CONSIGLIO
NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
CONVEGNO
IN ROMA DEL 23 FEBBRAIO 2002
"LA
PRASSI FALLIMENTARE NEI TRIBUNALI"
Acquisizione e liquidazione dei beni mobili
Dott.
Luigi ABETE
MAGISTRATO
Giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Napoli
Non
è a negarsi che l'acquisizione dei beni, segnatamente
dei beni mobili, appare, a prima vista, argomento di modesta
importanza, tant'è che, siccome puntualizza autorevole
dottrina, "le esposizioni trattatistiche e manualistiche
non sono solite dedicare separato rilievo al patrimonio attivo"1)
.
Nondimeno, il thema riveste pregnante valenza, giacchè
"di fronte ad un qualsiasi processo di attuazione della
responsabilità patrimoniale, occorre... evidenziare
la composizione e la disciplina del suo oggetto"2) ed,
in primo luogo, "prendere atto dei principi, con la cui
applicazione il patrimonio deve essere identificato e composto
alla data della sentenza dichiarativa di fallimento"3)
. E siffatta rilevanza la si coglie non solo nel solco di
una prospettiva eminentemente pragmatica, che ha riguardo
ovvero alle difficoltà che, più o meno quotidianamente,
si impongono agli operatori, innanzitutto ai g.d. ed ai curatori,
ma, altresì, nel quadro di una "dimensione"
prevalentemente teorica, "dimensione" le cui asperità
immancabilmente si riverberano sul piano operativo.
Certo è indubitabile, in chiave astratta, che le quaestiones
che il thema sovente prospetta, non appartengono, a stretto
rigore, al diritto fallimentare, sibbene ad altri rami dell'ordinamento,
in primo luogo al diritto civile4) . Pur tuttavia è
con siffatte problematiche che la prassi ci constringe a misurarci,
sicchè si manifesta appieno l'utilità, l'opportunità
di una ricerca del tipo di quella condotta sotto l'egida del
Consiglio Nazionale, non solo in quanto rivolta a verificare
la conformità al dato positivo (recte: alla sua condivisa
interpretazione) delle soluzioni di volta in volta praticate,
onde auspicare e sollecitare la correzione dei difformi atteggiamenti
applicativi, sibbene, altresì, in un momento, quale
quello attuale, in cui la stagione delle riforme sembra oramai
aperta irreversibilmente, in quanto finalizzata, de iure condendo,
a suggerire al legislatore, sulla scorta della constatazione
di massicci orientamenti operativi svincolati dalla previsione
legislativa, la sterilità di soluzioni perpetuanti
opzioni dalla prassi già disattese.
Ebbene, è mio proposito soffermarmi su taluni profili
che il complesso capitolo affidato alla mia esposizione involge,
all'uopo puntualizzando, debitamente, che la selezione degli
aspetti che, a mio giudizio, meritano specifica illustrazione
fonda non solo sulla oggettiva pregnanza che nel sistema fallimentare
riveste il passaggio procedurale che vi è sotteso,
sibbene, inoltre, sulla peculiare significatività del
dato che è esplicitato dalla prassi.
*****
La sigillazione, contemplata all'art. 84 l.f. quale adempimento
destinato a seguire, nelle forme di cui al codice di rito,
senza soluzione di continuità la declaratoria di fallimento,
costituisce passaggio procedurale che il "diritto vivente"
connota in termini applicativi spiccatamente minoritari: i
giudici delegati interpellati, in maggioranza più che
consistente, hanno riferito di procedere direttamente all'inventario,
astenedosi consapevolmente dalla prodromica incombenza5) .
Al cospetto del dato fattuale testè enunciato l'interprete
ed, in tempi di riforma, il legislatore, devono, a mio giudizio,
inevitabilmente interrogarsi in ordine alla imprescindibilità
o meno della funzionalità cautelare6) che l'apposizione
dei sigilli è destinata ad assolvere e, conseguentemente,
in ordine alla surrogabilità o meno di siffatto passaggio
procedurale con quello, immediatamente successivo, della redazione
dell'inventario7) .
Nella delineata prospettiva va debitamente evidenziato che
l'organo dell'inventariazione è, nella previsione legislativa,
in via esclusiva il curatore. Altresì, che tra il momento
a partire dal quale la declaratoria di fallimento produce
i suoi effetti8) ed il momento in cui la persona fisica nominata
all'ufficio di cui agli artt. 27 e segg. l.f. attende all'accettazione
dell'incarico9) , decorre inevitabilmente un certo lasso temporale10)
, durante il quale ben si configura (e l'esperienza applicativa
lo dimostra inconfutabilmente) la necessità di neutralizzare
il rischio di dispersioni, di sottrazioni, di alterazioni
del patrimonio da destinare alla liquidazione. Conseguentemente
è ad ammettersi che non ci si possa sottrarre, facilmente,
alla necessità di elidere interinalmente simile pericolo
e, contestualmente, che non vi è margine per ipotizzare
la perfetta fungibilità dell'incombenza di cui all'art.
84 l.f. con quella contemplata al successivo art. 87.
Certo, non sfugge che del pari la sigillazione presso la sede
principale dell'impresa postula, salvo legittimo impedimento,
l'assistenza del curatore (art. 87, co. 1, l.f.) e, dunque,
presuppone che l'organo esecutivo abbia già reso efficace,
con la sua accettazione, l'atto di investitura, sicchè
altresì l'attuazione della cautela di cui all'art.
84 l.f. risulta nel sistema del r.d. n. 267/'42 subordinata
ai tempi di cui agli artt. 17, co. 1, e 29, co. 1, l.f., ad
onta delle ragioni d'urgenza che il legislatore avrebbe recepito,
quali icasticamente espresse dall'avverbio "immediatamente"
figurante nel testo normativo. In questi termini potrebbe
agevolmente argomentarsi nel senso che l'impossibilità
di azzerare i tempi di inevitabile inerzia, suggerisce il
passaggio repentino all'atto finale, pretermettendo l'atto
prodromico a valenza cautelare.
Nondimeno, può opportunamente rilevarsi, in primo luogo,
che nulla osta acchè si qualifichi come legittimo impedimento
del curatore la circostanza che la sua nomina sia ancora in
itinere, evenienza, questa, che se impedisce l'inventariazione,
atto del curatore, di sicuro non preclude la sigillazione,
atto rimesso all'esclusiva competenza dell'autorità
giudiziaria.
In secondo luogo, che il soverchiante carico di lavoro che
affligge i g.d., se in qualche misura giustifica la loro scarsa
disponibilità al preliminare cautelare adempimento,
non osta acchè si solleciti e si incentivi la competenza
che l'art. 85 l.f. in via sussidiaria rimette ora al giudice
di pace.
In terzo luogo e de jure condendo, attesa l'mprescindibilità
di un iniziale passaggio cautelare, che si riconosca, siccome
suggerisce autorevole dottrina, "la competenza di funzionari
subalterni, considerando anche che trattasi di attività
non molto dissimile dall'esecuzione del pignoramento, pur
affidata all'ufficiale giudiziario"11) .
*****
Ancorchè in un quadro piuttosto frammentato, la ricerca
ha evidenziato che "è frequente nella prassi che,
in sede di apposizione dei sigilli o di inventario, taluni
beni, rinvenuti nell'abitazione del fallito e/o nella sua
disponibilità, sono riconosciuti, in via breve, come
beni non compresi nel fallimento. L'estraneità alla
massa fallimentare è ritenuta, il più delle
volte, sulla base di una scrittura privata con data certa,
da cui risulti la proprietà di un terzo o di un convivente,
ovvero sulla base di una situazione di fatto, da cui appaia
ictu oculi la proprietà di un terzo".
Il risultato dell'indagine testè riferito involge un
profilo doppiamente problematico, attinente, in primo luogo,
alla determinazione dell'esatto significato della presunzione
di appartenenza ex art. 513 c.p.c., in secondo luogo, all'individuazione
del momento procedurale istituzionalmente deputato alla vaglio
delle pretese dei terzi.
E' a dirsi, previamente, in relazione alla quaestio dapprima
prefigurata, che costituisce opinione pacificamente condivisa
quella per cui altresì in sede fallimentare debba trovar
applicazione la disposizione di cui all'art. 513 c.p.c. in
virtù della quale, appunto, si presumono di spettanza
del fallito i beni mobili collocati nella sua casa12) "e
negli altri luoghi a lui appartenenti"13) .
Più esattamente la presunzione è da intendere
quale presunzione di possesso, non già di mera detenzione14)
ed in tal guisa si ricollega, in chiave sistematica, al disposto
dell'art. 1141, co. 1, prima parte, c.c.15) . Ne consegue,
ulteriormente, che detta presunzione, operando a vantaggio
di chi è in relazione diretta ed immediata con la res
e non già di chi è in rapporto mediato con il
bene, onera il terzo che, a sua volta, si afferma possessore,
della dimostrazione del proprio animus possidendi ovvero,
in aderenza al dettato normativo, della disponibilità
nomine alieno della res da parte di colui che vi è
in relazione di fisica contiguità16) .
Emerge, nondimeno, in relazione alla prova contraria che l'una
e l'altra presunzione facultano, un significativa differenza.
La prova contraria alla presunzione juris tantum stabilita
dall'art. 1141, co. 1, c.c. può essere costituita anche
da presunzioni semplici e persino da una sola presunzione,
purchè grave e precisa17) . La prova contraria che
l'art. 513 c.p.c. postula, è ben più gravosa
in relazione ai mezzi con cui può essere assolta: il
principio che estende al ceto creditorio fallimentare la protezione
accordata dal diritto comune al creditore pignorante18) ,
importa che "devono essere tenute presenti tutte le modificazioni,
che il diritto probatorio comune subisce quando la prova deve
essere data da o contro chi è terzo rispetto al thema
probandum"19) ; ne deriva, in particolare, l'operatività
a pieno titolo della disposizione di cui all'art. 621 c.p.c.
e, dunque, il divieto della prova per testimoni20) ed, ex
art. 2729, co. 2, c.c., della prova presuntiva. Più
esattamente, siccome si è puntualizzato in dottrina,
onde vincere la presunzione di cui all'art. 513 c.p.c., il
terzo innanzitutto, "deve allegare e provare di essere
divenuto proprietario dei beni in epoca anteriore all'inizio
della procedura"21) ; in secondo luogo, "deve allegare
e provare di essere rimasto proprietario sino al momento nel
quale la procedura ha avuto inizio"22) ovvero, evidentemente
mercè allegazione di un documento23) avente data certa
anteriore al fallimento, di aver trasmesso la detenzione al
fallito con un idoneo "titolo di affidamento", "capace
di giustificare la detenzione a titolo diverso da quello di
proprietà"24) .
Il profilo controverso prefigurato in seconda battuta, in
considerazione della peculiare pregnanza dell'onere probatorio
che il terzo ha da assolvere e, prim'ancora, del rigoroso
sistema delle attribuzioni, nel cui ambito ogni determinazione
è ineludibilmente rimessa, nella coralità del
rito che segna il concorso formale, all'organo giurisdizionale,
non può che postulare un'unica soluzione ovvero la
soluzione patrocinata dal giudice del diritto25) , alla cui
stregua la sottoposizione ad inventario del bene rinvenuto
nella disponibilità del fallito prescinde da qualsivoglia
accertamento in ordine alla titolarità della proprietà
in capo al fallito stesso, ancorchè non valga a pregiudicare
la pretesa che, al contempo, il terzo affermi a suo vantaggio,
pretesa, da azionare, nondimeno, nelle forme di cui all'art.
103 l.f..
Parallelamente, si impone recisa censura per gli atteggiamenti
applicativi di segno contrario26) e ciò tanto più
se si tien conto che la massiccia elusione della preliminare
incombenza della sigillazione, che pur varrebbe ad assicurare
la partecipazione dell'organo giudiziario alla fase prodromica
della identificazione del patrimonio da subastare, importa
l'integrale dismissione della potestas decidendi a vantaggio
dell'organo esecutivo della procedura.
Certo, è innegabile, qualche perplessità residua,
pur nel solco dell'interpretazione condivisa, limitatamente
a quei beni, pur rinvenuti nell'abitazione del fallito o,
comunque, in altro loco sottoposto alla sua signoria, che
ictu oculi appaiono di proprietà di terzi.
Ciò nonostante e, benvero, al di là del rilievo
per cui solo la "restaurazione" del passaggio iniziale
dell'apposizione dei sigilli, col sostanziale recupero dell'attivo
concorso del g.d., potrebbe legittimare un qualche temperamento,
va debitamente sottolineato che nessun ancoraggio rinviene
nel sistema degli artt. 769 e segg. c.p.c., cui l'art. 87,
co. 1, l.f. rinvia espressamente, la sottrazione all'inventariazione
dei beni palesamente di spettanza di terzi. Valenza concludente
in tal senso riveste la constatazione per cui, in ipotesi
di contestazione circa l'opportunità di inventariare
un data res, all'ufficiale procedente è preclusa ogni
determinazione, tant'è che, operatane la descrizione,
è abilitato esclusivamente a far menzione nel processo
verbale delle osservazioni e delle istanze delle parti (art.
775, u.c., c.p.c.).
*****
In relazione ai beni collocati presso soggetti terzi (recte:
nella materiale disponibilità di soggetti terzi) merita
plauso senza dubbio la prassi applicativa, registrata in via
prevalente, che esclude dall'inventariazione, disconoscendo
la titolarità di poteri di autotutela esecutiva in
capo all'ufficio fallimentare e così onerandolo della
proposizione di ordinaria azione di cognizione ovvero di prodromica
iniziativa cautelare innanzi al giudice competente, i beni
di cui il terzo, sulla scorta di un titolo ritenuto, ex latere
curatoris, inopponibile alla procedura27) , rifiuti, al limite
pur riconoscendo la proprietà del fallito, il rilascio,
adducendo un proprio diritto personale o reale a possedere
ovvero a detenere. La soluzione operativa rilevata in via
prioritaria, che esclude l'esperibilità di poteri di
apprensione forzosa, parimenti va giudicata con favore, per
giunta allorchè il terzo che rifiuta la consegna della
res al curatore, non prospetti alcun titolo a fondamento della
materiale disponibilità del bene che ex adverso si
assume di proprietà del fallito28) .
La circostanza che a dirigere la procedura sia un organo giurisdizionale,
ingenera, sovente, l'equivoco alla cui stregua la salvaguardia
e la conservazione del patrimonio attivo possa realizzarsi
"in via breve": gli atteggiamenti, di segno contrario,
segnatamente le opzioni favorevoli all'apprensione forzosa,
se del caso con l'ausilio della forza pubblica, di fatto connotano
il fallimento come legibus solutus, in patente violazione
del principio di legalità che informa pur l'azione
giurisdizionale (art. 101, co. 2, Cost.) e, segnatamente,
del disposto dell'art. 474 c.p.c. che ammette la coartazione
della volontà del debitore sol sulla scorta di un titolo
esecutivo ovvero di una sentenza o di un provvedimento cui
la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva. E
tale non è il caso del decreto ex art. 25, co. 1, n.
2, l.f., eventualmente assunto onde dar fondamento giuridico
alla coattiva, se del caso previa inventariazione, acquisizione
delle res nella disponibilità di terzi dissenzienti.
Certo, può correttamente opinarsi che il decreto di
cui all'art. 87, co. 1, l.f., con cui il g.d. autorizza il
curatore a fare l'inventario, rinvenga la sua matrice nella
previsione dell'art. 25, co. 1, n. 2, del r.d. n. 267/'42.
Nondimeno, l'insegnamento giurisprudenziale oramai consolidato
ha chiarito che i cosiddetti "decreti di acquisizione",
il cui fondamento positivo è da ravvisare, appunto,
nel disposto normativo da ultimo citato, possono essere emessi
con riferimento ai beni del fallito esclusi dall'inventario,
con riferimento ai beni sopravvenuti nel patrimonio staggito
durante il fallimento e -con specifica valenza in relazione
al profilo in esame- con riferimento ai beni che il terzo
consenta di consegnare al curatore; i decreti de quibus, viceversa,
non possono essere emessi con riferimento ai beni nella disponibilità
del terzo il quale rivendichi sul bene medesimo un diritto
incompatibile con la loro inclusione nell'attivo fallimentare29)
. Nei medesimi termini e parallelamente, dunque, dovrebbe
determinarsi l'ambito oggettivo della inventariazione, in
quanto a sua volta prodromica alla presa in consegna dei beni30)
("il curatore prende in consegna i beni di mano in mano
che ne fa l'inventario....": art. 88, co. 1, l.f.).
Pur tuttavia, non sembra che dei beni di cui il terzo rifiuti
il rilascio possa disconoscersi, quanto meno, la legittimità
della descrizione nel processo verbale d'inventario: soccorre
all'uopo la previsione dell'art. 775, u.c., c.p.c.; ovviamente,
in tale ipotesi l'inventariazione non prelude all'acquisto
del possesso da parte del curatore. E, d'altro canto, potrebbe
ammettersi che il bene, opportunamente descritto, di cui il
terzo rifiuti il rilascio, recte il credito a conseguire la
restituzione della res di cui il terzo rifiuti il rilascio,
sia incluso nel verbale d'inventario quale altra attività
a norma del n. 4 del co. 1 del medesimo art. 775 c.p.c..
*****
L'opinione dottrinaria prevalente reputa che alla disciplina
della vendita fallimentare della quota di partecipazione in
società a responsabilità limitata concorra la
disposizione di cui all'art. 2480 c.c.31) .
Più esattamente, si opina nel senso che la notificazione,
di cui all'art. 2480, co. 2, c.c., del provvedimento del g.d.
che dispone la vendita, seppur su iniziativa del curatore,
debba esser eseguita in ogni caso, anche nell'ipotesi in cui
la quota sia liberamente trasferibile32) .
In tal guisa riceve sicuro suggello l'indirizzo applicativo
maggioritario, favorevole in via sistematica al compimento
del preliminare atto partecipativo.
Non è a tacersi, tuttavia, che un'indicazione interpretativa
del giudice di legittimità prefigura l'operatività
in sede fallimentare unicamente del dettato del co. 3 dell'art.
2480 c.c., alla stregua del testuale tenore del co. 4 del
medesimo articolo, che dispone per l'applicazione al fallimento
del socio delle disposizioni del comma precedente33) .
Riceve in tal guisa conforto esegetico pur l'indirizzo di
minoranza che circoscrive l'ambito dell'onere di notificazione
alla sola evenienza di acquisizione all'attivo fallimentare
di quota non liberamente trasferibile, giacchè il medesimo
onere sarebbe in stretta connessione funzionale col modus
procedendi contemplato al co. 34) .
E' a condividersi, sotto altro profilo, l'assunto dottrinario
secondo cui l'accordo eventualmente raggiunto tra il curatore,
debitamente autorizzato dal g.d., e la società circa
la persona dell'acquirente, preclude senz'altro la vendita,
eventualmente all'incanto, della quota. Nondimeno, se la trattativa
tra società e curatore non sortisce buon esito, è
a negarsi che la vendita possa seguire, siccome prescrive
l'art. 2480. co. 3, c.c., esclusivamente con incanto: invero
la previsione dell'art. 106, co. 1, l.f., la cui portata generale
integra senza dubbio l'efficacia precettiva della disposizione
del codice civile, induce a riconoscere che la liquidazione
possa compiersi, altresì, secondo il modulo della vendita
ad offerte private35) .
In questi termini non appare contra legem la prassi, registrata
in verità in misura minoritaria, che, in difetto di
accordo, ammette la possibilità che la quota sia alienata
a trattativa privata36) .
NOTE:
1)Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, Milano, 1998,
pag. 1.
2) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 1.
3) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 2.
4)"........il problema di sapere, a chi spetti (alla
data della sentenza dichiarativa di fallimento) il bene a
volta a volta preso in considerazione, ha importanza decisiva
per la inclusione dello stesso bene nell'iniziale oggetto
della procedura; e la disciplina del fallimento risente per
derivationem di tutte le incertezze, che a questo proposito
possono sorgere sul terreno dello stretto diritto civile":
così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag.
9.
5) Si è assunto, quasi a legittimare la prassi che
pretermette la previa sigillazione, che l'art. 762, co. 1,
c.p.c., ancorchè vieti la redazione dell'inventario
prima del decorso del termine di tre giorni dall'apposizione
dei sigilli e, quindi, prima della sigillazione, nondimeno
contempla la possibilità che per ragioni urgenti si
stabilisca altrimenti con decreto motivato. In verità
la corretta esegesi del testo codicistico induce a riconoscere
che la deroga non concerne la preventiva necessità
della sigillazione, sibbene, unicamente, l'operatività
del termine dilatorio.
Nè, al contempo, in chiave legittimante, può
soccorrere il disposto dell'art. 760, co. 2, c.p.c., alla
cui stregua, una volta eseguito l'inventario, non si fa luogo
all'apposizione dei sigilli. Invero, la successione delle
diverse fasi procedimentali e, con essa, il previo esperimento
della sigillazione risultano scandite inequivocamente dalla
legge fallimentare, con la peculiare variante, in rapporto
al termine dilatorio di tre giorni di cui all'art. 762, co.
1, prima parte, c.p.c., che la rimozione dei sigilli e l'inventariazione
deve, a norma dell'art. 87, co. 1, l.f., seguire "nel
più breve termine possibile".
6) Circa la finalità cautelare della sigillazione cfr.
Cass. 22.10.'92, n. 11537, in Il fall. 1993, 495, secondo
cui l'art. 84 l.f. contempla una misura interinale e temporanea
con funzione cautelare dei beni del fallito fino alla redazione
dell'inventario. In dottrina, in tal senso, tra gli altri,
Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, Napoli, 1977, 323;
Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1986, pag.
349.
7) "L'inventario ha una duplice funzione. In primo luogo
è diretto ad individuare, elencare, descrivere e valutare
nella loro esatta e precisa consistenza i beni compresi nel
fallimento. In secondo luogo l'inventario implica la presa
in consegna, ad opera del curatore, dei beni inventariati
e la sua responsabilità in ordine alla loro custodia":
così Codice del Fallimento, a cura di Pajardi, Milano,
1994, pag. 370. Con l'inventario, dunque, si adegua la realtà
di fatto a quella giuridica ovvero lo status facti alla perdita
del potere di amministrazione e disposizione del proprio patrimonio
destinata a prodursi, per il fallito, a decorrere dalla data
della dichiarazione di fallimento. In questi termini la sigillazione
salvaguarda, interinalmente, quell'effetto di conformazione
che l'inventariazione determina.
Va debitamente segnalato che il tribunale di Alessandria,
con ordinanza del 7.4.'93 (in Dir. fall. 1993, II, 414) ebbe
a sollevare questione di legittimità costituzionale
dell'art. 84 l.f., in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., nella
parte in cui la disposizione denunziata non prevede che il
g.d. possa autorizzare il curatore a redigere immediatamente
l'inventario senza la preventiva apposizione dei sigilli,
ove quest'ultima, alla stregua degli atti, risulti impossibile
o superflua. La Corte costituzionale, con statuizione del
3.3.'94, n. 71 (in Dir. fall. 1994, II, 682, con nota di Ragusa
Maggiore, Inventario e sigillazione: una questione sulla natura
degli istituti) ebbe a dichiarare l'inammissibilità
della quaestio, reputando che la censura prefigurata sollecitava
l'opportunità di una riforma della disciplina positiva,
rimessa alla discrezionale valutazione del legislatore.
8) Siffatto momento si identifica con la data della sua pubblicazione
mercè il deposito in cancelleria e non già con
la data della sua deliberazione: cfr. in tal senso Cass. 22.11.'91,
n.12573, in Dir. fall. 1992, II, 734; Cass. 16.4.'92, n. 4705,
in Il fall. 1992, 911.
9) L'accettazione costituisce requisito estrinseco di efficacia
della nomina.
10) La sentenza che dichiara il fallimento è comunicata
per estratto, tra gli altri, al curatore entro il giorno successivo
alla sua data: art. 17, co. 1, l.f.; il curatore, entro i
due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina,
deve comunicare al giudice delegato la sua accettazione: art.
29, co. 1, l.f...
11) Così Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare,
op. cit., pagg. 350-351. L'A. precisa che la competenza del
g.d. in tema di sigillazione "è eccessiva, trattandosi
di un atto che non richiede particolari qualificazioni giuridiche,
anche per il lievissimo margine di discrezionalità
connesso all'operazione"; al contempo, potrebbe sancirsi
la competenza del giudice delegato per gli incidenti eventualmente
determinatisi in sede di attuazione della cautela, perpetuandone,
altresì, la potestà in tema di vendita di cose
detoriorabili.
12) Per "casa del debitore", ai sensi degli artt.
513, 621, e 622 c.p.c., deve intendersi quella in cui egli
abita di fatto e stabilmente, ancorchè altri ne sia
proprietario o eserciti su di essa diritti reali o di godimento:
cfr. in tal senso Cass. 25.1.'79, n. 579.
13) Cfr. Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit., pag.
11. La giurisprudenza, dal canto suo, ribadisce costantemente
che trattasi di presunzione iuris tantum: cfr. in tal senso,
tra le altre, Cass. 20.5.'87, n. 4616, in Rep. Foro it. 1987,
voce Esecuzione in genere, n. 58.
14) La detenzione è "la disponibilità di
fatto della cosa in nome altrui. L'espressione in nome altrui
vale ad indicare che il potere sulla cosa è subordinato
al potere di un altro soggetto, il possessore, e dipende da
quest'ultimo in termini di autorizzazione, concessione, ecc.":
così Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà,
Milano, 1999, pag. 725.
15) Il possesso, secondo la dizione testuale dell'art. 1141,
co. 1, c.c., si presume in chi esercita il potere di fatto
sulla cosa, sia cioè in relazione di contiguità
fisica con la stessa.
16) Cfr. in tal senso Cass. 25.5.'87, n. 4698, in Rep. Foro
it. 1987, voce Possesso, n. 7.
17) Cfr. in tal senso Cass. 21.6.'85, n. 3721, in Giust. civ.
Rep. 1985, voce Possesso, n. 3.
18) Il principio fonda positivamente sul disposto dell'art.
45 l.f.. Siffatta norma riguarda non solo gli atti posti in
essere dal fallito, ma, in generale, tutti quelli che interessino
il fallito e possano opporsi ai creditori, da chiunque compiuti.
La medesima previsione legislativa costituisce applicazione
in campo fallimentare delle regole generali dui agli artt.
2914 e 2915 c.c.: cfr. in tal senso Cass. 5.6.'87, n. 4915,
in Il fall. 1987, 1168.
19) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 205.
20) Cfr. in tal senso, tra le altre, trib. Venezia 6.9.'85,
in Il fall. 1986, 117.
21) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 12.
22) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 12.
23) Spiega efficacemente il Ricci -Lezioni sul fallimento,
II, op. cit., pag. 27- che, potendo essee muniti di data certa
soltanto i documenti, la norma di cui all'art. 45 l.f. sacrifica
in ogni caso il terzo titolare del diritto che sia divenuto
tale in virtù di un negozio stipulato oralmente, pur
quando la scrittura non sia richiesta ad substantiam. "Il
carattere orale della stipulazione....... pone il terzo nella
condizione di non poter eseguire la formalità (attribuzione
della data certa alla scrittura), dalla quale dipende la sua
prevalenza verso i terzi, e quindi anche la sua prevalenza
sul ceto creditorio. Si può allora dire che, quando
la legge richiede la attribuzione della data certa ad un documento
come formalità necessaria, anche la confezione della
scrittura fa parte della formalità in questione".
24) Così Ricci, Lezioni sul fallimento, II, op. cit.,
pag. 12.
25) Cfr. Cass. 10.3.'95, n. 2791, in Il fall. 1995, 1043.
In senso analogo cfr. trib. Treviso 9.1.'98, in Il fall. 1998,
1172, ove leggesi testualmente: "...... il curatore....
deve... prendere in consegna i beni che vengono via via inventariati...;
e tali beni sono tutti quelli che si trovano nella sede principale
dell'impresa e negli altri luoghi che siano nella disponibilità
del fallito, sicchè deve ritenersi non solo legittima,
ma anzi doverosa l'apprensione.... da parte del curatore anche
dei beni che, in ipotesi, risultino acquistati con patto di
riserva della proprietà".
26) Si allude, ante omnia, a quel 45.90% che esclude dall'inventariazione
i beni di cui il terzo si affermi proprietario, all'uopo esibendo
documentazione avente data certa anteriore al fallimento.
27) Con riferimento ai beni mobili ritenuti di proprietà
del fallito, ma posseduti o detenuti da terzi i quali non
contestino il diritto del fallito (e, dunque, l'appartenenza
al fallimento), nondimeno rifiutandone la consegna al curatore,
all'uopo allegando un proprio diritto personale o reale a
possedere o detenere i beni, in virtù di un titolo
ritenuto dagli organi fallimentari opponibile alla massa,
la prassi riscontrata in via nettamente prevalente (50,81%)
è nel senso che il curatore proceda, comunque, all'inventario,
lasciando, tuttavia, le res nella disponibilità dei
terzi.
28) Si tenga conto che, al gravoso onere probatorio che grava
sull'attore in rivendicazione (cosiddetta probatio diabolica),
non corrisponde onere probatorio alcuno per il convenuto,
il quale può trincerarsi dietro il possideo quia possideo:
cfr. in tal senso Cass. 13.4.'87, n. 3669, in Rep. Foro it.
1987, voce Proprietà (azioni a difesa), n. 4. Al riguardo
va precisato che che il codice civile del '42 non recepito
la disposizione di cui all'art. 687, co. 1, del codice del
1865, ove era sancita la presunzione del possesso a titolo
di proprietà: siffatta presunzione esonerava il possessore
dalla prova di aver esercitato il possesso in qualità
di proprietario. Nondimeno, spiega autorevole dottrina, che
"questa prova non è però richiesta neppure
dal codice vigente. Chi infatti prova di avere la disponibilità
di fatto della cosa ha per ciò stesso provato una situazione
corrispondente all'esercizio del diritto di propietà":
così Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà,
op. cit., pagg. 784-785.
29) Cfr. in tal senso trib. Torino 19.3.'90, in Dir. fall.
1990, II, 1183; Cass. 14.7.'97, n. 6353, in Il fall. 1998,
178. L'emanazione del decreto al di fuori delle ipotesi enunciate,
ne determina, quale atto abnorme, la giuridica inesistenza,
con la conseguenza che avverso il medesimo provvedimento il
terzo potrà in ogni tempo esperire l'actio nullitatis
ovvero un'ordinaria azione di accertamento colta a conseguire
declaratoria di inesistenza del decreto medeimo: cfr. in tal
senso Cass. 14.7.'97, n. 6353, cit.; Cass. 2.9.'96, n. 8004,
in Il Fall. 1997, 486.
30) Cfr. trib. Roma 21.2.'95, in Dir. fall. 1995, II, 283,
ove si precisa che dall'inventariazione vanno esclusi i beni
posseduti da terzi, che rifiutano di farne esibizione al curatore
ai fini dell'acquisizione.
31) Cfr. in tal senso Santini, Società a responsabilità
limitata, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca,
Bologna, 1992, pag. 166. L'A. spiega, preliminarmente, "che
l'espropriazione delle quote sociali nel nostro ordinamento
integra un'ipotesi tipica di espropriazione forzata di un
contratto (o meglio di rapporti contrattuali unitariamente
intesi). Per essa valgono le norme processuali dell'espropriazione
mobiliare indiretta, in quanto applicabili". Si veda,
altresì, Cass. 12.12.'86, n. 7409, in Foro it. 1987,
I, 1101, secondo cui la quota sociale della società
a responsabilità limitata -non essendo incorporata
in una azione e, quindi, in un documento avente natura di
cosa materiale- è bene immateriale equiparato, ex art.
812 c.c., al bene mobile materiale (non iscritto in pubblico
registro) e resta sottoposta alla disciplina legislativa di
questa categoria di beni. Tuttavia, stante la necessità
della collaborazione degli organi sociali ai fini dell'individuazione
della quota, il pignoramento della quota stessa deve avvenire
nella forma del pignoramento presso terzi.
32) Cfr. in tal senso Lo Cascio, Il fallimento e le altre
procedure concorsuali, Milano, 1998, pag. 431. La notificazione
di cui all'art. 2480, co. 2, c.c. è intesa a mò
di invito, rivolto alla società, a far partecipare
alla vendita persona ad essa gradita.
33) Si allude a Cass. 3.4.'91, n. 3482, in Foro it. 1992,
I, 842, con nota, Inapplicabilità dell'art. 2480 c.c.
in presenza di una clausola di prelazione al trasferimento
di quote di s.r.l.?, di Meli.
34) Con riferimento all'ambito di applicazione del co. 3 dell'art.
2480 c.c. la Suprema Corte, con la citata statuizione del
3.4.'91, n. 3482, ha, tra le altre, così enunciato
le caratteristiche essenziali del limite all'alienabilità
delle quote, atto a trovare corrispondente tutela nella previsione
dell'art. 2480, co. 3, c.c.: "A) l'opponibilità
del limite ai terzi.....; B) la titolarità dell'interesse
sostanziale, tutelato con la forma procedurae in esame, da
arte della società, non già dei soci uti singuli,......;
ne deriva che limitazioni, ancorchè ad effetto reale,
in quanto risultanti dal contratto sociale, previste nel solo
interesse dei soci ed aventi natura di patto parasociale incluso
nel contratto di società......., esulerebbero dalla
fattispecie procedurale dell'articolo in esame;.....".
Su scorta di tali rilievi il giudice del diritto ha reputato
che le clausole di gradimento, se ed in quanto rispondenti
all'interesse della società, rendono operante il limite
all'alienabilità di cui all'art. 2480, co. 3, c.c..
"A diversa conclusione deve giungersi, invece, per le
clausole di prelazione......... , in quanto la relativa limitazione
è posta essenzialmente nell'interesse dei soci, ai
quali solo il diritto di prelazione compete e giova, sia nell'ipotesi
in cui la prelazione sia prevista in favore di un socio qualsiasi,
sia quando..... essa vantaggi vincolativamente tutti i soci
in funzione delle rispettive quote": così Cass.
3.4.'91, n. 3482, cit..
35) In senso contrario, tuttavia, Cass. 3.4.'91, n. 3482,
cit., ove, in motivazione, si assume che la norma speciale
di cui all'art. 2480, co. 3, c.c. importi deroga alla disciplina
di cui all'art. 106 l.f.. Si tenga conto, in ogni caso, che,
a norma dell'art. 2480, co. 3, seconda parte, c.c., "la
vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione,
la società presenta un altro acquirente che offra lo
stesso prezzo".
36) "Occorre sottolineare che la presentazione di un
altro acquirente non dà luogo a rinnovazione della
vendita della quota, ma alla sostituzione automatica del primo
aggiudicatario con il compratore designato dalla società,
alle stesse condizioni e termine di pagamento del prezzo fissati
nel provvedimento del giudice delegato": così
Codice del Fallimento, a cura di Pajardi, op. cit., pag. 474.
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