La procedura di crisi: tra solerte iniziativa del debitore e pericolo d'insolvenza

LUIGI ABETE

Giudice presso la sezione fallimentare del tribunale di Napoli

L'approccio al tema della procedura di crisi, di cui al disegno di legge recante "Delega al Governo per la riforma delle procedure relative alle imprese in crisi", approvato dal Consiglio dei Ministri in data 27.10.2000, postula, necessariamente e preliminarmente, la sintetica enunciazione dei tratti fisionomici che, nel più ampio quadro del progetto di riforma, concorrono al caratterizzarla.
In questa prospettiva va evidenziato che la costruzione governativa prevede, tra gli altri, quali criteri direttivi, innanzitutto, che le procedure di fallimento, di concordato preventivo, di amministrazione controllata e di liquidazione coatta amministrativa siano sostituite da una procedura unitaria di insolvenza, a fasi successive ed avente caratteristiche di flessibilità, e da una procedura di crisi, anticipatoria di quella di insolvenza (art. 2, co. 1, lett. a)) .
Con specifico riguardo alla procedura di crisi si prefigura espressamente
--che possa essere avviata in via esclusiva su istanza del debitore, in presenza di sintomi di squilibrio patrimoniale, economico o finanziario, tali da determinare pericolo di insolvenza (art. 2, co. 1, lett. e));
--che, con l'istanza di ammissione alla procedura di crisi, il debitore proponga un piano di risanamento dell'impresa e di estinzione delle obbligazioni, anche mediante pagamento differito, rateale ed in percentuale dei creditori, di durata non superiore a due anni (art. 2, co. 1, lett. f)) ;
--che la tutela dei livelli occupazionali costituisca, per quanto possibile, l'obiettivo del programma di risanamento (art. 2, co. 1, lett. h));
--che, nel corso della procedura di crisi, la gestione dell'impresa e l'amministrazione del patrimonio resti affidata al debitore, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, salva la necessità dell'autorizzazione del commissario o del giudice delegato per il compimento di atti di particolare rilevanza (art. 2, co. 1, lett. n)) ;
--che, aperta la procedura di crisi, operino il divieto di proposizione ovvero di prosecuzione delle azioni esecutive individuali, la sanzione dell'inefficacia degli atti di acquisto di diritti di prelazione e delle formalità compiute al fine dell'opponibilità degli atti ai terzi, la sospensione degli interessi legali sui crediti chirografari (art. 2, co. 1, lett. o));
--che il programma di risanamento sia approvato dai creditori secondo maggioranze numeriche e di somma; segnatamente, ai fini della votazione, si prefigura che i crediti, eventualmente in connessione con i contenuti del piano, siano ripartiti in classi omogenee per interessi economici nonchè la necessità della disciplina dei rapporti tra esiti della votazione delle singole classi ed esito complessivo delle votazioni (art. 2, co. 1, lett. t));
--che, in ipotesi di raggiungimento delle maggioranze, sia prevista l'apertura del giudizio di omologazione del piano di risanamento, da definirsi con sentenza del tribunale emessa in camera di consiglio, ovvero, in ipotesi di rigetto dell'istanza di apertura della procedura di crisi o di mancata omologazione del piano di risanamento, che il tribunale o il giudice delegato promuovano, sussistendone i presupposti, la dichiarazione dello stato di insolvenza (art. 2, co. 1, lett. u)) ;
--che, in ipotesi di omologazione del piano, la sua esecuzione si concluda entro il termine di due anni, salvo proroga di sei mesi, richiesta dal debitore, accettata dai creditori ed approvata dal tribunale e che il medesimo tribunale ne verifichi alla scadenza l'avvenuta realizzazione; altresì, che il tribunale possa disporre la cessazione della procedura, ove questa non risulti utilmente proseguibile o il debitore non abbia eseguito i pagamenti alle scadenze stabilite, ovvero disporne la revoca qualora risulti che il debitore abbia omesso informazioni rilevanti o compiuto atti in frode in danno dei creditori (art. 2, co. 1, lett. v)) (in siffatta ipotesi il tribunale potrà dichiarare lo stato di insolvenza qualora ne sussistano i presupposti).
Dal canto suo, la procedura d'insolvenza è destinata, ove possibile, parimenti alla conservazione totale o parziale dell'impresa o, in mancanza, alla liquidazione del patrimonio del debitore ed al soddisfacimento dei creditori (art. 2, co. 1, lett. aa)).
Più esattamente, si prevede, sulla scorta dell'esperienza maturata in sede di innovazione dell'istituto della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi , che la procedura sia strutturata in due distinte fasi: la prima, di osservazione, della durata massima di novanta giorni, volta all'accertamento della reale consistenza dell'impresa e del patrimonio del debitore ed alla scelta della concreta soluzione da adottare; la seconda, di attuazione di un programma di risanamento totale o parziale dell'impresa ovvero, in via alternativa, di liquidazione e in ogni caso di soddisfacimento dei creditori (art. 2, co. 1, lett. dd)). E', nondimeno, prevista la possibilità che il tribunale disponga, con la stessa sentenza che dichiara lo stato di insolvenza ovvero con successivo decreto, ancor prima che sia scaduto il termine della fase di osservazione, l'immediata liquidazione, quando risulti evidente l'inesistenza di prospettive di risanamento, anche solo parziale dell'impresa (art. 2, co. 1, lett. ee)). E' espressamente prefigurata, inoltre, la possibilità che il programma di risanamento si risolva nella cessione dei complessi aziendali, nel pagamento in percentuale dei crediti ovvero, ancora, in altre modalità all'occorrenza concordate da debitore e dai creditori e da ogni altro interessato (art. 2, co. 1, lett. ff)).
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Al di là dell'esito naturale -e recentissimo- dell'ultima legislatura la stagione delle riforme -inequivoci segni lo testimoniano- sembra apertasi irreversibilmente .
Ed allorquando la stagione delle riforme si inaugura, irresistibile diviene la tentazione a ripercorrere i passi compiuti: "tutte le volte che il giurista torna ad essere <uomo di progetti>, si riannodano naturalmente i fili tra presente e passato e si disvela la radicazione prodonda di un istituto" .
In questi termini una pur superficiale valutazione delle potenzialità connesse alla procedura anticipatoria, non può prescindere dalla ricognizione dei profili salienti dell'elaborazione, giurisprudenziale e dottrinale, che ha riguardato, in modo specifico, l'amministrazione controllata, procedura, quest'ultima, che, indubbiamente, ne costituisce l'immediato e diretto antecedente.
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Ancor'prima di dar corso alla preannunciata opera ricognitiva, tuttavia, va debitamente rimarcato il rilievo primo cui induce la sommaria enunciazione di taluni dei tratti tipizzanti la probabile futura disciplina della gestione della crisi d'impresa: le procedure esistenti, attualmente separate, vengono configurate quali possibili diversi sviluppi di un unico procedimento, in aderenza ad una prospettiva de jure condendo giudicata senza dubbio nei termini di un apprezzabile ed auspicabile tentativo di razionalizzazione dell'intero sistema .
Al contempo, si registra, sulla scorta dell'oramai consolidata consapevolezza delle rilevanti implicazioni, economiche e sociali, che la crisi d'impresa determina in una società industriale avanzata e delle sollecitazioni che provengono dalla riflessione di diritto comparato , la confluenza e la coesistenza, nel quadro di una procedura a struttura tendenzialmente unitaria, delle diverse aspirazioni, dei diversi interessi coinvolti nella medesima crisi, tra cui, con una valenza affatto nuova, l'aspirazione a non disperdere, nell'interesse della collettività e dei prestatori di lavoro, quella fonte di ricchezza che l'impresa rappresenta.
In verità, l'esigenza della conservazione dei complessi aziendali, in considerazione delle ragioni, di valenza pubblicistica, connesse alla loro sopravvivenza, ha trovato esplicazione, seppur con riferimento alle crisi di più ampie dimensioni, con l'introduzione nel nostro ordinamento dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, di cui al decreto legge 30.1.'79, n. 26, convertito con modificazioni nella legge 3.4.'79, n. 95 . La medesima esigenza si è poi a pieno titolo consolidata con l'entrata in vigore del decreto legislativo dell' 8.7.'99, n. 270 che ha ridisegnato, in guisa fortemente innovativa, l'istituto dell'amministrazione straordinaria : la premessa strategica che costituisce il motivo ispiratore del decreto legislativo testè citato, difatti, è a ravvisarsi, siccome esplicita la relazione governativa, nell'oramai diffusa consapevolezza che un moderno sistema concorsuale non può prescindere da una procedura che, sganciandosi "dalla ferrea logica <darwiniana> dell'eliminazione dal mercato dei <soggetti deboli> ..........., tenda a salvaguardare, di fronte a dissesti particolarmente allarmanti sul piano delle ricadute socio-economiche, il <bene-impresa>, quale entità oggettiva distinta dall'imprenditore nella sua duplice valenza di fonte unitaria di produzione e di fattore di mantenimento dell'occupazione" .
Nondimeno, la delineata aspirazione a garantire la conservazione dei complessivi produttivi, quale valore dotato di sua autonoma rilevanza, distinto dall'interesse del ceto creditorio e dall'interesse dello stesso debitore, esula senza dubbio dall'ambito teleologico del r.d. 16.3.'42, n. 267, segnatamente della disciplina del fallimento, la cui finalità, di rilievo parimenti pubblicistico, è da ravvisare "nell'interesse della collettività di liberarsi di quegli organismi insolventi che continuando a contrarre disordinatamente obbligazioni con una serie indeterminata ed indeterminabile di soggetti, arrecano grave pregiudizio al tessuto sociale ed al pubblico credito" .
Per altro verso, è stato, sì, evidenziato che il panorama delle utilità cui l'istituto del concordato preventivo si presta, può palesarne una certa qual attitudine a consentire il recupero dell'impresa insolvente , tuttavia si è al contempo sottolineato che non è questa la finalità per cui l'istituto è stato concepito: "in primo luogo il concordato preventivo può trovare applicazione solo a patto che il debitore lo chieda (diversamente da quanto accadeva ad esempiio in Francia prima del 1985, nell'ambito del reglement judiciaire).........."; "in secondo luogo, i residui aspetti della disciplina dell'istituto fanno emergere in primo piano l'interesse del ceto creditorio: giacchè l'istanza del debitore è ammissibile solo a patto che per il ceto creditorio sia garantita o sia seriamente prevedibile una certa soddisfazione.......; il ceto creditorio può negare l'applicazione dell'istituto con propria votazione insindacabile" .
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La vicenda storica dell'amministrazione controllata reca in sè, emblematicamente, i segni di un processo di sovrapposizione di obiettivi politici di marca diversa che, giustapponendosi, senza elidersi, l'un l'altro , hanno caricato l'istituto di incongruenze e, fors'anche, di contraddizioni tali da comprometterne, irrimediabilmente, la concreta fruibilità .
L'art. 187 LF, nella sua originaria formulazione, statuiva che "l'imprenditore che si trova in temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, se ricorrono le condizioni previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo comma dell'art. 160, può chiedere al tribunale il controllo della gestione della sua impresa e dell'amministrazione dei suoi beni a tutela degli interessi dei creditori, per un periodo non superiore ad un anno".
La citata disposizione normativa è stata modificata dall'art. 1 della legge del 24.7.'78, n. 391, che ha ampliato sino a due anni la durata massima della procedura ed ha previsto, altresì, ai fini dell'ammissione, la sussistenza di "comprovate possibilità di risanare l'impresa".
Il significato della riferita innovazione legislativa è stato, in dottrina, da più parti enfatizzato : si è reputato che il "risanamento" si connoti come il nuovo, prevalente scopo della procedura, oramai rivolta alla realizzazione di finalità spiccatamente pubblicistiche e non più diretta alla mera salvaguardia del credito commerciale. In ogni caso, è apparso imprescidibile attribuire al risanamento dell'impresa, quanto meno, un'autonomo rilievo, che valesse a distinguerlo dall'estremo del "superamento della temporanea insolvenza", già contemplato nel dettato legislativo: si è interpretato il novellato co. 1 dell'art. 187 LF nel senso che richieda la concorrente sussistenza di due requisiti ovvero che l'insolvenza sia temporanea e reversibile ed, al contempo, che l'impresa sia risanabile; che l'imprenditore, dunque, recuperi la liquidità sufficiente per pagare i debiti scaduti, eliminando contestualmente quelle incongrenze gestionali idonee a determinare nuovamente, nell'immediato futuro, uno stato di crisi finanziaria.
In tal guisa è stata radicalmente stravolta la connotazione riconosciuta all'amministrazione controllata nel vigore del vecchio testo dell'art. 187 LF, allorchè suo presupposto oggettivo era unicamente quello della temporanea insolvenza e sua esclusiva finalità quella desumibile implicitamente dalla previsione dell'art. 193 LF, sostanziantesi nel mero ripristino della solvibilità, nel recupero da parte dell'imprenditore della capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni .
Sul fronte giurisprudenziale, del pari, si è registrato un corposo indirizzo interpretativo senza dubbio incline a valorizzare la portata del requisito del "risanamento", siccome introdotto dalla novella del '78.
Si segnala, in tal senso, Cass. 23.8.'91, n. 9046 , secondo cui il concetto di comprovate possibilità di risanare l'impresa, ai fini dell'ammissione dell'imprenditore commerciale alla procedura di amministrazione controllata, va ricollegato alla sussistenza delle concrete possibilità di eliminare le cause della difficoltà dell'impresa, avuto riguardo alla specifica natura della crisi dell'azienda ed alla disponibilità sul piano previsionale dei mezzi adeguati e propri per il suo superamento.
Altresì, Cass. 10.1.'91, n.180 , secondo cui nell'esame dell'ammissibilità della procedura di amministrazione controllata, il tribunale deve accertare, oltrechè l'esistenza delle condizioni di cui agli artt. 187 e 160 LF, anche il presupposto oggettivo relativo all'esistenza di un adeguato capitale sociale e, quindi, alla possibilità di una normale operatività imprenditoriale.
Ancora, limitatamente alla giurisprudenza di merito, Tribunale Roma 29.12.'92 , secondo cui il piano di risanamento dell'impresa, a mente dell'art. 187 LF, presuppone la conservazione dell'organismo produttivo ed esclude che possa tradursi in un piano di liquidazione del patrimonio e, parimenti, Tribunale Roma 8.3.'85 , ove si identifica il momento conclusivo dell'amministrazione controllata non già nella riacquisizione da parte dell'impresa della capacità di adempiere alle proprie obbligazioni, quanto, piuttosto, nel recupero della capacità di operare economicamente e, quindi, nel ripristino di concrete possibilità di rilancio.
Da ultimo, meritano cenno Trib. Napoli 14.4.'93, secondo cui, in sede di giudizio di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, l'accertamento delle comprovate possibilità di risanamento dell'impresa va operato non con riferimento ad un'ipotetica ed astratta possibilità di recupero aziendale, ma tenendo conto di tale effettiva probabilità fondata su dati specifici, concreti ed attendibili, in modo tale da imporre al tribunale la verifica delle cause della crisi, l'accertamento della coerenza e della congruenza delle metodologie prospettate come funzionali al loro superamento, della disponibilità e della adeguatezza dei mezzi necessari, nonchè del riacquisto della capacità di adempiere le obbligazioni e, ancora, Trib. Napoli 8.7.'93 , che ha decretato il rigetto dell'istanza di ammissione alla procedura de qua avanzata da un'impresa con problemi di ordine esclusivamente finanziario (l'illiquidità derivava dalla mancata riscossione di un ingente credito nei confronti di un ente pubblico), giacchè lo scopo dell'amministrazione controllata si individua nel risanamento economico, sicchè, allorquando non si configuri siffatta necessità, l'ammissione alla procedura è senz'altro preclusa.
L'ipervalutazione del presupposto delle "comprovate possibilità di risanare l'impresa" è stata oggetto, nondimeno, di autorevole dissenso, giacchè, si è esplicitato , il "risanamento", da intendere nei termini di un riequilibrio gestionale dell'impresa, costituirebbe lo strumento per risolvere la "temporanea difficoltà di adempiere" e, dunque, al più, un obiettivo indiretto della procedura, la cui finalità sarebbe pur sempre costituita dalla tutela dei creditori.
Nel medesimo solco ricostruttivo si è, ancor più compiutamente, precisato che, quantunque l'istituto rinvenga nel risanamento dell'attività economica del debitore il suo fine dichiarato, "si deve tuttavia essere molto cauti nel configurare la amministrazione controllata come un istituto idoneo a soddisfare in modo coerente l'interesse della collettività alla conservazione dell'impresa come fonte di ricchezza e l'interesse dei prestatori di lavoro a conservare la loro occupazione. La disciplina positiva contiene infatti alcuni aspetti fondamentali, in virtù dei quali è necessario riconoscere che il principale interesse alla continuazione dell'impresa preso in considerazione è quello del debitore, mentre viene in considerazione come limite all'ammissibilità dell'istituto e come interesse contrapposto a quello del debitore (e da comporre con esso) l'interesse dei creditori" . "L'amministrazione controllata -prosegue la citata dottrina- è infatti concepita (come il concordato preventivo) quale beneficio per il debitore meritevole, che quindi da un lato deve avere determinati requisiti personali e dall'altro può chiedere o non chiedere l'applicazione della procedura a proprio libito (art. 187 LF); ed una volta che la autorità giudiziaria abbia verificato con un sommario giudizio di ammissione sia la presenza dei requisiti personali del debitore, sia il carattere reversibile della crisi e la possibilità di un risanamento (art. 188 LF), la parola passa al ceto creditorio che può consentire o non consentire l'applicazione dell'istituto con propria insidacabile votazione maggioritaria (cfr. gli artt. 189 ss. LF).......................... Emerge dunque la finalità sanante dell'istituto, ma non emerge in modo autonomo, nè riceve tutela autonoma l'interesse della collettività e dei prestatori di lavoro della collettività e dei prestatori di lavoro a tale risanamento" .
A completamento del panorama delle ricostruzioni sinteticamente tracciato è a dirsi che si è attentamente soggiunto che l'esasperata ipervalutazione del requisito del "risanamento" rappresenta "un punto d'arrivo pericoloso per la stessa sopravvivenza dell'amministrazione controllata, giacchè la simultanea realizzabilità di entrambi gli eventi richiesti (il superamento della temporanea difficoltà ad adempiere ed il risanamento), oltre che ultronea rispetto agli interessi che la legge mostra di voler tutelare, sembra anche utopistica; le possibilità che un'impresa possa essre ammessa alla procedura vengono a ridursi anzi tanto drasticamente, da suscitare anche il dubbio che possa negarsi l'accesso all'amministrazione controllata quando l'impresa sia sana, abbia soltanto problemi di momentanea illiquidità, ma non derivanti da un difetto funzionale della gestione economica" .
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Siccome preannunciato l'excursus all'uopo operato costituisce valido preludio a talune considerazioni in ordine alla procedura di crisi.
Inanzitutto, se è ad opinarsi, alla stregua di ponderati rilievi dottrinali, che la prospettiva del risanamento, nell'ambito della procedura di insolvenza, ove è contemplata quale finalità alternativa alla liquidazione del patrimonio del debitore (art. 2, co. 1, lett. aa)), è quasi inevitabilmente destinata ad esito infausto , è innegabile, viceversa, che la medesima aspirazione riacquisti "credibilità" nel quadro, meno allarmante e non irreversibilmente compromesso, della procedura di crisi ovvero al cospetto del mero pericolo insolvenza.
Pur in siffatto contesto, tuttavia, si profilano i margini di una significativa discrasia: l'attribuzione di autonoma dignità, di specifica rilevanza all'interesse pubblicistico alla conservazione del "bene-impresa", fonte di ricchezza per la collettività , si insinua in un contesto progettuale ove si registra la permanente confluenza di interessi ed aspirazioni di natura diversa, se non addirittura divergenti (l'interesse del debitore, l'interesse del ceto creditorio), confluenza che, nel quadro di una mera giustapposizione, non può che compromettere le future fortune dell'istituto, similmente a quanto è accaduto per l'amministrazione controllta, o cagionare, quanto meno, il drastico ridimensionamento delle possibilità di successo della più ambiziosa e qualificante delle aspirazioni, quella rivolta cioè al ripristino di un rapporto non deficitario tra costi e ricavi.
In questi termini l'efficace valorizzazione di tal'ultimo obiettivo --se questo, beninteso, dev'essere lo scopo da perseguire prioritariamente, valutazione, tal'ultima, che, è evidente, compete al politico e non al giurista-- implica necessariamente un più compiuto coordinamento tra i molteplici interessi che entrano in gioco, fors'anche, un certo qual ridimensionamento della valenza degli interessi facenti capo, rispettivamente al debitore ed al ceto creditorio .
Recentemente, nel quadro di un intervento operato nell'ambito di un seminario organizzato sul medesimo tema, ho, con particolare fervore, prospettato, nell'ottica, appunto, della valorizzazione dell'interesse all conservazione del "bene-impresa", la possibilità della dilatazione della sfera, di contro rigorosamente circoscritta al solo debitore (art. 2, co. 1, lett. e)), dei soggetti legittimati a domandare l'apertura della procedura "anticipatoria", segnatamente ho prospettato l'opportunità del riconoscimento della legittimazione ad agire in favore del pubblico ministero, dell'organo cioè istituzionalmente preposto alla tutela del pubblico interesse.
In questa sede non vi è ragione chè non ribadisca quell'indicazione, puntualizzando, al contempo, che l'espansione del diagramma della legittimazione non varrebbe a rendere evanescente il confine con la procedura d'insolvenza: quivi, a presidio dell'interesse, del pari pubblicistico, all'ordinato svolgimento ed alla regolarità dei rapporti economici , permane, per giunta, l'iniziativa officiosa (art. 2, co. 1, lett. bb)); anzi la rimodulazione, nei termini esposti, della cerchia dei soggetti legittimati riprodurrebbe fedelmente l'intima essenza delle nozioni, in graduale connessione, di insolvenza e pericolo di insolvenza, siccome esplicitanti stadi di sviluppo di un medesimo fenomeno, nel cui ambito, benvero, il pericolo esprime la probabilità dell'evoluzione degenerativa.
Contestualmente, nell'ottica prefigurata, sul versante della correlazione tra interesse del ceto creditorio ed interesse pubblicistico al "risanamento", non sarebbe inopportuno vagliare la possibilità di mitigare il rigoroso effetto preclusivo scaturente, attualmente, dall'esito minoritario delle votazioni, svincolando l'instaurazione del giudizio di omologazione del piano di risanamento dal necessario raggiungimento di determinate maggioranze numeriche e di somma e connotando in guisa consultiva l'interpello dei creditori, seppur qualificandone l'esito come momento rilevante della più complessa delibazione demandata al tribunale. Oppure, con maggior cautela e più semplicemente, potrebbero affievolirsi i quorum a raggiungersi ai fini dell'instaurazione della fase omologatoria. Del resto, lo si è anticipato, il progetto governativo sollecita espressamente il legislatore delegato, in relazione alla disciplinanda fase delle votazioni, alle opportune differenziazioni delle ragioni creditorie (art. 2, co. 1, lett. t)), aprendo la breccia a soluzioni favorevoli all'attribuzione di un peso determinante alla volontà di date categorie di creditori e, legittimando, dunque, -suppongo- innovazioni orientate all'abbassamento dei quorum.
Per altro verso, a rafforzare la prospettiva del risanamento, potrebbe recepirsi espressamente, nel quadro della disposizione di cui all'art. 2, co. 1, lett. n), l'indicazione giurisprudenziale propensa a non escludere la legittimità del pagamento di taluni crediti pregressi, operato dall'imprenditore ammesso alla procedura di amministrazione controllata, sulla scorta dell'autorizzazione del g.d. ed allorquando sia giustificato dalle esigenze e finalità proprie della procedura ovvero si ponga in funzione del risanamento dell'impresa, sì da poter reputarsi conforme all'interesse generale del ceto creditorio .
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Certo, le soluzioni auspicate, segnatamente la prima e la seconda, recherebbero in sè, evidente, il marchio della novità, in patente antitesi con una tradizione di segno contrario . Ciò nondimeno, si connoterebbero quale logico e coerente corollario di una costruzione che, esaltando la valenza pubblicistica di date forme di ricchezza privata, appare senza dubbio, per tale aspetto, in armonia con le opzioni decisive operate dal nostro Costituente, segnatamente con l'istanza progressiva, positivamente recepita al co. 2 dell'art. 3 della Carta Fondamentale, che al contempo spiega e dà ragione del parametro dell' "utilità sociale", prefigurato, al co. 2 dell'art. 41 Cost., quale limite alla libertà di iniziativa economica privata riconosciuta e garantita al co. 1 del medesimo articolo.
Non è questa, di sicuro, la sede per introdursi alle difficoltà teoretiche che la nozione di "utilità sociale" comporta ovvero per dar conto del pericolo di identificazione di siffatto parametro con interessi meramente settoriali o corporativi . E' sufficiente, nondimeno, evidenziare che la giurisprudenza costituzionale, traendo spunto da pertinenti osservazioni dottrinali, ha ricondotto alla nozione de qua gli interessi che "fanno capo mediatamente o immediatamente alla collettività nazionale, e non esclusivamente a singole categorie di operatori economici" : in questi termini è difficile negare che l'aspirazione alla salvaguardia dei fattori che concorrono alla produzione nazionale e, parallelamente, dei livelli occupazionali, al di là della vicenda contingente della forza-lavoro alle dipendenze dell'imprenditore in difficoltà, faccia capo alla comunità generale, sicchè a buon titolo il pubblico ministero potrebbe rendersene portatore ed il tribunale interprete a dispetto del contingente interesse del ceto creditorio.
Le premesse argomentazioni, dunque, inducono, pur in relazione al pericolo di insolvenza connesso a realtà imprenditoriali di medio-piccola entità , a non condividere i timori di compressione della libertà di iniziativa economica palesati in special modo con riferimento a siffatte realtà produttive .
In ogni caso se l'obiettivo è quello della prevenzione dell'insolvenza ovvero della predisposizione di strumenti idonei acchè il sistema economico abbia a soffrir il meno possibile di crisi d'impresa irreversibili, è inevitabile che alla "logica dell'efficienza" si sacrifichino in certa qual misura le "ragioni delle garanzie" . D'altro canto, è doveroso --mi sembra-- trarre motivi di riflessione dalla vicenda storica dell'amministrazione controllata, il cui percorso applicativo ne registra già da tempo la sostanziale desuetudine: alla chimera del risanamento nel quadro della procedura di insolvenza farebbe da sponda, a fronte della scarsa (recte: inesistente) disponibilità (che l'esperienza quotidiana segnala inconfutabilmente) dell'imprenditore a rivolgersi al tribunale in situazioni di transitoria difficoltà, la marginalità applicativa della procedura di crisi --ed il pronostico non appia azzardato--, al più attivata a rinnovare la speranza di "morbidi atterraggi" alla fase della liquidazione, ad insolvenza già conclamata .
La prospettazione operata in terza battuta, concernente la possibilità di pagamento dei crediti pregressi, benchè, a prima vista, sembri attenere ad un profilo marginale, sottende, nondimeno, un thema di grande respiro: nella misura in cui può tradursi in un vulnus significativo alla regola della par condicio (nella prospettiva malaugurata, ma non inverosimile della successiva instaurazione della procedura d'insolvenza) , espressione, quest'ultima, di una precipua scelta del legislatore, involge il rapporto giudice-legge e, dunque, può sostanziare compressioni del principio di legalità. Beninteso, non è che la regola della par condicio non soffra, nel nostro ordinamento, eccezioni, molteplici eccezioni; ciò nonostante, le deroghe alla regola del trattamento paritario si producono, per così dire, "per mano dello stesso legislatore".
In questi termini si svela la reale criticità del passaggio che, potendo importare concreti e reali vantaggi solo ed esclusivamente per singoli determinati creditori, scarsi agganci -mi sembra- potrebbe rinvenire nelle previsioni costituzionali.
Ed è a fronte di simile perigliosa evenienza che si arresta il mio entusiasmo, la mia disponibilità all'innovazione.
Napoli addì 16.3.2001.


 












 

 

 


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