Avv.
Domenico Santacroce, Misure di prevenzione - tutela dei
terzi e fallimento; analisi e possibili soluzioni di un permanente
conflitto
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La
legislazione antimafia, al fine di impedire la elusione delle
misure patrimoniali, prevede la confisca anche dei beni che,
pur essendo appartenenti a terzi, si trovino nella disponibilità
del soggetto proposto. Questa previsione introduce il problema
della tutela dei diritti dei terzi che interferiscono con
i beni sequestrati.
Si tratta di problema di difficile soluzione, perché
le misure di prevenzione patrimoniali, comparse nel nostro
ordinamento con la legge 646 del 1982, e cioè dopo
più di venticinque anni dalla legge 1423 del 1956,
non sono state accompagnate dai necessari opportuni raccordi
tra le numerose innovazioni legislative ed il testo originario
e da una effettiva rielaborazione coordinata dei vari istituti.
Sicché, quasi tutto è lasciato alla interpretazione,
che, specie in tema di tutela dei terzi e a fronte della carenza
di una specifica e chiara normazione, oscilla tra la necessità
che non si possa prescindere dalla tutela del diritto dei
terzi e la preoccupazione che tale garanzia possa tramutarsi
in un vantaggio del soggetto proposto, consentendogli, attraverso
la tutela del terzo, di vanificare gli effetti della misura
patrimoniale e di portare a termine una operazione di riciclaggio.
Il problema si complica ulteriormente allorché il sequestro
colpisca una azienda dell'indiziato di mafia e la misura patrimoniale
preceda o segua la dichiarazione di fallimento del proposto.
Va
in primo luogo precisato che tutte le questioni che riguardano
la tutela del diritto dei terzi , non si riferiscono affatto
ai soggetti indicati nel comma 3 dell'art. 2 bis della legge
575 del 1965, cioè al coniuge, ai figli, del proposto,
nonché a coloro che hanno convissuto nell'ultimo quinquennio
con il proposto. Tutti costoro non possono essere considerati
terzi in senso tecnico, perché nei loro confronti,
e per i particolari rapporti che essi hanno con l'indiziato
di mafia, la legge prevede la estensione delle indagini sulla
base di una presunzione di disponibilità da parte del
proposto. ( cfr. Cass. Pen., sez. II, 10 febbraio 1997, n.4916
). Ciò, però, non comporta la violazione del
loro diritto di difesa, in quanto tali soggetti, pur non essendo
indicati tra i destinatari dell'avviso a comparire in camera
di consiglio, possono, comunque, intervenire nel processo
di prevenzione per far valere i loro diritti ( cfr. Cass.
Pen., sez. I, 17 novembre 1989, in proc. Nuvoletta) .
Nell'affrontare
il problema della tutela del diritti dei terzi si suole distinguere
tra diritti dei terzi incompatibili e diritti compatibili
con la pretesa dello Stato (cfr. G. Monteleone: Effetti ultra
partes delle misure patrimoniali antimafia, in Riv. Trim.
Dir. Proc. Civ. 1988, pag. 579), oppure tra diritti di "terzi
in senso assoluto" e diritti di "terzi in senso
relativo" (cfr. L. Filippi: Il procedimento di prevenzione
patrimoniale, CEDAM 2002, pag. 505). Sono certamente incompatibili
con il sequestro e la confisca antimafia i diritti dei terzi,
che pregiudicano, sia pure in parte, la possibilità
di ablazione del bene, mentre sono ritenuti compatibili con
la pretesa dello Stato tutti gli altri diritti dei terzi,
comunque connessi con la posizione giuridica e con i diritti
del proposto, la cui esistenza non impedisce di privare i
soggetti pericolosi delle disponibilità di beni di
origine illecita attribuendone la proprietà allo Stato.
Sono
incompatibili con le pretese dello Stato i diritti di proprietà
ed i diritti reali di godimento. Tali diritti riconducono
il bene, colpito da sequestro preventivo, nella categoria
dei beni appartenenti a terzi, per i quali la legge prevede
espressamente (comma 5, art. 2 ter legge 575 del 1965) che
i soggetti che ne sono titolari partecipino al procedimento
di prevenzione, affinché avvenga anche in loro contraddittorio
l'accertamento della sussistenza del presupposto del sequestro
e della confisca antimafia, cioè della disponibilità
uti dominus da parte del proposto. Si tratta di una previsione
di carattere processuale dalla cui inosservanza non deriva
la nullità del procedimento di prevenzione, in quanto
i soggetti di tale procedimento sono soltanto tre: il giudice,
il pubblico ministero ed il proposto. Tuttavia, poiché
il sequestro e la confisca antimafia lasciano intatti e non
pregiudicano i predetti diritti reali in capo a terzi finché
non si dimostri anche in loro contraddittorio che il proposto
possa comunque disporre dei beni, i terzi titolari di diritto
di proprietà o di diritti reali di godimento sul bene
aggredito dalle misure antimafia possono, anche se non partecipano
al procedimento di prevenzione, far valere le loro ragioni
con incidente di esecuzione. Questo è il rimedio generalmente
ammesso contro i provvedimenti patrimoniali antimafia soprattutto
quando coinvolgano un terzo, intestatario del bene, rimasto
estraneo alla procedura (Cfr, Cass. Pen, sez. VI 22 marzo
1999, in proc. Rielo; Cass. Pen. sez. V, 19 maggio 1998, in
proc. Cassani).
Nei
suddetti casi di appartenenza del bene in sequestro a terzi,
l'accusa è caricata di un onere probatorio ordinario,
di tipo civilistico, e, anche se sono utilizzabili presunzioni,
esse devono essere gravi, precise e concordanti, in quanto
il pregiudizio della misura antimafia è in questi casi
esteso al terzo a condizione che sia raggiunta la piena prova
non solo della disponibilità del bene uti dominus da
parte del proposto, ma anche quella della illecita provenienza
del bene, quale unica ragione della apparente titolarità
di tali diritti in capo a soggetto diverso dal mafioso. Ed,
inoltre, se, pur restando ferma la pericolosità del
soggetto mafioso, sopraggiungano al giudicato di prevenzione
fatti nuovi che tendono ad inficiare la ritenuta illegittimità
dei beni confiscati, i terzi, anche se rimasti estranei al
procedimento di confisca, possono avvalersi del rimedio dell'incidente
di esecuzione di cui agli artt 666 e ss. c.p.p., ferma restando
la possibilità, per il giudice dell'esecuzione, di
rimettere le parti innanzi al giudice civile, ai sensi del
combinato disposto dell'art. 676, comma 2 e 263, comma 3 c.p.p.,
in caso di controversia sulla proprietà delle cose
sequestrate (cfr. Cass. Pen., sez. VI 4 giugno 1997, n. 2244;
Cass. Pen., sez. IV 11 febbraio 1994, in proc. Doretti).
Sono
ritenuti, invece, compatibili con la pretesa dello Stato in
materia di prevenzione tutti gli altri diritti dei terzi che,
stricto iure, non rientrano nel concetto di appartenenza del
bene a terzi; quali i diritti reali di garanzia, i diritti
di obbligazione, i crediti pignoratizi, i crediti assistiti
da privilegio generale o speciale, i crediti chirografari.
Quanto
ai diritti reali di garanzia, si sono fatti in dottrina ed
in giurisprudenza discussi e contrastati tentativi di dilatazioni
del concetto di appartenenza a terzi, allo scopo di estendere
ai soggetti che sono titolari di crediti garantiti da ipoteca
sui beni in sequestro la medesima posizione processuale assicurata
dal comma 5 dell'art. 2 ter della legge 575 del 1965 ai terzi
proprietari o titolari di diritti reali di godimento. Da ultimo,
e a questo proposito, va ricordata la sentenza delle seconda
sez. della Cass. Pen. 16 febbraio 2000, in proc. Ienna (in
Cass. Pen. 2000, pag. 2770), secondo la quale nel concetto
di appartenenza vanno inclusi i diritti reali di garanzia,
in quanto determinano una indisponibilità del bene
da parte del proprietario e l'assoggettamento dello stesso
bene al titolare di tali diritti al quale deve riconoscersi
la possibilità di intervento nel procedimento di prevenzione
e non la residuale tutela dell'incidente di esecuzione. Ma,
nonostante tale autorevole conclusione, rimangono notevoli
dubbi per il fatto che la tesi non ha corrispondenza con il
testo letterale della norma di cui al comma 5 dell'art. 2
ter della legge 575 del 1965, il quale pare voler fare riferimento
soltanto ai soggetti che vantino diritti reali di proprietà
e di godimento costituiti sul bene oggetto del sequestro,
ispirandosi alla ratio della massima semplificazione del procedimento
di prevenzione che non tollera intralci determinati da accertamenti
incidentali, in ordine alla sussistenza di diritti che possono
trovare tutela in altra sede.
Non
v'è dubbio, però, che, salvo le dispute in ordine
alla possibilità o meno di difesa all'interno del procedimento
di prevenzione, vi è un concorde orientamento che ritiene
anche i diritti reali di garanzia suscettibili di tutela,
in quanto al proposto non può essere tolto più
di quanto egli abbia e perché il trasferimento del
bene allo Stato non può essere sicuramente occasione
di arricchimento dell'Erario in danno di soggetti diversi
dal proposto ed incolpevoli. Sarà possibile al terzo,
portatore di ipoteca, far valere contro il sequestro e la
confisca, non la garanzia specifica sul bene, con il suo caratteristico
ius distrahendi, ma soltanto il credito assistito, che se
di data certa e garantito con iscrizione anteriore al sequestro,
dovrà essere soddisfatto, con effetti surrogatori,
da parte dell'Erario, sempre che questi non ne provi la simulazione
o non dimostri che il terzo, per colpa o dolo, abbia ignorato
la provenienza illecita del bene offerto o sottoposto a garanzia.
Quanto
ai diritti di obbligazione e ai crediti chirografari, a fronte
di una tendenza rigorosa volta alla esclusione di ogni tutela,
si sono andate radicando posizioni che distinguono tra obbligazioni
e debiti personali del proposto ed obbligazioni e passività
che riguardano, invece, l'azienda del proposto.
Si
è sostenuto, infatti, con l'avallo anche della suprema
Corte di Cassazione ( Cass. Pen 23 marzo 1998, in proc. Commisso,
G.I. 1999, II, p.ag. 1275 ) che nel caso di sequestro di una
azienda mafiosa le passività aziendali transitano nel
patrimonio dello Stato, in base al principio che quando l'ablazione
riguardi una universitas, il compendio patrimoniale passa
alla pubblica amministrazione così come è, incluse
le passività. Perché, ha osservato acutamente
qualcuno, " Trasformare - con il colpo di bacchetta magica
della confisca - una azienda passiva in una azienda attiva
solo perché mafiosa è un miracolo che non può
riuscire nemmeno al legislatore collettivista più spinto."
( Giancarlo Montedoro: La destinazione sociale dei beni confiscati,
in AA. VV, Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e
prassi applicativa, Bari, Cacucci, 1998, pag. 423).
In
sostanza, esaminando a fondo gli orientamenti prevalsi in
ordine alla tutela dei terzi titolari di diritti reali di
garanzia ed in ordine alla tutela dei terzi titolari di obbligazioni
o di crediti chirografari connessi all'azienda del proposto
si ricava che la regola alla quale bisogna attenersi si basa
su due elementi fondamentali: uno oggettivo, costituito dal
carattere reale e non fittizio della situazione giuridica
vantata dal terzo in forza di titolo avente data certa anteriore
alla misura patrimoniale antimafia; ed uno soggettivo consistente
nella buona fede del terzo che abbia fatto affidamento sul
patrimonio dell'indiziato di mafia, incolpevolmente ignorandone
sia la mafiosità, sia l'origine illecita del suo patrimonio.
Sin
qui alcune possibili certezze che possono essere tranquillamente
estese ai crediti pignoratizi ed ai privilegi speciali sui
beni del proposto, fermo restando che nessuno dei titolari
di tali diritti, come anche nessuno dei titolari di obbligazioni
o crediti connessi alla gestione dell'azienda, al pari dei
terzi titolari di diritti reali di garanzia, può intervenire
nel procedimento di prevenzione, e che ogni loro pretesa può
trovare tutela soltanto con l'incidente di esecuzione, unico
strumento, come si diceva innanzi, con il quale è possibile
demolire le statuizioni patrimoniali di un provvedimento di
prevenzione, allorché sia divenuto non impugnabile
ed allorché coinvolga soggetti non legittimati al procedimento
ed alla impugnazioni conseguenti.
Quale
il regime dell'onere della prova in tali specie di contese?
Non
v'è dubbio alcuno che tale onere sia tutto a carico
dell'Erario, secondo i canoni ordinari di distribuzione dell'onere
della prova previsti nel nostro ordinamento dal vigente codice
civile, qualora, a fronte di un titolo di data certa anteriore
al sequestro antimafia, si deduca la simulazione o la illiceità
del rapporto. Lo stesso regime di distribuzione dell'onere
della prova dovrebbe essere osservato qualora l'Erario contesti
la buona fede del terzo, e ciò, non solo perché
nel nostro ordinamento la buona fede si presume, ma soprattutto
perché nell'ambito del nostro sistema penale la fattispecie
dell'incauto acquisto, disciplinata dall'art. 712 c.p., descrive
quali sono gli elementi del colpevole affidamento dell'agente
che l'accusa è tenuta a provare e stabilisce quindi
un principio di carattere generale che non può non
essere applicato nella materia di cui discutiamo. Ed in proposito
preoccupa non poco l'orientamento espresso dalle SS UU Penali
della Corte di Cassazione nella sentenza Bacherotti dell'8
giugno 1999 - per ora riferito alla confisca di cui all'art.
240 del c.p., e, quindi, al di fuori del tema delle misure
di prevenzione - con il quale si carica il terzo dell'onere
della prova sull'assenza di collegamenti del proprio diritto
con l'altrui condotta delittuosa o del suo affidamento incolpevole
qualora tale collegamento sussista.
Al
di fuori delle suddette categorie di obbligazioni e di diritti
ogni altra situazione giuridica attiva che faccia capo ai
terzi è, allo stato della normativa vigente, priva
di tutela a fronte di una misura di prevenzione patrimoniale,
e le perplessità che sul piano costituzionale genera
una tale tesi di rigore alimentano soltanto la speranza che,
prima o poi, il legislatore si decida ad intervenire per eliminare
dubbi e disparità di trattamento.
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Enucleati
i limiti in cui attualmente si ritiene possibile la tutela
dei terzi in occasione della applicazione di misure patrimoniali
antimafia, rimane ancora notevolmente ingombro di problemi
il terreno dei rapporti tra fallimento e prevenzione.
Se
la dichiarazione di fallimento precede il sequestro antimafia,
v'è in primo luogo da risolvere la questione più
radicale e cioè quella della compatibilità del
sequestro antimafia in pendenza di fallimento. In proposito
si opina che non sia una buona ragione ritenere inammissibile
il sequestro antimafia per il solo fatto che l'indiziato di
mafia sia stato escluso dall'amministrazione dei propri beni
per effetto della dichiarazione di fallimento, perché
il sequestro antimafia mira ad anticipare gli effetti della
confisca, sicché sussiste un interesse alla irrogazione
della detta misura cautelare onde impedire la dispersione
del patrimonio residuato dalla liquidazione concorsuale (cfr
M. Fabiani: Misure di prevenzione patrimoniali e interferenze
con le procedure concorsuali, in AA VV. Le misure di prevenzione
patrimoniali. Teoria e prassi applicativa, Bari, Cacucci,
1998, pag. 182 ).
Ciò
detto, la risoluzione dei problemi della interferenza tra
fallimento e misura di prevenzione patrimoniale va affrontata
evitando di affidarsi ai possibili accostamenti del sequestro
antimafia ad altri istituti del nostro ordinamento ( quali
il sequestro conservativo o il sequestro giudiziario ), perché
tali accostamenti, nonostante lodevoli ed encomiabili sforzi
sul piano teorico, approdano sempre a conclusioni discutibili,
atteso che l'ostacolo principale dell'interprete è
costituito dalla natura sui generis che connota questo ed
altri istituti delle misure di prevenzione patrimoniali, i
quali, come già si è evidenziato, sono stati
introdotti dal legislatore senza un minimo di coordinamento
e sotto la spinta emotiva, derivata da eventi di eccezionale
gravità. Il metodo meno rischioso appare, invece, quello
che mira a salvaguardare gli effetti sostanziali della misura
patrimoniale, nei limiti che questa incontra per effetto delle
tutela dei diritti dei terzi, secondo quando si è avuto
occasione di precisare poco innanzi su questo tema.
Orbene,
nel caso in cui il sequestro antimafia segua la dichiarazione
di fallimento, poiché il vincolo fallimentare è
ontologicamente paragonabile ad un pignoramento con effetto
generalizzato su tutti i beni del fallito e nell'interesse
di tutti i creditori concorrenti, la misura cautelare anticipatoria
della confisca, intervenuta successivamente, non può
prescindere dalla esistenza di questo vincolo, del quale beneficiano,
a fronte della pretesa ablativa dello Stato, tutti i creditori
concorrenti senza possibilità di distinzione tra chirografari
e non, nonché tra passività personali del proposto
e passività connesse alla gestione della sua azienda.
In questo caso il risultato consentito all'Erario può
essere soltanto quello di acquisire il patrimonio illecito
del proposto limitatamente alla parte che residua dalla liquidazione
fallimentare. E ciò, non diversamente dalla ipotesi
in cui, in assenza di procedura fallimentare, l'amministratore
giudiziario si trovasse a fronteggiare l'interesse di terzi
tutti titolari di crediti assistiti da vincoli antecedentemente
imposti sui beni del proposto.
Nel
caso in cui la procedura fallimentare insorga, come più
spesso accade, successivamente alla applicazione del sequestro
antimafia, nella massa attiva fallimentare, liquidati i beni
colpiti da sequestro antimafia, andranno soltanto le somme
riferite a crediti legittimamente opponibili all'amministratore
giudiziario, non in forza del generale vincolo derivante dal
fallimento, ma per l'autonoma valenza, rispetto alla misura
cautelare, di vincoli ed obbligazioni derivanti dalla specie
e natura di ciascun titolo. Anche in questo caso, quindi,
l'Erario conseguirà non più di quanto gli spetta,
e questa complessa operazione potrà essere facilitata,
obbligando il curatore ad una scrupolosa e ben cadenzata presentazione
dei prospetti delle somme realizzate e disponibili, con la
classificazione delle entrate secondo la loro provenienza,
arricchita da specificazioni che consentano di individuare
le entrate riferite a beni gravati da sequestro antimafia.
E'
chiaro che questo sistema ha come sua opzione obbligatoria
che tutto avvenga nell'ambito della procedura concorsuale
e con la utilizzazione degli istituti propri di questa, previsti
in un sistema organico, modulato sul principio della par condicio
nell'interesse pubblico a tutela dell'economia. Alla curatela
fallimentare spetteranno, quindi, con i poteri e le facoltà
che la caratterizzano, la gestione e la liquidazione dei beni
del fallito, ed il curatore sarà legittimato alla vendita
dei beni a prescindere dai vincoli di destinazione, di cui
alla legge 109 del 1996, che, se ritenuti inderogabili, imporrebbero
l'estromissione di determinati beni dalla massa attiva fallimentare
con ingiustificato arricchimento dell'Erario in danno di terzi
titolari di diritti opponibili e tutelabili. E i conflitto
tra amministratore giudiziario e curatela fallimentare troveranno
la loro sede di risoluzione nell'ambito degli istituti propri
della procedura fallimentare, predisposti per la esatta ricostruzione
dell'attivo e del passivo ed idonei, quindi, tanto a far valere
la simulazione di rapporti fittizi o derivanti da collusione
o da colpevole affidamento, quanto a tutelare terzi e creditori
incolpevoli.
Va
detto che la via verso la suddetta soluzione è stata
aperta dalla stessa Corte di Cassazione ( Cass. Pen. sez.
I, 14 febbraio 1988, in proc. Nicoletti ) allorché
ha ritenuto prevalente la misura di prevenzione nella sola
ipotesi in cui il sequestro sia intervenuto prima del fallimento,
riconoscendo in questo caso alla curatela fallimentare di
proporre incidente di esecuzione avverso la procedura di prevenzione.
Tuttavia, in assenza di un intervento legislativo, auspicato
anche dalla Corte Costituzionale nella ordinanza 455 del 14
aprile 1988, è possibile dedurre dalle varie soluzioni
alternative, che la stessa Corte Cost. ha voluto suggerire
al legislatore, che non è affatto uno sproposito ritenere
sempre ed in ogni caso, e quindi anche nel caso in cui il
fallimento sia successivo al sequestro, la prevalenza della
procedura fallimentare, quale sede più idonea tanto
per rimuovere gli effetti pregiudizievoli della misura di
prevenzione, quanto per impedire il riciclaggio di illecite
risorse (M. Fabiani: Misure di prevenzione patrimoniali ed
interferenze con le procedure concorsuali, in AA. VV.: Le
misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa,
pag. 175, Cacucci Editore 1988). Si pensi soltanto agli ampi
poteri inquisitori che spettano agli organi del fallimenti
in sede di verifica dello stato passivo ed ai vantaggi che
possono conseguirsi, anche ai fini della prevenzione patrimoniale,
con l'esercizio della facoltà concessa al curatore
dall'art. 72 della legge fallimentare di sciogliersi ipso
iure dai rapporti pendenti, facoltà che non è
concessa, invece, all'amministratore giudiziario.
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