La
procedura di crisi: tra solerte iniziativa del debitore e
pericolo d'insolvenza
LUIGI
ABETE
Giudice
presso la sezione fallimentare del tribunale di Napoli
L'approccio al tema della procedura di crisi, di cui al disegno
di legge recante "Delega al Governo per la riforma delle
procedure relative alle imprese in crisi", approvato
dal Consiglio dei Ministri in data 27.10.2000, postula, necessariamente
e preliminarmente, la sintetica enunciazione dei tratti fisionomici
che, nel più ampio quadro del progetto di riforma,
concorrono al caratterizzarla.
In questa prospettiva va evidenziato che la costruzione governativa
prevede, tra gli altri, quali criteri direttivi, innanzitutto,
che le procedure di fallimento, di concordato preventivo,
di amministrazione controllata e di liquidazione coatta amministrativa
siano sostituite da una procedura unitaria di insolvenza,
a fasi successive ed avente caratteristiche di flessibilità,
e da una procedura di crisi, anticipatoria di quella di insolvenza
(art. 2, co. 1, lett. a)) .
Con specifico riguardo alla procedura di crisi si prefigura
espressamente
--che possa essere avviata in via esclusiva su istanza del
debitore, in presenza di sintomi di squilibrio patrimoniale,
economico o finanziario, tali da determinare pericolo di insolvenza
(art. 2, co. 1, lett. e));
--che, con l'istanza di ammissione alla procedura di crisi,
il debitore proponga un piano di risanamento dell'impresa
e di estinzione delle obbligazioni, anche mediante pagamento
differito, rateale ed in percentuale dei creditori, di durata
non superiore a due anni (art. 2, co. 1, lett. f)) ;
--che la tutela dei livelli occupazionali costituisca, per
quanto possibile, l'obiettivo del programma di risanamento
(art. 2, co. 1, lett. h));
--che, nel corso della procedura di crisi, la gestione dell'impresa
e l'amministrazione del patrimonio resti affidata al debitore,
sotto la vigilanza del commissario giudiziale, salva la necessità
dell'autorizzazione del commissario o del giudice delegato
per il compimento di atti di particolare rilevanza (art. 2,
co. 1, lett. n)) ;
--che, aperta la procedura di crisi, operino il divieto di
proposizione ovvero di prosecuzione delle azioni esecutive
individuali, la sanzione dell'inefficacia degli atti di acquisto
di diritti di prelazione e delle formalità compiute
al fine dell'opponibilità degli atti ai terzi, la sospensione
degli interessi legali sui crediti chirografari (art. 2, co.
1, lett. o));
--che il programma di risanamento sia approvato dai creditori
secondo maggioranze numeriche e di somma; segnatamente, ai
fini della votazione, si prefigura che i crediti, eventualmente
in connessione con i contenuti del piano, siano ripartiti
in classi omogenee per interessi economici nonchè la
necessità della disciplina dei rapporti tra esiti della
votazione delle singole classi ed esito complessivo delle
votazioni (art. 2, co. 1, lett. t));
--che, in ipotesi di raggiungimento delle maggioranze, sia
prevista l'apertura del giudizio di omologazione del piano
di risanamento, da definirsi con sentenza del tribunale emessa
in camera di consiglio, ovvero, in ipotesi di rigetto dell'istanza
di apertura della procedura di crisi o di mancata omologazione
del piano di risanamento, che il tribunale o il giudice delegato
promuovano, sussistendone i presupposti, la dichiarazione
dello stato di insolvenza (art. 2, co. 1, lett. u)) ;
--che, in ipotesi di omologazione del piano, la sua esecuzione
si concluda entro il termine di due anni, salvo proroga di
sei mesi, richiesta dal debitore, accettata dai creditori
ed approvata dal tribunale e che il medesimo tribunale ne
verifichi alla scadenza l'avvenuta realizzazione; altresì,
che il tribunale possa disporre la cessazione della procedura,
ove questa non risulti utilmente proseguibile o il debitore
non abbia eseguito i pagamenti alle scadenze stabilite, ovvero
disporne la revoca qualora risulti che il debitore abbia omesso
informazioni rilevanti o compiuto atti in frode in danno dei
creditori (art. 2, co. 1, lett. v)) (in siffatta ipotesi il
tribunale potrà dichiarare lo stato di insolvenza qualora
ne sussistano i presupposti).
Dal canto suo, la procedura d'insolvenza è destinata,
ove possibile, parimenti alla conservazione totale o parziale
dell'impresa o, in mancanza, alla liquidazione del patrimonio
del debitore ed al soddisfacimento dei creditori (art. 2,
co. 1, lett. aa)).
Più esattamente, si prevede, sulla scorta dell'esperienza
maturata in sede di innovazione dell'istituto della amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi , che la procedura
sia strutturata in due distinte fasi: la prima, di osservazione,
della durata massima di novanta giorni, volta all'accertamento
della reale consistenza dell'impresa e del patrimonio del
debitore ed alla scelta della concreta soluzione da adottare;
la seconda, di attuazione di un programma di risanamento totale
o parziale dell'impresa ovvero, in via alternativa, di liquidazione
e in ogni caso di soddisfacimento dei creditori (art. 2, co.
1, lett. dd)). E', nondimeno, prevista la possibilità
che il tribunale disponga, con la stessa sentenza che dichiara
lo stato di insolvenza ovvero con successivo decreto, ancor
prima che sia scaduto il termine della fase di osservazione,
l'immediata liquidazione, quando risulti evidente l'inesistenza
di prospettive di risanamento, anche solo parziale dell'impresa
(art. 2, co. 1, lett. ee)). E' espressamente prefigurata,
inoltre, la possibilità che il programma di risanamento
si risolva nella cessione dei complessi aziendali, nel pagamento
in percentuale dei crediti ovvero, ancora, in altre modalità
all'occorrenza concordate da debitore e dai creditori e da
ogni altro interessato (art. 2, co. 1, lett. ff)).
*****
Al di là dell'esito naturale -e recentissimo- dell'ultima
legislatura la stagione delle riforme -inequivoci segni lo
testimoniano- sembra apertasi irreversibilmente .
Ed allorquando la stagione delle riforme si inaugura, irresistibile
diviene la tentazione a ripercorrere i passi compiuti: "tutte
le volte che il giurista torna ad essere <uomo di progetti>,
si riannodano naturalmente i fili tra presente e passato e
si disvela la radicazione prodonda di un istituto" .
In questi termini una pur superficiale valutazione delle potenzialità
connesse alla procedura anticipatoria, non può prescindere
dalla ricognizione dei profili salienti dell'elaborazione,
giurisprudenziale e dottrinale, che ha riguardato, in modo
specifico, l'amministrazione controllata, procedura, quest'ultima,
che, indubbiamente, ne costituisce l'immediato e diretto antecedente.
*****
Ancor'prima di dar corso alla preannunciata opera ricognitiva,
tuttavia, va debitamente rimarcato il rilievo primo cui induce
la sommaria enunciazione di taluni dei tratti tipizzanti la
probabile futura disciplina della gestione della crisi d'impresa:
le procedure esistenti, attualmente separate, vengono configurate
quali possibili diversi sviluppi di un unico procedimento,
in aderenza ad una prospettiva de jure condendo giudicata
senza dubbio nei termini di un apprezzabile ed auspicabile
tentativo di razionalizzazione dell'intero sistema .
Al contempo, si registra, sulla scorta dell'oramai consolidata
consapevolezza delle rilevanti implicazioni, economiche e
sociali, che la crisi d'impresa determina in una società
industriale avanzata e delle sollecitazioni che provengono
dalla riflessione di diritto comparato , la confluenza e la
coesistenza, nel quadro di una procedura a struttura tendenzialmente
unitaria, delle diverse aspirazioni, dei diversi interessi
coinvolti nella medesima crisi, tra cui, con una valenza affatto
nuova, l'aspirazione a non disperdere, nell'interesse della
collettività e dei prestatori di lavoro, quella fonte
di ricchezza che l'impresa rappresenta.
In verità, l'esigenza della conservazione dei complessi
aziendali, in considerazione delle ragioni, di valenza pubblicistica,
connesse alla loro sopravvivenza, ha trovato esplicazione,
seppur con riferimento alle crisi di più ampie dimensioni,
con l'introduzione nel nostro ordinamento dell'amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi, di cui al decreto
legge 30.1.'79, n. 26, convertito con modificazioni nella
legge 3.4.'79, n. 95 . La medesima esigenza si è poi
a pieno titolo consolidata con l'entrata in vigore del decreto
legislativo dell' 8.7.'99, n. 270 che ha ridisegnato, in guisa
fortemente innovativa, l'istituto dell'amministrazione straordinaria
: la premessa strategica che costituisce il motivo ispiratore
del decreto legislativo testè citato, difatti, è
a ravvisarsi, siccome esplicita la relazione governativa,
nell'oramai diffusa consapevolezza che un moderno sistema
concorsuale non può prescindere da una procedura che,
sganciandosi "dalla ferrea logica <darwiniana>
dell'eliminazione dal mercato dei <soggetti deboli>
..........., tenda a salvaguardare, di fronte a dissesti particolarmente
allarmanti sul piano delle ricadute socio-economiche, il <bene-impresa>,
quale entità oggettiva distinta dall'imprenditore nella
sua duplice valenza di fonte unitaria di produzione e di fattore
di mantenimento dell'occupazione" .
Nondimeno, la delineata aspirazione a garantire la conservazione
dei complessivi produttivi, quale valore dotato di sua autonoma
rilevanza, distinto dall'interesse del ceto creditorio e dall'interesse
dello stesso debitore, esula senza dubbio dall'ambito teleologico
del r.d. 16.3.'42, n. 267, segnatamente della disciplina del
fallimento, la cui finalità, di rilievo parimenti pubblicistico,
è da ravvisare "nell'interesse della collettività
di liberarsi di quegli organismi insolventi che continuando
a contrarre disordinatamente obbligazioni con una serie indeterminata
ed indeterminabile di soggetti, arrecano grave pregiudizio
al tessuto sociale ed al pubblico credito" .
Per altro verso, è stato, sì, evidenziato che
il panorama delle utilità cui l'istituto del concordato
preventivo si presta, può palesarne una certa qual
attitudine a consentire il recupero dell'impresa insolvente
, tuttavia si è al contempo sottolineato che non è
questa la finalità per cui l'istituto è stato
concepito: "in primo luogo il concordato preventivo può
trovare applicazione solo a patto che il debitore lo chieda
(diversamente da quanto accadeva ad esempiio in Francia prima
del 1985, nell'ambito del reglement judiciaire)..........";
"in secondo luogo, i residui aspetti della disciplina
dell'istituto fanno emergere in primo piano l'interesse del
ceto creditorio: giacchè l'istanza del debitore è
ammissibile solo a patto che per il ceto creditorio sia garantita
o sia seriamente prevedibile una certa soddisfazione.......;
il ceto creditorio può negare l'applicazione dell'istituto
con propria votazione insindacabile" .
*****
La vicenda storica dell'amministrazione controllata reca in
sè, emblematicamente, i segni di un processo di sovrapposizione
di obiettivi politici di marca diversa che, giustapponendosi,
senza elidersi, l'un l'altro , hanno caricato l'istituto di
incongruenze e, fors'anche, di contraddizioni tali da comprometterne,
irrimediabilmente, la concreta fruibilità .
L'art. 187 LF, nella sua originaria formulazione, statuiva
che "l'imprenditore che si trova in temporanea difficoltà
di adempiere le proprie obbligazioni, se ricorrono le condizioni
previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo comma dell'art. 160,
può chiedere al tribunale il controllo della gestione
della sua impresa e dell'amministrazione dei suoi beni a tutela
degli interessi dei creditori, per un periodo non superiore
ad un anno".
La citata disposizione normativa è stata modificata
dall'art. 1 della legge del 24.7.'78, n. 391, che ha ampliato
sino a due anni la durata massima della procedura ed ha previsto,
altresì, ai fini dell'ammissione, la sussistenza di
"comprovate possibilità di risanare l'impresa".
Il significato della riferita innovazione legislativa è
stato, in dottrina, da più parti enfatizzato : si è
reputato che il "risanamento" si connoti come il
nuovo, prevalente scopo della procedura, oramai rivolta alla
realizzazione di finalità spiccatamente pubblicistiche
e non più diretta alla mera salvaguardia del credito
commerciale. In ogni caso, è apparso imprescidibile
attribuire al risanamento dell'impresa, quanto meno, un'autonomo
rilievo, che valesse a distinguerlo dall'estremo del "superamento
della temporanea insolvenza", già contemplato
nel dettato legislativo: si è interpretato il novellato
co. 1 dell'art. 187 LF nel senso che richieda la concorrente
sussistenza di due requisiti ovvero che l'insolvenza sia temporanea
e reversibile ed, al contempo, che l'impresa sia risanabile;
che l'imprenditore, dunque, recuperi la liquidità sufficiente
per pagare i debiti scaduti, eliminando contestualmente quelle
incongrenze gestionali idonee a determinare nuovamente, nell'immediato
futuro, uno stato di crisi finanziaria.
In tal guisa è stata radicalmente stravolta la connotazione
riconosciuta all'amministrazione controllata nel vigore del
vecchio testo dell'art. 187 LF, allorchè suo presupposto
oggettivo era unicamente quello della temporanea insolvenza
e sua esclusiva finalità quella desumibile implicitamente
dalla previsione dell'art. 193 LF, sostanziantesi nel mero
ripristino della solvibilità, nel recupero da parte
dell'imprenditore della capacità di soddisfare regolarmente
le proprie obbligazioni .
Sul fronte giurisprudenziale, del pari, si è registrato
un corposo indirizzo interpretativo senza dubbio incline a
valorizzare la portata del requisito del "risanamento",
siccome introdotto dalla novella del '78.
Si segnala, in tal senso, Cass. 23.8.'91, n. 9046 , secondo
cui il concetto di comprovate possibilità di risanare
l'impresa, ai fini dell'ammissione dell'imprenditore commerciale
alla procedura di amministrazione controllata, va ricollegato
alla sussistenza delle concrete possibilità di eliminare
le cause della difficoltà dell'impresa, avuto riguardo
alla specifica natura della crisi dell'azienda ed alla disponibilità
sul piano previsionale dei mezzi adeguati e propri per il
suo superamento.
Altresì, Cass. 10.1.'91, n.180 , secondo cui nell'esame
dell'ammissibilità della procedura di amministrazione
controllata, il tribunale deve accertare, oltrechè
l'esistenza delle condizioni di cui agli artt. 187 e 160 LF,
anche il presupposto oggettivo relativo all'esistenza di un
adeguato capitale sociale e, quindi, alla possibilità
di una normale operatività imprenditoriale.
Ancora, limitatamente alla giurisprudenza di merito, Tribunale
Roma 29.12.'92 , secondo cui il piano di risanamento dell'impresa,
a mente dell'art. 187 LF, presuppone la conservazione dell'organismo
produttivo ed esclude che possa tradursi in un piano di liquidazione
del patrimonio e, parimenti, Tribunale Roma 8.3.'85 , ove
si identifica il momento conclusivo dell'amministrazione controllata
non già nella riacquisizione da parte dell'impresa
della capacità di adempiere alle proprie obbligazioni,
quanto, piuttosto, nel recupero della capacità di operare
economicamente e, quindi, nel ripristino di concrete possibilità
di rilancio.
Da ultimo, meritano cenno Trib. Napoli 14.4.'93, secondo cui,
in sede di giudizio di ammissione alla procedura di amministrazione
controllata, l'accertamento delle comprovate possibilità
di risanamento dell'impresa va operato non con riferimento
ad un'ipotetica ed astratta possibilità di recupero
aziendale, ma tenendo conto di tale effettiva probabilità
fondata su dati specifici, concreti ed attendibili, in modo
tale da imporre al tribunale la verifica delle cause della
crisi, l'accertamento della coerenza e della congruenza delle
metodologie prospettate come funzionali al loro superamento,
della disponibilità e della adeguatezza dei mezzi necessari,
nonchè del riacquisto della capacità di adempiere
le obbligazioni e, ancora, Trib. Napoli 8.7.'93 , che ha decretato
il rigetto dell'istanza di ammissione alla procedura de qua
avanzata da un'impresa con problemi di ordine esclusivamente
finanziario (l'illiquidità derivava dalla mancata riscossione
di un ingente credito nei confronti di un ente pubblico),
giacchè lo scopo dell'amministrazione controllata si
individua nel risanamento economico, sicchè, allorquando
non si configuri siffatta necessità, l'ammissione alla
procedura è senz'altro preclusa.
L'ipervalutazione del presupposto delle "comprovate possibilità
di risanare l'impresa" è stata oggetto, nondimeno,
di autorevole dissenso, giacchè, si è esplicitato
, il "risanamento", da intendere nei termini di
un riequilibrio gestionale dell'impresa, costituirebbe lo
strumento per risolvere la "temporanea difficoltà
di adempiere" e, dunque, al più, un obiettivo
indiretto della procedura, la cui finalità sarebbe
pur sempre costituita dalla tutela dei creditori.
Nel medesimo solco ricostruttivo si è, ancor più
compiutamente, precisato che, quantunque l'istituto rinvenga
nel risanamento dell'attività economica del debitore
il suo fine dichiarato, "si deve tuttavia essere molto
cauti nel configurare la amministrazione controllata come
un istituto idoneo a soddisfare in modo coerente l'interesse
della collettività alla conservazione dell'impresa
come fonte di ricchezza e l'interesse dei prestatori di lavoro
a conservare la loro occupazione. La disciplina positiva contiene
infatti alcuni aspetti fondamentali, in virtù dei quali
è necessario riconoscere che il principale interesse
alla continuazione dell'impresa preso in considerazione è
quello del debitore, mentre viene in considerazione come limite
all'ammissibilità dell'istituto e come interesse contrapposto
a quello del debitore (e da comporre con esso) l'interesse
dei creditori" . "L'amministrazione controllata
-prosegue la citata dottrina- è infatti concepita (come
il concordato preventivo) quale beneficio per il debitore
meritevole, che quindi da un lato deve avere determinati requisiti
personali e dall'altro può chiedere o non chiedere
l'applicazione della procedura a proprio libito (art. 187
LF); ed una volta che la autorità giudiziaria abbia
verificato con un sommario giudizio di ammissione sia la presenza
dei requisiti personali del debitore, sia il carattere reversibile
della crisi e la possibilità di un risanamento (art.
188 LF), la parola passa al ceto creditorio che può
consentire o non consentire l'applicazione dell'istituto con
propria insidacabile votazione maggioritaria (cfr. gli artt.
189 ss. LF).......................... Emerge dunque la finalità
sanante dell'istituto, ma non emerge in modo autonomo, nè
riceve tutela autonoma l'interesse della collettività
e dei prestatori di lavoro della collettività e dei
prestatori di lavoro a tale risanamento" .
A completamento del panorama delle ricostruzioni sinteticamente
tracciato è a dirsi che si è attentamente soggiunto
che l'esasperata ipervalutazione del requisito del "risanamento"
rappresenta "un punto d'arrivo pericoloso per la stessa
sopravvivenza dell'amministrazione controllata, giacchè
la simultanea realizzabilità di entrambi gli eventi
richiesti (il superamento della temporanea difficoltà
ad adempiere ed il risanamento), oltre che ultronea rispetto
agli interessi che la legge mostra di voler tutelare, sembra
anche utopistica; le possibilità che un'impresa possa
essre ammessa alla procedura vengono a ridursi anzi tanto
drasticamente, da suscitare anche il dubbio che possa negarsi
l'accesso all'amministrazione controllata quando l'impresa
sia sana, abbia soltanto problemi di momentanea illiquidità,
ma non derivanti da un difetto funzionale della gestione economica"
.
*****
Siccome preannunciato l'excursus all'uopo operato costituisce
valido preludio a talune considerazioni in ordine alla procedura
di crisi.
Inanzitutto, se è ad opinarsi, alla stregua di ponderati
rilievi dottrinali, che la prospettiva del risanamento, nell'ambito
della procedura di insolvenza, ove è contemplata quale
finalità alternativa alla liquidazione del patrimonio
del debitore (art. 2, co. 1, lett. aa)), è quasi inevitabilmente
destinata ad esito infausto , è innegabile, viceversa,
che la medesima aspirazione riacquisti "credibilità"
nel quadro, meno allarmante e non irreversibilmente compromesso,
della procedura di crisi ovvero al cospetto del mero pericolo
insolvenza.
Pur in siffatto contesto, tuttavia, si profilano i margini
di una significativa discrasia: l'attribuzione di autonoma
dignità, di specifica rilevanza all'interesse pubblicistico
alla conservazione del "bene-impresa", fonte di
ricchezza per la collettività , si insinua in un contesto
progettuale ove si registra la permanente confluenza di interessi
ed aspirazioni di natura diversa, se non addirittura divergenti
(l'interesse del debitore, l'interesse del ceto creditorio),
confluenza che, nel quadro di una mera giustapposizione, non
può che compromettere le future fortune dell'istituto,
similmente a quanto è accaduto per l'amministrazione
controllta, o cagionare, quanto meno, il drastico ridimensionamento
delle possibilità di successo della più ambiziosa
e qualificante delle aspirazioni, quella rivolta cioè
al ripristino di un rapporto non deficitario tra costi e ricavi.
In questi termini l'efficace valorizzazione di tal'ultimo
obiettivo --se questo, beninteso, dev'essere lo scopo da perseguire
prioritariamente, valutazione, tal'ultima, che, è evidente,
compete al politico e non al giurista-- implica necessariamente
un più compiuto coordinamento tra i molteplici interessi
che entrano in gioco, fors'anche, un certo qual ridimensionamento
della valenza degli interessi facenti capo, rispettivamente
al debitore ed al ceto creditorio .
Recentemente, nel quadro di un intervento operato nell'ambito
di un seminario organizzato sul medesimo tema, ho, con particolare
fervore, prospettato, nell'ottica, appunto, della valorizzazione
dell'interesse all conservazione del "bene-impresa",
la possibilità della dilatazione della sfera, di contro
rigorosamente circoscritta al solo debitore (art. 2, co. 1,
lett. e)), dei soggetti legittimati a domandare l'apertura
della procedura "anticipatoria", segnatamente ho
prospettato l'opportunità del riconoscimento della
legittimazione ad agire in favore del pubblico ministero,
dell'organo cioè istituzionalmente preposto alla tutela
del pubblico interesse.
In questa sede non vi è ragione chè non ribadisca
quell'indicazione, puntualizzando, al contempo, che l'espansione
del diagramma della legittimazione non varrebbe a rendere
evanescente il confine con la procedura d'insolvenza: quivi,
a presidio dell'interesse, del pari pubblicistico, all'ordinato
svolgimento ed alla regolarità dei rapporti economici
, permane, per giunta, l'iniziativa officiosa (art. 2, co.
1, lett. bb)); anzi la rimodulazione, nei termini esposti,
della cerchia dei soggetti legittimati riprodurrebbe fedelmente
l'intima essenza delle nozioni, in graduale connessione, di
insolvenza e pericolo di insolvenza, siccome esplicitanti
stadi di sviluppo di un medesimo fenomeno, nel cui ambito,
benvero, il pericolo esprime la probabilità dell'evoluzione
degenerativa.
Contestualmente, nell'ottica prefigurata, sul versante della
correlazione tra interesse del ceto creditorio ed interesse
pubblicistico al "risanamento", non sarebbe inopportuno
vagliare la possibilità di mitigare il rigoroso effetto
preclusivo scaturente, attualmente, dall'esito minoritario
delle votazioni, svincolando l'instaurazione del giudizio
di omologazione del piano di risanamento dal necessario raggiungimento
di determinate maggioranze numeriche e di somma e connotando
in guisa consultiva l'interpello dei creditori, seppur qualificandone
l'esito come momento rilevante della più complessa
delibazione demandata al tribunale. Oppure, con maggior cautela
e più semplicemente, potrebbero affievolirsi i quorum
a raggiungersi ai fini dell'instaurazione della fase omologatoria.
Del resto, lo si è anticipato, il progetto governativo
sollecita espressamente il legislatore delegato, in relazione
alla disciplinanda fase delle votazioni, alle opportune differenziazioni
delle ragioni creditorie (art. 2, co. 1, lett. t)), aprendo
la breccia a soluzioni favorevoli all'attribuzione di un peso
determinante alla volontà di date categorie di creditori
e, legittimando, dunque, -suppongo- innovazioni orientate
all'abbassamento dei quorum.
Per altro verso, a rafforzare la prospettiva del risanamento,
potrebbe recepirsi espressamente, nel quadro della disposizione
di cui all'art. 2, co. 1, lett. n), l'indicazione giurisprudenziale
propensa a non escludere la legittimità del pagamento
di taluni crediti pregressi, operato dall'imprenditore ammesso
alla procedura di amministrazione controllata, sulla scorta
dell'autorizzazione del g.d. ed allorquando sia giustificato
dalle esigenze e finalità proprie della procedura ovvero
si ponga in funzione del risanamento dell'impresa, sì
da poter reputarsi conforme all'interesse generale del ceto
creditorio .
*****
Certo, le soluzioni auspicate, segnatamente la prima e la
seconda, recherebbero in sè, evidente, il marchio della
novità, in patente antitesi con una tradizione di segno
contrario . Ciò nondimeno, si connoterebbero quale
logico e coerente corollario di una costruzione che, esaltando
la valenza pubblicistica di date forme di ricchezza privata,
appare senza dubbio, per tale aspetto, in armonia con le opzioni
decisive operate dal nostro Costituente, segnatamente con
l'istanza progressiva, positivamente recepita al co. 2 dell'art.
3 della Carta Fondamentale, che al contempo spiega e dà
ragione del parametro dell' "utilità sociale",
prefigurato, al co. 2 dell'art. 41 Cost., quale limite alla
libertà di iniziativa economica privata riconosciuta
e garantita al co. 1 del medesimo articolo.
Non è questa, di sicuro, la sede per introdursi alle
difficoltà teoretiche che la nozione di "utilità
sociale" comporta ovvero per dar conto del pericolo di
identificazione di siffatto parametro con interessi meramente
settoriali o corporativi . E' sufficiente, nondimeno, evidenziare
che la giurisprudenza costituzionale, traendo spunto da pertinenti
osservazioni dottrinali, ha ricondotto alla nozione de qua
gli interessi che "fanno capo mediatamente o immediatamente
alla collettività nazionale, e non esclusivamente a
singole categorie di operatori economici" : in questi
termini è difficile negare che l'aspirazione alla salvaguardia
dei fattori che concorrono alla produzione nazionale e, parallelamente,
dei livelli occupazionali, al di là della vicenda contingente
della forza-lavoro alle dipendenze dell'imprenditore in difficoltà,
faccia capo alla comunità generale, sicchè a
buon titolo il pubblico ministero potrebbe rendersene portatore
ed il tribunale interprete a dispetto del contingente interesse
del ceto creditorio.
Le premesse argomentazioni, dunque, inducono, pur in relazione
al pericolo di insolvenza connesso a realtà imprenditoriali
di medio-piccola entità , a non condividere i timori
di compressione della libertà di iniziativa economica
palesati in special modo con riferimento a siffatte realtà
produttive .
In ogni caso se l'obiettivo è quello della prevenzione
dell'insolvenza ovvero della predisposizione di strumenti
idonei acchè il sistema economico abbia a soffrir il
meno possibile di crisi d'impresa irreversibili, è
inevitabile che alla "logica dell'efficienza" si
sacrifichino in certa qual misura le "ragioni delle garanzie"
. D'altro canto, è doveroso --mi sembra-- trarre motivi
di riflessione dalla vicenda storica dell'amministrazione
controllata, il cui percorso applicativo ne registra già
da tempo la sostanziale desuetudine: alla chimera del risanamento
nel quadro della procedura di insolvenza farebbe da sponda,
a fronte della scarsa (recte: inesistente) disponibilità
(che l'esperienza quotidiana segnala inconfutabilmente) dell'imprenditore
a rivolgersi al tribunale in situazioni di transitoria difficoltà,
la marginalità applicativa della procedura di crisi
--ed il pronostico non appia azzardato--, al più attivata
a rinnovare la speranza di "morbidi atterraggi"
alla fase della liquidazione, ad insolvenza già conclamata
.
La prospettazione operata in terza battuta, concernente la
possibilità di pagamento dei crediti pregressi, benchè,
a prima vista, sembri attenere ad un profilo marginale, sottende,
nondimeno, un thema di grande respiro: nella misura in cui
può tradursi in un vulnus significativo alla regola
della par condicio (nella prospettiva malaugurata, ma non
inverosimile della successiva instaurazione della procedura
d'insolvenza) , espressione, quest'ultima, di una precipua
scelta del legislatore, involge il rapporto giudice-legge
e, dunque, può sostanziare compressioni del principio
di legalità. Beninteso, non è che la regola
della par condicio non soffra, nel nostro ordinamento, eccezioni,
molteplici eccezioni; ciò nonostante, le deroghe alla
regola del trattamento paritario si producono, per così
dire, "per mano dello stesso legislatore".
In questi termini si svela la reale criticità del passaggio
che, potendo importare concreti e reali vantaggi solo ed esclusivamente
per singoli determinati creditori, scarsi agganci -mi sembra-
potrebbe rinvenire nelle previsioni costituzionali.
Ed è a fronte di simile perigliosa evenienza che si
arresta il mio entusiasmo, la mia disponibilità all'innovazione.
Napoli addì 16.3.2001.
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