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Centro studi di diritto fallimentare di Bari

 

La bancarotta fraudolenta impropria

Dott.ssa Paola SAVINO

In dottrina si è a lungo discusso in merito alla bancarotta fraudolenta,ossia se tale ipotesi delittuosa configuri un autonomo titolo di reato,ovvero un'ipote- si aggravata dei reati societari,ed in particolar modo il falso in bilancio,richia- mati dall'art.223/2 n.1 L.Fall.(R.D.16 marzo 1942,n.267). L'articolo in esame,estende le previsioni e le pene dell'art.216,della mede- sima legge,agli amministratori,ai direttori generali,ai sindaci di società dichia- rate fallite,i quali abbiano commesso i "fatti"costituenti elementi del reato di falso in bilancio. Il falso in bilancio assume in tal modo,rilevanza in sede fallimentare,ancor- ché non esista nesso di causalità tra la falsità di bilancio e il dissesto che ha por- tato il fallimento. Secondo l'orientamento della Cassazione il delitto di falso in bilancio,con la sentenza dichiarativa di fallimento,cessa di essere reato societario per trasferir- si sotto un diverso titolo criminoso:la BANCAROTTA FRAUDOLENTA IMPROPRIA.In pratica,"il falso in bilancio ed il fallimento divengono gli ele- menti costitutivi di un nuovo e autonomo reato;eventuale revoca della senten- za dichiarativa di fallimento rende penalmente irrilevante i fatti di bancarotta fraudolenta (Cass.Pen.Sez.V,12 luglio 1997). La Cassazione rileva,inoltre,l'irrilevanza del nesso psicologico ed eziologi- co tra la distrazione (la dissimulazione,l'occultamento,la distruzione e la dissi- pazione)ed il fallimento,che attesta lo stato di insolvenza dell'imprenditore; essendo la dichiarazione di fallimento "elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta,non necessariamente essa deve dipendere dall'atteggiamento psi- chico dell'agente,tale collegamento essendo necessario solo tra la condotta e l'evento a norma degli artt.40 e 43 c.p."(Cass.,Sez.V,26 giugno 1990). "L'indicata disposizione di legge,inoltre,fa riferimento esplicito ai "fatti" (non ai "reati")preveduti dalle norme del codice civile:non considera il reato di falso in bilancio (per punirlo più gravemente in caso di fallimento),bensì il fatto della falsificazione del bilancio societario,commesso dagli amministrato- ri,direttori generali,sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite,per punirlo come bancarotta fraudolenta.Ciò anche perché nella legge fallimenta- re è insito il concetto che la sopravvenienza del fallimento qualifica in modo autonomo quei fatti che,altrimenti,sarebbero soggetti ad una qualificazione giuridica diversa "(Cass.Pen.,1991,639). "La fattispecie di bancarotta fraudolenta in relazione all'art.2621 del c.c. costituisce reato autonomo e non circostanza aggravante del reato di cui al cita- to art.2621;l'articolo 223 in questione,infatti,nel fare riferimento ai fatti e non ai reati previsti nel codice civile non configura il reato di false comunicazioni sociali per irrogare una pena più grave in caso di fallimento,bensì considera autonoma la falsificazione dei bilanci da parte degli amministratori (ed altri 77.soggetti qualificati)per punirla propriamente come bancarotta fraudolenta;il fallimento,in tal modo,viene ad essere elemento costitutivo dei reati che,in mancanza di esso,dovrebbero essere diversamente considerati "(Sez.V del 27 febbraio 1997). Tutti gli elementi basilari su cui verte tale orientamento sono enunciati nel- l'ultima sentenza della Cassazione in materia di bancarotta fraudolenta:Sent. 12897,Sez.V,11 novembre 1999. Autorevole,ma marginale,orientamento è quello secondo il quale il reato di falso in bilancio anche dopo la dichiarazione di fallimento rimane reato societa- rio;la dichiarazione di fallimento non rappresenterebbe l'elemento costitutivo di un nuovo reato,bensì l'aggravante del reato previsto dall'art.2621 c.c.che per effetto di tale aggravante è suscettibile delle pene di cui all'art.216 della legge fallimentare. "Il falso in bilancio seguito dal fallimento della società non costituisce figu- ra autonoma di reato di bancarotta fraudolenta,ma condizione di maggiore punibilità ovvero circostanza aggravante del reato societario "(Trib.Verona,18 giugno 1984). Si parla,quindi,di reati aggravati dall'evento (il fallimento),nei quali non è possibile prescindere dal nesso causale esistente tra la falsificazione del bilan- cio e l'evento:la mancanza di un nesso di causalità non giustificherebbe la gra- vità della pena prevista dalla norma rispetto ai reati societari nella stessa richia- mati (ANTOLISEI);quando,invece,come precedentemente osservato,la giuri- sprudenza per lo più nega tale requisito naturalistico della fattispecie. La dottrina più autorevole,anche se minoritaria,e parte della giurisprudenza di merito,a fondamento di tale tesi,rilevano che i fatti di reato inclusi nel- l'art.223 c.II,n.1 L.Fall.,sono di per sé già punibili,quindi la dichiarazione di fallimento non è condizione di punibilità,né tanto meno condizione di esisten- za di autonoma figura di reato,ma condizione di maggiore punibilità dei reati societari previsti dal codice civile. La categoria delle condizioni di maggiore punibilità,enucleata dalla dottri- na tedesca,non è recepita nel nostro ordinamento penale,ma trattandosi pur sempre di elementi accidentali del reato,il regime dei quali in nulla differisce da quello stabilito per le condizioni aggravanti,è alla regolamentazione di que- sto che deve farsi riferimento. Si è riscontrato (Alberto Cadoppi,cattedratico di diritto penale presso l'Università di Parma)come la giurisprudenza di legittimità,in modo compatto, abbia cambiato il suo orientamento,a seguito della riforma dell'aprile-giugno 1974 dell'art.69 c.p.,fino ad allora orientato a considerare il fallimento come circostanza aggravante dei reati societari.Questa inversione di pensiero della Corte di Cassazione fa dubitare che la nuova posizione interpretativa sia dovu- 78.79 ta alla preoccupazione dell'applicabilità dell'art.69 c.p.alla fattispecie,che non ad un'attività ermeneutica priva di preconcette tendenze lato sensu politico-cri- minali 1 ,con il malcelato intento di sfuggire all'operatività dell'apparato di cui all'art.69 c.p.. Il Cadoppi rileva,inoltre,come,a fondamento della tesi del reato autonomo di bancarotta non ci si possa appigliare al significato della denominazione "fatti" dei reati societari,inserito nella legge in esame,che non prevede un'interpreta- zione estensiva del termine,tale da potervi comprendere anche il significato di "reati";questo appare un banale escamotage interpretativo,facilmente smasche- rabile con articolate argomentazioni 2 . Il Collegio giudicante,del Tribunale di Verona 18 giugno 1984,sottolinea come la tesi avversa,che riconosce nel fallimento l'evento di una figura di reato autonomo,e non condizione o circostanza,sia priva di fondamento,giacché la lettera della legge non consente una simile interpretazione,specie ove si consi- deri che il fallimento-evento della bancarotta è figura del tutto eccezionale nel sistema dei reati fallimentari e che,ove esso è stato previsto,le espressioni usate dal legislatore sono del tutto specifiche e inequivoche (art.223 comma 2 n.2 L. Fall.). È poi riconosciuta dal Collegio la giurisprudenza della Suprema Corte che definisce la dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo di un'autono- ma ipotesi di reato,ma essa non pare condivisibile atteso che la norma del- l'art.223 comma 2 n.1 l.f.non contiene nessun elemento nuovo rispetto alle fat- tispecie,delineate in tutti i loro elementi oggettivi e soggettivi,dagli artt.2621 ss.C.c.,ad eccezione di un inasprimento della pena. In merito all'elemento psicologico del reato ex art.233 e 216 n.1 l.fall.,la dottrina è divisa;la dottrina dominante,pur con differenziazioni al suo interno, aderisce alla tesi in forza della quale sia necessaria la presenza del dolo specifi- co in cui è richiesto un intento di frode,mediante il compimento di un'attività ingannevole circa la potenzialità economica della società diretta al consegui- mento di un vantaggio non altrimenti raggiungibile;altri,invece,sostengono che sia sufficiente il dolo generico,costituito dalla coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi sociali e dei creditori (Cass.Sez.V, 29 aprile 1998.Cass.,10 giugno1998);ma anche l'accettazione del rischio che tale nocumento si verifichi (Cass.Sez.V,11 novembre 1999 n.12897). A fronte di quanto analizzato,ritengo di aderire alla tesi del Giuliani- Balestrino che individua nell'elencazione di cui al n.1 del II co.Dell'art.223 L.F. 1 Così chi scrive in La natura giuridica,cit.,4-4.L 'opinione è ripresa da PROTO,nota Casa.11 otto- bre 1982 Collalti. 2 La tesi era sostenuta da LA MONICA,op.cit.,447 ss..80 un rinvio recettizio alle disposizioni penali societarie,e quindi ritengo che in tale sede il legislatore si sia abbandonato ad una mera esemplificazione di reati che possono trasformarsi in bancarotta.Laddove l'uso del predicato "possono" sta a significare la non automaticità della conversione del reato societario in bancarotta:solamente le false comunicazioni sociali comportanti una lesione della garanzia creditoria potranno dar luogo al reato di bancarotta,il quale diventerà procedibile a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento.Ciò signi- fica che soltanto ove un fatto di reato societario implichi la lesione colpevole degli interessi dei creditori si avrà responsabilità penale ex artt.223 e 224 l.f.: negli altri casi non si ha,a mio giudizio,bancarotta impropria.Qualsiasi altra costruzione implicante l'automaticità della conversione del reato societario nel reato fallimentare mi sembra inficiata da insormontabili dubbi di incostituzio- nalità.

 

Tratto dalla Collana di studi giuridici dell'Ordine
degli Avvocati di Bari

 












 

 

 


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