ESECUZIONE
DEL CREDITO FONDIARIO, REVOCA DEL FALLIMENTO, STRUMENTI DI
TUTELA DEL CREDITORE E DOVERI DEL CURATORE
ALBERTO
SAGNA
Avvocato
Via
Germanico 170
00192-
Roma
E-Mail:
alsagna@tin.it
www.sagna.italex.net
1-
La complessa e spinosa problematica oggetto della presente
analisi trae origine da un concreto caso giudiziario.
Il
giudice delegato al fallimento dispone la vendita di un immobile
gravato di ipoteca ancorché tale bene fosse già
stato inizialmente assoggettato alla procedura esecutiva speciale
ex art. 42 T.U. 16 luglio 1905 n. 646, con successive modifiche,
ad opera di un Istituto di credito fondiario.
L'ipoteca,
iscritta a favore della predetta banca creditrice, viene cancellata
in sede di decreto di trasferimento dell' immobile, a seguito
delle operazioni di vendita compiute nell'ambito della procedura
concorsuale.
Successivamente,
a seguito del giudizio di opposizione alla dichiarazione di
fallimento ex art. 18 L.F., viene revocata la sentenza dichiarativa
di fallimento che passa in giudicato per mancato gravame.
A
questo punto la folgorante macchina del fallimento si arresta
senza aver nulla disposto in ordine alla distribuzione del
ricavato in favore dei creditori.
La
Banca creditrice ipotecaria ricorre al G.D. chiedendo l'assegnazione
diretta della somma ricavata dalla vendita ed in subordine
il deposito della somma in apposito libretto intestato al
giudice dellesecuzione, innanzi al quale l'Istituto
di credito fondiario aveva mantenuto in essere la procedura
esecutiva individuale al fine di ristabilire in qualche modo
le condizioni di vincolo ipotecario in cui versava il bene
subastato al fallimento.
Il
Giudice delegato rigetta la predetta istanza ed anche altra
successiva volta alla ricostituzione della garanzia reale
sulla somma di denaro ricavata dalla vendita.
In
particolare l'organo giudicante rileva che: "le uniche
attività consentite dopo la sentenza di revoca del
fallimento passata in giudicato sono quelle di cui all'art.
21 L.F., a norma del quale non possono rinvenirsi strumenti
tali da consentire il soddisfacimento delle pretese, pur in
qualche modo fondate, delle creditrici ipotecarie".
Inoltre,
poichè la predetta cancellazione è da considerarsi
legittima, valida ed efficace, anche e soprattutto in considerazione
della necessaria tutela del terzo acquirente che nel frattempo
ha trascritto il suo titolo d'acquisto sul bene già
ipotecato, non pare possibile né iscrivere una nuova
ipoteca, ipotesi applicabile ai soli casi tipicamente previsti
dal legislatore, né operare la trasmigrazione dellipoteca
dal bene immobile alla somma di denaro.
2-
Un primo, timido ma valido approccio alla fattispecie in esame
va fatto in direzione della normativa che presiede all'azione
esecutiva fondiaria[1].
Il
Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia emanato
in data 1-9-1993 con D.Lgs. 385 ed entrato in vigore il 1.1.1994,
dispone infatti all'art. 41, II comma, che l'azione di esecuzione
sui beni ipotecati a garanzia dei finanziamenti fondiari può
essere iniziata o proseguita dalla banca nonostante il fallimento
già dichiarato o sopravvenuto del debitore; il curatore
può ma non è obbligato ad intervenire nella
procedura esecutiva individuale iniziata dalla banca; la somma
ricavata dalla esecuzione, eccedente la quota che in sede
di riparto risulta spettante alla banca, deve essere restituita
al fallimento.
Nell'ipotesi
di azione esecutiva proseguita dalla banca, quest'ultima può
ottenere immediatamente dall'aggiudicatario subentrato nel
contratto di mutuo il pagamento delle rate scadute, degli
accessori e delle spese.
Il
custode dei beni pignorati, lamministratore giudiziario
ed il curatore del fallimento del debitore hanno lobbligo
di versare alla banca le rendite degli immobili ipotecati
a suo favore, dedotte le spese di amministrazione ed i tributi
sino al soddisfacimento del credito vantato.
Tale
nuova normativa non ha fatto che confermare e rafforzare quel
particolare privilegio già disciplinato negli articoli
40 e 42, II comma, del T.U. n.646 del 1905 ed infatti la Suprema
Corte di Cassazione ha rilevato che il nuovo T.U. "non
ha carattere innovativo perchè la delega alla redazione
del T.U. non comprendeva la facoltà di innovare ( n.d.r.
in sedes materiae), se non nei limiti dell'armonizzazione
con la normativa della Comunità Economica Europea che
nella specie non sussiste.[2]
E'
opportuno osservare, peraltro, che la Corte Costituzionale
più volte, sotto l'imperio della normativa meno recente,
si era pronunciata per la meritevolezza del beneficio accordato
in sede esecutiva agli Istituti di credito fondiario[3].
L'art.
161, VI comma, prevede, inoltre, una specifica norma transitoria,
di raccordo tra vecchia e nuova disciplina: i contratti già
conclusi ed i procedimenti già iniziati anteriormente
all'entrata in vigore del D.Lgs. del 1993 n.385 continuano
ad essere regolati dalla disciplina previgente, ovvero dal
T.U. del 1905 n. 646, richiamato dagli art. 15 del D.P.R.
21.1.1976 n. 7 e n.17 II comma, L. 6.6.1991 n.175.
Nel
confrontarci con il caso de quo, invero, non è dato
rinvenire quale sia stata la normativa di riferimento, tuttavia,
come vedremo, le soluzioni argomentative indotte e rinvenute
non pare possano mutare di molto.
3-
Un attenta e mirata indagine giurisprudenziale permette
di definire, quantificare e, per così dire, cesellare
il noto privilegio accordato agli Istituti di credito fondiario.
Si
tratta a ben vedere di stabilire la portata ed il contenuto
della deroga alla disciplina fallimentare ordinaria la quale,
appunto, prevede all'art. 51 che:"salvo diversa disposizione
di legge dal giorno del fallimento nessuna azione individuale
esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni
compresi nel fallimento".
A
prima vista si potrebbe affermare che la clausola di salvezza
e rinvio ad altra disposizione di legge contenuta nel predetto
articolo permetta ai creditori fondiari ipotecari di derogare
ai principi generali dettati in tema di concorso dei creditori
e di graduazione dei rispettivi crediti. Ma non è così.
Nella
normativa sul credito fondiario non si rinviene alcuna norma
che espressamente deroghi alla normativa di cui all'art. 52,
II comma, e 92 e segg.L.F. (oltreché all'art. 2741
c.c. e 3 Cost.) per cui ogni credito, qualunque ne sia la
natura, una volta dichiarato il fallimento, deve essere accertato
nel procedimento fallimentare.
Con
la sentenza dichiarativa di fallimento, i creditori assumono
la qualità di beneficiari potenziali della liquidazione
concorsuale; per diventare beneficiari effettivi tutti i creditori,
anche i preferenziali, devono fare accertare i loro crediti,
nel loro ammontare ed esistenza, nella procedura fallimentare,
divenendo perciò concorrenti[4].
Qualora
il creditore decida di non insinuarsi nelle forme di legge
allo stato passivo del fallimento, il suo credito giammai
potrà essere soddisfatto sul ricavato della vendita
dei beni.
La
mancata insinuazione non estingue però il debito del
fallito.
In
altri termini l'apertura del fallimento non determina un'improcedibilità
dell'azione esecutiva da parte del creditore fondiario, tuttavia
l'accertamento del proprio credito deve avvenire nelle forme
e nei tempi della procedura concorsuale.
Il
privilegio accordato è allora di natura squisitamente
processuale.
Ma
v'è di più!
Le
somme percepite in sede esecutiva in eccedenza rispetto a
quelle riconosciute in sede di riparto fallimentare devono
essere restituite alla curatela.[5]
Il
potere processuale e, quindi, la deroga all'art. 51 L.F. riguarda
la sola azione esecutiva, non potendo le banche avvalersi
né del ricorso per decreto ingiuntivo, né dellazione
di cognizione ordinaria al fine di recuperare il loro credito.
[6]
Il
blocco delle azioni di cognizione individuali significa che
queste sono improcedibili, se già proposte, o inammissibili
ove sopravvenute alla dichiarazione di fallimento.
4-
Se questi sono i principi di base, occorre verificare più
da vicino quali siano e come sono ripartiti gli oneri e i
doveri tra creditore e curatore.
La
giurisprudenza della S.C. al riguardo è molto oscillante.
Secondo
un primo orientamento, si afferma che: "l'art. 42 del
R.D. 646 del 1905( il quale dichiara sempre applicabili le
leggi ed i regolamenti sul credito fondiario, anche in casi
di fallimento del debitore, per i beni ipotecati dagli istituti
di credito) va interpretato nel senso che il richiamo in esso
operato è comprensivo della disciplina della esecuzione
immobiliare, sicchè il fallimento del mutuatario non
travolge l'esecuzione individuale che listituto mutuante
abbia intrapreso sul bene immobile e non fa venire meno il
diritto di chiederla.
Quest'ultimo
costituisce un mero privilegio processuale, che non incide
sulle regole della par condicio e sulle regole del concorso,
con la conseguenza che anche il suddetto creditore DEVE insinuarsi
al passivo del fallimento allo scopo di conseguire, se il
credito risulta ammesso ed utilmente collocabile, il risultato
dell'esecuzione privilegiata, restituendo invece, alla massa
fallimentare leventuale somma ricavata in più
dall'esecuzione per la quale non fosse ammesso o risultasse
incapiente".[7]
Nello
sforzo di trovare l'anello di raccordo e di coordinamento
tra la procedura collettiva e quella singolare promossa e
proseguita dall'Istituto di credito fondiario, tale giurisprudenza
ha allora sancito, in primo luogo, il preciso ONERE del creditore
ipotecario di insinuarsi al passivo.
Di
diverso avviso invece è altro indirizzo giurisprudenziale
facente capo ad una pronuncia della S.C. del 1994 n. 5086[8],
fortemente criticata in dottrina, che invece ha ritenuto non
necessario che listituto di credito fondiario si insinui
al fallimento per partecipare alla distribuzione della somma
ricavata in quanto: proseguendo lesecuzione individuale
anche dopo la vendita dellimmobile pignorato, alla distribuzione
del ricavato devono applicarsi le regole proprie di tale forma
di esecuzione (art. 42 T.U. n. 646 del 1905, fatto salvo dallart.
51 L.F.), con la conseguenza che incombe al curatore del fallimento
del debitore -in sede di esame del progetto di distribuzione
o nella fase di contestazione dello stesso- dimostrare che
i crediti insinuati prevalgono, in tutto o in parte, in ragione
del grado della loro prelazione, su quello dellistituto
mutuante[9].
Sotto
questo profilo, è allora evidente che il predetto secondo
orientamento, ribadito da due recentissime pronunzie, ritiene
che spetta al curatore l onere di far rispettare la
par condicio intervenendo nell' esecuzione singolare e sollevando
l'eventuale controversia in base al disposto dell'art. 512
c.p.c. [10].
Si
è infatti precisato che lesigenza di sottoporre
il credito fondiario al concorso sostanziale di cui al primo
comma dellart. 52 L.F. è ampiamente soddisfatta
dallintervento del curatore, in luogo ed in vece di
tutti gli altri creditori ex art. 107 L.F., nella fase della
distribuzione davanti al giudice dellesecuzione immobiliare
individuale. Proprio in tale sede il curatore può esercitare
la facoltà di cui agli articoli 596 e 598 c.p.c., esigendo
losservanza delle disposizioni di cui agli artt. 2740
e 2741 c.c. e dellart. 512 c.p.c. in ordine alla sussistenza
ed allammontare del credito fondiario ed al grado della
prelazione ipotecaria, in tal modo salvaguardando eventuali
crediti prededucibili o di rango poziore [11].
5-
Sembra evidente, per le ragioni sopra accennate, che di nessun
intervento del curatore nella procedura esecutiva singolare
possa parlarsi quando, com'è nel nostro caso, la vendita
del bene immobile ipotecato avvenga in sede fallimentare.
Lo
strappo alla regola generale fissata nell' art. 51 L.F. viene,
pertanto, a stemperarsi qualora la liquidazione avvenga in
sede fallimentare.
In
tale ipotesi, si afferma da tempo in giurisprudenza che il
potere degli istituti di credito di proseguire l'esecuzione
individuale sui beni ipotecari non esclude che il giudice
delegato al fallimento possa disporre la vendita coattiva
del bene perchè le due procedure espropriative non
sono incompatibili fra loro ed il loro concorso va risolto
in base all'anteriorità del provvedimento [12].
In
altri termini, la normativa speciale dettata a favore degli
istituti di credito fondiario non è assolutamente incompatibile
con quella fallimentare, nel senso che sempre essa debba prevalere
sulla procedura concorsuale al fine di garantire il cennato
privilegio.
Del
resto, si è affermato[13], quando il codice di procedura
civile stabilisce la non assoggettabilità di un bene
a due procedure esecutive afferma l'impossibilità che
coesistano due procedure esecutive INDIVIDUALI.
Mentre,
come sino ad ora chiarito, la stessa normativa speciale per
l'azione esecutiva fondiaria impone alla banche il rispetto
della par condicio creditorum (nella procedura COLLETTIVA)
e la restituzione alla curatela del ricavato assegnato in
eccedenza.
Il
congegno temporale è poi sufficiente a dirimere il
problema dell'applicabilità dell'una o altra normativa
ai fini della liquidazione del bene: sarà privilegiato:
non tanto chi ha proposto l'istanza di vendita ma chi
ha per primo disposta la vendita[14]; ciò al
fine di evitare uninsanabile conflitto di interessi
tra due aggiudicatari.
Ebbene, nella fattispecie oggetto d'esame, il G.D. aveva emesso
decreto di trasferimento dell'immobile in base all'art. 586
c.p.c., assolvendo così alla funzione di convertire
in denaro l'immobile pignorato, ordinando, altresì,
la cancellazione dell'ipoteca iscritta.
Il
ricavato è stato acquisito alla massa dell'attivo fallimentare
e le somme detenute dal curatore per l'adozione dei futuri
periodici progetti di ripartizione tra tutti i creditori;
fase di distribuzione, questa, però mancata a causa
della revoca del fallimento.
A
questo punto, ritenuta l'ammissione del credito fondiario
ipotecario al passivo del fallimento, poi revocato, sorge
un legittima domanda: poteva l'istituto di credito ottenere
in via immediata (seppur provvisoria) il versamento del prezzo
dall'aggiudicatario ?
Il
che vale a dire, quelle ben note esigenze di celerità
e snellezza di recupero che costituiscono l'unica e sola ratio
fondamentale dell'art. 42 R.D. 16-luglio 1905 n. 646 e dell'art.
41, comma II, del nuovo T.U. del 1-9-1993 con D.Lgs . 385
ed entrato in vigore il 1 .1.1994 possono essere fatte valere
anche in questa sede?
Ebbene,
dottrina e giurisprudenza maggioritaria hanno dato a tale
quesito risposta negativa rilevando che in tale caso, quando
l'esecuzione sia stata promossa dal curatore ed attuata nelle
forme e con i presupposti della procedura fallimentare, il
mutuante deve attendere che sia l'ufficio fallimentare a liquidare
quanto dovuto nel rispetto della par condicio creditorum;
il prezzo di vendita dei beni ipotecati deve quindi pervenire
al curatore del fallimento e poi essere ripartito secondo
quanto previsto dagli art. 110 ss L.F.[15]
La
giurisprudenza citata afferma che se il creditore fondiario
ipotecario non si avvale della speciale azione esecutiva individuale
egli CONSENTE alla vendita fallimentare.[16]
A
parte il fatto che parlare sempre di consenso vero e proprio,
quando invece si può ben trattare di perdita di uno
spezzone del privilegio in base al cennato principio temporale
di anteriorità, non sembra sia del tutto lecito, ma
il punto è che tale affermazione vuole provare troppo
e, cioè, che al creditore ipotecario sia data facoltà
o potere di rinunciare alle sue basilari prerogative fissate
dalla legge.
E
solo vero che listituto di credito fondiario talvolta
può scegliere o, più semplicemente, subire la
via della vendita in sede fallimentare[17].
Linterpretazione
restrittiva va opportunamente rivisitata.
Se
si afferma che tra le due procedure non c'è incompatibilità,
con vigore ed altrettanta decisione deve affemarsi il principio
che LA LIQUIDAZIONE CONCORSUALE DEI BENI DEL DEBITORE NON
PUO' E NON DEVE MAI RISOLVERSI IN UN PREGIUDIZIO PER GLI ISTITUTI
DI CREDITO [18].
Domanda
: quale pregiudizio?
Risposta:
non consentire, come invece la legge speciale vuole, una rapida
e diretta riscossione del credito mediante l'attribuzione
delle somme ricavate dalla vendita all'istituto di credito
fondiario, svuotare di ogni e qualsivoglia valenza giuridica
la normativa del Testo Unico del 1905 e del 1993 che, come
abbiamo già all'inizio rilevato, è stata ritenuta
meritevole di tutela dalla Corte Costituzionale.
La
soluzione proposta mette al riparo anche da inutili ricorsi
proposti dagli Istituti di credito fondiario per dimostrare
un'asserita incompatibilità della vendita fallimentare
con l'azione esecutiva singolare rivendicando un diritto esclusivo
alla vendita dei beni immobili, perchè le remore degli
istituti di credito, in fondo in fondo, si basano infatti
sul timore di vedersi assegnate le somme con troppo ritardo
rispetto alle esigenze di rientro per il pagamento alle singole
scadenze degli interessi a favore dei possessori di cartelle
fondiarie emesse[19].
Gli
Istituti non operano che attraverso i soldi che riescono a
recuperare dal mutuatario (fallito).
E'
evidente allora che, in ipotesi di mancata diretta attribuzione
di dette somme, un reclamo ex art. 26 LF. congegnato in tal
senso e sottoposto al vaglio del Tribunale avrebbe potuto
evitare il problema poi nato a seguito della revoca del fallimento.
Un
eventuale provvedimento di rigetto (dopo il provvedimento
confermativo in sede di reclamo) sarebbe poi stato impugnabile
con ricorso per Cassazione ex art. 111 c.p.c., se ritenuto
avere carattere di decisorietà.
6-
Si è affermato che una volta revocato il fallimento,
il Giudice delegato ed il curatore, avessero le mani legate
in ordine alla attribuzione delle somme richiesta dalle banche
creditrici ipotecarie.
Tale
posizione non sembra possa essere del tutto condivisa per
due fondamentali ragioni: in primo luogo, in tali casi deve
prevalere un principio di conservazione e perpetuazione degli
atti compiti con il crisma della legalità; in secondo
luogo, come autorevolmente affermato[20]: revocato il
fallimento gli acquirenti conservano i diritti sui beni acquistati,
i creditori pagati conservano il diritto a trattenere quelle
somme percette, e chi è diventato creditore nei confronti
della procedura fallimentare, e non è stato soddisfatto,
ha diritto di rivalersi contro il fallito come creditore di
costui".
La
questione inoltre va affrontata alla luce del disposto dellart.
107 L.F. al fine di verificare se, revocato il fallimento,
il vincolo del pignoramento persista o meno.
Sotto
questultimo profilo è evidente che tale problema
si pone solo allorché, prima della dichiarazione di
fallimento, era stata promossa lesecuzione individuale
dal creditore .
Nel
nostro caso il curatore si è sostituito al creditore
procedente realizzando così unipotesi di successione
processuale che si rende del tutto peculiare per il fatto
di aver luogo a favore di un soggetto investito di funzioni
pubbliche e di trovare la sua ragione dessere nel divieto
delle azioni esecutive individuali ex art. 51 L.F[21].
In
tale caso si è affermato che si realizza una conservazione
degli effetti sostanziali del pignoramento [22].
Quando però viene meno il titolo che aveva legittimato
la sostituzione automatica del curatore i singoli creditori
riprendono la legittimazione allazione esecutiva individuale
a suo tempo proseguita dal curatore e necessariamente sono
legittimati a proseguirla dal punto in cui si era bloccata
e a cui era giunto il curatore[23].
Tale
soluzione discende dal fatto che il curatore non è
titolare di unazione esecutiva concorsuale generata
dalla sentenza di fallimento ma semplicemente un organo scelto
dal legislatore che per così dire rende possibile la
trasformazione dellazione di espropriazione da azione
esecutiva individuale ordinaria in azione esecutiva concorsuale
fallimentare: in altre parole lazione esecutiva individuale
viene (solo) assorbita nel fallimento .[24]
Gli
effetti del pignoramento, determinati dallazione esecutiva
individuale intrapresa prima del fallimento, operano a vantaggio
e a favore della massa dei creditori[25].
Revocato
il fallimento viene quindi meno non il pignoramento ma il
titolo- la sentenza dichiarativa del fallimento- che aveva
determinato la sostituzione del curatore.
Viene
restituita ai creditori la possibilità di continuare,
proseguire lazione esecutiva.
Un
titolo cè e rimane con il pignoramento a suo
tempo incardinato.
Se così non fosse si realizzerebbe nel sistema normativo
processuale non solo uningiusta, irragionevole ed incostituzionale
frustrazione delle prerogative dei creditori procedenti, a
prescindere dal fatto che siano ipotecari o meno, a causa
proprio di una restrittiva applicazione della normativa fallimentare
( art. 21, 51, 107 L.F. in contrasto con lart. 3, 24
Cost.), ma un vero spreco di attività processuale.
Pare,
infatti, opportuno precisare che non si possono applicare
due pesi e due misure ed affermare che, quando il curatore
si sostituisce ope iuris al creditore procedente,
lo fa in quanto ciò risponde alla incontestabile
opportunità di mettere a profitto le attività
processuali complesse e dispendiose già poste in essere
per linstaurazione della procedura esecutiva individuale[26],
mentre quando viene revocato il fallimento tali considerazioni
restano radicalmente escluse.
Inoltre,
poiché si afferma che la sostituzione del creditore
è automatica e non estingue per inattività delle
parti ex artt. 630 e 632 c.p.c. il processo esecutivo[27],
altrettanto deve dirsi quando viene revocato il fallimento
dopo laggiudicazione dellimmobile: il processo
esecutivo a suo tempo intrapreso riprende vigore e la somma
ricavata non va consegnata al debitore (arg. a contrario ex
art. 632 comma II c.p.c.).
In
questo senso si innesta, si precisa e si definisce il summenzionato
fondamentale principio della conservazione degli atti processuali
compiuti con il crisma della legalità.
Né varrebbe obbiettare che non sarebbe possibile la
riattivazione della procedura esecutiva individuale, a seguito
della revoca del fallimento, ove il curatore avesse optato
per la vendita in sede fallimentare regolata da norme e forme
diverse: la diversità di struttura non comporta affatto
che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il processo
esecutivo si estingue, ma anzi pur diventando questultimo
improcedibile[28] in base al chiaro disposto dellart.
51 L.F., la liquidazione fallimentare dellattivo ne
conserva gli effetti sostanziali propri del pignoramento,
proprio perché, come detto, lunico effetto è
quello di sostituire un soggetto ad un altro al fine di promuovere
la liquidazione dei beni a favore sempre del ceto creditorio
con il rispetto della par condicio creditorum.
Se
così non fosse si verrebbe a determinare una macroscopica,
irrazionale ed ingiusta differenziazione di situazioni, censurabile
costituzionalmente ( art. 107 e 51 l.f. in contrasto con lart.
24 e 3 cost.), con pesanti riflessi per i creditori che si
vedrebbero privare, una volta revocato il fallimento, la possibilità
di esercitare il potere di prosecuzione dellazione esecutiva
interrotta.
Il
curatore, ad evitare ciò non avrebbe più la
scelta tra proseguire lazione esecutiva individuale,
sospenderla, sostituirla con altre forme o ancora devolverne
loggetto come mezzo ai fini della chiusura del concordato,
ma sarebbe necessariamente obbligato a continuare la precedente
espropriazione, perché solo così potrebbe conservare
gli effetti del pignoramento e preservare le ragioni creditorie[29].
Il
diverso ragionamento, invece, come detto, ha alla sua base
ciò che, da alcuni, viene definito come una parziale
deroga allart. 51 L.F. imposta da una retta interpretazione
dellart. 107 L.F.[30]: gli atti esecutivi compiuti da
creditori pignoranti prima del fallimento non sono inefficaci
né vengono caducati[31] ed il pignoramento continua
ad esplicare gli effetti di cui agli artt. 2913 ss c.c., a
prescindere dalla scelta operata, in quanto il curatore ne
subentra automaticamente ed incondizionatamente nella titolarità
sin dal momento della sentenza dichiarativa di fallimento.
La
vendita in sede fallimentare determina lacquisizione
e lassorbimento di tali effetti (già prodottisi)
nei limiti in cui non si mostrino incompatibili con le strutture
e forme di tale mezzo di liquidazione.
Si
può allora dire che lutilizzo delle norme proprie
della liquidazione dellattivo fallimentare determina
solo una trasformazione del processo esecutivo individuale
in esecuzione collettiva: non esiste, infatti, unazione
esecutiva individuale distinta da quella concorsuale[32].
Ai
creditori è restituita la stessa azione esecutiva che
prima del fallimento avevano esercitato, purgata però
delle trasformazioni indotte con lapertura del concorso[33].
Ad
avviso di chi scrive, pertanto, la diretta e logica conseguenza,
nel caso oggetto di esame, sarrebbe stata quella di depositare
la somma ricavata su di un libretto intestato al giudice dellesecuzione.
In
altri termini, sarebbe stato sufficiente che il giudice delegato
avesse sostituito, sulle somme ricavate dalla vendita immobiliare,
il vincolo del giudice dellesecuzione a quello dellufficio
fallimentare.
E
opportuno precisare che, essendo stato revocato il fallimento,
il g.e non rimane vincolato dallaccertamento contenuto
nello stato passivo reso esecutivo dal giudice delegato e,
quindi, legittimato a partecipare alla distribuzione del ricavato
è il creditore procedente con gli eventuali precedenti
creditori intervenuti, o quelli che intervengono tardivamente
nelle forme di legge.
Se
vi è un solo creditore si applica lart. 510 c.p.c.,
ed il g.e prima, di emettere il provvedimento satisfattivo
commisurato al ricavato, convocherà con decreto anche
il debitore per essere sentito in apposita udienza; altrimenti
il g.e., entro 30 giorni dal versamento del prezzo, procederà
a formare un progetto di distribuzione contente la graduazione
dei creditori che vi partecipano ( art. 596 c.p.c.).
Gli
altri creditori, in particolare i chirografari, seppur ammessi
al passivo, a seguito della sentenza di revoca del fallimento
dovranno far valere le loro ragioni nei confronti del fallito
tornato in bonis, intervenendo con apposito titolo esecutivo
nella procedura esecutiva prima del provvedimento della distribuzione
e concorrendo, però, soltanto alla somma che sopravanza
dopo il soddisfacimento del creditore pignorante e di quelli
intervenuti in precedenza ( art. 565 c.pc.); infine, in base
allart. 566 c.p.c., i creditori iscritti e privilegiati
( art. 2770 ss c.c.) che intervengono tardivamente concorreranno
nella distribuzione del ricavato in ragione dei loro diritti
di prelazione.
7-
A norma dellart. 509 c.p.c. la somma ricavata costituisce
un pagamento coattivo che innegabilmente crea un vincolo di
destinazione: essa, cioè, deve essere oggetto di futura
distribuzione ex art. 596 c.p.c. .
Ciò posto è evidente che la questione comporta
diverse soluzioni a seconda che, nonostante il fallimento,
sia proseguita lesecuzione singolare da parte della
banca ovvero il curatore abbia preceduto il creditore e venduto
il bene ipotecato in sede fallimentare.
In
tale ultimo caso, anche il creditore fondiario ipotecario,
secondo il citato maggioritario indirizzo giurisprudenziale,
soggiace in toto alle regole dettate per la liquidazione dellattivo
nellambito della procedura concorsuale[34].
Il diritto di credito della Banca, tuttavia, non si estingue
se non con il materiale ed effettivo pagamento, con lattribuzione
cioè del ricavato della vendita.
Cancellata
lipoteca, listituto di credito fondiario mantiene
il suo credito ed il suo grado di prelazione ipotecaria da
far valere sul prezzo, senza necessità, cioè,
di doversi porre il problema delliscrizione di una nuova
ipoteca .
Tale
credito dovrà essere fatto valere in via ordinaria
nei confronti del fallito tornato in bonis.
Non
sembra lecito dubitare che il fallito tornato in bonis non
ha alcun diritto ad incassare in via definitiva la somma che
costituisce il ricavato della vendita dell'immobile ipotecato(v.
art. 509 c.p.c. e arg. a contrario ex art. 632, II comma,
c.p.c.), semmai potrà beneficiare dell'eventuale residuo
!!!!
Il
fatto che la proprietà della somma di denaro, costituente
ricavo della vendita forzata, sia di proprietà del
debitore sino a quando non avvenga, in concreto, il passaggio
nella sfera patrimoniale del creditore (c.d traditio in manu)[35],
non toglie che tale somma è preordinata teleologicamente
al soddisfacimento delle ragioni creditorie, da far valere
nelle opportune forme di legge.
Il
denaro ricavato dalla vendita è rappresentativo del
bene ipotecato e su di esso si è costituito un vero
e proprio diritto a che venga attribuita tale somma in capo
allistituto di credito.
Revocato
il fallimento il rapporto con la procedura esecutiva individuale
è speculare a quello che si determina a seguito della
dichiarazione di fallimento: lintangibilità del
vincolo di indisponibilita creata dal pignoramento determina,
per le ragioni di economia processuale sopraindicate, il riacquisto
della titolarità del potere di iniziativa processuale
in capo al creditore.
Anche
se si volesse accedere a quella giurisprudenza che nega, in
tale ipotesi, la possibilità di riattivare la
procedura esecutiva al punto in cui era giunta sotto legida
del curatore, rimarrebbero sempre salvi gli effetti sostanziali
del pignoramento e quindi il vincolo di destinazione delle
somme ricavate dalla liquidazione dellattivo.
Qualora,
invece, sia proseguita lesecuzione individuale nonostante
il fallimento e sia stato venduto il bene immobile ipotecato,
sulla somma da restituire grava, oltre quanto sino ad ora
affermato in termini di principio generale di conservazione
dellattività SOSTANZIALE E/O processuale svolta,
uno speciale vincolo di destinazione impresso dalla legge
( cfr. artt. 42 e 55 T.U 1905, art. 41 T.U. 1993 ). Ricordiamo
infatti, che secondo la recentissima giurisprudenza di legittimità[36]
si è affermata la necessità di rispettare e
fare salva INTEGRALMENTE la normativa speciale del credito
fondiario che prevede la prosecuzione della procedura esecutiva
individuale fino alla distribuzione del prezzo.
Dall'art.
41, III comma, T.U. 1993 (42 T.U. 1905 n. 646)- che fa obbligo
al curatore del fallimento di versare all'Istituto mutuante
le rendite dei beni ipotecati, discende a fortiori l'obbligo
EX LEGE del curatore di versare allistituto mutuante
il prezzo del ricavato della vendita dell'immobile ipotecato.
Tale
norma infatti testimonia che il credito fondiario costituisce
un corpus separatum[37], sia pure in senso non
assoluto, rispetto al patrimonio del debitore. E agevole
rinvenire che, quando il curatore interviene nella procedura
individuale, si realizza un fenomeno di surrogazione nei diritti
della banca e mancando nel curatore una posizione giuridica
distinta dalla banca egli deve porre quest'ultima nelle condizioni
di conseguire il proprio diritto, vale a dire di percepire
le somme dalla vendita del bene ipotecato.
Revocato
il fallimento, dunque, sussiste -in entrambi casi ed anche
qualora lipoteca non sia a favore del credito fondiario-
l'OBBLIGO del curatore di restituire le somme alla Banca creditrice
ipotecaria.
Ma
l'obbligo di restituzione da parte del curatore si correla
al primario OBBLIGO DI INDIVIDUARE L'ENTITÀ DELLA MASSA
FALLIMENTARE DI PROPRIETÀ DELLA EX FALLITA ed in definitiva
di accertare quali sono le somme sulle quali l'ex fallita
poteva esercitare un diritto.
Ci
troviamo di fronte pertanto ad un omessa indagine in ordine
alla somma rappresentativa del bene ipotecato.
Tutto
ciò non esime il curatore da presentare un rendiconto
e cosa importante la redazione di un inventario al fine della
individuazione e restituzione dei beni . Come acutamente osservato
da autorevole dottrina, contrariamente ai principi astratti
in materia, la revoca del fallimento finisce per operare ex
nunc, quanto agli effetti patrimoniali[38].
Ritenendo
non legittimato il curatore si dovrebbe allora nominare un
curatore ex art. 78 c.p.c. in ragione del fatto che manchi
in tale ipotesi un rappresentante del patrimonio del fallito.
Tuttavia
tale soluzione, oltre a non essere appagante e poco condivisibile,
non è in linea con le considerazioni poco fa accennate.
Revocato
il fallimento la legittimazione o è del fallito, sui
beni di sua proprietà però, o del curatore,
tertium non datur.
Allora,
prima di instaurare un procedimento in sede di cognizione
ordinaria per la restituzione delle somme ricavate dalla vendita
il creditore ordinario ben potrebbe utilizzare lo strumento
del sequestro conservativo sui mobili presso terzi ex art.
678 c.p.c., o meglio proporre un pignoramento presso terzi
ex art. 543 c.p.c., quando ancora le somme di denaro sono
sul libretto di deposito bancario intestato alla curatela.
Qui
sta l'opera attenta vigile del buon avvocato che può
farsi autorizzare all' esecuzione immediata dal giudice che
appunto emette decreto ai sensi e per gli effetti dell'art.
dell'art. 482 c.p.c.
Tale
strumento processuale poi è anche interessante per
un ulteriore risvolto pratico: la dichiarazione incontestabilmente
affermativa resa dal terzo pignorato preclude qualsiasi attività
cognitoria di accertamento della veridicità ed esattezza
della dichiarazione del debitor debitoris.
Pertanto
lex fallito presunto vero creditore non potrà
proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. al pignoramento
presso il terzo debitore.[39]
Il
fallito tornato in bonis comunque deve restituire al creditore
ipotecario il prezzo del ricavato della vendita del bene immobile
qualora tale somma sia stata (erroneamente) a lui consegnata
dal curatore[40].
8-
Un ultima breve postilla.
La
sentenza di revoca del fallimento[41] può non contenere
alcuna disposizione in ordine alla restituzione dei beni allex
fallito; essa allora non potrà costituire titolo esecutivo-
ormai azionabile essendo caduto il divieto di intraprendere
azioni esecutive individuali- per riottenere, da parte del
fallito i suoi beni[42]
Merita
allora di essere considerato attentamente il problema del
CONTENUTO DELLA SENTENZA DI REVOCA DEL FALLIMENTO sotto il
profilo:
a)
dellordine di restituzione;
b)
dellindividuazione dei beni del fallito.
Con
la sentenza di revoca del fallimento cessa lo spossessamento
dei beni del debitore.
Sorge
allora la necessità giuridica di individuare i beni
residui dalla liquidazione che siano di proprietà del
ex fallito.
Limpossibilità
di azionare la predetta sentenza nei confronti della curatela
deriva dalla mancanza di statuizioni precise in ordine alla
NECESSARIA INDIVIDUAZIONE DEI BENI.
Tale
problema vale sia per il fallito tornato in bonis che per
i terzi creditori a cui ancora non sia stato distribuito il
ricavato della vendita.
Lobbligo
di individuare detti beni spetta allora al curatore.
In
mancanza di ogni possibilità di individuare detti beni,
di rigetto di istanza proposta al G.D. volta alla restituzione[43],
non resterà che agire in giudizio con apposita azione
restitutoria di carattere personale verso chi ( curatore o
ex fallito) detiene senza titolo beni di proprietà
di terzi: la Cassazione, infatti, da tempo riconosce che qualora
venga meno o difetti ab origine il titolo in base al quale
la cosa sia stata trasferita, il soggetto che reclama la restituzione
del bene può fondatamente proporre l'azione restitutoria
senza avere lonere di provare il suo diritto di proprietà.[44]
Revocato
il fallimento la detenzione del curatore del prezzo ricavato
dalla vendita dellimmobile ipotecato è sine titulo.
NOTE
[1]
Sul tema in generale, cfr. Petraglia, Crediti Fondiari: Esecuzione
individuale e procedure concorsuali, in Il fall. 1997, 52;
Carbone, Il credito fondiario tra risoluzione speciale ed
esecuzione singolare, in Il fall. 1996, 1145; Oriani, Lespropriazione
singolare per credito fondiario, in Corr. Giur. 1995,384;
Bozza, La perpetuazione dei privilegi degli istituti di credito
fondiario, in Il fall., 1994, 793; Cantele, Esecuzione individuale
dell' Istituto di credito fondiario, in Il fall. 1994, 86;
Panzani, Credito fondiario esecuzione immobiliare e fallimento,
in Il fall. 1994, 161; Macchia, Il consolidamento dellipoteca
ed i privilegi procedurali connessi al credito fondiario,
Atti Del Convegno Le operazioni di credito fondiario
nel Testo Unico e nelle Istruzioni della Banca dItalia
, Milano 1994,1 ss.; Saletti, Lespropriazione
per credito fondiario nella nuova disciplina bancaria, in
Riv. dir.proc. civ 1994, 1004; Petraglia, Note sulla disciplina
giuridica del credito fondiario e alle Opere pubbliche dopo
il nuovo Testo Unico in materia bancaria e creditizia, in
Giust. civ. 1994, II, 347; Tardivo, Credito fondiario e procedure
concorsuali. Problemi recenti., in Dir. fall. 1988, I, 205;
Villa, Istituto di credito fondiario: azione esecutiva individuale
in pendenza di fallimento, in Il fall., 1987, 628; Lo Cascio,
Credito fondiario e fallimento, in Giust.civ. 1987, I, 1987;Oppo,
Il privilegio del credito fondiario oggi, in Riv. dir. civ.
1983, II, 397; Bongiorno, Esecuzione forzata per credito fondiario
e procedure concorsuali, in Banca, borsa, tit. cred., 1966,
I, 511; Satta, Rapporti tra la legge sul credito fondiario
e la legge fallimentare, in Riv. Trim.dir. proc., 1966, I,
511; Tarzia, Espropriazione forzata per credito fondiario
e procedimenti concorsuali, in Banca, borsa, tit. cred., 1957,
34; Falaschi, In materia di credito fondiario, di fallimento
ed amministrazione giudiziale, in Foro it., 1949,IV,191.
V.
inoltre, Costi, Crediti speciali, Disciplina sostanziale,
in Enc. Treccani, vol X, Roma,1988, 1 ss; Falaschi, Credito
edilizio e fondiario, in Noviss. Dig. It. App., vol. II, 1981,
903; Murè Credito fondiario, in Enc, dir., vol. XI,
1962, 295;Provinciali, Fallimento e credito fondiario, Milano,
1971; Moglie, Manuale del credito fondiario, 3a ed. , Milano,
1971, Cap. XV, pag. 433 ss.
[2]
Cfr. Cass. 1.12.1994 n. 10256, in Il fall. 1995,732 in motivazione.
[3]
Cfr. Cort. Cost. 31-3-1988 n.393; Corte Cost. 3-8-1976 n.
211 in Giust. civ. 1976, 465; Corte Cost. 19.12.1963 n. 166,
in Giust. civ. 1964, 10.
[4]
Cfr., Provinciali R., Manuale di Diritto fallimentare, 1962,
4a ediz., 688
[5]
Cfr. Cass. 2.3.1988 n. 2916, in Il fall., 1985, 557.
[6]
Cfr. Cass. 1.12.1994 n. 10256 cit.
[7]
Cfr. Cass. 15.1.1998 n. 314, in Il fall. 1998, 812. In tal
senso, cfr. Cass. 1993 n. 7323, in Giur. It., 1994, I, 1056;
Cass. 1990 n. 11324, in Il fall., 1991, 558; Cass. 3.12.1986
n. 7148; Cass. 11.3.1987 n. 2532, in Il fall. 1987, 943; Cass.
6.3.1974 n. 598, in Giust. Civ. 1974, I, 871; Trib. Milano
9.10.1986, in Il fall., 1986, 1178; Trib. Roma, 26.5.1983,
in Giust. Civ. 1983,I, 2483; Trib. Catania, 29.7.1977, in
Dir. Fall., 1978, II, 261.
[8]
Cfr. Cass. 15.6.1994 n. 5086, in Il fall. 1994, 1161 ( pres.
Cantillo, est. Sgroi).
Tale
sentenza costituì un revirement rispetto alle decisioni
precedenti e la tesi in esso contenuta, oltre ad essere stata
contestata dalla dottrina, v. per tutti Panzani op.loc. cit.,
è stata poi successivamente disattesa dalla giurisprudenza
di legittimità con la sentenza del 1998 n. 314, citata
nel testo che appunto è ritornata sull insegnamento
in base al quale è onere del creditore fondiario insinuarsi
nel passivo del fallimento.
[9]
Cfr. Cass. 19.2.1999 n. 1395 e Cass 9.10.1998 n. 10017- entrambe
aventi come Pres. Grieco e Rel. Losavio- ove appunto si afferma
la necessità di rispettare e fare salva INTEGRALMENTE
la normativa speciale del credito fondiario che prevede la
prosecuzione della procedura esecutiva individuale fino alla
distribuzione del prezzo.
[10]
Cfr. Cass. 19.2.1999 n. 1395 e Cass. 9.10.1998 n. 10017.
[11]
Cfr. Cass. 19.2.1999 n. 1395 e Cass. 9.10.1998 n. 10017.
[12]
Cfr. Cass. 28.1.1993 n. 1025, in Il fallimento 1993, 729;
Cass. 5.7.1993 n. 7323; Cass. 1985 n. 582, in Il fallimento,
1985, 739.
[13]
Cfr. Cass. 28.1.1993 n. 1025.
[14]
Cfr. Cass. 28.1.1993 n. 1025, in motivazione.
Diversamente,
Trib Prato 27.2.1984, in Dir. fall. 1984, 1075: Una
volta fissata la vendita in una delle due procedure laltra
non può assoggettare il bene esecutato contemporaneamente
alla vendita, perché solo in questo caso potrebbero
sorgere insanabili conflitti di interessi tra diversi aggiudicatari.
La sentenza è annotata favorevolmente dal Bronzini,
op.cit.
[15]
Cfr. chiaramente Cass. 5.7.1993 n. 7323 cit.; Cass. 2.2.1978
n. 458, in Rep. For.it. 1978, voce Fallimento n. 227; Trib.
Udine 6.2.1985, in Rep. For.it., 1985, voce Fallimento n.
283; Trib. Roma, 23.11.1968, in Dir. fall. 1968,135.
In
dottrina, in senso contrario allincasso immediato del
prezzo da parte della banche ed in adesione al cennato indirizzo
giurisprudenziale, si sono espressi Pazzaglia, Il credito
fondiario e le vendite fallimentari, in Dir. fall. 1969, 135;
Bronzini, Vendita fallimentare in pendenza di esecuzione del
credito fondiario, in Dir. Fall. 1984, 1075.
[16]
Cfr. Cass. 5.7.1993 n.7323, in Il fallimento 1993, 1238.
[17]
Del resto il termine consenso sembra usato quando il creditore
ipotecario si insinua nel passivo del fallimento.
A
ben vedere di tale ONERE è, secondo un orientamento
giurisprudenziale, gravato listituto di credito fondiario
anche qualora la vendita avvenga in sede di esecuzione individuale.
Oltre
alla istanza di ammissione al passivo vi deve essere la chiara
ed manifesta volontà di non voler proseguire lesecuzione
promossa o meglio di non voler intraprenderla in corso di
fallimento.
Se
la Banca prosegue nella sua esecuzione ma limmobile
viene messo allasta dal fallimento si verifica una vera
è propria PRECLUSIONE che salvaguarda da pontenziali
conflitti di interessi tra aggiudicatari, non certo un consenso.
[18]
Spunti in tal senso vengono da Cass. 30.1.1985 n. 582 loc.
cit., in motivazione ove si parla di attribuzione immediata
delle somme al creditore fondiario qualora la vendita sia
eseguita dallorgano fallimentare, inoltre da Cass. 28.1993
n. 1025 loc. cit., in motivazione, sul rispetto delle
esigenze di sollecito recupero del credito da parte degli
Istituti di credito fondiario.
[19]
Resta da vedere la questione attinente ai parametri di determinazione
del compenso del curatore.
[20]
Ricci, Lezioni sul fallimento, Milano 1992, 205.
[21]
Cfr. Cass. 29.5.1997 n. 4743.
[22]
Cfr. Cass. 15.4.1999 n.3729 e Cass. 29.5.1997 n. 4743.
[23]
Cfr. Cass 19.7.1999 n.7661, ove si afferma che tale soluzione
vale in tutte le ipotesi in cui viene meno il titolo che aveva
legittimato la sostituzione del curatore; inoltre si ribadisce
il principio per cui non esiste unazione esecutiva concorsule
distinta dallazione esecutiva singolare dei creditori.
[24]
Cfr. Cass. 29.5.1997 n. 4743; Cass. 29.3.1969 n. 1040.
[25]
Cfr., oltre la giurisprudenza citata nella nota 25, Cass.
10.11.1980 n. 6020.
[26]
Cfr. Cass. Sez. Un. 2 marzo 1966 n. 618; Cass. 26.11.1971
n. 344; Cass. 29.5.1997 n. 4743.
[27]
Cfr., da ultimo, Cass. 15.4.1999 n. 3729.
[28]
Occorre rilevare che la Cassazione, con la citata sentenza
del 19.7.1999 n. 7661, al fine di restituire lazione
esecutiva ai creditori successivamente alla revoca del fallimento
ha parlato in termini generali di IMPROSEGUIBILITA e
non di IMPROCEDIBILITA.
Il
termine di IMPROSEGUIBILITA è distinto dalla
nozione tecnica processuale di IMPROCEDIBILITA in quanto
proprio della normativa speciale fallimentare (art. 51 L.F.)
e sta a significare la prevalenza delle esigenze pubblicistiche
sottese allesecuzione collettiva che determina appunto
larresto e linterdizione per il creditore pignorante
a continuare la procedura esecutiva individuale ed il suo
assorbimento in quella concorsuale che la trasforma e plasma
secondo il suo modello normativo.
Limproseguibilità
del processo esecutivo, qualora riguarda i beni immobili,
va dunque vista in termini relativi( al contrario della vendita
mobiliare) ed intesa soggettivamente.
Il
problema della restituzione ai creditori dellazione
esecutiva, a seguito della revoca del fallimento, come di
ogni altro titolo che ha determinato la perdita della legittimazione
in capo al curatore, va allora risolto rilevando che quando
la vendita avviene in sede fallimentare si determina unimproseguibilità
o se si vuole unimprocedibilità, ma tale situazione
processuale in quanto frutto di una scelta del curatore non
può incidere sul subentro inderogabile ed incondizionato
del curatore nella titolarità degli effetti sostanziali
del pignoramento.
Limprocedibilità
e la caducazione degli effetti sostanziali, infatti, si realizza
secondo Cass. 29.5.1997 n. 4743 solo qualora il fallimento
si chiuda altrimenti, come per pagamento integrale al di fuori
della liquidazione dellattivo o per concordato.
Cass.
19.7. 1999 n. 7661,. sembra lasciare invece supporre che in
ogni caso si debba parlare di improseguibilità con
conseguente salvezza del vincolo di pignoramento, proprio
perché non cè unazione esecutiva
individuale distinta da unazione esecutiva concorsuale.
Tale opzione ermeneutica conferma, a nostro sommesso avviso,
che la soluzione non può essere ancorata a rigidi schemi
processual-civilistici ma deve essere ricercata nello stretto
ambito fallimentare.
Cass.
6.7.1999 n. 6968, afferma che lintervento del curatore
che chiede linterruzione della procedura di espropriazione
individuale comporta limprocedibilità della stessa
ai sensi dell art. 51 L.F. ed il suo assorbimento in
quella collettiva.
Cass.
15.4.1999 n. 3729, parla anchessa chiaramente di improcedibilità
quando la vendita avvenga dinanzi agli organi fallimentari,
fermo restando il principio generale di conservazione degli
effetti del pignoramento.
Cass.
9.2.1981 n. 783 ha invece escluso che in caso di revoca del
fallimento il creditore originario possa riassumere la procedura
esecutiva individuale, qualora lorgano concorsuale rinunci
agli atti esecutivi per attrarre direttamente nellorbita
fallimentare gli immobili pignorati.
Cass.
sez. un. 2 marzo 1966 n. 618, afferma che lintervento
del curatore che dichiari di non voler proseguire lespropriazione
individuale determina limprocedibilità della
medesima per essere assorbita da quella collettiva, secondo
la volontà manifestata dallufficio fallimentare;
in motivazione tale sentenza ha poi affermato che erroneamente
il g.e aveva dichiarato limproseguibilità trattandosi
un caso di improcedibilità, rilevando che comunque
agli atti non risultava che il curatore fosse stato autorizzato
ex art. 35 L.F. alla rinuncia, risultando piuttosto la semplice
volontà del curatore a ricorrere alle forme proprie
dellespropriazione fallimentare.
In dottrina, cfr. Ferro, Problemi e casi nelle vendite mobiliari
ed immobiliari, in Dir. fall. 1999; I, 438; Alvino, Improseguibilità
ed improcedibilità dellesecuzione immobiliare
sopraggiunto il fallimento, in Dir. fall. 1968; I, 50.
Contrario
alla tesi della conservazione degli effetti sostanziali del
pignoramento è Bonsignori, Intervento del curatore
nellespropriazione immobiliare in corso ed efficacia
delle alienazioni successive al pignoramento, in Dir. fall.1976,
II,192; in giurisprudenza cfr. e Cass. 14.3.1973 n.715 e Cass.
6.7.1968 n.2304 ove si afferma che gli effetti sostanziali
di pignoramento si conservano solo qualora il curatore effettui
il subingresso nella procedura esecutiva individuale.
In generale sulla nozione di improcedibilità, cfr.
La China, Procedibilità (dir. proc. civ), in Enciclopedia
del diritto, XXXV, Milano, 1986, p.794.
[29]
La Cassazione ha infatti di recente affermato, con la sentenza
del 15.4.1999 n. 3729, che la sostituzione ope legis comporta
necessariamente anche la facoltà discrezionale di scelta
dellufficio fallimentare di non proseguire lazione
esecutiva già intrapresa, potendo infatti preferire
altre forme di esecuzione quale ad esempio quella dinanzi
agli organi concorsuali; in tale caso il curatore subentra
automaticamente e senza condizioni nella titolarità
degli effetti sostanziali del pignoramento; nello stesso senso,
Cass. 29.5. 1997 n. 4743.
[30]
Cfr. in tal senso, Cass. sez.un. 2 .3.1966 n. 618, in motivazione;
Cass. 15.5.1967 n. 1017;Cass. 27.3.1976 n.1114; da ultimo
Cass. 15.4.1999 n.3729. Contra: Pajardi, Manuale di diritto
fallimentare, 1976, 320; Provinciali, Trattato cit.,II, 898;
Di Amato, in Collana di diritto fallimentare diretta da Ivo
Greco, 1994, 123-124, ove si afferma che in effetti non cè
alcuna deroga parziale in quanto si tratta non di unesecuzione
persistente a favore di un creditore concorsuale ma di unesecuzione
persistente a favore dellufficio fallimentare nellinteresse
di tutti i creditori concorrenti.
Ad
avviso di chi scrive, il problema va posto in questi termini:
è certo vero che non esiste unazione esecutiva
individuale distinta dallazione esecutiva collettiva
ed in tale caso vè un fenomeno di conversione
che si realizza a mezzo dellufficio fallimentare di
cui il curatore ne è per legge il titolare, strutturando
il soddisfacimento di tutti i creditori nella fase della liquidazione
fallimentare.
Lazione
esecutiva, quando è proseguita dal curatore, è
tuttavia quella stessa iniziata dal creditore seppure trasformata
dalle modifiche indotte dallapertura del concorso dei
creditori e solamente ciò vale a spiegare come si realizza
il fenomeno della conservazione degli effetti sostanziali;
il fatto che la sostituzione avvenga automaticamente ed incondizionatamente-
quindi anche senza la necessità di un intervento nella
procedura esecutiva- determina che in ogni caso il vincolo
di cui agli artt. 2913 ss. c.c. rimane salvo.
Si
può allora, semmai, dire che quando la vendita avviene
in sede fallimentare, e non in sede di esecuzione individuale
con lintervento del curatore, si determina limprocedibilità
dellazione esecutiva individuale, ma larresto
dellazione esecutiva individuale è finalizzato
e preordinato al suo assorbimento ed alla sua trasformazione
in quella collettiva. Ciò posto è innegabile
che si realizza, anzi si deve realizzare se si vuole conservare
gli effetti sostanziali del pignoramento, una parziale deroga
allart. 51 L.F.
[31]
Cfr., Cass. 10 .11.1980 n. 6020; in dottrina, in merito a
tale argomento, De Martini, Fallimento sopravvenuto durante
il corso dellesecuzione forzata individuale, in Foro.it.,1952,I,648;
Martinetto, Rapporti tra fallimento ed espropriazione forzata,
in Dir. fall. 1969,I,193.
[32]
Vale la pena rilevare, infatti, che in tale caso i creditori
eserciteranno la propria azione singolare a mezzo dellinsinuazione
del loro credito al passivo del fallimento e con la partecipazione
alla distribuzione del ricavato; per tale impostazione, cfr.
Satta, Diritto fallimentare,1990,164; Provinciali, Trattato
di diritto fallimentare, 1974,887-888; per la giurisprudenza,
chiaramente, cfr. Cass. 19.7.1999 n. 7661.
Si
può allora convenire che lazione esecutiva individuale,
una volta scelta la strada della liquidazione dellattivo
in sede fallimentare non è lasciata nel limbo, tra
color che son sospesi, ma si trasforma.
Daltra
parte il dubbio amletico (indicato nella nota 31), il nodo
centrale sta proprio in questo se cioè le azioni esecutive
individuali si trasformino e vengano esercitate ad impulso
dellufficio fallimentare o rimangano nel letargo; da
escludere, sicuramente, che si estinguano ex art. 630 c.p.c.
.
[33]
Cfr. Cass. 19.7.1999 n. 7661, in motivazione.
[34]
Ricollegandoci a quanto precedentemente detto, osserviamo
però che lo scippo così perpetrato
ai danni del creditore ipotecario fondiario, seppure ammissibile,
non determina affatto la perdita di quel potere di attribuzione
immediata, a favore della banca, di parte del ricavato della
vendita immobiliare.
[35]
Cfr., Cass. 8.4.1998 n. 3663; Cass. 22.4.1998 n.4078; Cass.
26.2.1994 n. 1968; Cass. 7.3.1990 n. 11608; Cass. 30.1.1985
n. 586; Cass. 7.3.1972 n. 974, che considera revocabili ex
art. 67 L.F. gli atti di pagamento (e non il provvedimento
giudiziale di assegnazione) in quanto sono negozi autonomi
svincolati dal titolo negoziale o dal provvedimento del giudice
che ne costituisce la causa e vanno colpiti in quanto
di per sé si risolvono oggettivamente in un turbamento
della par condicio creditorum.
CONTRA:
Cass. 5.8.1964 n. 2238, in Dir. fall. 1964, II, 485, con nota
di Bonsignori, Contro la revocatoria di provvedimenti espropriativi,in
cui si afferma che il provvedimento di assegnazione
di un credito presso terzi comporta una cessio pro solvendo,
cosicchè lordine del giudice produce una modificazione
giuridica che incide sul diritto di proprietà del credito
coattivamente ceduto, il quale, di conseguenza è trasferito
dal debitore al creditore assegnatario nel momento dellemissione
da parte del giudice dellesecuzione, del provvedimento
di assegnazione.
App.
Milano, 16.3. 1979, in Il fall. 1979, 1061; Trib. Milano 11.12.1975,
in Dir. fall.1976, II; 234.
In
dottrina condividono tale impostazione Castoro, Il processo
esecutivo nel suo aspetto pratico, 1998, 305; Lo Cascio, Codice
del fallimento, Milano,1992; Macchia, Gli atti soggetti a
revoca ai sensi dellart. 67 comma II L.F., in Il fall
1990, 957.
[36]
Cfr. Cass. 19.2.1999 n. 1395 e Cass. 9.10.1998 n. 10017- entrambi
aventi come Pres. Grieco e Rel. Losavio.
[37]
Così Satta , Rapporti tra la legge sul credito fondiario
e la legge fallimentare,loc. cit., 165.
[38]
Cfr. G.U. Tedeschi, in Commentario Scaloja- Branca sub art
21, 595.
[39]
V. Bonsignori, Lesecuzione forzata, Torino, 1991, 76;
Punzi, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano,
1971, 62 ss.
[40]
Il creditore- ripetiamo- ha comunque il primario, fondamentale
e sacrosanto diritto di continuare a giovarsi degli effetti
sostanziali dellazione esecutiva individuale intrapresa
dopo il fallimento a cui si era sostituito il curatore secondo
la regola chi prima arriva bene arriva e poi
bloccata dalla revoca del fallimento.
[41]
Cfr., sullargomento G.U. Tedeschi, in Commentario Scialoja-
Branca, sub art 21, 589 e seg.
[42]
Cfr. Trib. Roma 8.3.1969 in Dir. fall. 1969, II, 454:
La sentenza che revoca la dichiarazione del fallimento che
non contenga alcuna statuizione in ordine alla restituzione
dei beni del fallito non ha efficacia di titolo esecutivo
e non può legittimare lazione esecutiva.
[43]
Secondo Cass. 28-4-1973 n.1172, in caso di mancata collaborazione
del curatore, i provvedimenti restitutori e reintegratori
potranno essere richiesti dal debitore tornato in bonis (n.d.r.
o dal creditore) rivolgendosi direttamente allex giudice
delegato che POTRA EMETTERE GLI OPPORTUNI PROVVEDIMENTI,
SUSCETTIBILI DI RECLAMO EX ART 26 L.F.
Infine,
secondo Cass. 4.10.1977, in Giur. Comm. 1978,II, 369
se la decisione di fallimento risulta nulla, la revoca ha
effetto retroattivo. In tal caso non è precluso che
si possa procedere ad una nuova dichiarazione di fallimento.
[44]
Cfr. Cass. 5.4.1984 n.2210, in Rep. Giust. Civ. 1984, 2412,
3;Cass. 26.5.1991 n. 7162, in Rep. Giust. Civ. 1991, 2412,
6; Cass. 30.11.1987 n. 8895.
Sempre
che non si ritenga di poter agire con lazione di rivindica
ex art 948 c.c.
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