Corte Costituzionale
Sentenza 17 ottobre 2000, 425.

Irretroattività delle clausole sull'anatocismo

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24, 76, 77, 101, 102, 104 Cost. dell'art. 25, terzo comma, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) nella parte in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria [delibera poi emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000], siano valide ed efficaci fino a tale data, e che, dopo di essa, debbono essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente - al disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti.


Corte Costituzionale - Sentenza 17 ottobre 2000, 425

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare MIRABELLI Presidente

- Francesco GUIZZI Giudice

- Fernando SANTOSUOSSO "

- Massimo VARI "

- Cesare RUPERTO "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promossi con ordinanze emesse il 21 ottobre 1999 dal Tribunale di Benevento, il 21 ed il 29 ottobre 1999 dal Giudice istruttore del Tribunale di Lecce, l’8 novembre 1999 dal Tribunale di Brindisi, il 10 dicembre 1999 dal Giudice istruttore del Tribunale di Lecce, il 9 dicembre 1999 dal Tribunale di Brindisi, il 14 gennaio 2000 (n. 2 ordinanze) dal Giudice istruttore del Tribunale di Civitavecchia, il 9 dicembre 1999 dal Tribunale di Brindisi e il 23 novembre 1999 dal Tribunale di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 686, 690 e 753 del registro ordinanze 1999 ed ai nn. 8, 44, 55, 165, 166, 175 e 205 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 1999 e nn. 4, 5, 8, 9, 17 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di costituzione della Fidicasa s.r.l. e Nuova Formula ’78 s.r.l., della Banca Popolare di Ancona s.p.a., della Banca del Salento s.p.a., del Banco di Napoli s.p.a. e del Banco San Paolo-IMI s.p.a. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2000 il giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi gli avvocati Stanislao Aureli per la Fidicasa s.r.l. e nuova Formula ’78 s.r.l., Salvatore Maccarone per la Banca Popolare di Ancona s.p.a., Giorgio De Nova e Salvatore Maccarone per la Banca del Salento s.p.a., Gustavo Minervini e Vittorio Gesmundo per il Banco di Napoli s.p.a. e l’Avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- I giudici del Tribunale di Benevento (con unica ordinanza del 21 ottobre 1999: r.o. n. 686 del 1999), del Tribunale di Lecce (con tre ordinanze, del 21 ottobre, 29 ottobre e 10 dicembre 1999: r.o. nn. 690 e 753 del 1999, n. 44 del 2000), del Tribunale di Brindisi (con tre ordinanze, dell’8 novembre, 9 dicembre e, ancora, del 9 dicembre 1999: r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000), del Tribunale di Civitavecchia (con due ordinanze, entrambe del 14 gennaio 2000: r.o. nn. 165 e 166 del 2000) e del Tribunale di Bari (con unica ordinanza, del 23 novembre 1999: r.o. n. 205 del 2000), davanti ai quali pendono giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo promossi nei confronti di banche da alcuni loro clienti, hanno sollevato – in riferimento a vari parametri – questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in vigore dal 19 ottobre 1999 [erroneamente indicato come "art. 25, comma 2" in r.o. n. 686 del 1999 e nn. 165 e 166 del 2000; erroneamente indicato come "art. 120, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385" in r.o. n. 690 del 1999 e n. 44 del 2000], nella parte in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria [delibera poi emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000], siano valide ed efficaci fino a tale data, e che, dopo di essa, debbono essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente - al disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti.

Secondo le diverse prospettazioni dei rimettenti, la norma denunciata, contenuta nel decreto legislativo n. 342 del 1999, emanato – giusta quanto precisato nel suo preambolo - in attuazione dell’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che delega al Governo l’emanazione (entro il termine di cui al comma 1 e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo) di "disposizioni integrative e correttive" del testo unico bancario, "nel rispetto dei princípi e criteri direttivi e con l’osservanza della procedura indicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142", si porrebbe in contrasto:

a) con l'art. 77 Cost., per asserito eccesso rispetto alla legge di delegazione, stante la dedotta mancata previsione, in questa, della possibilità di derogare retroattivamente al disposto dell'art. 1283 cod. civ. (recante un generale divieto di anatocismo) e di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità e l'efficacia delle clausole di anatocismo bancario (r.o. n. 686 del 1999);

b) con l'art. 76 Cost.:

b.1) per l'asserita inosservanza del termine previsto dall'art. 1 della legge n. 128 del 1998 ai fini dell'esercizio della delega (cioè di un anno a decorrere dal 22 maggio 1998) a fronte dell'emanazione solo in data 4 agosto 1999 del decreto legislativo n. 342 del 1999, in vigore dal 19 ottobre 1999 (r.o. nn. 8, 55, 175 e 205 del 2000);

b.2) per l’asserita mancanza, nella legge di delegazione, di un qualsiasi principio o criterio direttivo attinente all'anatocismo (r.o. nn. 690 e 753 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165, 166, 175 e 205 del 2000);

b.3) per l’asserita sua non riconducibilità al cómpito, fissato nella legge di delegazione, di integrare o correggere il testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993), tenuto conto che tale testo unico non contempla l'istituto dell'anatocismo (r.o. n. 690 del 1999);

b.4) per l’asserita mancanza di previsione, nella legge di delegazione, del potere per il legislatore delegato di emanare norme di interpretazione autentica (r.o. n. 690 del 1999) o ad efficacia retroattiva (r.o. nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000), nonché di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità e l'efficacia delle clausole sull'anatocismo bancario (r.o. nn. 165 e 166 del 2000);

b.5) in base alla motivazione di cui ad un "provvedimento in atti" (r.o. n. 44 del 2000);

c) con l'art. 3 Cost.:

c.1) per l'ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti ai quali si applica la norma che consente l'anatocismo bancario ed i soggetti per i quali, non trovando applicazione il testo unico bancario, vige il generale divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ. (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);

c.2) per l'ingiustificata deroga al principio dell'irretroattività delle leggi (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), tale da rendere valide clausole anatocistiche stipulate solo per talune categorie di rapporti, in modo da favorire un contraente "forte", quale la banca (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165 166 e 175 del 2000);

c.3) per l'ingiustificata diversità di trattamento ratione temporis, stante l'efficacia retroattiva della denunciata norma, di situazioni identiche (r.o. nn. 165 e 166 del 2000);

c.4) per l'ingiustificata disparità di trattamento, nei confronti dei clienti delle banche, nella fase anteriore al regime fissato con la delibera del CICR, tra la posizione debitoria verso la banca - con validità dell'anatocismo trimestrale - e la posizione creditoria - con invalidità di tale anatocismo - (r.o. n. 205 del 2000);

c.5) per l'irragionevole attribuzione di validità a clausole anatocistiche già riconosciute illecite dalla Corte di cassazione, con le sentenze 16 marzo 1999 n. 2374 e 30 marzo 1999 n. 1096 (r.o. n. 205 del 2000);

d) con l'art. 24 Cost., per la menomazione della tutela giurisdizionale di chi abbia agito contro una banca, fidando nel diritto (all'epoca) vivente sulla nullità - per contrasto con l'art. 1283 cod. civ. - di clausole anatocistiche bancarie (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);

e) con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., perché il legislatore delegato avrebbe intenzionalmente disposto al solo fine di dirimere il contenzioso pendente tra banche e clienti sulle clausole anatocistiche bancarie, così violando la riserva ai magistrati della funzione giurisdizionale e ledendo l'indipendenza e l'autonomia di questi (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);

f) con gli artt. 3 e 47 Cost., per l'irragionevole favore accordato alla pericolosa pratica oligopolistica e di cartello dell'anatocismo, tale da minare la stabilità dei prezzi e dell'intero sistema economico, erodendo l'entità del risparmio (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000).

g) con "i limiti costituzionali al potere di emanare leggi interpretative" (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000).

1.1.- Quanto alla rilevanza delle questioni, tutte le ordinanze – con l’eccezione di quella registrata al n. 44 del 2000 (che non contiene la descrizione della fattispecie dedotta nel giudizio principale e che rinvia, per la motivazione, ad altro provvedimento) - dopo aver indicato in quella denunciata la norma applicabile (in virtù della sua asserita efficacia retroattiva) nelle controversie a quibus, precisano che nei giudizi in corso risulta, appunto, prospettata (ed ex adverso negata) la nullità di clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR menzionata nel vigente art. 120, comma 2, del testo unico bancario (comma introdotto dall’art. 25, comma 2, del decreto legislativo n. 342 del 1999).

1.2.– Nella premessa dell’ordinanza registrata al n. 175 del 2000 si fa altresì menzione di una eccezione di incompetenza territoriale sollevata, nel giudizio principale, dalla banca opposta.

1.3.- Nel giudizio registrato al n. 8 del 2000, il rimettente erroneamente menziona, nell’epigrafe, anche un non proposto "ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato".

2.– Nei giudizi registrati ai nn. 165 e 166 del 2000 si è costituita, con memorie depositate fuori termine, la banca opposta nei giudizi a quibus, s.p.a. San Paolo-IMI, mentre, nell'imminenza dell'udienza, nel giudizio registrato al n. 690 del 1999, si è costituito Miglietta Pietro, una delle parti opponenti nel processo a quo, con memoria depositata fuori termine (il 12 giugno 2000).

3.– Nei giudizi registrati ai nn. 686, 690, 753 del 1999 e 8 del 2000 si sono tempestivamente costituite le banche opposte dei processi principali, le quali, nell’imminenza dell’udienza, hanno depositato memorie illustrative. Tali parti osservano in via preliminare che il rimettente muove dagli erronei presupposti dell’applicabilità al conto corrente bancario dell'art. 1283 cod. civ., nonché dell'efficacia derogatoria di tale articolo assunta (esclusivamente) dalla norma denunciata.

Secondo le banche, invece, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo (il quale avrebbe omesso di motivare sul punto), l'anatocismo bancario si giustifica con il disposto degli artt. 1823, secondo comma, 1825 e 1833 cod. civ., in base ai quali, alla chiusura (eventualmente) trimestrale convenzionalmente stabilita, il saldo del conto corrente, comprensivo degli interessi maturati ed in esso conglobati, va considerato quale prima rimessa del conto (rinnovato a tempo determinato) per il periodo successivo e produce nuovi interessi. L'esclusione, pertanto, di un uso normativo bancario sull'anatocismo, prospettata dal rimettente sulla scorta di recenti pronunce della Suprema Corte, non sarebbe sufficiente a negare la pattuita capitalizzazione trimestrale degli interessi (fondata sulla convenzionale chiusura trimestrale del conto), sicché irrilevante sarebbe la sollevata questione.

Nel merito, poi, le parti osservano:

a) in relazione agli artt. 76 e 77 Cost., che l'esercizio della delega è stato tempestivo, tenuto conto della proroga di 90 giorni contemplata dall'art. 1 della legge n. 128 del 1998 per il caso in cui il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari (40 giorni dalla data di trasmissione) venga a scadere nei 30 giorni precedenti il 22 maggio 1999 o successivamente;

b) ancóra in relazione all'art. 76 Cost., che l'art. 25 della legge n. 142 del 1992 ha conferito, con norma "elastica", il potere di coordinare le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 con le altre disposizioni vigenti nella stessa "materia" (da interpretarsi in senso ampio), nell'àmbito non solo dell'armonizzazione resa necessaria dalla direttiva comunitaria, ma anche di una razionalizzazione e reimpostazione dell'intera normativa attinente al mercato nazionale del credito, compresa la tematica della trasparenza, così da escludere che la denunciata disciplina sull'anatocismo (come evidenziato dagli stessi lavori preparatori del decreto legislativo n. 342 del 1999) sia frutto di un eccesso di delega, rappresentando invece l'espressione della delegata facoltà di comporre i contrasti e le incongruenze (con attenzione anche al contenzioso pendente) riscontrati nel settore;

c) in relazione ai limiti costituzionali al potere del legislatore di emanare norme interpretative ed in relazione alla prospettata carenza di specifica delega a conferire efficacia retroattiva o interpretativa alla norma delegata (art. 76 Cost.), che va evidenziata la valenza meramente interpretativa della denunciata norma, ricognitiva di varie norme vigenti, le quali già prevedevano l’anatocismo bancario;

d) ancóra una volta, in relazione all'art. 76 Cost., che, anche a ritenere l'efficacia non interpretativa, ma innovativa e retroattiva della norma denunciata, andrebbe ugualmente negato il vizio della carenza di delega, attese le caratteristiche non meramente compilatorie, ma anche "normative" dei poteri del legislatore delegato;

e) che la disciplina dell’anatocismo bancario afferisce alla tutela della trasparenza nei rapporti bancari (senza incidere sull'entità del tasso di interesse) e rientra quindi nell'àmbito della delega "integrativa e correttiva" di cui alla legge n. 128 del 1998, attuata sulla scorta dell'esperienza applicativa delle suddette norme sulla trasparenza dei rapporti bancari, perseguendo un fine di adeguamento e chiarificazione della disciplina previgente;

f) che il potere attribuito al CICR in ordine ai criteri e modalità dell'anatocismo è in linea con le funzioni riconosciutegli dal testo unico bancario;

g) in relazione, poi, all'art. 3 Cost., che la natura effettivamente interpretativa della norma denunciata esclude la dedotta irragionevolezza della disciplina, stante la peculiare normativa già prevista in materia dall'ordinamento giuridico per il settore bancario da quasi un secolo, mentre l'efficacia retroattiva troverebbe la sua ratio nella necessità di evitare lo sconvolgimento dell'affidamento basato su un diritto vivente che aveva certamente riconosciuto, fino al 1999, la validità della clausola di anatocismo bancario;

h) ancóra in relazione all'art. 3 Cost., che è privo di rilevanza (oltre che infondato) il profilo del deteriore trattamento degli operatori economici estranei al settore bancario, per i quali non sono valide clausole anatocistiche;

i) in relazione agli artt. 24, 101, 102 e 104 Cost., che il legislatore delegato, legittimamente esercitando i suoi poteri, non ha affatto invaso il potere giurisdizionale, né ha leso il diritto di difesa dei cittadini o vulnerato la certezza del diritto;

l) in relazione agli artt. 3 e 47 Cost., che la disciplina della periodicità della capitalizzazione attiene, manifestamente, solo alla trasparenza dell'operazione al fine di evidenziare le modalità di applicazione dell'interesse, restando riservato ad altre norme il compito di evitare tassi di interesse eccessivamente onerosi e di garantire la "stabilità dei prezzi e dell'intero sistema economico".

4.– Nei giudizi registrati ai. nn. 165 e 166 del 2000 si sono costituite le parti opponenti dei processi principali, che hanno pure presentato memorie nell’imminenza dell’udienza. Esse hanno osservato preliminarmente che la denunciata norma va interpretata secundum Constitutionem e conformemente all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e, dunque, nel senso che l'affermazione di validità (temporanea) delle clausole di anatocismo bancario ha efficacia solo dal 19 ottobre 1999, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 342 del 1999, fino alla nuova disciplina regolamentare del CICR (intervenuta con la delibera del 9 febbraio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43 del 22 febbraio 2000).

Nel caso, invece, di ritenuta efficacia retroattiva (propria o per la funzione svolta di interpretazione autentica) della norma, le parti ne chiedono la dichiarazione di illegittimità costituzionale per i profili indicati nelle ordinanze di rimessione ed anche per altri profili (come l’intempestivo esercizio del potere di delega; l’arbitraria sostituzione del legislatore all'autorità giudiziaria nella definizione dei rapporti pendenti; la lesione dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e nella certezza del diritto).

5.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o comunque di infondatezza delle questioni e confermando tali conclusioni nella memoria di udienza (non depositata soltanto in relazione al giudizio registrato al n. 44 del 2000). L'interveniente eccepisce anzitutto il difetto di rilevanza delle sollevate questioni, sia per la mancata verifica da parte dei rimettenti del contenuto della clausola contrattuale di capitalizzazione degli interessi (di rinvio agli usi, con conseguente nullità ai sensi dell'art. 117, comma 6, testo unico bancario e, ancor prima, dell'art. 4 della legge n. 154 del 1992; ovvero di diretta pattuizione dell'anatocismo), sia, con riferimento al solo giudizio registrato al n. 175 del 2000, per il mancato esame dell'eccezione di incompetenza territoriale sollevata nel giudizio a quo e menzionata nelle premesse dell'ordinanza di rimessione.

Nel merito, l'Avvocatura sottolinea che l'art. 1, comma 5, della legge n. 128 del 1998 ha delegato il Governo all'emanazione di disposizioni integrative e correttive del testo unico bancario, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e con l'osservanza delle procedure indicati nell'art. 25 della legge n. 142 del 1992: norme, queste, di conferimento della delega in base alla quale era stato emanato il testo unico bancario, sia in attuazione di una direttiva comunitaria (89/646/CEE), sia quale "legge di grande riforma economico sociale" (come definito dalla sentenza della Corte costituzionale, n. 224 del 1994). Da tale rilievo l'Avvocatura trae la conseguenza che la norma denunciata, in quanto norma transitoria diretta a regolare il passaggio dal precedente al nuovo sistema in tema di interessi anatocistici ed in quanto incidente sulla decorrenza degli interessi, attiene (così come la modifica dell'art. 120 testo unico bancario) alla disciplina della trasparenza dei rapporti contrattuali e dunque è ricompresa nella delega prevista dal citato art. 1, comma 5, della legge n. 128 del 1998 (non oggetto di censura).

Osserva, poi, l'Avvocatura che la natura transitoria e di settore della norma, unitamente all'esigenza di salvaguardare i rapporti sorti sulla base dell'affidamento delle banche sul precedente uniforme insegnamento giurisprudenziale circa la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi (espressamente pattuite come tali, senza il mero rinvio agli usi, vietato dall'art. 117, comma 6, del testo unico bancario), rendono non arbitraria e non irragionevole la norma censurata, la quale non comporta alcuno straripamento del potere legislativo nel campo riservato al potere giudiziario.

Deduce, infine, l'Avvocatura la non pertinenza dell'evocato parametro di cui all'art. 47 Cost., atteso che i problemi afferenti alla clausola anatocistica riguardano la trasparenza dei rapporti e la conoscibilità del tasso su base annua e non possono essere confusi con l'esigenza di evitare tassi di interesse eccessivi.

Considerato in diritto

1.- I giudici rimettenti, investiti di giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi, promossi nei confronti di banche da alcuni clienti di queste, dubitano tutti della legittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in vigore dal 19 ottobre 1999, erroneamente indicato come "art. 25, comma 2" in r.o. n. 686 del 1999, n. 165 e n. 166 del 2000, nonché come "art. 120, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385" (testo unico bancario) in r.o. n. 690 del 1999 e n. 44 del 2000.

Le ordinanze di rimessione sollevano, in base ai diversi parametri di legittimità costituzionale evocati, sette distinti gruppi di questioni:

a) in riferimento all'art. 77 Cost., per eccesso di delega rispetto all'art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 (che richiama l'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142), assumendo la mancata previsione, in questa, sia della possibilità di una deroga retroattiva al disposto dell'art. 1283 cod. civ. (recante un generale divieto di anatocismo), sia della possibilità di far dipendere dalle determinazioni del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) la validità e l'efficacia delle clausole di anatocismo bancario (r.o. n. 686 del 1999);

b) in riferimento all'art. 76 Cost.:

b.1) per inosservanza del termine previsto dall'art. 1 della legge n. 128 del 1998, cioè di un anno decorrente dal 22 maggio 1998, a fronte dell'emanazione solo in data 4 agosto 1999 del decreto legislativo n. 342 del 1999, in vigore dal 19 ottobre 1999 (r.o. nn. 8, 55, 175 e 205 del 2000);

b.2) per mancanza, nella legge di delegazione, di qualsiasi principio o criterio direttivo attinente all'anatocismo (r.o. nn. 690 e 753 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165, 166, 175 e 205 del 2000);

b.3) per asserita non riconducibilità della norma denunciata al còmpito, fissato nella legge-delega, di integrare o correggere il testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993), tenuto conto che questo non contempla l'istituto dell'anatocismo (r.o. n. 690 del 1999);

b.4) per la mancata previsione del potere, per il legislatore delegato, di emanare norme di interpretazione autentica (r.o. n. 690 del 1999) o comunque ad efficacia retroattiva (r.o. nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);

b.5) per la mancata previsione, nella legge-delega, del potere di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità e l'efficacia delle clausole sull'anatocismo bancario (r.o. nn. 165 e 166 del 2000);

c) in riferimento all'art. 3 Cost.:

c.1) per asserita disparità di trattamento tra i soggetti ai quali si applica la norma denunciata, che consente l'anatocismo bancario, ed i soggetti per i quali, non trovando applicazione il testo unico bancario, vige il generale divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ. (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165, 166 e 175 del 2000);

c.2) per ingiustificata deroga al principio dell'irretroattività delle leggi (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), così da rendere valide clausole anatocistiche stipulate solo per talune categorie di rapporti, in modo da favorire il contraente "forte", cioè le banche (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55, 165 166 e 175 del 2000);

c.3) per ingiustificata diversità di trattamento ratione temporis - stante l'asserita efficacia retroattiva della norma denunciata - di situazioni identiche (r.o. nn. 165 e 166 del 2000);

c.4) per ingiustificata disparità di trattamento, nella fase transitoria (cioè antecedente al regime fissato dalla delibera del CICR), tra la posizione debitoria verso la banca (con validità dell'anatocismo trimestrale) e la posizione creditoria (con invalidità di tale anatocismo) (r.o. n. 205 del 2000);

c.5) per l'irragionevole attribuzione di validità a clausole anatocistiche già riconosciute illecite dalla Corte di cassazione con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 1096;

d) in riferimento all'art. 24 Cost., per la menomazione della tutela giurisdizionale di chi abbia agito contro una banca, fidando - a stregua del diritto vivente all'epoca - sulla nullità, per contrasto con l'art. 1283 cod. civ., delle clausole anatocistiche bancarie (r.o. n. 686 del 1999; r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);

e) in riferimento agli artt. 101, 102 e 104 Cost., per la funzione intenzionalmente perseguìta dal legislatore delegato di dirimere il contenzioso pendente tra banche e clienti sulle clausole anatocistiche bancarie, così da violare la riserva ai magistrati della funzione giurisdizionale e dunque l'indipendenza e l'autonomia di questi (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);

f) in riferimento a non meglio specificati "limiti costituzionali al potere di emanare leggi interpretative" (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000);

g) in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost., per l'asserito favore accordato alla pericolosa pratica oligopolistica e di cartello dell'anatocismo, così da minare la stabilità dei prezzi e dell'intero sistema economico, con conseguente erosione dell'entità del risparmio (r.o. nn. 8, 55 e 175 del 2000).

2.- I dieci giudizi, in quanto propongono questioni sostanzialmente identiche e riguardanti la stessa disposizione di legge (i menzionati evidenti errori materiali contenuti nelle ordinanze r.o. nn. 686 e 690 del 1999 e nn. 44, 165 e 166 del 2000 non rendono incerta l’individuazione della norma effettivamente denunciata), vanno riuniti e congiuntamente decisi, senza tuttavia tener conto della costituzione della s.p.a. San Paolo - IMI (r.o. nn. 165 e 166 del 2000) e di quella di Miglietta Pietro (r.o. n. 690 del 1999), perché effettuate dopo la scadenza del termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, fissato dagli artt. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte (v., ex plurimis, sentenza n. 178 del 2000 ed ordinanza n. 85 del 2000).

3.- Le questioni sono in parte inammissibili ed in parte fondate.

3.1.- L’ordinanza del Tribunale di Lecce 10 dicembre 1999 (r.o. n. 44 del 2000) omette di indicare gli elementi della fattispecie oggetto del giudizio principale nonché di motivare sull’affermata non manifesta infondatezza e rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, rinviando, a tal fine, ad un non meglio precisato "provvedimento in atti". La questione pertanto va dichiarata manifestamente inammissibile, in accoglimento dell’eccezione proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, perché, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, la motivazione dell’ordinanza di rimessione dev'essere autosufficiente e non può limitarsi a richiamare per relationem il contenuto di atti o provvedimenti.

3.2.- Disattese vanno invece tutte le altre eccezioni di inammissibilità.

3.2.1.- Alcune parti private deducono l’erroneità della premessa da cui muovono i giudici rimettenti, sostenendo che la norma denunciata non può essere applicata ratione temporis, nei giudizi principali, dovendo essa interpretarsi - secundum Constitutionem e conformemente all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale - nel senso che l’attribuzione di validità delle clausole di anatocismo bancario ha efficacia solo dal giorno 19 ottobre 1999, in cui è entrato in vigore il decreto legislativo n. 342 del 1999, fino al giorno della delibera del CICR in materia (intervenuta, nelle more, il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile dello stesso anno).

Tuttavia va osservato che i rimettenti, con plausibile ancorché sintetica motivazione - la quale è sufficiente ad escludere, in questa sede, l’irrilevanza della questione - hanno ritenuto che l’efficacia retroattiva della norma si giustifica con la formulazione letterale della disposizione (in cui si configura la data di entrata in vigore della suddetta delibera del CICR ad un tempo quale terminus ante quem e ad quem di efficacia della disciplina validante transitoria, senza distinguere tra contratti anteriori o posteriori al 19 ottobre 2000, né tra effetti anteriori o posteriori a tale data), nonché col palese intento del legislatore di dirimere il contenzioso in atto tra banche e clienti sulla validità delle clausole contrattuali anatocistiche. A quest'ultimo proposito va osservato, non solo che sarebbe pressoché inapprezzabile la disciplina transitoria concernente il così breve lasso di tempo come sopra indicato, ma anche e soprattutto che nei lavori preparatori (v. segnatamente l’art. 25 della Relazione agli emendamenti apportati a séguito dei pareri espressi dalle competenti commissioni parlamentari) si afferma che la norma denunciata "stabilisce il regime da applicare ai rapporti in essere al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina", con modifica che "recepisce le osservazioni del Senato e della Camera" ed in particolare la "condizione 5", formulata dalla sesta Commissione della Camera dei deputati, con cui si invitava il Governo a stabilire "misure equitative idonee a risolvere il contenzioso già in essere".

3.2.2.- Sostengono all'incontro le banche costituite che l'anatocismo bancario si giustificherebbe non già soltanto con il disposto dell’art. 1283, ma pure con quello degli artt. 1823, secondo comma, 1825 e 1833 cod. civ., in base ai quali, alla chiusura (eventualmente trimestrale) convenzionalmente stabilita, il saldo del conto corrente, comprensivo degli interessi maturati ed in esso conglobati, va considerato quale prima rimessa del conto (rinnovato a tempo determinato) per il periodo successivo e produce nuovi interessi. L'esclusione, pertanto, di un uso normativo bancario sull'anatocismo, prospettata sulla scorta di recenti pronunce della Suprema Corte, non sarebbe sufficiente a negare validità - secondo la disciplina previgente - alla pattuita capitalizzazione trimestrale degli interessi (fondata, invece, sulla convenzionale chiusura trimestrale del conto). Donde l'irrilevanza della sollevata questione, stante il carattere meramente ricognitivo assolto dalla norma denunciata rispetto alla normativa precedente.

Siffatta eccezione di inammissibilità presuppone, però, una delimitazione del thema decidendum diversa da quella prospettata dai rimettenti, i quali hanno chiaramente precisato che le controversie sottoposte alla loro cognizione riguardano la validità delle clausole anatocistiche bancarie alla stregua esclusivamente del disposto dell’art. 1283 cod. civ., cioè negli stessi ristretti termini in cui il problema è stato esaminato dalla Corte di cassazione con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 1096 (alle quali può qui aggiungersi la pronuncia dell’11 novembre 1999, n. 12507).

Se, dunque, nei giudizi principali si controverte soltanto sull’esistenza di un uso normativo bancario anatocistico, l’eccezione di inammissibilità basata su un possibile diverso fondamento di legittimità delle clausole anatocistiche bancarie costituisce un profilo nuovo rispetto alle linee argomentative e probatorie dispiegate nei giudizi a quibus. E perciò l'eccezione stessa non sarebbe pertinente, attesa l’indubbia efficacia innovativa della denunciata norma sul regime dell’anatocismo quale propriamente configurato dall'art. 1283 cod. civ.

Quanto appena osservato in ordine all’oggetto dei giudizi principali (cioè la validità, ai sensi dell’art. 1283 cod. civ., di clausole contrattuali anatocistiche) esclude anche la pertinenza di diversi profili - non prospettati e comunque non rilevati dai rimettenti - di nullità delle clausole giudizialmente impugnate (ad esempio per la possibile violazione dell’art. 117 del testo unico bancario): così da palesare l’infondatezza dell’eccezione, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilità per mancata verifica del contenuto delle clausole in relazione a diversi, e meramente eventuali, motivi di invalidità.

3.2.3.- Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata con l’ordinanza del 9 dicembre 1999 (r.o. n. 175 del 2000), per mancata verifica preliminare della competenza territoriale ad emettere il decreto ingiuntivo. Al riguardo basta rilevare che il Tribunale di Brindisi ha plausibilmente ritenuto applicabile al giudizio a quo la norma denunciata, stante la genericità (adeguatamente rispecchiata nella parte narrativa dall’ordinanza di rimessione) dell’eccezione di incompetenza territoriale, proposta nel giudizio di opposizione senza alcun riferimento ad una pattuizione di esclusività del foro convenzionale previsto nel contratto bancario.

3.3.- Passando al merito, giova anzitutto delineare brevemente il quadro normativo in cui si inseriscono le sollevate questioni.

Il decreto legislativo n. 342 del 1999, secondo quanto precisato nel suo preambolo, costituisce attuazione dell’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che delega il Governo ad emanare - nel termine previsto dal comma 1 e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 - "disposizioni integrative e correttive" del testo unico bancario, "nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e con l’osservanza della procedura indicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142".

L’art. 1, comma 5, prevede, attraverso espresso richiamo al comma 1, il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge (22 maggio 1998), prorogabile di un semestre, nel caso in cui, per effetto di direttive notificate nel corso dell’anno di delega, la disciplina risultante da direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato A) della legge venga modificata senza che siano introdotte nuove norme di principio. Si legge, altresì, nel comma 3 dello stesso articolo, che lo schema di decreto legislativo attuativo, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, dev'essere trasmesso, nel termine suddetto, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché venga espresso, entro quaranta giorni dalla data di trasmissione, il parere della Commissione competente per materia. Decorso tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza del parere; e, qualora esso scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, tale ultimo termine è prorogato di novanta giorni.

Quanto poi ai princìpi e criteri direttivi, è da rammentare che lo stesso art. 25 della legge n. 142 del 1992, richiamato dall’art. 1, comma 5, della legge n. 128 del 1998, conferiva (a sua volta) due distinte deleghe legislative, da esercitarsi in successione cronologica.

La prima - prevista dall’art. 25, comma 1 - concerneva l’attuazione della direttiva del Consiglio 89/646/CEE del 15 dicembre 1989, in conformità: a) al principio secondo cui gli enti creditizi possono prestare in Italia i servizi previsti nell’allegato direttamente o per il tramite di succursali o filiazioni alle condizioni di cui alla direttiva medesima (sempre che tali attività siano state autorizzate sulla base di requisiti oggettivi); b) al principio che gli enti suddetti possono procedere alla pubblicità relativamente ai servizi offerti, alle condizioni previste per le medesime attività dalla disciplina italiana; c) e, infine, al principio che deve essere adottata ogni altra disposizione necessaria per adeguare alla direttiva la disciplina vigente per gli enti creditizi autorizzati in Italia.

La seconda delega - prevista dall’art. 25, comma 2 - riguardava l'emanazione di un testo unico delle disposizioni attuative della direttiva e di quelle altre necessarie per l’adeguamento ad essa, coordinato con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, così da potervi apportare le modifiche necessarie a tal fine (delega, questa, esercitata con l’emanazione del testo unico bancario di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993).

L’art. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 (nel quale è ricompresa la disposizione oggetto delle sollevate questioni di legittimità costituzionale) si compone di tre commi.

Con il comma 1 viene sostituita la formulazione della rubrica dell’art. 120 del testo unico bancario (da "Decorrenza delle valute" a "Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi").

Con il comma 2 viene aggiunto allo stesso art. 120 un comma 2, che attribuisce al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) il potere di stabilire modalità e criteri relativamente alla produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, assicurando in ogni caso alla clientela, nelle operazioni in conto corrente, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi, sia debitori che creditori.

Infine, il comma 3 (oggetto esclusivo del dubbio di costituzionalità dei rimettenti), senza formalmente modificare il testo unico bancario, stabilisce che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta delibera del CICR - emessa il 9 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000 - sono valide ed efficaci sino a tale data, mentre, successivamente, debbono essere adeguate, a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente, al disposto della menzionata delibera, secondo modalità e tempi in essa previsti.

3.3.1.- Così ricostruito il contesto normativo, va affermata l’infondatezza della censura che concerne l'asserita inosservanza, da parte del legislatore delegato, del termine previsto nell'art. 1 della legge n. 128 del 1998 per l'esercizio della delega (un anno a decorrere dal 22 maggio 1998), a fronte dell'emanazione solo in data 4 agosto 1999 del decreto legislativo n. 342 del 1999, pubblicato il 4 ottobre 1999 ed entrato in vigore dal 19 ottobre 1999.

L'esercizio della delega è stato tempestivo, tenuto conto della proroga di novanta giorni contemplata nello stesso art. 1 per il caso in cui il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari (quaranta giorni dalla data di trasmissione) venisse a scadere nei trenta giorni precedenti il 22 maggio 1999 o successivamente. Il parere, infatti, richiesto il 20 maggio 1999 con relativa trasmissione dello schema di decreto, venne restituito il 23 giugno 1999 dalla Commissione della Camera dei deputati ed il 30 giugno 1999 dalla Commissione del Senato della Repubblica. Sicché il termine per l'esercizio della delega risulta prorogato ex lege al 20 agosto 1999, con conseguente tempestività dell'emanazione del decreto legislativo del 4 agosto 1999, n. 342, giusta quanto disposto dall'art. 14, comma 2, della legge n. 400 del 1988, a nulla rilevando la successiva data di pubblicazione.

3.3.2.- Fondata deve ritenersi, invece, la questione concernente l'eccesso di delega prospettato da quasi tutti i rimettenti.

Il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante, condotto alla stregua dell'art. 76 Cost., si esplica attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano l'oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e individuando le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e criteri direttivi della delega (v., ex plurimis, sentenze nn. 276, 163 e 126 del 2000; nn. 15 e 7 del 1999).

Ebbene, da una tale valutazione comparativa emerge chiaramente il mancato rispetto della delega.

Come già detto, invero, con l'art. 1, comma 5, della legge n. 128 del 1998 si conferì delega al Governo per l'emanazione di "disposizioni integrative e correttive" del testo unico bancario, richiamando espressamente i princìpi e criteri direttivi indicati nell'art. 25 della legge n. 142 del 1992, in attuazione dei quali vennero emanati dapprima il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (che recepiva e adattava al contesto italiano la surrichiamata direttiva 89/646/CEE) e poi il decreto legislativo n. 385 del 1993. Quest'ultimo, oltre a recepire a sua volta i contenuti del decreto legislativo n. 481 del 1992, riordinava organicamente l'assetto della materia bancaria e creditizia, con un testo unico di natura "normativa" e non già meramente "compilatoria": così da caratterizzarsi come disciplina attuativa di quella direttiva comunitaria e, allo stesso tempo, come legge di grande riforma economico-sociale (v. sentenze n. 49 del 1999 e n. 224 del 1994).

Ma, per quanto ampiamente possano interpretarsi le finalità di "integrazione e correzione" perseguite dal legislatore delegante, nonché i princìpi e criteri direttivi posti a base del testo unico bancario, è certamente da escludersi che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante, sia pure nell'esercizio del potere di armonizzazione di tale testo unico con il resto della normativa di settore.

La norma denunciata, difatti, senza distinguere fra contratti ed effetti contrattuali anteriori o posteriori alla data della propria entrata in vigore, stabilisce, con formula tipica delle norme di generale sanatoria ("sono valide ed efficaci"), una indiscriminata validità temporanea delle clausole anatocistiche bancarie contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della prevista deliberazione del CICR, prescindendo dal tipo di vizio da cui sarebbero colpite e da ogni collegamento con il testo unico bancario che non sia meramente occasionale.

Non si tratta, evidentemente, di una norma interpretativa - che pure era stata suggerita nel corso dei lavori parlamentari (seduta del 17 giugno 1999 della sesta Commissione: pag. 35 del relativo verbale) - perché la disposizione, così come strutturata, non si riferisce e non si salda a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di queste, dunque lasciandone intatto il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell'àmbito semantico della legge interpretata. Al contrario, con efficacia innovativa e (in parte anche) retroattiva, essa rende "valide ed efficaci", sino alla data di entrata in vigore della deliberazione del CICR, tutte indistintamente le clausole anatocistiche previste nei contratti bancari già prima della legge delegata o comunque stipulate anteriormente all'entrata in vigore della suddetta deliberazione.

In altri termini, il legislatore delegato, da un lato sancisce (pro praeterito), per qualsiasi tipo di vizio, una generale sanatoria delle clausole anatocistiche illegittime contenute nei contratti bancari anteriori al 19 ottobre 1999, con effetti temporalmente limitati sino al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera del CICR); dall'altro attribuisce (pro futuro), sia pure nell'identico limite temporale, la stessa indiscriminata "validità ed efficacia" alle clausole poste in essere nel periodo tra il 19 ottobre 1999 ed il 21 aprile 2000.

Ma, così disponendosi, è venuta meno ogni continuità logica con la delega, rompendosi la necessaria consonanza che deve intercorrere tra quest'ultima e la norma delegata. L'indeterminatezza della fattispecie di cui al comma 3 dell'art. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 non consente di ricondurre la denunciata norma nell'àmbito dei princìpi e criteri della legge di delegazione. Questi, infatti, non possono ragionevolmente interpretarsi come abilitanti all'emanazione d'una disciplina di sanatoria (per il passato) e di validazione anticipata (per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge delegata e quella della delibera del CICR) di clausole anatocistiche bancarie, del tutto avulsa da qualsiasi riferimento ai vizi ed alle cause di inefficacia da tenere per irrilevanti: quindi - stante il difetto di distinzioni e precisazioni nella legge delegata - senza una necessaria e sicura rispondenza (diretta od indiretta) ai princípi e criteri informatori del testo unico bancario.

Esclusa, pertanto, la possibilità di un'interpretazione adeguatrice della legge delegata alla legge delegante, deve concludersi - indipendentemente da ogni considerazione sulla ragionevolezza intrinseca della norma denunciata, e restando assorbito ogni altro profilo delle sollevate questioni - che la norma in esame víola l'art. 76 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Lecce con l'ordinanza in epigrafe, iscritta al r.o. n. 44 del 2000.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 9 ottobre 2000.

F:to:

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in cancelleria il 17 ottobre 2000.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 












 

 

 


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