, 106) ed è stato
ribadito dai medesimi Giudici, con specifico riferimento alla
legge n. 646 del 1982, con decreto n. 1103/1987 reso nel procedimento
n. 44415/86 contro Greco Michele, Salvatore ed altri; anche
in questa occasione è stato precisato che la
confisca nel sistema delle misure di prevenzione concerne
i beni di cui i proposti hanno la disponibilità e non
può incidere sui diritti autonomi dei terzi.
Al riguardo si veda inoltre la sentenza della I sezione penale
della Cassazione del 21 gennaio 1992, n.250 (in Riv.pen.ec.,
1992, 159 segg.), dove si legge che il provvedimento
di confisca realizza... la sola traslazione del diritto di
proprietà dallindiziato allo Stato senza operare
alcuna trasformazione della natura dei diritti dei creditori
che potranno farsi valere, nei modi e nelle forme previsti
dallordinamento, nei confronti dello Stato, successore
a titolo particolare del bene. E si confrontino ancora
Cass., sez. I, 8 luglio 1991, n. 3117 e Cass., Sezioni Unite,
18 maggio 1994, n. 353, in Cass.pen. 1995, p.525, entrambe
relative a sequestro di libretti bancari costituiti in pegno.
Peraltro una interpretazione restrittiva dellarticolo
2 ter non trova alcun fondamento negli scopi perseguiti dalla
legge n. 646 del 1982, in quanto la confisca è volta
a privare il soggetto mafioso della disponibilità dei
suoi beni e non già a sanzionare, colpendoli nelle
garanzie acquisite, terzi incolpevoli di buona fede. In caso
contrario si stravolgerebbe uno dei principi fondamentali
sui quali si basa il nostro ordinamento: la tutela della buona
fede e dellaffidamento.
2. Non va tuttavia trascurato che lAmministrazione Finanziaria
dello Stato è stata sempre di contrario avviso. Ritiene,
infatti, lErario che la confisca dei beni portata
dalla Legge Rognoni - La Torre contro i profittatori della
delinquenza mafiosa... travolge certamente tutte le aspettative
che i terzi creditori chirografi fondano sul bene confiscato,
dal momento che essa può essere assimilata alla confisca
dei beni introdotta con la legislazione contro il fascismo
emanata tra il 1944 e il 1946, laddove i beni oggetto
del provvedimento ablativo erano destinati a contribuire
alla refusione del danno cagionato alla collettività
dei cittadini italiani che lo Stato giuridicamente riassume
e rappresenta. Da qui il carattere di sanzione civilisfica
attribuito dallAmministrazione delle Finanze alla confisca
della legge anfimafia ed il correlativo postulato che lacquisizione
al patrimonio dello Stato avviene a titolo originario,
con le intuibili implicazioni concrete che tale affermazione
comporta. A questa interpretazione è stato autorevolmente
obiettato che la confisca introdotta dalla legge anfimafia
non è affatto ablativa di qualsiasi concorrente
ragione di terzi sui beni del mafioso; per vero, mentre
la misura patrimoniale prevista contro i membri del governo
fascista ed i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver
annullato le garanzie costituzionali e compromesse e tradite
le sorti del paese condotto alla catastrofe (così
Cass. 10.12.1946, in Foro pen. 1947; Cass. 18.6.1947 in Giust.
pen. 1947, II, 740), in effetti si atteggia come sanzione
civile specifica (dal momento che i beni oggetto deI
provvedimento ablativo sono destinati a contribuire
alla rifusione del danno cagionato alla collettività
dei cittadini italiani che lo Stato giuridicamente riassume
e rappresenta), con la confisca antimafia di cui alla
legge 575 del 1965 lo Stato non intende affatto ristorare
la collettività dei cittadini dei danni economici cagionati
dal soggetto nei cui confronti sia stata applicata una misura
di prevenzione, ma soltanto sottrarre a questultimo
i beni che egli abbia acquisito illecitamente, e più
precisamente, i diritti che egli ha ancora su di essi, fattore
di potenziamento delle associazioni mafiose e incentivo alla
commissione di future attività criminose, con immanente
pericolo per la collettività (Relazione al d.d.l. 2982/81).
La tutela dei diritti dei terzi creditori (privilegiati e
chirografari) è peraltro perfettamente coerente con
i principi fondamentali del nostro sistema civilistico in
materia di responsabilità patrimoniale, dove il rapporto
obbligatorio non è soltanto di natura personale. A
tale proposito va ricordato che la tesi sostenuta dallAvvocatura
dello Stato, e cioè che la confisca sia ablativa dei
diritti sui beni dei soggetti indiziati di appartenere ad
associazioni mafiose, è in netto contrasto con quanto
sostenuto da oltre trentanni dalla Suprema Corte (tra
le più antiche v. Cass. 20.12.1962, cit.; Cass. 4.5.1968,
n.308, ord.; Cass. 12.12.1978, n. 3730, ord.; Cass. 8.4.1986,
n.930), e cioè che il provvedimento ablativo non può
pregiudicare i diritti dei terzi di buona fede. Con specifico
riferimento alla confisca dei beni intestati a soggetti appartenenti
ad associazioni mafiose, questultimo principio è
stato riaffermato dalla Suprema Corte con decreto della I
sezione penale del 16.9.1987, nel procedimento contro Greco
Salvatore ed altri.
Si legge testualmente nella motivazione del decreto che la
confisca nel sistema delle misure di prevenzione concerne
i beni di cui i proposti hanno la disponibilità e non
può incidere sui diritti autonomi dei terzi.
Al riguardo si veda inoltre la sentenza della I sezione penale
della Cassazione del 21 gennaio 1992, n.250 (in Riv.pen.ec.,
1992, 159 segg.), dove si legge che il provvedimento
di confisca realizza... la sola traslazione del diritto di
proprietà dellindiziato allo Stato senza operare
alcuna trasformazione della natura dei diritti di credito
che potranno farsi valere, nei modi e nelle forme previsti
dallordinamento, nei confronti dello Stato, successore
a titolo particolare del bene. E si confrontino ancora
Cass., sez. I, 8 luglio 1991, n.3117 e Cass., Sezioni Unite,
18 maggio 1994, n.353, in Cass.pen. 1995, p. 525. Alla base
di queste decisioni sta la considerazione che la confisca
dei beni prevista dalla legge 648/82 costituisce una misura
di prevenzione generale e speciale. Per vero essa si preoccupa
soprattutto di colpire le forme di reimpiego pulito di capitali
di illecita provenienza; tantè che la legge 13
settembre 1982, n.646 (integrativa della legge 31.5.1965,
n.575) ha voluto evitare che gli associati di mafia potessero
continuare a disporre di ingenti somme (provenienti dal riciclaggio
di denaro sporco in attività formalmente lecite) e
di beni anchessi di provenienza illecita. Al riguardo
nella richiamata sentenza del 20.12.1962 i Giudici della Suprema
Corte hanno chiarito che la presunzione di pericolosità
che giustifica la confisca ... inerisce non alla cosa in sé,
ma alla relazione in cui essa si trova con il criminale.
Ciò significa che quando il diritto del criminale sia
ridotto e compreso da altri diritti che i terzi possono vantare
sulla cosa sequestrata, per realizzare il fine specifico
della misura di sicurezza è sufficiente privare (il
criminale) dei residui diritti che egli ha sul bene confiscato,
senza necessità di sacrificare anche i diritti che
sulla cosa hanno i terzi, la cui tutela oltre che in un generale
precetto dellordinamento giuridico, trova dunque una
particolare giustificazione nella inutilità del sacrificio
dei loro diritti sulla cosa per il perseguimento dei fini
propri della confisca (così testualmente la Cassazione
nella decisione sopra richiamata). Peraltro una interpretazione
restrittiva non trova alcun fondamento negli scopi perseguiti
dalla legge 646/82, in quanto la confisca a seguito di condanna
per il reato di associazione di tipo mafioso è volta
a privare il criminale della disponibilità dei suoi
beni e non già a sanzionare, colpendoli nelle garanzie
acquisite, i terzi incolpevoli. In caso contrario si stravolgerebbe
una delle regole fondamentali sulle quali si basa il nostro
ordinamento, che è quella della tutela della buona
fede. Va a questo punto avvertito che le considerazioni su
esposte sono state in più occasioni recepite dal Tribunale
Penale di Palermo allorché ha ritenuto che il
provvedimento ablativo non può pregiudicare i diritti
dei terzi (così nel menzionato decreto di confisca
del 16.4.1984 - procedimento n.66/83 nei confronti di Rosario
Spatola); e ancora: ... in applicazione del principio
più volte affermato da questa sezione del Tribunale
di far salvo in tale caso i diritti dei terzi, la disposta
confisca non può che avere ad oggetto leventuale
residuo attivo risultante dalla liquidazione dei beni ritenuti
acquisiti con mezzi finanziari di illecita provenienza. Con
riguardo a tali beni deve di conseguenza essere disposta la
revoca del sequestro emesso da questo Tribunale ...
(decreto confisca del 28.3.1986 C/G. Alduino).
Si veda ancora il decreto reso dal Trib. Ragusa il 31.1.1992
nel procedimento c/ Gambino Gaspare. Vanno infine segnalate
le recenti sentenze n.2724/92 (28.11.1992); n.2292/95 (30.6.1995);
n.2293/95 (30.6.1995) rese dal Tribunale Civile di Palermo
in tre giudizi promossi dal Ministero delle Finanze contro
la Cassa Centrale di Risparmio V.E.. In siffatte decisioni
tra laltro si legge che il provvedimento di sequestro
è finalizzato allesecuzione della successiva
confisca, che ha carattere sanzionatorio e preventivo al contempo,
proponendosi di colpire coloro i quali abbiano costituito
illecitamente un patrimonio immobiliare e di sottrarre alleffettivo
proprietario - quale dunque che sia la titolarità formale
e nonostante, quindi le interposizioni fittizie in favore
di terzi, persone fisiche o società - quei beni che
a loro volta costituirebbero ulteriore incentivo per attività
illecite. Non può, tuttavia, non rilevarsi che un decreto
così concepito e voluto dal legislatore non può
pregiudicare in alcun modo i diritti dei terzi i quali siano
del tutto estranei alle attività illecite dellindividuo
soggetto a misure di prevenzione.
Dunque, dopo il Tribunale Penale di Palermo, anche quello
Civile si è pronunciato in subiecta materia, ribadendo
il principio della inopponibilità del provvedimento
di sequestro e/o confisca ai terzi creditori in buona fede.
Identico principio è stato affermato dal Tribunale
di Termini Imerese con sentenza n.293/95 dell11.11.1995
(Min. Finanze c/ Banco di Sicilia).
Inoltre il Tribunale Fallimentare di Palermo con sentenza
n.3072/91 del 11.10/11.12.1991 (giudizio promosso dallAmministrazione
Finanziaria dello Stato c/ Fallimento SO.CO.PA) ha affermato
che il bene confiscato non può dirsi acquisito
dallo Stato a titolo originario, con la conseguenza che non
solo lo Stato non può vantare diritti di portata più
ampia, di quelli vantati in precedenza dal titolare ma anche
la validità e lefficacia dei diritti assunti
dallo Stato dipendono dalla validità ed efficacia dei
diritti del titolare precedente. Allassunzione del bene
o del diritto da parte dello Stato consegue quale effetto
diretto lassunzione da parte dello Stato del bene o
del diritto nelle sue componenti positive e negative.
E la Corte di Appello Civile di Palermo, con sentenza n.614/94,
resa sotto le date 21.1/27.4.1994 (nel giudizio promosso dallAmministrazione
Finanziaria dello Stato c/ il Fallimento della SOCOPA s.r.l.)
ha ancora ribadito il principio che la confisca ex legge antimafia
non può pregiudicare in alcun modo i diritti dei terzi
estranei alle attività illecite delle persone soggette
a misure di prevenzione. Questa importante sentenza della
Corte di Appello di Palermo è stata recentemente confermata
dalla Suprema Corte con la decisione 3.7.1997 n.5988 (per
la verità un po ermetica e spesso incomprensibile).
Va infine considerato che la Corte di appello civile di Palermo
qualche anno addietro si è pronunciata per la prima
volta sulla possibilità per una banca di procedere
allespropriazione forzata dei beni sequestrafi e/o confiscati
ex legge antimafia, e in precedenza ipotecati a garanzia di
crediti vantati dalla banca medesima. Si tratta precisamente
della sentenza n. 826/96 del 15 gennaio 1996, resa nel giudizio
di appello promosso dal Ministero delle Finanze contro la
Sicilcassa; con tale decisione i Giudici della Corte palermitana,
hanno confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, che
aveva riconosciuto alla Sicilcassa il diritto di espropriare
gli immobili sequestrati e poi confiscati a tal Francesco
Parmelli Schifano. E appena il caso di segnalare che
lorientamento assunto dalla Corte di appello è
estremamente importante per le sue implicazioni di carattere
giuridico; tanto più se si considera che il Tribunale
Penale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto
del 30 giugno 1995, depositato il 2 gennaio 1996 (emesso a
conclusione del procedimento per misure di prevenzione n.
81/94 nei confronti di Ienna Giovanni) ha radicalmente mutato
lorientamento in precedenza seguito dalla medesima Sezione
nel procedimento nei confronti di Sansone Gaetano e Sansone
Giuseppe e in quello nei confronti di DAgati Giovanni.
Ed infatti i giudici penali questa volta hanno correttamente
interpretato la pronuncia della Corte costituzionale n.190
del 19 maggio 1994 e, anziché rigettare le domande
proposte da alcuni creditori nel procedimento per misure di
prevenzione (come si era verificato nei procedimenti contro
Sansone e DAgati), hanno dichiarato inammissibile lintervento
volontario da essi spiegato, motivando che lattuale
normativa in materia di misure di prevenzione non ammette,
nellambito del procedimento per lapplicazione
di una delle misure patrimoniali previste dalla L. 575/65,
alcun tipo di tutela giuridica per i terzi creditori del proposto.
Va tenuto presente che, sempre nella motivazione del decreto,
è stato precisato che la richiesta dei creditori di
riconoscimento dellefficacia dei titoli di credito nei
confronti del prevenuto e dunque la possibilità
di soddisfare le loro pretese sul bene oggetto della proposta,
anche nel caso che il bene venga avocato al patrimonio dello
Stato, possono invece attuarsi al di fuori del procedimento
di prevenzione. I medesimi Giudici hanno conseguentemente
osservato che resta pertanto impregiudicato, ovviamente,
il diritto di chiedere al giudice dellesecuzione civile
di far valere le pretese in questione, una volta che si sia
addivenuti ad una pronuncia definitiva di confisca e, a seguito
del mancato adempimento dei propri obblighi da parte del soggetto
proposto, sia maturata la possibilità di valersi delle
garanzie reali da cui sono assistiti i diritti di credito.
3. I principi appena affermati assumono particolare rilievo
quando il prevenuto svolga attività imprenditoriale
e, anteriormente o in pendenza del procedimento per misure
di prevenzione, venga dichiarato fallito.
Nella prima ipotesi (dichiarazione di fallimento che preceda
il sequestro ex legge antimafia) il curatore ha il diritto
di trattenere i beni, amministrarli, liquidarli e soddisfare
i creditori, ignorando la pendenza della procedura per misure
di prevenzione. In questi casi lacquisizione da parte
dello Stato rimane limitata ai beni o al ricavato della liquidazione
che a conclusione della procedura concorsuale, dovessero residuare
dopo la soddisfazione di tutti i creditori concorrenti. Ed
infatti, una volta che i beni del prevenuto siano stati acquisiti
allattivo del fallimento e quindi sottratti alla effettiva
disponibilità della persona implicata in fatti criminosi,
è stato pienamente raggiunto lo scopo che si prefigge
la legge n.575 del l965: evitare che la persona nei cui confronti
è stato iniziato il procedimento per misure di prevenzione
possa continuare a disporre, direttamente o indirettamente,
dei beni che siano il frutto di attività illecite o
che risultano reimpiegati in queste attività. Ed il
curatore del fallimento, sotto il continuo controllo del giudice
delegato alla procedura concorsuale, assicura certamente che
i beni non vengano utilizzati dal mafioso fallito (in tal
senso v. Trib. Pen. Palermo, sez. Misure Prevenzione 16.4.1984,
decreto n. 66/83 reso nel procedimento c/ Rosario Spatola;
Trib. Pen. Palermo 18.2.1986, ordinanza n. 96/86 resa nel
procedimento nei confronti di Pilo Giovanni; Trib. Pen. Palermo,
sez. Misure Prevenzione 28.3.1986, decreto reso nel procedimento
n. 222/85 R.M.P. nei confronti di Alduino Giovanni; Trib.
Palermo 4.6.1986, decreto reso nel corso del fallimento n.
286/85 di Nicoletti Vincenzo; Trib. Palermo 29.10.1986, decreto
n. 79/86 reso nel procedimento n. 575 c/ Di Trapani Francesco;
Trib. Palermo 11.12.1991, sentenza resa nel giudizio tra Amm.
Fin. dello Stato e Fallimento SO.CO.PA.; Trib. Agrigento 26.8.1997,
ordinanza n. 45/97 resa nel procedimento nei confronti del
fallito Gerlando Piparo).
4. Più delicato è il problema quando il fallimento
venga dichiarato dopo linizio del procedimento per misure
di prevenzione ma prima che sia intervenuta una pronuncia
definitiva di confisca. Si sostiene infatti che in questi
casi i beni sono usciti dal patrimonio del prevenuto, con
la conseguenza che il c.d. pignoramento generale,
correlativo alla sentenza dichiarativa, può afferire
soltanto ai beni che si trovano nel patrimonio del fallito
al momento della dichiarazione giudiziale dello stato dinsolvenza.
Ma non sembra che questa opinione possa essere condivisa.
E infatti proprio nel fallimento che il fenomeno della
responsabilità-garanzia (art.2740 cod. civ.) trova
la sua più completa manifestazione attraverso lo spossessamento
dellimprenditore insolvente e la conseguente sostituzione
degli organi della procedura nella attività di gestione
dei suoi beni, in vista della loro liquidazione; e va altresì
considerato che dopo la dichiarazione di fallimento vengono
acquisiti allattivo tutti indistintamente i beni che
appartengono al debitore, anche se non si trovano nella sua
materiale disponibilità. Pertanto se, in seguito al
sequestro ex legge antimafia e prima della confisca definitiva,
viene dichiarato il fallimento del prevenuto, il curatore
ha il diritto di pretendere dallamministratore giudiziario
la consegna dei beni appartenenti al prevenuto fallito, al
fine di custodirli, amministrarli e liquidarli. Leventuale
residuo sarà restituito allamministratore giudiziario.
5. Discorso diverso va fatto nellipotesi che la dichiarazione
del fallimento intervenga dopo che il patrimonio del prevenuto
sia stato definitivamente confiscato. In questi casi il curatore
non potrà, sotto alcun profilo, acquisire allattivo
del fallimento beni che ormai non rientrano più nel
patrimonio responsabile del prevenuto-fallito; tali beni,
infatti, sono stati devoluti definitivamente allo Stato e
sfuggono allapprensione da parte del curatore. Cosicché
lattivo del fallimento sarà costituito soltanto
dai beni che siano sfuggiti al provvedimento di confisca in
quanto ritenuti di provenienza lecita. Soltanto su tali beni
potranno soddisfarsi i creditori del prevenuto fallito.
6. In questi ultimi tempi i tribunali penali hanno improvvisamente
mutato orientamento, impartendo agli amministratori dei beni
sequestrati ex legge antimafia precise istruzioni dirette
ad impedire che i beni frutto di attività illecite
vengano acquisiti dai curatori di fallimenti di imprenditori
sottoposti a misure di prevenzione. La reazione dei giudici
addetti ai tribunali fallimentari ha dato origine ad un singolare
quanto accanito contenzioso tra curatori di fallimenti di
imprenditori assoggettati a misure di prevenzione e amministratori
giudiziari di beni sequestrati ai medesimi imprenditori ex
legge n. 375 del 1965. In concreto le liti sono insorte sotto
forma di opposizione allo stato passivo, proposte da amministratori
giudiziari che si erano visti rigettare le domande di rivendica
avanzate in sede fallimentare; altre volte gli amministratori
giudiziari si sono addirittura opposti alla sentenza dichiarativa
di fallimento, assumendo che in pendenza di procedimento ex
legge antimafia non è ammissibile la dichiarazione
giudiziale di insolvenza del prevenuto. Non mancano infine
provvedimenti con i quali i giudici delegati a fallimenti
di imprenditori sottoposti a misure di prevenzione hanno ordinato
agli amministratori giudiziari, ai sensi dellart.25
L.F., di mettere a disposizione del curatore i beni sequestrati
e da essi amministrati. Ma a tali ordinanze gli amministratori
giudiziari, di concerto con il tribunale penale, sono soliti
rispondere ... picche!
7. In questo stato di cose recentemente la Suprema Corte (Sez.
I penale) con sentenza n. 1947 del 22 aprile 1998 ha affermato
alcuni principi alquanto discutibili. Si legge, tra laltro,
nella sentenza n. 1947 del 1998 che la confisca comporta
lacquisizione a titolo originario del bene al patrimonio
dello Stato e che tale provvedimento, una volta divenuto
definitivo, verrebbe ad essere vanificato se il bene
oggetto della confisca fosse stato acquisito alla massa fallimentare
allo scopo di soddisfare le ragioni dei creditori del fallito.
La Suprema Corte, sempre nella medesima sentenza ha osservato
che i creditori del fallito non possono vantare pretese
sui beni sottoposti a sequestro nel corso di procedimento
di prevenzione, atteso che detti beni, a seguito del disposto
sequestro, sono stati sottratti alla disponibilità
del fallito e, quindi, non possono entrare a far parte della
massa fallimentare, destinata a soddisfare i diritti dei creditori
stessi. A riprova dellesattezza di questa affermazione
viene tralaticiamente richiamato quanto avrebbero detto (ma
in realtà non hanno mai detto) i giudici della Consulta
nellormai famosa sentenza n. 190 del 1994 e cioè
che per i terzi creditori del proposto non vi sarebbe possibilità
di ottenere tutela giuridica satisfattoria delle loro pretese
sui beni assoggettati al procedimento di confisca. Sulla
base di queste premesse la Cassazione penale ha ritenuto di
affermare che la procedura di prevenzione deve essere
considerata prioritaria rispetto a quella fallimentare, tanto
più che la posizione dei creditori in buona fede dellazienda
appartenente ai proposti dichiarati fallito può essere
tutelata anche mediante la procedura di prevenzione. Infatti,
ai sensi del 1° comma dellart. 2 septies L.5 75/1965,
è riconosciuta allamministratore dei beni, con
lautorizzazione scritta del Giudice Delegato, la facoltà
di compiere attività di straordinaria amministrazione
anche a tutela dei diritti dei terzi, dovendosi intendere
per terzi non solo i titolari di diritti di proprietà
o di altri diritti reali sui beni in sequestro, ma anche quei
soggetti che in buona fede vantino pretese creditorie nei
confronti dellazienda appartenente ai proposti dichiarati
falliti.
Si legge ancora nella motivazione della sentenza che se il
curatore del fallimento del prevenuto dovesse utilizzare i
beni sequestrati per soddisfare i creditori, si potrebbe verificare
che, a chiusura della liquidazione, leventuale residuo
attivo verrebbe restituito dal curatore al prevenuto che
in tal modo si avvantaggerebbe di beni acquisiti mediante
lo svolgimento di attività illecite di matrice mafiosa.
Ad evitare questo gravissimo inconveniente i giudici della
Suprema Corte hanno ritenuto che i curatori dei fallimenti
di imprenditori sottoposti a misure di prevenzione, attesa
la impossibilità che i beni sequestrati possano essere
acquisiti alla massa fallimentare, si dovrebbero astenere
dal compiere ogni attività connessa al loro ufficio
di curatori che possa interferire sulla custodia, conservazione
e amministrazione dei beni sequestrati allimprenditore
fallito. Sicché lamministratore giudiziario,
sotto la direzione del giudice penale, delegato al procedimento
per misure di prevenzione, verrebbe a sostituirsi a tutti
gli effetti agli organi preposti al fallimento, provvedendo
alla soddisfazione di quei soggetti che in buona fede
vantino pretese creditorie nei confronti dellazienda
appartenente ai proposti dichiarati falliti.
Unautentica rivoluzione copernicana, dunque, atteso
che i principi fondamentali che da sempre hanno regolato i
criteri per la soddisfazione dei creditori, nel rispetto dei
diritti di prelazione e della par condicio vengono sovvertiti:
vengono infatti privilegiati, su tutti, i creditori che lamministratore
giudiziario ed il giudice penale riterranno in buona
fede e, come tali, meritevoli di tutela. Sicchè
il criterio della buona fede finisce col sostituirsi alle
tradizionali regole sulla par condicio ed allordine
dei privilegi, così come previsto dal codice civile.
8. Va subito detto che i principi recentemente enunciati dalla
Corte di cassazione penale non sono stati affatto condivisi
dal Tribunale Fallimentare di Palermo che, con una sentenza
resa qualche mese addietro (n.4056/98 del 18.12.1998) ha ritenuto
innanzitutto che il sequestro di un complesso di beni appartenenti
ad un soggetto sottoposto a procedimento per misure di prevenzione
non è ostativo alla successiva dichiarazione di fallimento.
Nellaffrontare il problema della sede processuale
nella quale far valere le aspettative di tutela dei creditori
i Giudici di Palermo hanno chiarito lesatto significato
della sentenza della Corte costituzionale (n. 190 del 9.5.1994);
al riguardo hanno precisato che la Consulta si era limitata
a prendere atto che nellambito del procedimento di prevenzione
di cui alla legge 31.5.1965, n.575, i creditori non possono
esercitare alcuna azione a tutela dei propri diritti, e quindi
non aveva affatto escluso che, al di fuori del procedimento,
i creditori possano egualmente trovare tutela giurisdizionale.
In ordine alla preoccupazione manifestata dalla Suprema Corte
che il fallito, una volta tornato in bonis, possa acquistare
la piena disponibilità dei beni eventualmente residuati
dal riparto fallimentare, anche se di provenienza illecita,
il Tribunale di Palermo ha osservato che la tesi non
è affatto convincente e va conseguentemente disattesa,
giacché in questi casi, una volta intervenuta la confisca
dei beni, il residuo della ripartizione dellattivo fallimentare
non tornerebbe nel potere del fallito, bensì sarebbe
introitato nel patrimonio dello Stato per effetto della intervenuta
confisca. Nella motivazione della sentenza si legge
ancora che lesigenza di sottrarre la disponibilità
dei beni al mafioso potrebbe essere assolta egualmente bene
dagli organi fallimentari, la cui attività è
dettagliatamente disciplinata dalla legge con la previsione,
tra laltro, di una fase endoprocedimentale di accertamento
del passivo, retta dal principio inquisitorio ed alla quale
procede, assunte le opportune informazioni, il
Curatore sotto la direzione del Giudice Delegato, onde i lamentati
pericoli di abusi e speculazioni da parte del prevenuto o
di terzi verrebbero ad essere esclusi o, comunque, sensibilmente
attenuati. Ed è indubbio che nellimpianto della
legge n. 575/1965 non si rinvengono norme regolatrici dellattività
dellAmministratore giudiziario analoghe a quelle contenute
nella normativa fallimentare. La asserita prevalenza della
pretesa statuale ad evocare a sé il patrimonio illecitamente
costituito rispetto allesigenza di tutela dei diritti
dei terzi in buona fede è stata fondata dagli attori
anche sulla base della natura giuridica della confisca ex
legge n. 575/1965, la quale, spiegando finalità preventive
ed al contempo sanzionatorie-afflittive, costituirebbe un
modo di acquisto della proprietà da parte dello Stato
a titolo originario, quale espressione del potere sovrano
della collettività. Epperò la qualificazione
di originarietà attribuita allacquisto da confisca
è tuttaltro che pacifica, anzi, è stata
risolutamente negata dalla Corte di Cassazione, sez. civile,
la quale, in più occasioni, ha ribadito il carattere
derivativo dellacquisto, in quanto esso non prescinde
dal rapporto già esistente tra quel bene ed il precedente
titolare, ma piuttosto un tale rapporto presuppone ed è
volto a far venire meno, per ragioni di prevenzione e/o di
politica criminale, con lattuare il trasferimento del
diritto del privato allo Stato. Il che è a maggior
ragione vero quando la confisca incide su un diritto di credito,
non potendo plausibilmente sostenersi che, per effetto di
essa, sorga un diritto di credito nuovo dello Stato nei confronti
del terzo debitore e che possa il correlativo rapporto altrimenti
spiegarsi che in ragione di un nesso di derivazione dalla
precedente relazione obbligatoria, tra il medesimo debitore
e loriginario creditore. Avrà luogo, conseguentemente,
una mera modificazione soggettiva attiva (ex latere creditoris)
delloriginario rapporto obbligatorio, riconducibile
allo schema di elaborazione dottrinale della c.d. cessio legis,
e che identifica propriamente la sostituzione, ex lege o per
factum principis, della persona del creditore allinterno
di un rapporto di obbligazione (cfr., ex plurimis, Cass. civile
sez. 1,3.7.1997 n. 5988). Alle decisive considerazioni ed
alle altre acute osservazioni contenute nella sentenza del
Tribunale di Palermo potrebbero aggiungersi queste ulteriori
annotazioni:
che la normativa antimafia non intende affatto tutelare linteresse
allacquisizione dei beni del prevenuto al patrimonio
dello Stato;
che, dunque, lacquisizione è una conseguenza
della sottrazione, non già lobiettivo della tutela.
Con lulteriore implicazione che quando i beni del prevenuto
vengano acquisiti allattivo fallimentare, e quindi sottratti
alla effettiva disponibilità della persona indiziata
di fatti criminosi, si possono considerare pienamente realizzate
le finalità che il procedimento per misure di prevenzione
e la successiva confisca si prefiggono, e cioè che
il prevenuto non continui a disporre, direttamente o indirettamente,
dei beni che siano il frutto di attività illecite o
che risultino reimpiegati in questa attività. Non va
poi trascurato che i giudici addetti ai fallimenti, per la
loro specifica preparazione ed informazione e per la loro
grande esperienza in subiecta materia, possono assicurare,
ancor meglio del giudice penale, il costante controllo sulla
effettiva sussistenza dei crediti, sulla loro entità
e sulle loro caratteristiche; verifica indispensabile per
evitare abusi e speculazioni da parte del prevenuto o di terzi
in sede di liquidazione dei beni sequestrati ex legge n.575
del 1965. Non si riesce, quindi, a comprendere il motivo della
diffidenza nei confronti degli organi preposti alle procedure
concorsuali. Segnatamente il curatore del fallimento, sotto
la direzione del giudice delegato alla procedura concorsuale,
assicura da un lato che i beni acquisiti allattivo non
vengano utilizzati dal prevenuto-fallito e, dallaltro
lato, che a conclusione delle operazioni di liquidazione e
di pagamento dei creditori leventuale residuo venga
consegnato allamministratore giudiziario per essere
restituito al prevenuto ovvero destinato allErario,
secundum eventus litis. Ma quel che più sorprende è
che la Corte di cassazione penale, dopo avere, con molta determinazione,
escluso categoricamente la possibilità di una tutela
dei creditori del presunto mafioso sottoposto a misure di
prevenzione, finisca poi col riconoscere che lart.2
septies consente allAmministratore Giudiziario di svolgere
una vera e propria funzione tutoria delle ragioni dei terzi
creditori. A quanto è dato comprendere si vorrebbe
sostenere che, in pendenza di procedimento per misure di prevenzione,
i creditori debbano essere soddisfatti soltanto dallamministratore
giudiziario. Ma, come è agevole rendersi conto, questa
impostazione è in aperto dispregio del principio della
par condicio (viene da chiedersi quali creditori lamministratore
pagherà per primi, in quale misura e con quali criteri)
e presenta il rischio di favorire la commissione del reato
di bancarotta preferenziale da parte dellamministratore
giudiziario (in concorso con il giudice delle misure di prevenzione?).
Senza dire che, impedendo la dichiarazione di fallimento si
consentirebbe al debitore dissestato di disfarsi di quei beni
(di provenienza lecita) che non sono stati sequestrati ma
costituiscono anchessi il patrimonio responsabile del
prevenuto, destinato esclusivamente alla soddisfazione dei
suoi creditori. La soluzione più corretta sembra allora
quella di consentire la dichiarazione di fallimento anche
in pendenza di procedimento per misure di prevenzione: così
come il sequestro ex legge n.575/1965 non è di ostacolo
allesecuzione individuale, a maggior ragione non può
impedire lapertura e lo svolgimento dellesecuzione
collettiva.
Evidentemente ciò non significa che il sequestro antimafia
venga caducato o assorbito dalla dichiarazione di fallimento,
ma che i suoi effetti vengono compressi o resi temporaneamente
inoperanti dal concorrente dispiegarsi degli effetti del fallimento.
Questo comporta che, con lapertura del processo di fallimento,
i beni sequestrati - alla pari di tutti gli altri beni del
fallito - devono essere appresi dal curatore (art. 88 L.F.)
e soltanto da lui amministrati (art. 31 L.F.). Con queste
ulteriori conseguenze: laddove la misura cautelare ex legge
575/1965 sia stata eseguita prima della dichiarazione di fallimento
lamministratore giudiziario dovrà consegnare
al curatore i beni sequestrati costituenti il patrimonio responsabile
del debitore assoggettato a misure di prevenzione; quando,
invece, il fallimento sia stato dichiarato anteriormente al
sequestro lamministratore giudiziario dovrà limitarsi
a chiedere (con istanza di rivendica) la consegna di quanto
dovesse residuare a conclusione della procedura concorsuale.
Lamministratore giudiziario rimarrà, in questi
casi, in attesa che gli organi fallimentari procedano alla
vendita dei beni (artt. 104 segg. L.F.) ed alla successiva
ripartizione, in favore dei creditori ammessi, di quanto realizzato
in sede di liquidazione (artt. 110 segg. L.F.). Evidentemente
una volta chiuso o revocato il fallimento i beni sequestrati
(non ancora venduti dal curatore) e tutto quanto dovesse residuare
dopo la soddisfazione dei creditori non dovranno essere consegnati
al fallito ma esclusivamente allamministratore giudiziario
oppure direttamente allErario, ove la confisca, nel
frattempo fosse divenuta definitiva (nel medesimo senso si
veda NORELLI, Misure patrimoniali antimafia, tutela esecutiva
dei creditori e fallimento, in Imprenditori anomali e fallimento,
Padova, 1997, pag. 343 segg.).
Trib.
Palermo 18 dicembre 1998- Pres. Marino - Est. Antuso - Amm.ne
giudiziaria dei beni della s.r.l. CO.E.SI (avv. M. Morici)
c. Fall. s.r.l. CO.E.SI. (avv. G. Bongiomo)
FALLIMENTO
- OPPOSIZIONE ALLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - MISURE DI
PREVENZIONE EX ART. 2 TER L. 575\1965 - OSTACOLO ALLA DICHIARAZIONE
DI FALLIMENTO - ESCLUSIONE.
(art. 2 ter 1. 31 maggio 1965, n. 575; art. 5 r.d. 16 marzo
1942, n. 267)
Il
sequestro, ai sensi dellart. 2 ter della legge 31.5.1965,
n. 575 (disposizioni contro la mafia), di tutti i beni del
debitore non è di ostacolo alla successiva dichiarazione
di fallimento.
(omisssis)
Lopposizione è infondata e, per quanto di ragione,
va rigettata con le statuizioni conseguenziali. Preliminarmente
deve rilevarsi che nel corso del presente giudizio il Tribunale
di Palermo, sezione misure di prevenzione, ha disposto, giusta
decreti del 13 e 25 maggio 1998, la confisca del capitale,
delle quote e dellintero complesso aziendale della società
fallita.
Ciò posto, la questione sottoposta allesame del
Collegio con il primo motivo di opposizione investe la verifica
della possibile o meno coesistenza del procedimento di prevenzione
e di quello concorsuale quando la misura cautelare adottata
nel corso della prima procedura riguardi limpresa nella
sua globalità, e, quindi, se possa essere dichiarato
il fallimento di unimpresa il cui patrimonio, le quote
ed il capitale investito siano già stati oggetto di
un provvedimento di sequestro ex art. 2 bis della legge n.
575/1965. Il Tribunale, con la sentenza opposta, ha argomentato
in senso affermativo in relazione alla diversità dei
presupposti e delle finalità delle due procedure, tesi,
questa, censurata dagli attori, sotto un duplice profilo:
la tutela dei diritti vantati dai terzi nei confronti
della società sottoposta a sequestro può trovare
il proprio soddisfacimento soltanto nellambito del procedimento
di prevenzione, onde la successiva apertura della procedura
concorsuale si rivelerebbe priva di ogni utile effetto.
il fallimento determina soltanto lo spossessamento dei beni
da parte del fallito ma non incide sulla titolarità
degli stessi, di tal che ammettere la possibilità che
un soggetto sottoposto a misura di prevenzione possa essere
dichiarato fallito, priverebbe di ogni effetto lapplicazione
della misura, atteso che dopo lintegrale soddisfacimento
delle ragioni creditorie ed a seguito del riparto concorsuale,
il fallito, tornato in bonis, recupererebbe la piena disponibilità
dei beni eventualmente residuati, con inevitabile frustrazione
dellinteresse primario ed essenziale dello Stato di
punire e prevenire crimini.
Detti rilievi non possono essere condivisi. Va, anzitutto,
escluso che possa configurarsi una questione di incompatibilità
tra fallimento e sequestro ex legge n. 575/65 e, tantomeno,
di pregiudizialità di una procedura rispetto allaltra.
Al riguardo è sufficiente delimitare loggetto
del sequestro da un lato e delineare i presupposti della declaratoria
di fallimento dallaltro. Sul piano soggettivo, lart.
1 della L.F., nellindividuare i destinatari delle disposizioni
sul fallimento, si riferisce senza dubbio agli imprenditori
commerciali, e non già allimpresa in se e per
se, ancorché la dichiarazione di fallimento comporti
lacquisizione alla massa di tutti i beni del fallito
ed incida sui rapporti giuridici ed economici che intercorrono
tra questultimo ed i terzi, quantunque non realizzi
alcuna modificazione della titolarità dei beni medesimi.
Per ciò che riguarda il presupposto oggettivo della
declaratoria di fallimento, la sussistenza dello stato di
insolvenza deve essere verificata sulla base del parametro
di cui allart. 5 L.F., senza che tale indagine possa
in alcun modo essere influenzata dalla pendenza del sequestro
se non per ragioni di mero fatto, nel senso che è verosimile
che la misura cautelare possa in concreto provocare una crisi
finanziaria dellimpresa se questa si reggeva, anche
soltanto in parte, su capitali altrui, ovvero a causa della
inevitabile perdita di affidabilità sul mercato (fornitori,
committenti, ecc.) o presso il ceto bancario. E la circostanza
che il sequestro possa rappresentare un factum principis che
giustifichi il dissesto è del tutto ininfluente, giacché
quello che rileva è la situazione oggettiva di impotenza
economica funzionale ed irreversibile dellimpresa, a
prescindere dalle ragioni che lhanno determinata (con
riferimento allinsolvenza incolpevole che non preclude
la dichiarazione di fallimento cfr. Cass. sez. I, 7.7.1992
n. 8271; Cass. 25.9.1990 n. 9704; Cass. 21.11.1986 n. 6856).
Dallesame delle norme degli artt. 2 ter e segg. della
legge 31.5.1965 n. 575 e successive modificazioni, emerge,
invece, che il sequestro concerne o singoli beni (mobili,
immobili, mobili registrati e crediti) o aziende ovvero, ancora,
partecipazioni in società di capitali. Alla stregua
di tali premesse è da escludere che il sequestro dellintero
complesso dei beni del debitore sia ostativo alla successiva
dichiarazione di fallimento. Né fondatamente potrebbe
assumersi linutilità della apertura della procedura
concorsuale, attesa la possibilità di esperire le azioni
revocatorie fallimentari, con il particolare regime presuntivo
a tutela della par condicio creditorum. Chiarito, quindi,
che il Tribunale fallimentare non è vincolato in alcun
modo dal precedente sequestro ai fini della dichiarazione
di fallimento (nel medesimo senso, cfr. ord. Tribunale Napoli
17.10.1996), resta da stabilire quale sia la sede processuale
nella quale far valere le aspettative di tutela dei creditori,
nonché la sorte della procedura concorsuale e, quindi,
se debbano prevalere le ragioni dello Stato su quelle dei
creditori o viceversa, oppure se sia possibile mediare e contemperare
i confliggenti interessi in gioco. Tale indagine non può
che avvenire alla stregua del pur lacunoso e frammentario
dato positivo offerto dalle singole disposizioni dettate in
tema di misure di prevenzione patrimoniali, mancando nellimpianto
della legge fallimentare, risalente al 1942, regole di coordinamento
idonee a porre una linea di demarcazione tra prevalenza della
pretesa statuale e prevalenza delle ragioni dei terzi. Ordunque,
lart. 2 ter sopra citato attribuisce al Tribunale, anche
ex officio, il potere di ordinare con decreto motivato il
sequestro, prima, e la confisca, poi, dei beni dei quali il
proposto può disporre direttamente o in via mediata,
quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato
o allattività economica esercitata ovvero quando,
sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere
che gli stessi siano il frutto di attività illecite
o ne costituiscano il reimpiego.
Sia il sequestro sia la confisca possono, pertanto, incidere
su diritti di soggetti (persone fisiche o giuridiche, società,
consorzi od associazioni) diversi da quello proposto per la
misura di prevenzione oppure sottoposto al procedimento penale
per i reati di cui agli artt. 416 e segg., 629, 630, 648 bis
e ter cod. pen.. Il legislatore si è preoccupato della
tutela dei terzi (ai quali appartengono i beni sequestrati)
coinvolti dalla misura di prevenzione patrimoniale, prevedendo,
al 5° comma del precitato articolo, che costoro sono chiamati
dal Tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento,
anche con lassistenza di un difensore, nel termine stabilito
dalla medesima A.G., a svolgere in camera di consiglio le
loro deduzioni ed a chiedere lacquisizione di ogni elemento
utile ai fini della decisione sulla confisca. Il riferimento
esplicito alla nozione di appartenenza del bene
induce a ricomprendere nel novero dei soggetti per i quali
lordinamento ha apprestato siffatta forma di tutela
endoprocedimentale esclusivamente il proprietario, anche pro-quota,
del bene ed il titolare di un diritto reale di godimento (cfr.,
in tal senso, ex plurimis Cass. sez. I, 9.7.1996 n. 3528;
Cass. sez. VI 22.3.1994 n. 25; ID, 11.1.1994, Andricciola;
Cass. 2.4.1987, Greco; Corte di Appello Palermo, sez. I, 18.12.1995;
contra Cass. 4.2.1992, Nuvoletta, che ha riconosciuto il diritto
ad intervenire al titolare di un diritto reale - trattasi
però di pronunzia isolata). (omissis) Parimenti privo
di pregio è lassunto attore secondo il quale
ove si ammettesse che un soggetto sottoposto a misura di prevenzione
possa essere dichiarato fallito si finirebbe col vanificare
la misura antimafia, atteso che dopo lintegrale soddisfacimento
delle ragioni dei creditori concorrenti, il fallito, una volta
tornato in bonis, riacquisterebbe la piena disponibilità
dei beni eventualmente residuati dal riparto fallimentare,
anche se di provenienza illecita.
La tesi, seppur autorevolmente sostenuta da numerosi Autori
e recentemente affermata pure dalla Suprema Corte (Cass. sez.
I penale, 22/4/1998) non è affatto convincente e va
conseguentemente disattesa, giacché nellipotesi
descritta dagli opponenti ed una volta intervenuta la confisca
dei beni, il residuo della ripartizione dellattivo fallimentare
non tornerebbe nel potere del fallito, bensì sarebbe
introitato nel patrimonio dello Stato per effetto della intervenuta
confisca.
Avverso tale soluzione si è obiettato da parte degli
opponenti che consentendo ai terzi incolpevoli di soddisfarsi
sui beni oggetto della misura si finirebbe con il permettere
allindiziato di appartenenza ad una organizzazione criminale
di stampo mafioso di investire il ricavato dellattività
illecita mediante laccesso ai canali di credito e si
renderebbe lo Stato stesso partecipe delloperazione
di reciclaggio. A questi rilievi la Curatela ha replicato
che lesigenza di sottrarre la disponibilità dei
beni al mafioso potrebbe essere assolta egualmente bene dagli
organi fallimentari, la cui attività è dettagliatamente
disciplinata dalla legge con la previsione, tra laltro,
di una fase endoprocedimentale di accertamento del passivo,
retta dal principio inquisitorio ed alla quale procede, assunte
le opportune informazioni, il Curatore sotto la direzione
del Giudice Delegato, onde i lamentati pericoli di abusi e
speculazioni da parte del prevenuto o di terzi verrebbero
ad essere esclusi o, comunque, sensibilmente attenuati.
Ed è indubbio che nellimpianto della legge n.
575/1965 non si rinvengono norme regolatrici dellattività
dellAmministratore giudiziario analoghe a quelle contenute
nella normativa fallimentare. La asserita prevalenza della
pretesa statuale ad avocare a sé il patrimonio illecitamente
costituito rispetto allesigenza di tutela dei diritti
dei terzi in buona fede è stata fondata dagli attori
anche sulla base della natura giuridica della confisca ex
legge n. 575/1965, la quale, spiegando finalità preventive
ed al contempo sanzionatorie-afflittive, costituirebbe un
modo di acquisto della proprietà da parte dello Stato
a titolo originario, quale espressione del potere sovrano
della collettività. (omissis)
Epperò la qualificazione di originarietà attribuita
allacquisto da confisca è tuttaltro
che pacifica, anzi, è stata risolutamente negata dalla
Corte di Cassazione, Sez. Civile, la quale, in più
occasioni, ha ribadito il carattere derivativo dellacquisto,
in quanto esso non prescinde dal rapporto già
esistente tra quel bene ed il precedente titolare, ma piuttosto
un tale rapporto presuppone ed è volto a far venire
meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale,
con l attuare il trasferimento del diritto del privato
allo Stato. Il che è a maggior ragione vero quando
la confisca incida su un diritto di credito, non potendo plausibilmente
sostenersi che, per effetto di essa, sorga un diritto di credito
nuovo dello Stato nei confronti del terzo debitore e che possa
il correlativo rapporto altrimenti spiegarsi che in ragione
di un nesso di derivazione dalla precedente relazione obbligatoria,
tra il medesimo debitore e loriginario creditore. Avrà
luogo, conseguentemente, una mera modificazione soggettiva
attiva (ex latere creditoris) delloriginario rapporto
obbligatorio, riconducibile allo schema di elaborazione dottrinale
della c.d. cessio legis, e che identifica propriamente la
sostituzione, ex lege o per factum principis, della persona
del creditore allinterno di un rapporto di obbligazione
(cfr., ex plurimis, Cass. civile sez. I, 3.7.1997 n. 5988
). (omissis)
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