Corte
Costituzionale
Sentenza 17 ottobre 2000, 425.
Irretroattività
delle clausole sull'anatocismo
La
Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24, 76, 77,
101, 102, 104 Cost. dell'art. 25, terzo comma, D.Lgs. 4
agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi
in materia bancaria e creditizia) nella parte in cui stabilisce
che le clausole riguardanti la produzione di interessi sugli
interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente
alla data di entrata in vigore della delibera del Comitato
interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) relativa
alle modalità e criteri per la produzione di interessi
sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere
nell'esercizio dell'attività bancaria [delibera poi
emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile
2000], siano valide ed efficaci fino a tale data, e che,
dopo di essa, debbono essere adeguate - a pena di inefficacia
da farsi valere solo dal cliente - al disposto della menzionata
delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti.
Corte Costituzionale - Sentenza 17 ottobre 2000, 425
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare MIRABELLI Presidente
-
Francesco GUIZZI Giudice
-
Fernando SANTOSUOSSO "
-
Massimo VARI "
-
Cesare RUPERTO "
-
Riccardo CHIEPPA "
-
Gustavo ZAGREBELSKY "
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dellart.
25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342
(Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria
e creditizia), promossi con ordinanze emesse il 21 ottobre
1999 dal Tribunale di Benevento, il 21 ed il 29 ottobre
1999 dal Giudice istruttore del Tribunale di Lecce, l8
novembre 1999 dal Tribunale di Brindisi, il 10 dicembre
1999 dal Giudice istruttore del Tribunale di Lecce, il 9
dicembre 1999 dal Tribunale di Brindisi, il 14 gennaio 2000
(n. 2 ordinanze) dal Giudice istruttore del Tribunale di
Civitavecchia, il 9 dicembre 1999 dal Tribunale di Brindisi
e il 23 novembre 1999 dal Tribunale di Bari, rispettivamente
iscritte ai nn. 686, 690 e 753 del registro ordinanze 1999
ed ai nn. 8, 44, 55, 165, 166, 175 e 205 del registro ordinanze
2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 51, prima serie speciale, dellanno 1999 e nn. 4,
5, 8, 9, 17 e 20, prima serie speciale, dellanno 2000.
Visti
gli atti di costituzione della Fidicasa s.r.l. e Nuova Formula
78 s.r.l., della Banca Popolare di Ancona s.p.a.,
della Banca del Salento s.p.a., del Banco di Napoli s.p.a.
e del Banco San Paolo-IMI s.p.a. nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nelludienza pubblica del 20 giugno 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
uditi
gli avvocati Stanislao Aureli per la Fidicasa s.r.l. e nuova
Formula 78 s.r.l., Salvatore Maccarone per la Banca
Popolare di Ancona s.p.a., Giorgio De Nova e Salvatore Maccarone
per la Banca del Salento s.p.a., Gustavo Minervini e Vittorio
Gesmundo per il Banco di Napoli s.p.a. e lAvvocato
dello Stato Giorgio DAmato per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.-
I giudici del Tribunale di Benevento (con unica ordinanza
del 21 ottobre 1999: r.o. n. 686 del 1999), del Tribunale
di Lecce (con tre ordinanze, del 21 ottobre, 29 ottobre
e 10 dicembre 1999: r.o. nn. 690 e 753 del 1999, n. 44 del
2000), del Tribunale di Brindisi (con tre ordinanze, dell8
novembre, 9 dicembre e, ancora, del 9 dicembre 1999: r.o.
nn. 8, 55 e 175 del 2000), del Tribunale di Civitavecchia
(con due ordinanze, entrambe del 14 gennaio 2000: r.o. nn.
165 e 166 del 2000) e del Tribunale di Bari (con unica ordinanza,
del 23 novembre 1999: r.o. n. 205 del 2000), davanti ai
quali pendono giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo
promossi nei confronti di banche da alcuni loro clienti,
hanno sollevato in riferimento a vari parametri
questione di legittimità costituzionale dell'art.
25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342
(Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria
e creditizia), in vigore dal 19 ottobre 1999 [erroneamente
indicato come "art. 25, comma 2" in r.o. n. 686
del 1999 e nn. 165 e 166 del 2000; erroneamente indicato
come "art. 120, comma 3, del decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385" in r.o. n. 690 del 1999 e n.
44 del 2000], nella parte in cui stabilisce che le clausole
riguardanti la produzione di interessi sugli interessi maturati,
contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data
di entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale
per il credito e il risparmio (CICR) relativa alle modalità
e criteri per la produzione di interessi sugli interessi
maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio
dell'attività bancaria [delibera poi emessa il 9
febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000], siano
valide ed efficaci fino a tale data, e che, dopo di essa,
debbono essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi
valere solo dal cliente - al disposto della menzionata delibera,
con le modalità ed i tempi ivi previsti.
Secondo
le diverse prospettazioni dei rimettenti, la norma denunciata,
contenuta nel decreto legislativo n. 342 del 1999, emanato
giusta quanto precisato nel suo preambolo - in attuazione
dellart. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n.
128, che delega al Governo lemanazione (entro il termine
di cui al comma 1 e con le modalità di cui ai commi
2 e 3 dello stesso articolo) di "disposizioni integrative
e correttive" del testo unico bancario, "nel rispetto
dei princípi e criteri direttivi e con losservanza
della procedura indicati nellart. 25 della legge 19
febbraio 1992, n. 142", si porrebbe in contrasto:
a)
con l'art. 77 Cost., per asserito eccesso rispetto alla
legge di delegazione, stante la dedotta mancata previsione,
in questa, della possibilità di derogare retroattivamente
al disposto dell'art. 1283 cod. civ. (recante un generale
divieto di anatocismo) e di far dipendere dalle determinazioni
del CICR la validità e l'efficacia delle clausole
di anatocismo bancario (r.o. n. 686 del 1999);
b)
con l'art. 76 Cost.:
b.1)
per l'asserita inosservanza del termine previsto dall'art.
1 della legge n. 128 del 1998 ai fini dell'esercizio della
delega (cioè di un anno a decorrere dal 22 maggio
1998) a fronte dell'emanazione solo in data 4 agosto 1999
del decreto legislativo n. 342 del 1999, in vigore dal 19
ottobre 1999 (r.o. nn. 8, 55, 175 e 205 del 2000);
b.2)
per lasserita mancanza, nella legge di delegazione,
di un qualsiasi principio o criterio direttivo attinente
all'anatocismo (r.o. nn. 690 e 753 del 1999; r.o. nn. 8,
55, 165, 166, 175 e 205 del 2000);
b.3)
per lasserita sua non riconducibilità al cómpito,
fissato nella legge di delegazione, di integrare o correggere
il testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del
1993), tenuto conto che tale testo unico non contempla l'istituto
dell'anatocismo (r.o. n. 690 del 1999);
b.4)
per lasserita mancanza di previsione, nella legge
di delegazione, del potere per il legislatore delegato di
emanare norme di interpretazione autentica (r.o. n. 690
del 1999) o ad efficacia retroattiva (r.o. nn. 8, 55, 165,
166 e 175 del 2000), nonché di far dipendere dalle
determinazioni del CICR la validità e l'efficacia
delle clausole sull'anatocismo bancario (r.o. nn. 165 e
166 del 2000);
b.5)
in base alla motivazione di cui ad un "provvedimento
in atti" (r.o. n. 44 del 2000);
c)
con l'art. 3 Cost.:
c.1)
per l'ingiustificata disparità di trattamento tra
i soggetti ai quali si applica la norma che consente l'anatocismo
bancario ed i soggetti per i quali, non trovando applicazione
il testo unico bancario, vige il generale divieto di anatocismo
di cui all'art. 1283 cod. civ. (r.o. n. 686 del 1999; r.o.
nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);
c.2)
per l'ingiustificata deroga al principio dell'irretroattività
delle leggi (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale),
tale da rendere valide clausole anatocistiche stipulate
solo per talune categorie di rapporti, in modo da favorire
un contraente "forte", quale la banca (r.o. n.
686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165 166 e 175 del 2000);
c.3)
per l'ingiustificata diversità di trattamento ratione
temporis, stante l'efficacia retroattiva della denunciata
norma, di situazioni identiche (r.o. nn. 165 e 166 del 2000);
c.4)
per l'ingiustificata disparità di trattamento, nei
confronti dei clienti delle banche, nella fase anteriore
al regime fissato con la delibera del CICR, tra la posizione
debitoria verso la banca - con validità dell'anatocismo
trimestrale - e la posizione creditoria - con invalidità
di tale anatocismo - (r.o. n. 205 del 2000);
c.5)
per l'irragionevole attribuzione di validità a clausole
anatocistiche già riconosciute illecite dalla Corte
di cassazione, con le sentenze 16 marzo 1999 n. 2374 e 30
marzo 1999 n. 1096 (r.o. n. 205 del 2000);
d)
con l'art. 24 Cost., per la menomazione della tutela giurisdizionale
di chi abbia agito contro una banca, fidando nel diritto
(all'epoca) vivente sulla nullità - per contrasto
con l'art. 1283 cod. civ. - di clausole anatocistiche bancarie
(r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);
e)
con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., perché il legislatore
delegato avrebbe intenzionalmente disposto al solo fine
di dirimere il contenzioso pendente tra banche e clienti
sulle clausole anatocistiche bancarie, così violando
la riserva ai magistrati della funzione giurisdizionale
e ledendo l'indipendenza e l'autonomia di questi (r.o. nn.
8, 55 e 175 del 2000);
f)
con gli artt. 3 e 47 Cost., per l'irragionevole favore accordato
alla pericolosa pratica oligopolistica e di cartello dell'anatocismo,
tale da minare la stabilità dei prezzi e dell'intero
sistema economico, erodendo l'entità del risparmio
(r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000).
g)
con "i limiti costituzionali al potere di emanare leggi
interpretative" (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000).
1.1.-
Quanto alla rilevanza delle questioni, tutte le ordinanze
con leccezione di quella registrata al n. 44
del 2000 (che non contiene la descrizione della fattispecie
dedotta nel giudizio principale e che rinvia, per la motivazione,
ad altro provvedimento) - dopo aver indicato in quella denunciata
la norma applicabile (in virtù della sua asserita
efficacia retroattiva) nelle controversie a quibus, precisano
che nei giudizi in corso risulta, appunto, prospettata (ed
ex adverso negata) la nullità di clausole relative
alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute
in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata
in vigore della delibera del CICR menzionata nel vigente
art. 120, comma 2, del testo unico bancario (comma introdotto
dallart. 25, comma 2, del decreto legislativo n. 342
del 1999).
1.2.
Nella premessa dellordinanza registrata al n. 175
del 2000 si fa altresì menzione di una eccezione
di incompetenza territoriale sollevata, nel giudizio principale,
dalla banca opposta.
1.3.-
Nel giudizio registrato al n. 8 del 2000, il rimettente
erroneamente menziona, nellepigrafe, anche un non
proposto "ricorso per conflitto di attribuzioni fra
poteri dello stato".
2.
Nei giudizi registrati ai nn. 165 e 166 del 2000 si è
costituita, con memorie depositate fuori termine, la banca
opposta nei giudizi a quibus, s.p.a. San Paolo-IMI, mentre,
nell'imminenza dell'udienza, nel giudizio registrato al
n. 690 del 1999, si è costituito Miglietta Pietro,
una delle parti opponenti nel processo a quo, con memoria
depositata fuori termine (il 12 giugno 2000).
3.
Nei giudizi registrati ai nn. 686, 690, 753 del 1999 e 8
del 2000 si sono tempestivamente costituite le banche opposte
dei processi principali, le quali, nellimminenza delludienza,
hanno depositato memorie illustrative. Tali parti osservano
in via preliminare che il rimettente muove dagli erronei
presupposti dellapplicabilità al conto corrente
bancario dell'art. 1283 cod. civ., nonché dell'efficacia
derogatoria di tale articolo assunta (esclusivamente) dalla
norma denunciata.
Secondo
le banche, invece, diversamente da quanto ritenuto dal giudice
a quo (il quale avrebbe omesso di motivare sul punto), l'anatocismo
bancario si giustifica con il disposto degli artt. 1823,
secondo comma, 1825 e 1833 cod. civ., in base ai quali,
alla chiusura (eventualmente) trimestrale convenzionalmente
stabilita, il saldo del conto corrente, comprensivo degli
interessi maturati ed in esso conglobati, va considerato
quale prima rimessa del conto (rinnovato a tempo determinato)
per il periodo successivo e produce nuovi interessi. L'esclusione,
pertanto, di un uso normativo bancario sull'anatocismo,
prospettata dal rimettente sulla scorta di recenti pronunce
della Suprema Corte, non sarebbe sufficiente a negare la
pattuita capitalizzazione trimestrale degli interessi (fondata
sulla convenzionale chiusura trimestrale del conto), sicché
irrilevante sarebbe la sollevata questione.
Nel
merito, poi, le parti osservano:
a)
in relazione agli artt. 76 e 77 Cost., che l'esercizio della
delega è stato tempestivo, tenuto conto della proroga
di 90 giorni contemplata dall'art. 1 della legge n. 128
del 1998 per il caso in cui il termine previsto per il parere
delle Commissioni parlamentari (40 giorni dalla data di
trasmissione) venga a scadere nei 30 giorni precedenti il
22 maggio 1999 o successivamente;
b)
ancóra in relazione all'art. 76 Cost., che l'art.
25 della legge n. 142 del 1992 ha conferito, con norma "elastica",
il potere di coordinare le disposizioni adottate ai sensi
del comma 1 con le altre disposizioni vigenti nella stessa
"materia" (da interpretarsi in senso ampio), nell'àmbito
non solo dell'armonizzazione resa necessaria dalla direttiva
comunitaria, ma anche di una razionalizzazione e reimpostazione
dell'intera normativa attinente al mercato nazionale del
credito, compresa la tematica della trasparenza, così
da escludere che la denunciata disciplina sull'anatocismo
(come evidenziato dagli stessi lavori preparatori del decreto
legislativo n. 342 del 1999) sia frutto di un eccesso di
delega, rappresentando invece l'espressione della delegata
facoltà di comporre i contrasti e le incongruenze
(con attenzione anche al contenzioso pendente) riscontrati
nel settore;
c)
in relazione ai limiti costituzionali al potere del legislatore
di emanare norme interpretative ed in relazione alla prospettata
carenza di specifica delega a conferire efficacia retroattiva
o interpretativa alla norma delegata (art. 76 Cost.), che
va evidenziata la valenza meramente interpretativa della
denunciata norma, ricognitiva di varie norme vigenti, le
quali già prevedevano lanatocismo bancario;
d)
ancóra una volta, in relazione all'art. 76 Cost.,
che, anche a ritenere l'efficacia non interpretativa, ma
innovativa e retroattiva della norma denunciata, andrebbe
ugualmente negato il vizio della carenza di delega, attese
le caratteristiche non meramente compilatorie, ma anche
"normative" dei poteri del legislatore delegato;
e)
che la disciplina dellanatocismo bancario afferisce
alla tutela della trasparenza nei rapporti bancari (senza
incidere sull'entità del tasso di interesse) e rientra
quindi nell'àmbito della delega "integrativa
e correttiva" di cui alla legge n. 128 del 1998, attuata
sulla scorta dell'esperienza applicativa delle suddette
norme sulla trasparenza dei rapporti bancari, perseguendo
un fine di adeguamento e chiarificazione della disciplina
previgente;
f)
che il potere attribuito al CICR in ordine ai criteri e
modalità dell'anatocismo è in linea con le
funzioni riconosciutegli dal testo unico bancario;
g)
in relazione, poi, all'art. 3 Cost., che la natura effettivamente
interpretativa della norma denunciata esclude la dedotta
irragionevolezza della disciplina, stante la peculiare normativa
già prevista in materia dall'ordinamento giuridico
per il settore bancario da quasi un secolo, mentre l'efficacia
retroattiva troverebbe la sua ratio nella necessità
di evitare lo sconvolgimento dell'affidamento basato su
un diritto vivente che aveva certamente riconosciuto, fino
al 1999, la validità della clausola di anatocismo
bancario;
h)
ancóra in relazione all'art. 3 Cost., che è
privo di rilevanza (oltre che infondato) il profilo del
deteriore trattamento degli operatori economici estranei
al settore bancario, per i quali non sono valide clausole
anatocistiche;
i)
in relazione agli artt. 24, 101, 102 e 104 Cost., che il
legislatore delegato, legittimamente esercitando i suoi
poteri, non ha affatto invaso il potere giurisdizionale,
né ha leso il diritto di difesa dei cittadini o vulnerato
la certezza del diritto;
l)
in relazione agli artt. 3 e 47 Cost., che la disciplina
della periodicità della capitalizzazione attiene,
manifestamente, solo alla trasparenza dell'operazione al
fine di evidenziare le modalità di applicazione dell'interesse,
restando riservato ad altre norme il compito di evitare
tassi di interesse eccessivamente onerosi e di garantire
la "stabilità dei prezzi e dell'intero sistema
economico".
4.
Nei giudizi registrati ai. nn. 165 e 166 del 2000 si sono
costituite le parti opponenti dei processi principali, che
hanno pure presentato memorie nellimminenza delludienza.
Esse hanno osservato preliminarmente che la denunciata norma
va interpretata secundum Constitutionem e conformemente
all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e,
dunque, nel senso che l'affermazione di validità
(temporanea) delle clausole di anatocismo bancario ha efficacia
solo dal 19 ottobre 1999, data di entrata in vigore del
decreto legislativo n. 342 del 1999, fino alla nuova disciplina
regolamentare del CICR (intervenuta con la delibera del
9 febbraio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 43 del 22 febbraio 2000).
Nel
caso, invece, di ritenuta efficacia retroattiva (propria
o per la funzione svolta di interpretazione autentica) della
norma, le parti ne chiedono la dichiarazione di illegittimità
costituzionale per i profili indicati nelle ordinanze di
rimessione ed anche per altri profili (come lintempestivo
esercizio del potere di delega; larbitraria sostituzione
del legislatore all'autorità giudiziaria nella definizione
dei rapporti pendenti; la lesione dell'affidamento del cittadino
nella sicurezza giuridica e nella certezza del diritto).
5.
In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura
generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o comunque di infondatezza delle
questioni e confermando tali conclusioni nella memoria di
udienza (non depositata soltanto in relazione al giudizio
registrato al n. 44 del 2000). L'interveniente eccepisce
anzitutto il difetto di rilevanza delle sollevate questioni,
sia per la mancata verifica da parte dei rimettenti del
contenuto della clausola contrattuale di capitalizzazione
degli interessi (di rinvio agli usi, con conseguente nullità
ai sensi dell'art. 117, comma 6, testo unico bancario e,
ancor prima, dell'art. 4 della legge n. 154 del 1992; ovvero
di diretta pattuizione dell'anatocismo), sia, con riferimento
al solo giudizio registrato al n. 175 del 2000, per il mancato
esame dell'eccezione di incompetenza territoriale sollevata
nel giudizio a quo e menzionata nelle premesse dell'ordinanza
di rimessione.
Nel
merito, l'Avvocatura sottolinea che l'art. 1, comma 5, della
legge n. 128 del 1998 ha delegato il Governo all'emanazione
di disposizioni integrative e correttive del testo unico
bancario, nel rispetto dei principi e criteri direttivi
e con l'osservanza delle procedure indicati nell'art. 25
della legge n. 142 del 1992: norme, queste, di conferimento
della delega in base alla quale era stato emanato il testo
unico bancario, sia in attuazione di una direttiva comunitaria
(89/646/CEE), sia quale "legge di grande riforma economico
sociale" (come definito dalla sentenza della Corte
costituzionale, n. 224 del 1994). Da tale rilievo l'Avvocatura
trae la conseguenza che la norma denunciata, in quanto norma
transitoria diretta a regolare il passaggio dal precedente
al nuovo sistema in tema di interessi anatocistici ed in
quanto incidente sulla decorrenza degli interessi, attiene
(così come la modifica dell'art. 120 testo unico
bancario) alla disciplina della trasparenza dei rapporti
contrattuali e dunque è ricompresa nella delega prevista
dal citato art. 1, comma 5, della legge n. 128 del 1998
(non oggetto di censura).
Osserva,
poi, l'Avvocatura che la natura transitoria e di settore
della norma, unitamente all'esigenza di salvaguardare i
rapporti sorti sulla base dell'affidamento delle banche
sul precedente uniforme insegnamento giurisprudenziale circa
la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale
degli interessi (espressamente pattuite come tali, senza
il mero rinvio agli usi, vietato dall'art. 117, comma 6,
del testo unico bancario), rendono non arbitraria e non
irragionevole la norma censurata, la quale non comporta
alcuno straripamento del potere legislativo nel campo riservato
al potere giudiziario.
Deduce,
infine, l'Avvocatura la non pertinenza dell'evocato parametro
di cui all'art. 47 Cost., atteso che i problemi afferenti
alla clausola anatocistica riguardano la trasparenza dei
rapporti e la conoscibilità del tasso su base annua
e non possono essere confusi con l'esigenza di evitare tassi
di interesse eccessivi.
Considerato
in diritto
1.-
I giudici rimettenti, investiti di giudizi di opposizione
a decreti ingiuntivi, promossi nei confronti di banche da
alcuni clienti di queste, dubitano tutti della legittimità
costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo
4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo
1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia), in vigore dal 19
ottobre 1999, erroneamente indicato come "art. 25,
comma 2" in r.o. n. 686 del 1999, n. 165 e n. 166 del
2000, nonché come "art. 120, comma 3, del decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385" (testo unico
bancario) in r.o. n. 690 del 1999 e n. 44 del 2000.
Le
ordinanze di rimessione sollevano, in base ai diversi parametri
di legittimità costituzionale evocati, sette distinti
gruppi di questioni:
a)
in riferimento all'art. 77 Cost., per eccesso di delega
rispetto all'art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998,
n. 128 (che richiama l'art. 25 della legge 19 febbraio 1992,
n. 142), assumendo la mancata previsione, in questa, sia
della possibilità di una deroga retroattiva al disposto
dell'art. 1283 cod. civ. (recante un generale divieto di
anatocismo), sia della possibilità di far dipendere
dalle determinazioni del Comitato interministeriale per
il credito ed il risparmio (CICR) la validità e l'efficacia
delle clausole di anatocismo bancario (r.o. n. 686 del 1999);
b)
in riferimento all'art. 76 Cost.:
b.1)
per inosservanza del termine previsto dall'art. 1 della
legge n. 128 del 1998, cioè di un anno decorrente
dal 22 maggio 1998, a fronte dell'emanazione solo in data
4 agosto 1999 del decreto legislativo n. 342 del 1999, in
vigore dal 19 ottobre 1999 (r.o. nn. 8, 55, 175 e 205 del
2000);
b.2)
per mancanza, nella legge di delegazione, di qualsiasi principio
o criterio direttivo attinente all'anatocismo (r.o. nn.
690 e 753 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165, 166, 175 e 205
del 2000);
b.3)
per asserita non riconducibilità della norma denunciata
al còmpito, fissato nella legge-delega, di integrare
o correggere il testo unico bancario (decreto legislativo
n. 385 del 1993), tenuto conto che questo non contempla
l'istituto dell'anatocismo (r.o. n. 690 del 1999);
b.4)
per la mancata previsione del potere, per il legislatore
delegato, di emanare norme di interpretazione autentica
(r.o. n. 690 del 1999) o comunque ad efficacia retroattiva
(r.o. nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);
b.5)
per la mancata previsione, nella legge-delega, del potere
di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità
e l'efficacia delle clausole sull'anatocismo bancario (r.o.
nn. 165 e 166 del 2000);
c)
in riferimento all'art. 3 Cost.:
c.1)
per asserita disparità di trattamento tra i soggetti
ai quali si applica la norma denunciata, che consente l'anatocismo
bancario, ed i soggetti per i quali, non trovando applicazione
il testo unico bancario, vige il generale divieto di anatocismo
di cui all'art. 1283 cod. civ. (r.o. n. 686 del 1999; r.o.
nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);
c.2)
per ingiustificata deroga al principio dell'irretroattività
delle leggi (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale),
così da rendere valide clausole anatocistiche stipulate
solo per talune categorie di rapporti, in modo da favorire
il contraente "forte", cioè le banche (r.o.
n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165 166 e 175 del 2000);
c.3)
per ingiustificata diversità di trattamento ratione
temporis - stante l'asserita efficacia retroattiva della
norma denunciata - di situazioni identiche (r.o. nn. 165
e 166 del 2000);
c.4)
per ingiustificata disparità di trattamento, nella
fase transitoria (cioè antecedente al regime fissato
dalla delibera del CICR), tra la posizione debitoria verso
la banca (con validità dell'anatocismo trimestrale)
e la posizione creditoria (con invalidità di tale
anatocismo) (r.o. n. 205 del 2000);
c.5)
per l'irragionevole attribuzione di validità a clausole
anatocistiche già riconosciute illecite dalla Corte
di cassazione con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30
marzo 1999, n. 1096;
d)
in riferimento all'art. 24 Cost., per la menomazione della
tutela giurisdizionale di chi abbia agito contro una banca,
fidando - a stregua del diritto vivente all'epoca - sulla
nullità, per contrasto con l'art. 1283 cod. civ.,
delle clausole anatocistiche bancarie (r.o. n. 686 del 1999;
r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);
e)
in riferimento agli artt. 101, 102 e 104 Cost., per la funzione
intenzionalmente perseguìta dal legislatore delegato
di dirimere il contenzioso pendente tra banche e clienti
sulle clausole anatocistiche bancarie, così da violare
la riserva ai magistrati della funzione giurisdizionale
e dunque l'indipendenza e l'autonomia di questi (r.o. nn.
8, 55 e 175 del 2000);
f)
in riferimento a non meglio specificati "limiti costituzionali
al potere di emanare leggi interpretative" (r.o. nn.
8, 55 e 175 del 2000);
g)
in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost., per l'asserito favore
accordato alla pericolosa pratica oligopolistica e di cartello
dell'anatocismo, così da minare la stabilità
dei prezzi e dell'intero sistema economico, con conseguente
erosione dell'entità del risparmio (r.o. nn. 8, 55
e 175 del 2000).
2.-
I dieci giudizi, in quanto propongono questioni sostanzialmente
identiche e riguardanti la stessa disposizione di legge
(i menzionati evidenti errori materiali contenuti nelle
ordinanze r.o. nn. 686 e 690 del 1999 e nn. 44, 165 e 166
del 2000 non rendono incerta lindividuazione della
norma effettivamente denunciata), vanno riuniti e congiuntamente
decisi, senza tuttavia tener conto della costituzione della
s.p.a. San Paolo - IMI (r.o. nn. 165 e 166 del 2000) e di
quella di Miglietta Pietro (r.o. n. 690 del 1999), perché
effettuate dopo la scadenza del termine perentorio di venti
giorni dalla pubblicazione dellordinanza di rimessione
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, fissato dagli
artt. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87
e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
(v., ex plurimis, sentenza n. 178 del 2000 ed ordinanza
n. 85 del 2000).
3.-
Le questioni sono in parte inammissibili ed in parte fondate.
3.1.-
Lordinanza del Tribunale di Lecce 10 dicembre 1999
(r.o. n. 44 del 2000) omette di indicare gli elementi della
fattispecie oggetto del giudizio principale nonché
di motivare sullaffermata non manifesta infondatezza
e rilevanza della sollevata questione di costituzionalità,
rinviando, a tal fine, ad un non meglio precisato "provvedimento
in atti". La questione pertanto va dichiarata manifestamente
inammissibile, in accoglimento delleccezione proposta
dallAvvocatura generale dello Stato, perché,
secondo quanto più volte affermato da questa Corte,
la motivazione dellordinanza di rimessione dev'essere
autosufficiente e non può limitarsi a richiamare
per relationem il contenuto di atti o provvedimenti.
3.2.-
Disattese vanno invece tutte le altre eccezioni di inammissibilità.
3.2.1.-
Alcune parti private deducono lerroneità della
premessa da cui muovono i giudici rimettenti, sostenendo
che la norma denunciata non può essere applicata
ratione temporis, nei giudizi principali, dovendo essa interpretarsi
- secundum Constitutionem e conformemente allart.
11 delle disposizioni sulla legge in generale - nel senso
che lattribuzione di validità delle clausole
di anatocismo bancario ha efficacia solo dal giorno 19 ottobre
1999, in cui è entrato in vigore il decreto legislativo
n. 342 del 1999, fino al giorno della delibera del CICR
in materia (intervenuta, nelle more, il 9 febbraio 2000
ed entrata in vigore il 22 aprile dello stesso anno).
Tuttavia
va osservato che i rimettenti, con plausibile ancorché
sintetica motivazione - la quale è sufficiente ad
escludere, in questa sede, lirrilevanza della questione
- hanno ritenuto che lefficacia retroattiva della
norma si giustifica con la formulazione letterale della
disposizione (in cui si configura la data di entrata in
vigore della suddetta delibera del CICR ad un tempo quale
terminus ante quem e ad quem di efficacia della disciplina
validante transitoria, senza distinguere tra contratti anteriori
o posteriori al 19 ottobre 2000, né tra effetti anteriori
o posteriori a tale data), nonché col palese intento
del legislatore di dirimere il contenzioso in atto tra banche
e clienti sulla validità delle clausole contrattuali
anatocistiche. A quest'ultimo proposito va osservato, non
solo che sarebbe pressoché inapprezzabile la disciplina
transitoria concernente il così breve lasso di tempo
come sopra indicato, ma anche e soprattutto che nei lavori
preparatori (v. segnatamente lart. 25 della Relazione
agli emendamenti apportati a séguito dei pareri espressi
dalle competenti commissioni parlamentari) si afferma che
la norma denunciata "stabilisce il regime da applicare
ai rapporti in essere al momento dellentrata in vigore
della nuova disciplina", con modifica che "recepisce
le osservazioni del Senato e della Camera" ed in particolare
la "condizione 5", formulata dalla sesta Commissione
della Camera dei deputati, con cui si invitava il Governo
a stabilire "misure equitative idonee a risolvere il
contenzioso già in essere".
3.2.2.-
Sostengono all'incontro le banche costituite che l'anatocismo
bancario si giustificherebbe non già soltanto con
il disposto dellart. 1283, ma pure con quello degli
artt. 1823, secondo comma, 1825 e 1833 cod. civ., in base
ai quali, alla chiusura (eventualmente trimestrale) convenzionalmente
stabilita, il saldo del conto corrente, comprensivo degli
interessi maturati ed in esso conglobati, va considerato
quale prima rimessa del conto (rinnovato a tempo determinato)
per il periodo successivo e produce nuovi interessi. L'esclusione,
pertanto, di un uso normativo bancario sull'anatocismo,
prospettata sulla scorta di recenti pronunce della Suprema
Corte, non sarebbe sufficiente a negare validità
- secondo la disciplina previgente - alla pattuita capitalizzazione
trimestrale degli interessi (fondata, invece, sulla convenzionale
chiusura trimestrale del conto). Donde l'irrilevanza della
sollevata questione, stante il carattere meramente ricognitivo
assolto dalla norma denunciata rispetto alla normativa precedente.
Siffatta
eccezione di inammissibilità presuppone, però,
una delimitazione del thema decidendum diversa da quella
prospettata dai rimettenti, i quali hanno chiaramente precisato
che le controversie sottoposte alla loro cognizione riguardano
la validità delle clausole anatocistiche bancarie
alla stregua esclusivamente del disposto dellart.
1283 cod. civ., cioè negli stessi ristretti termini
in cui il problema è stato esaminato dalla Corte
di cassazione con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30
marzo 1999, n. 1096 (alle quali può qui aggiungersi
la pronuncia dell11 novembre 1999, n. 12507).
Se,
dunque, nei giudizi principali si controverte soltanto sullesistenza
di un uso normativo bancario anatocistico, leccezione
di inammissibilità basata su un possibile diverso
fondamento di legittimità delle clausole anatocistiche
bancarie costituisce un profilo nuovo rispetto alle linee
argomentative e probatorie dispiegate nei giudizi a quibus.
E perciò l'eccezione stessa non sarebbe pertinente,
attesa lindubbia efficacia innovativa della denunciata
norma sul regime dellanatocismo quale propriamente
configurato dall'art. 1283 cod. civ.
Quanto
appena osservato in ordine alloggetto dei giudizi
principali (cioè la validità, ai sensi dellart.
1283 cod. civ., di clausole contrattuali anatocistiche)
esclude anche la pertinenza di diversi profili - non prospettati
e comunque non rilevati dai rimettenti - di nullità
delle clausole giudizialmente impugnate (ad esempio per
la possibile violazione dellart. 117 del testo unico
bancario): così da palesare linfondatezza delleccezione,
sollevata dallAvvocatura generale dello Stato, di
inammissibilità per mancata verifica del contenuto
delle clausole in relazione a diversi, e meramente eventuali,
motivi di invalidità.
3.2.3.-
Parimenti infondata è leccezione di inammissibilità
della questione sollevata con lordinanza del 9 dicembre
1999 (r.o. n. 175 del 2000), per mancata verifica preliminare
della competenza territoriale ad emettere il decreto ingiuntivo.
Al riguardo basta rilevare che il Tribunale di Brindisi
ha plausibilmente ritenuto applicabile al giudizio a quo
la norma denunciata, stante la genericità (adeguatamente
rispecchiata nella parte narrativa dallordinanza di
rimessione) delleccezione di incompetenza territoriale,
proposta nel giudizio di opposizione senza alcun riferimento
ad una pattuizione di esclusività del foro convenzionale
previsto nel contratto bancario.
3.3.-
Passando al merito, giova anzitutto delineare brevemente
il quadro normativo in cui si inseriscono le sollevate questioni.
Il
decreto legislativo n. 342 del 1999, secondo quanto precisato
nel suo preambolo, costituisce attuazione dellart.
1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che delega
il Governo ad emanare - nel termine previsto dal comma 1
e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 - "disposizioni
integrative e correttive" del testo unico bancario,
"nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi
e con losservanza della procedura indicati nellart.
25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142".
Lart.
1, comma 5, prevede, attraverso espresso richiamo al comma
1, il termine di un anno dalla data di entrata in vigore
della legge (22 maggio 1998), prorogabile di un semestre,
nel caso in cui, per effetto di direttive notificate nel
corso dellanno di delega, la disciplina risultante
da direttive comprese nellelenco di cui allallegato
A) della legge venga modificata senza che siano introdotte
nuove norme di principio. Si legge, altresì, nel
comma 3 dello stesso articolo, che lo schema di decreto
legislativo attuativo, previa deliberazione del Consiglio
dei ministri, dev'essere trasmesso, nel termine suddetto,
alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché
venga espresso, entro quaranta giorni dalla data di trasmissione,
il parere della Commissione competente per materia. Decorso
tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza
del parere; e, qualora esso scada nei trenta giorni che
precedono la scadenza del termine per lesercizio della
delega o successivamente, tale ultimo termine è prorogato
di novanta giorni.
Quanto
poi ai princìpi e criteri direttivi, è da
rammentare che lo stesso art. 25 della legge n. 142 del
1992, richiamato dallart. 1, comma 5, della legge
n. 128 del 1998, conferiva (a sua volta) due distinte deleghe
legislative, da esercitarsi in successione cronologica.
La
prima - prevista dallart. 25, comma 1 - concerneva
lattuazione della direttiva del Consiglio 89/646/CEE
del 15 dicembre 1989, in conformità: a) al principio
secondo cui gli enti creditizi possono prestare in Italia
i servizi previsti nellallegato direttamente o per
il tramite di succursali o filiazioni alle condizioni di
cui alla direttiva medesima (sempre che tali attività
siano state autorizzate sulla base di requisiti oggettivi);
b) al principio che gli enti suddetti possono procedere
alla pubblicità relativamente ai servizi offerti,
alle condizioni previste per le medesime attività
dalla disciplina italiana; c) e, infine, al principio che
deve essere adottata ogni altra disposizione necessaria
per adeguare alla direttiva la disciplina vigente per gli
enti creditizi autorizzati in Italia.
La
seconda delega - prevista dallart. 25, comma 2 - riguardava
l'emanazione di un testo unico delle disposizioni attuative
della direttiva e di quelle altre necessarie per ladeguamento
ad essa, coordinato con le altre disposizioni vigenti nella
stessa materia, così da potervi apportare le modifiche
necessarie a tal fine (delega, questa, esercitata con lemanazione
del testo unico bancario di cui al decreto legislativo n.
385 del 1993).
Lart.
25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 (nel quale è
ricompresa la disposizione oggetto delle sollevate questioni
di legittimità costituzionale) si compone di tre
commi.
Con
il comma 1 viene sostituita la formulazione della rubrica
dellart. 120 del testo unico bancario (da "Decorrenza
delle valute" a "Decorrenza delle valute e modalità
di calcolo degli interessi").
Con
il comma 2 viene aggiunto allo stesso art. 120 un comma
2, che attribuisce al Comitato interministeriale per il
credito ed il risparmio (CICR) il potere di stabilire modalità
e criteri relativamente alla produzione di interessi sugli
interessi maturati nelle operazioni poste in essere nellesercizio
dellattività bancaria, assicurando in ogni
caso alla clientela, nelle operazioni in conto corrente,
la stessa periodicità nel conteggio degli interessi,
sia debitori che creditori.
Infine,
il comma 3 (oggetto esclusivo del dubbio di costituzionalità
dei rimettenti), senza formalmente modificare il testo unico
bancario, stabilisce che le clausole relative alla produzione
di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti
stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della
suddetta delibera del CICR - emessa il 9 febbraio 2000 ed
entrata in vigore il 22 aprile 2000 - sono valide ed efficaci
sino a tale data, mentre, successivamente, debbono essere
adeguate, a pena di inefficacia da farsi valere solo dal
cliente, al disposto della menzionata delibera, secondo
modalità e tempi in essa previsti.
3.3.1.-
Così ricostruito il contesto normativo, va affermata
linfondatezza della censura che concerne l'asserita
inosservanza, da parte del legislatore delegato, del termine
previsto nell'art. 1 della legge n. 128 del 1998 per l'esercizio
della delega (un anno a decorrere dal 22 maggio 1998), a
fronte dell'emanazione solo in data 4 agosto 1999 del decreto
legislativo n. 342 del 1999, pubblicato il 4 ottobre 1999
ed entrato in vigore dal 19 ottobre 1999.
L'esercizio
della delega è stato tempestivo, tenuto conto della
proroga di novanta giorni contemplata nello stesso art.
1 per il caso in cui il termine previsto per il parere delle
Commissioni parlamentari (quaranta giorni dalla data di
trasmissione) venisse a scadere nei trenta giorni precedenti
il 22 maggio 1999 o successivamente. Il parere, infatti,
richiesto il 20 maggio 1999 con relativa trasmissione dello
schema di decreto, venne restituito il 23 giugno 1999 dalla
Commissione della Camera dei deputati ed il 30 giugno 1999
dalla Commissione del Senato della Repubblica. Sicché
il termine per l'esercizio della delega risulta prorogato
ex lege al 20 agosto 1999, con conseguente tempestività
dell'emanazione del decreto legislativo del 4 agosto 1999,
n. 342, giusta quanto disposto dall'art. 14, comma 2, della
legge n. 400 del 1988, a nulla rilevando la successiva data
di pubblicazione.
3.3.2.-
Fondata deve ritenersi, invece, la questione concernente
l'eccesso di delega prospettato da quasi tutti i rimettenti.
Il
giudizio di conformità della norma delegata alla
norma delegante, condotto alla stregua dell'art. 76 Cost.,
si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due
processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme
che determinano l'oggetto, i princìpi e i criteri
direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo
contesto di norme in cui si collocano e individuando le
ragioni e le finalità poste a fondamento della legge
di delegazione; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con
i princìpi e criteri direttivi della delega (v.,
ex plurimis, sentenze nn. 276, 163 e 126 del 2000; nn. 15
e 7 del 1999).
Ebbene,
da una tale valutazione comparativa emerge chiaramente il
mancato rispetto della delega.
Come
già detto, invero, con l'art. 1, comma 5, della legge
n. 128 del 1998 si conferì delega al Governo per
l'emanazione di "disposizioni integrative e correttive"
del testo unico bancario, richiamando espressamente i princìpi
e criteri direttivi indicati nell'art. 25 della legge n.
142 del 1992, in attuazione dei quali vennero emanati dapprima
il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (che recepiva
e adattava al contesto italiano la surrichiamata direttiva
89/646/CEE) e poi il decreto legislativo n. 385 del 1993.
Quest'ultimo, oltre a recepire a sua volta i contenuti del
decreto legislativo n. 481 del 1992, riordinava organicamente
l'assetto della materia bancaria e creditizia, con un testo
unico di natura "normativa" e non già meramente
"compilatoria": così da caratterizzarsi
come disciplina attuativa di quella direttiva comunitaria
e, allo stesso tempo, come legge di grande riforma economico-sociale
(v. sentenze n. 49 del 1999 e n. 224 del 1994).
Ma,
per quanto ampiamente possano interpretarsi le finalità
di "integrazione e correzione" perseguite dal
legislatore delegante, nonché i princìpi e
criteri direttivi posti a base del testo unico bancario,
è certamente da escludersi che la suddetta delega
legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante,
sia pure nell'esercizio del potere di armonizzazione di
tale testo unico con il resto della normativa di settore.
La
norma denunciata, difatti, senza distinguere fra contratti
ed effetti contrattuali anteriori o posteriori alla data
della propria entrata in vigore, stabilisce, con formula
tipica delle norme di generale sanatoria ("sono valide
ed efficaci"), una indiscriminata validità temporanea
delle clausole anatocistiche bancarie contenute in contratti
stipulati anteriormente all'entrata in vigore della prevista
deliberazione del CICR, prescindendo dal tipo di vizio da
cui sarebbero colpite e da ogni collegamento con il testo
unico bancario che non sia meramente occasionale.
Non
si tratta, evidentemente, di una norma interpretativa -
che pure era stata suggerita nel corso dei lavori parlamentari
(seduta del 17 giugno 1999 della sesta Commissione: pag.
35 del relativo verbale) - perché la disposizione,
così come strutturata, non si riferisce e non si
salda a norme precedenti intervenendo sul significato normativo
di queste, dunque lasciandone intatto il dato testuale ed
imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già
ricomprese nell'àmbito semantico della legge interpretata.
Al contrario, con efficacia innovativa e (in parte anche)
retroattiva, essa rende "valide ed efficaci",
sino alla data di entrata in vigore della deliberazione
del CICR, tutte indistintamente le clausole anatocistiche
previste nei contratti bancari già prima della legge
delegata o comunque stipulate anteriormente all'entrata
in vigore della suddetta deliberazione.
In
altri termini, il legislatore delegato, da un lato sancisce
(pro praeterito), per qualsiasi tipo di vizio, una generale
sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute
nei contratti bancari anteriori al 19 ottobre 1999, con
effetti temporalmente limitati sino al 22 aprile 2000 (data
di entrata in vigore della delibera del CICR); dall'altro
attribuisce (pro futuro), sia pure nell'identico limite
temporale, la stessa indiscriminata "validità
ed efficacia" alle clausole poste in essere nel periodo
tra il 19 ottobre 1999 ed il 21 aprile 2000.
Ma,
così disponendosi, è venuta meno ogni continuità
logica con la delega, rompendosi la necessaria consonanza
che deve intercorrere tra quest'ultima e la norma delegata.
L'indeterminatezza della fattispecie di cui al comma 3 dell'art.
25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 non consente
di ricondurre la denunciata norma nell'àmbito dei
princìpi e criteri della legge di delegazione. Questi,
infatti, non possono ragionevolmente interpretarsi come
abilitanti all'emanazione d'una disciplina di sanatoria
(per il passato) e di validazione anticipata (per il periodo
compreso tra la data di entrata in vigore della legge delegata
e quella della delibera del CICR) di clausole anatocistiche
bancarie, del tutto avulsa da qualsiasi riferimento ai vizi
ed alle cause di inefficacia da tenere per irrilevanti:
quindi - stante il difetto di distinzioni e precisazioni
nella legge delegata - senza una necessaria e sicura rispondenza
(diretta od indiretta) ai princípi e criteri informatori
del testo unico bancario.
Esclusa,
pertanto, la possibilità di un'interpretazione adeguatrice
della legge delegata alla legge delegante, deve concludersi
- indipendentemente da ogni considerazione sulla ragionevolezza
intrinseca della norma denunciata, e restando assorbito
ogni altro profilo delle sollevate questioni - che la norma
in esame víola l'art. 76 della Costituzione.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma
3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche
al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante
il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);
dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo
4 agosto 1999, n. 342, sollevata, in riferimento all'art.
76 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale
di Lecce con l'ordinanza in epigrafe, iscritta al r.o. n.
44 del 2000.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta il 9 ottobre 2000.
F:to:
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Cesare
RUPERTO, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in cancelleria il 17 ottobre 2000.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA