Corte di cassazione (Sez. V civ. - trib.), sentenza 11 dicembre 2000, n. 15568.
TRIBUTI - Imposte sui redditi - Redditi d'impresa - Fallimento e liquidazione coatta - Chiusura del fallimento con concordato e con cessione all'assuntore di tutte le attività fallimentari - Tassazione - Esclusione.
D.p.r. 22.12.1986, n. 917, art. 125.

La chiusura del fallimento con concordato e con cessione all'assuntore di tutte le attività fallimentari priva queste della consistenza di residui attivi dell'impresa fallita, e non ne consente la tassazione quali redditi dell'impresa stessa a norma dell'art. 125 del testo unico delle imposte sui redditi (d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917).

A queste conclusioni la Corte è pervenuta attraverso le argomentazioni qui di seguito riassunte.
Il concordato fallimentare, con accollo dei relativi impegni da parte di un terzo assuntore e dietro cessione al medesimo di tutte le attività, secondo le previsioni degli art. 124 e seguenti della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), integra una scelta convenzionale, con l'avallo degli organi del fallimento e, poi, l'omologazione del tribunale. Una scelta, questa, basata sul presupposto dell'insufficienza di quelle attività all'integrale tacitazione dei creditori chirografari oltre che giustificata da una valutazione di opportunità e convenienza di un pagamento percentuale garantito rispetto alla liquidazione concorsuale delle attività medesime.

Tale cessione, per sua natura globale, in difetto di espressa eccezione nei patti concordatari, non può non riguardare anche gli eventuali diritti restitutori, che discendano da pagamenti indebitamente fatti con prelievo dalle attività fallimentari, trattandosi di diritti componenti del complesso patrimoniale ceduto.

Il trasferimento all'assuntore del credito restitutorio non trova ostacolo nella circostanza che esso si correli a solutio operata dal curatore, per imposte a suo giudizio dovute su reddito dell'imprenditore fallito, perché tale circostanza e la qualità dell'accipiens non rendono indisponibile il credito stesso. L'indisponibilità connota il rapporto tributario, non i diritti muniti di altro titolo, come il diritto di ripetere, ai sensi dell'art. 2033 del codice civile, il versamento oggettivamente non dovuto in assenza di un'obbligazione tributaria.

Orbene, nella vicenda su cui la Corte si è pronuciata non era in contestazione la cessione di tutte le attività fallimentari ad alcune Società assuntrici del concordato, ed era pacifica l'assenza di clausole derogative del tipo indicato.

Di qui, a giudizio della stessa Corte, l'idoneità del concordato ad attribuire la titolarità del diritto di ripetizione (ove esistente) all'assuntore, con esclusione dell'impresa fallita tornata in bonis, e la connessa legittimazione dell'assuntore medesimo a far valere giudizialmente l'indebito oggettivo.

Quanto all'avverarsi di tale indebito, nel caso concreto, i giudici di legittimità hanno rilevato che l'art. 125, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi e le disposizione integrative del d.p.r. 4 febbraio 1988 n. 42 considerano come reddito tassabile dell'impresa fallita la differenza fra i residui attivi che si evidenzino alla chiusura della procedura concorsuale ed il patrimonio netto presente all'apertura della procedura stessa, con l'avvertenza che questo patrimonio si reputa nullo se l'ammontare delle passività sia pari o superiore a quello delle attività.

Tali norme, esplicitamente incentrate sul raffronto fra il momento iniziale e il momento finale del fallimento, trovano base logica nell'assoggettabilità a tassazione dei risultati positivi della gestione degli organi fallimentari, in quanto incrementi patrimoniali dei quali viene a beneficiare l'imprenditore tornando in bonis.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE CIVILE V-TRIBUTARIA

composta dai magistrati

Michele Cantillo, presidente
Enrico Altieri, consigliere
Giulio Graziadei, rel. consigliere
Giuseppe Marziale, consigliere
Giuseppe Falcone, consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
N. 15568 DEP. IL 11.12.2000

sul ricorso principale proposto dalle

S.p.a. Società Generale Costruzioni, in persona dell'amministratore unico dott. Gennaro Baccile, S.r.l. Alfa, in persona dell'amministratore unico rag. Luciano Di Bello, S.r.l. Beta, in persona dell'amministratore unico rag. Luciano Di Bello, e S.r.l. Gamma, in persona dell'amministratore unico rag. Luciano Di Bello, elettivamente domiciliate in Roma, via Giacinto De Vecchi Pieralice n. 112, presso l'avv. Luigi Di Filippo, che, con l'avv. Lorenzo del Federico, le difende per procura in calce al ricorso;

ricorrenti

contro

Amministrazione delle finanze, in persona del Ministro, per legge difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

resistente

ed inoltre sul ricorso incidentale proposto dalla

Amministrazione delle finanze, come sopra difesa e domiciliata;

ricorrente

contro

S.p.a. Società Generale Costruzioni, S.r.l. Alfa, S.r.l. Beta e S.r.l. Gamma, in persona dei legali rappresentanti;

intimate

per la cassazione della decisione della Commissione tributaria centrale n. 3496/14 del 18-24 giugno 1997;

sentiti

il cons. Graziadei, che ha svolto la relazione della causa;

l'avv. del Federico, per le scorrenti principali, e l'avv. De Stefano, per l'Amministrazione;

il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Vincenzo Nardi, il quale ha concluso per l'accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso principale, con assorbimento del terzo e del quarto motivo del ricorso stesso, e per l'accoglimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S.p.a. Società Generale Costruzioni,, sottoposta a fallimento chiuso con concordato omologato dal Tribunale di Pescara il 26 febbraio 1991, ed inoltre le S.r.l. Alfa, Beta e Gamma, in qualità di assuntrici del concordato stesso, il 10 novembre 1992 hanno chiesto all'Intendente di finanza il rimborso di quanto il Curatore del fallimento aveva versato per irpeg ed ilor (rispettivamente lire 896.561.000 e lire 459.251.000) ai sensi dell'art. 125 secondo comma del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917; hanno dedotto che i pagamenti non erano dovuti, in ragione dell'inapplicabilità di detto art. 125 quando il fallimento si concluda con concordato e trasferimento ad un assuntore di tutte le residue attività; impugnando poi il provvedimento negativo dell'Intendente di finanza, hanno riproposto in sede giudiziale le domande di rimborso e le relative argomentazioni.

L'impugnazione è stata respinta dalla Commissione tributaria di primo grado di Pescara, ed invece accolta dalla Commissione di secondo grado.

L'Ufficio ha proposto ricorso alla Commissione tributaria centrale, sostenendo che le Società non avevano legittimazione a reclamare il rimborso, e che comunque erano incorse in decadenza per i pagamenti effettuati dal Curatore anteriormente al 10 giugno 1991 (oltre diciotto mesi prima della domanda).

La Commissione centrale, aderendo alla prima delle riportate deduzioni, ha dichiarato l'inammissibilità delle istanze di rimborso, considerando:

- che le Società assuntrici non erano legittimate all'azione, perché non erano debitrici d'imposta e non erano subentrate nell'eventuale credito restitutorio, anche alla luce della non disponibilità con i patti concordatari delle posizioni derivanti da normativa fiscale;

- che la Società fallita non aveva la titolarità del rapporto tributario in discussione, e peraltro non poteva disconoscere i fatti che erano stati enunciati dal Curatore nelle dichiarazioni presentate ai fini dell'applicazione del predetto art. 125;

- che, comunque, il rimborso non spettava, in quanto le plusvalenze evidenziatesi alla chiusura del fallimento erano state correttamente sottoposte a tassazione a prescindere dal trasferimento delle attività in capo alle assuntrici.

La Generale Costruzioni e le altre predette Società, con atto notificato il 19 maggio 1998, hanno sollecitato la cassazione della decisione della Commissione centrale, formulando cinque motivi d'impugnazione.

L'Amministrazione delle finanze ha replicato con controricorso, ed ha contestualmente proposto ricorso incidentale condizionato, con unica censura.

Le ricorrenti principali hanno depositato memoria ed anche nota scritta in risposta alle conclusioni del Procuratore generale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..

I primi quattro motivi del ricorso principale sono rivolti a sostenere che la legittimazione al recupero di somme indebitamente versate dal curatore, per imposte a suo avviso maturate nel corso del fallimento, deve essere riconosciuta all'assuntore del concordato, per effetto della devoluzione a quest'ultimo di tutte le attività fallimentari, o, in alternativa, al fallito, a seguito del suo ritorno in bonis, dato che il contenuto delle dichiarazioni del curatore stesso, in ordine al prodursi di redditi tassabili, non è preclusivo della successiva denuncia, con azione di ripetizione, della carenza dei presupposti dell'obbligazione tributaria.

Il quinto motivo del ricorso principale rinnova la tesi della non configurabilità di residui attivi, ai fini dell'applicazione dell'art. 125 del d.P.R. n. 917 del 1986, in caso di definizione concordataria del fallimento.
Il ricorso principale va respinto, con riguardo alla posizione della Società fallita, mentre deve essere accolto, per quanto attiene alle posizioni delle Società assuntrici del concordato, sulla scorta e nei limiti delle seguenti osservazioni.

Il concordato fallimentare, con accollo dei relativi impegni da parte di un terzo assuntore e dietro cessione al medesimo di tutte le attività, secondo le previsioni degli artt. 124 e segg. del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, integra una scelta convenzionale, con l'avallo degli organi del fallimento e poi, l'omologazione del tribunale, basata sul presupposto dell'insufficienza di quelle attività all'integrale tacitazione dei creditori chirografari, e giustificata da una valutazione di opportunità e convenienza di un pagamento percentuale garantito rispetto alla liquidazione concorsuale delle attività medesime.

Detta cessione, per sua natura globale, in difetto di espressa eccezione nei patti concordatari, non può non riguardare anche gli eventuali diritti restitutori, che discendano da pagamenti indebitamente effettuati con prelievo dalle attività fallimentari, essendo tali diritti componenti del complesso patrimoniale ceduto.

Il trasferimento all'assuntore del credito restitutorio non trova ostacolo nella circostanza che esso si correli a solutio operata dal curatore, per imposte a suo giudizio dovute su reddito dell'imprenditore fallito, perché tale circostanza e la qualità dell'accipiens non rendono indisponibile il credito stesso; l'indisponibilità connota il rapporto tributario, non i diritti muniti di altro titolo, come il diritto di ripetere, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., il versamento oggettivamente non dovuto in assenza di un'obbligazione tributaria.

Nella vicenda in esame non è in contestazione la cessione di tutte le attività fallimentari alle Società assuntrici del concordato, ed è pacifica l'assenza di clausole derogative del tipo indicato.

Ne discende l'idoneità del concordato ad attribuire la titolarità del diritto di ripetizione (ove esistente) alle assuntrici, con esclusione della fallita tornata in bonis, e la connessa legittimazione delle assuntrici medesime a far valere giudizialmente l'indebito oggettivo.

Quanto al verificarsi di tale indebito nel caso concreto, va rilevato che l'art. 125 secondo comma del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e le disposizione integrative del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42 considerano come reddito tassabile dell'impresa fallita la differenza fra i residui attivi che si evidenzino alla chiusura della procedura concorsuale ed il patrimonio netto presente all'apertura della procedura stessa, con l'avvertenza che questo patrimonio si reputa nullo se l'ammontare delle passività sia pari o superiore a quello delle attività.

Dette norme, esplicitamente incentrate sul raffronto fra il momento iniziale ed il momento finale del fallimento, trovano base logica nell'assoggettabilità a tassazione dei risultati positivi della gestione degli organi fallimentari, in quanto incrementi patrimoniali dei quali viene a beneficiare l'imprenditore tornando in bonis.

Con la conclusione concordataria del fallimento e l'assunzione dei i relativi obblighi da parte di un terzo, dietro cessione delle attività, non sono individuabili residui attivi, nel senso sopra specificato.

Il fallimento si chiude con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato (art. 131 quarto comma del r.d. 16 marzo 1942 n. 267).

Alla chiusura del fallimento, dunque, non vi sono residui attivi, perché gli stessi sono devoluti all'assuntore quale mezzo al fine del perfezionamento del concordato, e non possono al contempo integrare proventi dell'impresa fallita.

Il risultato dell'amministrazione fallimentare perde il carattere di reddito dell'impresa fallita, diventa corrispettivo (o porzione del corrispettivo) dell'accollo da parte dell'assuntore, e potrà essere tassato a carico di quest'ultimo, nel concorso delle relative condizioni, come profitto o plusvalenza (per l'entità eventualmente eccedente il costo dell'accollo).

Non è quindi ipotizzabile il pericolo (prospettato dalla Commissione centrale) di un'elusione d'imposta, mentre si evita che quei risultati della gestione fallimentare siano due volte qualificati come reddito tassabile, rispettivamente in capo all'imprenditore fallito ed in capo all'assuntore.

In conclusione sul punto, si deve affermare che la chiusura del fallimento con concordato e con cessione all'assuntore di tutte le attività fallimentari priva queste della consistenza di residui attivi dell'impresa fallita, e non ne consente la tassazione quali redditi dell'impresa stessa a norma dell'art. 125 del d.P.R. n. 917 del 1986.

Il principio ed i rilievi già svolti sulla posizione delle Società assuntrici esigono, con l'accoglimento del loro ricorso e la cassazione in ordine al corrispondente rapporto della decisione impugnata, la prosecuzione della causa in fase di rinvio, per l'esame dell'ulteriore questione del verificarsi o meno di decadenza rispetto al recupero di parte della somma indebitamente versata; questione che è stata sollevata dall'Amministrazione con il ricorso alla Commissione centrale, e che non è stata scrutinata per l'adesione alle sue deduzioni di tipo prioritario.

Tale oggetto del giudizio di rinvio implica, nel rapporto con le Società assuntrici, l'assorbimento del ricorso incidentale, in quanto diretto proprio a sollecitare l'esame di detta questione .in caso di accoglimento del ricorso principale.

Il medesimo ricorso incidentale rimane assorbito, anche nel rapporto con la soccombente Società fallita, per effetto della sua proposizione in via condizionata.

Al Giudice di rinvio, da designarsi, nella Commissioni tributaria regionale dell'Abruzzo, si affida anche la statuizione sulle spese del presente giudizio, fra le parti coinvolte dalla prosecuzione del dibattito; per le spese stesse, fra la Società fallita e l'Amministrazione finanziaria, si ravvisa equa la compensazione, per la natura e sostanziale novità della problematica affrontata.

P.Q.M.

La Corte riunisce incorsi; rigetta il ricorso della Società Generale Costruzioni; accoglie i ricorsi delle Società Alfa, Beta e Gamma, e, con riferimento al rapporto fra tali Società e l'Amministrazione finanziaria, cassa la decisione impugnata, rinviando la causa alla Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; compensa le spese del presente giudizio fra la Società Generale Costruzioni e l'Amministrazione finanziaria; rimette la statuizione sulle spese medesime, fra le altre parti, al Giudice di rinvio.

Roma, 20 settembre 2000

 












 

 

 


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