CONTRATTO
DI MUTUO - NULLITA' DELLA CLAUSOLA RELATIVA AL TASSO DI
INTERESSI SUPERIORE AL LIMITE DI LEGGE
(
Cassazione - Sezione Prima Civile - Sent. n. 14889/2000
- Presidente P. Reale - Relatore G. Verucci )
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
G.
M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì,
la s.p.a. (omissis), esponendo di aver stipulato con la
convenuta, in data 29 maggio 1993, un contratto di mutuo
ipotecario di lire 55.000.000, da destinare all'acquisto
di un immobile, obbligandosi al rimborso mediante rate mensili
al tasso annuo del 15/55% costante per i primi cinque anni
e con un prospetto di ammortamento che prevedeva rate crescenti:
poiché alla fine del 1994, a fronte di versamenti
per lire 10.324.729, il debito capitale si era ridotto a
sole lire 52.020.997, era evidente che non esisteva un equilibrio
sinallagmatico. L'attore chiedeva, quindi, che fosse dichiarata
la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità
sopravvenuta e che la banca fosse condannata al risarcimento
dei danni.
Costituitasi,
la convenuta resisteva alla domanda, eccependo pregiudizialmente
l'incompetenza per territorio del giudice adito. Con sentenza
non definitiva del 14 maggio 1996, il Tribunale dichiarava
la propria competenza e, con ordinanza in pari data, fissava
per la prosecuzione del giudizio l'udienza del 27 giugno
1996 (poi rinviata d'ufficio al 6 novembre '96): con sentenza
definitiva del 19 marzo 1997, rigettava la domanda. L'impugnazione
proposta dal M. veniva respinta dalla Corte d'Appello di
Bologna con sentenza 25 giugno 1998.
Osservava
la Corte, per quanto in questa sede rileva, che i primi
giudici avevano correttamente dichiarato inammissibile la
domanda subordinata di nullità della clausola contrattuale
relativa agli interessi, formulata per la prima volta in
sede di precisazione delle conclusioni, con riferimento
all'entrata in vigore della legge n.108 del 1996: la tesi
dell'appellante, secondo cui la domanda sarebbe stata tempestiva,
perché proposta nel primo atto difensivo successivo
a detta legge e perché controparte non ne aveva comunque
eccepito la preclusione, non poteva essere condivisa, atteso
che, sotto il primo profilo, già anteriormente alla
riforma del 1996 il secondo comma dell'art.1815 c.c. prevedeva
la nullità della clausola con la quale fossero stati
convenuti interessi usurari, con la conseguenza che il M.
avrebbe potuto dedurne la nullità sin dall'atto di
citazione, a nulla rilevando lo 'ius superveniens', tanto
più che la legge n.108 è entrata in vigore
il 9 marzo 1996 e nessuna domanda era stata avanzata all'udienza
del 6 novembre successivo; sotto il secondo profilo, la
novità della domanda è rilevabile d'ufficio
e, in ogni caso, non è sufficiente il mero silenzio
della controparte per ritenere che abbia accettato il contraddittorio.
Quanto
alla doglianza del M. circa la rilevabilità d'ufficio
della nullità della clausola con la quale erano stati
pattuiti gli interessi, la Corte falsinea osservava che
il Tribunale aveva esattamente applicato il principio secondo
cui la rilevabilità d'ufficio ex art.1421 c.c. va
coordinata con i principi della domanda e della disponibilità
delle prove, il giudice non potendo prospettarsi questioni
che implichino indagini per le quali manchino gli elementi
necessari, come nel caso di specie, in cui il carattere
usurario degli interessi non risultava dal contratto di
mutuo, dal quale emergeva soltanto il saggio convenuto.
Secondo la Corte territoriale, infatti, il riferimento normativo
non era l'art.1 della legge n.108/96, trattandosi di contratto
stipulato nel 1993, sibbene l'art.644 c.p. nel testo anteriormente
vigente: ne derivava la necessità di accertare la
sussistenza dello stato di bisogno dell'obbligato e dell'approfittamento
da parte dell'altro contraente, elementi che non risultavano
direttamente dagli atti: né valeva richiamare l'art.185
disp.att. cod.civ., dal cui tenore emerge che si riferisce
all'art.1815 c.c. nella formulazione anteriore alla novella
del 1996.
Per
la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso,
affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. Resiste
la Banca (omissis) con controricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con
il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione
dell'art.189 c.p.c., in relazione all'art.360 n.3 dello
stesso codice, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale
abbia confermato la statuizione dei primi giudici circa
l'inammissibilità della domanda subordinata di nullità
della clausola relativa agli interessi del contratto di
mutuo, perché formulata per la prima volta in sede
di precisazione delle conclusioni. Secondo il ricorrente,
si sarebbe dovuto considerare che la questione, derivante
da 'ius superveniens', era stata proposta nel primo atto
difensivo successivo all'entrata in vigore della legge 7
marzo 1996 n.108 ('Disposizioni in materia di usura') e
dei decreti di attuazione: inoltre, vi era stata implicita
accettazione del contraddittorio, atteso che la banca non
ne aveva eccepito la preclusione.
Occorre
rilevare, anzitutto, che il ricorrente non censura l'affermazione
della Corte falsinea secondo cui la questione avrebbe potuto
essere dedotta già con l'atto di citazione, dal momento
che l'art.1815 c.c. prevedeva comunque - prima della modifica
apportata con l'art.4 della legge 7 marzo 1996 n.108 - la
nullità della clausola con la quale fossero stati
pattuiti interessi usurari (un breve cenno al riguardo è
contenuto solo nella memoria presentata ai sensi dell'art.378
c.p.c., peraltro in replica ad argomentazione della controparte):
trattandosi di ragione concorrente idonea a sorreggere anche
da sola la decisione, sotto tale profilo il motivo è
inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass.11902/98,
9866/98, 13117/97), con conseguente irrilevanza della questione
relativa allo 'ius superveniens' ed alla proposizione della
domanda nel primo atto difensivo immediatamente successivo
all'entrata in vigore della L.108/96 e dei relativi decreti
di attuazione.
Sotto
altro profilo, la censura è infondata: nel ritenere,
infatti, che il mero silenzio della banca non costituisse
accettazione dal contraddittorio sulla domanda intempestivamente
proposta, il giudice di merito si è attenuto al principio
- riferibile alla normativa previgente alla novella del
1990 - secondo cui il divieto di introdurre nuove domande
nel corso del giudizio di primo grado non è sanzionabile
esclusivamente in presenza di un atteggiamento della parte
interessata consistente nell'accettazione esplicita del
contraddittorio, ovvero in un comportamento concludente
che ne implichi l'accettazione, tenendo presente che, ai
fini dell'apprezzamento di tale concludenza, non assume
rilievo il semplice protrarsi del difetto di reazione e
non può essere attribuito valore indicativo al mero
silenzio della controparte in sede di precisazione delle
conclusioni, ove la domanda nuova sia proposta in tale sede
(SS.UU.4712/96 e, più di recente, Cass.11508/98).
Con
il secondo motivo, denunciando violazione dell'art.1421
c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per non
aver considerato che dagli atti emergevano gli elementi
da cui poter rilevare d'ufficio la nullità della
clausola relativa agli interessi.
Con
il terzo mezzo, infine, denuncia violazione degli artt.1
L.108/96 e 185 disp.att. cod.civ., rilevando, per un verso,
che sull'applicabilità della normativa in tema di
usura non incide la circostanza che il contratto di mutuo
sia stato stipulato nel 1993, e per altro verso, che il
ragionamento svolto dalla Corte territoriale circa l'art.185
disp.att.cod.civ. porta alla sua abrogazione.
Le
censure, che possono essere esaminate congiuntamente per
l'evidente connessione, sono fondate nei limiti di seguito
precisati.
È
fuor di dubbio che il potere del giudice di dichiarare d'ufficio
la nullità di un contratto o di una clausola di esso,
ai sensi dell'art.1421 c.c., vada coordinato con il principio
della domanda ex artt.99 e 112 c.p.c. (tra le ultime, Cass.123/2000
e 1811/99): nel caso di specie, tuttavia, la Corte falsinea
non ha fatto buon governo di tale principio, essendo evidente
che, per il tramite della domanda principale di risoluzione
del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta,
era stata contestata l'esecuzione del contratto, soprattutto
con riferimento alla pattuizione degli interessi, tant'è
che la stessa Corte territoriale non ha posto in discussione
tale aspetto, limitandosi a rilevare che occorrevano indagini
sul carattere usurario degli interessi (in particolare,
sullo stato di bisogno dell'obbligato e sul consapevole
approfittamento di detto stato da parte della banca), perché
non poteva trovare applicazione la novella del 1996 in tema
di usura, il contratto essendo del 1993.
Si
tratta, allora, di verificare la conformità a diritto
di quest'ultima affermazione, costituente la vera 'ratio
decidendi' della sentenza impugnata per quanto attiene alla
rilevabilità d'ufficio della nullità.
Va
subito precisato che, contrariamente all'assunto del ricorrente,
a tali fini non rileva l'art.185 disp.att. e trans. del
codice civile, dal cui tenore si evince chiaramente che
si riferisce alla formulazione dell'art.1815 c.c. anteriore
alla modifica apportata dall'art.4 della L.108/96: in altri
termini, la norma in questione è, ora, sostanzialmente
inefficace, dovendosi ritenere che la sua vigenza formale
sia frutto di un difetto di coordinamento legislativo.
La
soluzione è altrove e va individuata nei principi
enunciati da questa Corte con le recenti sentenze 5286/2000
e 1126/2000.
Con
la prima (in tema di interessi moratori per scoperto di
conto corrente, ma con argomenti di carattere generale)
è stato affermato che la pattuizione di interessi
a tasso divenuto usurario a seguito della legge 108/96 è
nulla anche se compiuta in epoca antecedente all'entrata
in vigore di detta legge.
Giova
ripercorrere, sia pure sinteticamente, l' 'iter' logico
- giuridico di tale decisione.
Premesso
che una pattuizione di interessi intervenuta prima dell'entrata
in vigore della legge 108/96 non può, stante il principio
dell'art.25, 2° comma, Cost., essere ritenuta penalmente
rilevante solo perché tali interessi risultino superiori
alla soglia fissata, questa Corte ha osservato che, pur
dovendosi ritenere in via di principio che il giudizio di
validità vada condotto alla stregua della normativa
in vigore al momento della conclusione del contratto, tuttavia,
verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia
ed eteroregolamentazione normativa, diviene insostenibile
la tesi che subordina l'applicabilità dell'art.1419,
2° comma. c.c. all'anteriorità della legge rispetto
al contratto, perché l'inserimento ex art.1339 c.c.
del nuovo tasso incontra l'unico limite che si tratti di
prestazioni non ancora eseguite, in tutto o in parte.
Va
ora precisato, con riferimento allo specifico tema del contratto
di mutuo, che merita di essere condiviso l'orientamento
dottrinario secondo cui l'ampia dizione degli artt.1339
e 1419, 2° comma, cod.civ. consente non solo la sostituzione
automatica di clausole con altre volute dall'ordinamento,
ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza
alcuna sostituzione, dovendosi tenere conto del maggior
spessore della eteroregolamentazione nell'ambito della contrapposizione
tra autonomia contrattuale ed imperatività della
norma.
La
citata sentenza n.5286/2000 ha precisato, altresì,
che: a) la tesi ha trovato l'autorevole avallo della Corte
Costituzionale nella sentenza n.204 del 1997, che ha dichiarato
non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art.1938 c.c. proprio sulla base della considerazione
che, pur avendo carattere innovativo la legge n.154/92 e
non applicandosi retroattivamente, tuttavia ciò non
implica che la disciplina precedente acquisti carattere
ultrattivo; b) l'obbligazione degli interessi non si esaurisce
in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni
successive; c) ai fini della qualificazione usuraria degli
interessi, il momento rilevante è la dazione e non
la stipula del contratto, come si evince anche dall'art.644-ter
cod.pen. (introdotto dall'art.11 L.108/96); d) in tal senso
è la giurisprudenza penale di questa Corte, secondo
cui la dazione degli interessi non costituisce 'post factum'
non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo
penalmente rilevante; e) anche a non voler aderire alla
configurabilità della nullità parziale sopravvenuta,
comunque non si può continuare a dare affetto alla
pattuizione di interessi eventualmente divenuti usurari,
a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con
valore generale ed assoluto e di un rapporto non ancora
esaurito.
Quest'ultimo
profilo, in particolare, è stato oggetto di esame
da parte della sentenza n.1126/2000, secondo cui 'si può
ben ritenere che la sopravvenuta legge 108/96, di per sé
evidentemente non retroattiva e dunque insuscettibile di
operare rispetto agli anteriori contratti di mutuo, sia
di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente
alla regolamentazione di effetti ancora in corso', quindi,
per l'appunto, la corresponsione degli interessi.
Ne
deriva che, sulla base del contratto di mutuo acquisito
agli atti ed in presenza di un rapporto non ancora esaurito
all'entrata in vigore della legge n.108/96, per il perdurare
dell'obbligazione di corrispondere, oltre ai ratei di somma
capitale, anche gli interessi (quantomeno, per il periodo
di vigenza del rapporto, fino alla sua eventuale risoluzione),
la Corte di merito non poteva escludere radicalmente la
rilevabilità d'ufficio della dedotta nullità
della clausola relativa agli interessi, solo perché
la pattuizione era intervenuta in epoca antecedente all'entrata
in vigore della legge n.108/96: al contrario, avrebbe dovuto
verificare se detta nullità sussistesse o meno, correlando
il convenuto tasso degli interessi alla nuova normativa
in tema di mora. Ciò non ha fatto, di talché,
in accoglimento del ricorso nei limiti precisati, la sentenza
impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, designato
in diversa Sezione della Corte di Appello di Bologna, che
si atterrà a quanto enunciato in tema di rilevabilità
d'ufficio della nullità (eventuale) della clausola
relativa agli interessi del contratto di mutuo.
È
appena il caso di osservare che le considerazioni svolte
dalla banca controricorrente circa i tassi massimi consentiti
all'epoca della stipulazione del contratto ed alla stregua
dei decreti attuativi della legge n.108/96, ai fini della
qualificabilità o meno come usurari degli interessi
medesimi, attengono al merito della controversia e non possono
trovare ingresso nella presente sede di legittimità.
Allo
stesso giudice di rinvio è demandato di provvedere
anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PER
QUESTI MOTIVI
La
Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra
Sezione della Corte di Appello di Bologna.