Tribunale
di Milano
-
Seconda sezione civile -
Il
Giudice delegato del Fallimento Isla de John Martin s.a.s.
di Maragno Rosa & C.
Visto
il ricorso ex art. 98 l.fall. proposto da Caguana Valentin
Pablo Antonio
Nei
confronti di Fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno
Rosa & C.
Ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
Il
creditore Caguana Valentin Pablo Antonio del Fallimento
Isla de John Martin s.a.s. di Maragno Rosa & C. ha depositato
in data 19/12/2000 ricorso ex art.98 l.fall. avverso il
provvedimento di esclusione pronunciato dal G.D.
Il
ricorso risulta depositato presso la Seconda Sezione civile
del Tribunale di Milano ed è stato trasmesso al Giudice
delegato al Fallimento Isla de John Martin s.a.s. di Maragno
Rosa & C. senza che vi sia un formale provvedimento
di assegnazione del procedimento che risulta attribuito
alla cognizione del giudice delegato in virtù del
disposto di cui all’art.98 l.fall., 1° comma, l.fall.,
in combinazione con il successivo art.99, 1° comma.
La
norma, in parte qua, appare in contrasto con i principi
di cui all’art.111 Cost. per le seguenti considerazioni
relative alla violazione delle regole del giusto processo
ed in particolare della imparzialità del giudice.
Sulla
rilevanza della questione di legittimità costituzionale
In
base a quanto prevede l’art.98 l.fall., i ricorsi aventi
ad oggetto l’opposizione allo stato passivo sono attribuiti
automaticamente al giudice delegato del fallimento cui si
riferisce il credito visto il non equivoco tenore letterale
della norma: " i creditori esclusi … possono fare
opposizione, entro quindici giorni dal deposito dello stato
passivo in cancelleria, presentando ricorso al giudice delegato".
Il giudice delegato è anche giudice istruttore della
causa di opposizione in base al disposto di cui all’art.99,
1° comma, l.fall. a mente del quale " il giudice
delegato provvede all’istruzione delle varie cause
di opposizione".
La
norma impone quindi che la causa di opposizione sia necessariamente
affidata al giudice delegato.
La
trattazione della causa davanti ad un giudice diverso dal
giudice delegato presuppone allora che sia rimossa la disposizione
di cui all’art.98 l.fall. e tale rimozione può
avvenire, salvo l’intervento del legislatore, solo
mediante la declaratoria di illegittimità costituzionale
della norma.
Poiché
la questione di legittimità costituzionale di cui
all’art.98 l.fall. attiene al profilo preliminare della
individuazione del giudice cui assegnare la causa di opposizione
allo stato passivo, la competenza a sollevare la predetta
questione spetta direttamente allo stesso giudice delegato
investito del procedimento ai sensi dell’art.98 l.fall.
Sulla
non manifesta infondatezza
Con
la legge costituzionale n.2 del 1999, il Parlamento ha innovato
fortemente il contenuto dell’art.111 Cost., stabilendo
che il giusto processo è solo quello regolato dalle
legge, che si svolge nel contraddittorio delle parti in
condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo
e imparziale, entro un tempo ragionevole.
Se
pure l’innesto del giusto processo all’interno
della carta costituzionale come valore positivo identificabile
solo con il rispetto di determinate regole è stato
occasionato da esigenze connesse alla tutela penale (la
forte proiezione della riforma verso il processo penale
è testimoniata da quella parte di innovazione che
è dedicata, espressamente, al solo processo penale),
non per questo i principi fissati nell’art.111 Cost.
non debbono non trovare applicazione anche nel processo
civile.
Di
fronte alla Novella costituzionale l’interprete può
reagire in due modi differenti (e così è accaduti
nella letteratura processualcivilistica nettamente divisasi
in due schieramenti), racchiusi fra la condivisione di una
lettura minimalista da un lato e la enfatizzazione delle
possibili conseguenze sul processo civile dall’altro.
Le
premesse sottese alla cultura della sottovalutazione dell’intervento
novellatore possono essere condivise nel senso che non si
può affermare che il processo, prima della legge
costituzionale n.2 del 1999, non fosse giusto, posto che
da tempo la dottrina aveva enucleato alcuni valori essenziali
del processo civile tali da risultare costituzionalizzati
in base ad una lettura combinata degli artt.24, 25, 101
e 111 Cost.
Ciò
che non può essere recepito è il riflesso
minimalista di quella premessa dal momento che mentre in
passato una certa norma poteva essere dichiarata incostituzionale
solo se in contraddizione con uno dei principi di cui agli
artt.24, 25, 101 e 111 Cost., ora ciascuna singola disposizione
va direttamente confrontata con il nuovo art.111 Cost.
Così,
per esemplificare, ancor prima della modifica costituzionale
si riteneva che l’impulso d’ufficio potesse collidere
non solo con il sistema processuale ordinario (vedi art.
99 e 112 c.p.c.), ma anche con il principio della terzietà
del giudice, già immanente nella carta costituzionale
per effetto delle interazioni fra gli artt.3, 24 e 25 e
l’art.101 Cost., ed ora emblematicamente riassunto
nel nuovo art.111.
Secondo
gran parte della letteratura il principio di neutralità
del giudice era ricavabile dal divieto di iniziativa processuale
d’ufficio (art.24), dalla garanzia del giudice naturale
(art.25), dal divieto di costituire giudici speciali (art.102)
e dalla soggezione dei giudici alla legge (art.101). Dalla
lettura in controluce di tali disposizioni, in base a questa
impostazione, era quindi agevole arguire la costituzionalizzazione
del giusto processo, quale processo tenuto da un giudice
terzo e imparziale.
La
rilevanza costituzionale del giusto processo passava pur
tuttavia per la verifica della compatibilità di singole
norme ordinarie con singole norme primarie, con la conseguenza
che il principio della terzietà del giudice non poteva
considerarsi violato quando pur risultando per breve periodo
compresso il principio della domanda di parte come presupposto
dell’esercizio della giurisdizione, il contraddittorio
non fosse sostanzialmente eroso. In sostanza la garanzia
del contraddittorio (espresso con formule anche disomogenee)
poteva temperare il divieto della iniziativa officiosa.
Adesso l’effettività del contraddittorio non
dovrebbe supplire al principio nemo iudex sine actore, per
il semplice fatto che il valore della tutela del contraddittorio
è autonomo rispetto al valore della terzietà
del giudice (emblematica è al proposito la vicenda
dell’art.146 l.fall. di cui si è occupata Corte
cost., 8 maggio 1996, n.148, in Foro it., 1996, I, 2648).
In
questa prospettiva della autonomia dei principi di cui all’art.111
Cost. dai precetti costituzionali di cui agli artt.24, 25,
101, 111 (vecchio testo) Cost., va colto l’aspetto
davvero innovatore della legge sul giusto processo.
Ogni
disposizione dell’ordinamento processuale va quindi
oggi riletta alla luce del nuovo testo dell’art.111
Cost.
La
rilettura dell’art.98 l.fall. suggerisce prima facie
il potenziale conflitto tra tale disposizione e l’art.111
Cost. nella parte in cui si prevede che il processo debba
svolgersi davanti ad un giudice imparziale.
Il
dubbio di costituzionalità attinge più al
principio della imparzialità del giudice che a quello
della terzietà (anche se taluni interpreti criticano
l’endiadi adoperata dal legislatore ed osservano che
tali espressioni in verità nulla aggiungono di nuovo
a quanto ricavabile in origine dalla carta fondamentale),
se diversamente dalla terzietà intesa come neutralità
del giudice rispetto alle parti, si legge l’imparzialità
come valore fondante un approccio del giudice al procedimento
equidistante rispetto alle parti e scevro da possibili condizionamenti
da prevenzione cognitiva.
Il
giudice è davvero imparziale soltanto se il suo approccio
al processo non è alterato da conoscenze acquisite
in precedenza (nell’esercizio delle funzioni giudiziarie)
che si collochino al di fuori del medesimo giudizio e se,
biunivocamente, le conoscenze apprese nel processo possano
condizionare l’esercizio delle altre funzioni assegnategli
e ciò indipendentemente dal fatto, per usare le parole
del giudice ad quem , che vi sia identità di valutazione
contenutistica della fattispecie.
Il
giudice, oltre che terzo rispetto alle parti, deve essere
ed apparire imparziale. Ora come l’espressa previsione
della terzietà del giudice impone di rivalutare tutte
le ipotesi di attività giurisdizionali officiose,
allo stesso modo e per le medesime ragioni l’imparzialità
del giudice pur essendo un valore costituzionale immanente,
non trovava una nitida espressione nel diritto positivo
(Corte cost., 24 aprile 1996, n.131, in Foro it., 1996,
I, c.1489 ricordava che il principio costituzionale dell’imparzialità
e terzietà del giudice connota nell’essenziale
la funzione giurisdizionale come paradigma del giusto processo).
Ciò
ha consentito al giudice delle leggi di manipolare l’art.34
c.p.p. (il leading case della giustizia costituzionale è
rappresentato da Corte cost., 15 settembre 1995, n.432,
in Foro it., 1996, I, c.411 che ha aperto la stagione delle
nuove incompatibilità nel processo penale) e al contempo
di lasciare inalterata la disciplina del processo civile
sino al 1999.
La
Corte ha ripetutamente affermato che nel processo civile
determinate possibili incrostazioni valutative potevano
essere tollerate in quanto non venendo in giuoco il valore
primario della libertà personale, la presenza del
medesimo magistrato in diverse fasi di uno stesso procedimento
poteva trovare giustificazione o nella diversità
della cognizione o nella diversità delle funzioni
(Corte cost., 7 novembre 1997, n.326, in Foro it., 1998,
I, c.1007, ha precisato che il problema della prevenzione
cognitiva si attenua nel processo civile per effetto della
mediazione dell’impulso paritario delle parti; lo stesso
giudice a proposito della incompatibilità fra cognizione
cautelare e cognizione di merito ha escluso – diversamente
dalle analoghe situazioni del processo penale – l’esistenza
di una omologa valutazione contenutistica delle due cognizioni
- Corte cost., 7 novembre 1997, n.326 – non tenendo
in adeguato conto che la cognizione sommaria del giudice
investito del procedimento cautelare non sembra esprimere
una valutazione di verosimiglianza ma di prova superficiale).
Di
questa diversità di approccio fra il processo penale
e quello civile si è resa consapevole soprattutto
la dottrina nell’ultimo quadriennio sollecitando la
giustizia costituzionale a pervenire ad un assetto finale
non troppo dissimile da quello edificato per il processo
penale, anche nella prospettiva della salvaguardia dell’unità
della giurisdizione e della riconosciuta unità culturale
del giudice.
Anche
a seguito di tali sollecitazioni si è prodotto un
primo parziale risultato con riferimento ai rapporti fra
cognizione sommaria e cognizione di controllo a contraddittorio
pieno (Corte cost., 15 ottobre 1999, n.387, in Foro it.,
1999, I, c.1441 ha dichiarato infondata, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 51, 1º
comma, n. 4, e 2º comma, c.p.c., nella parte in cui
non prevede incompatibilità tra le funzioni del giudice
che pronuncia decreto di repressione della condotta antisindacale
ex art. 28 l. 20 maggio 1970 n. 300 e quelle del giudice
dell'opposizione a tale decreto, poiché la fattispecie
rientra all'evidenza nell'ambito della previsione di tale
disposizione del codice di rito, in quanto l'espressione
"altro grado" contenuta nell'art. 51, 1º
comma, n. 4, c.p.c. non può avere un ambito ristretto
al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine degli
uffici giudiziari come previsto dall'ordinamento giudiziario,
ma deve ricomprendere anche la fase che, in un processo
civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto
impugnatorio, caratterizzata da pronuncia che attiene al
medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul
merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorché
davanti allo stesso organo giudiziario, in riferimento agli
art. 3 e 24 cost.).
Proprio
l’apertura contenuta in questa decisione induce il
Giudice delegato a riproporre il quesito sulla legittimità
costituzionale dell’impianto fallimentare oppositorio
dal momento che le luci offerte dalla sentenza n.387/99
non sembrano da sole idonee a risolvere i problemi delle
incompatibilità del giudice nel processo civile quanto
meno per il fatto a) che non tutti i profili possono ascriversi
ad una estensione della lettura fase o grado in senso sostanziale
dell’art.51 n.4) c.p.c.; b) gli adattamenti tabellari
non possono superare il testo normativo.
Sub
a) Poiché il giudice istruttore della causa di opposizione
allo stato passivo è e non può non essere
il giudice delegato, non si può lasciare alla iniziativa
soggettiva (parti per la ricusazione; giudice per l’astensione)
la scelta se rendere giusto il processo ex art.98 l.fall.;
il problema ordinamentale va risolto in astratto una volta
per tutte.
Sub
b) La soluzione empirica suggerita dal giudice delle leggi
(previsione da inserire nelle tabelle di composizione dell’Ufficio,
che il magistrato della fase a cognizione piena sia diverso
da quello della fase sommaria) non è attuabile perché,
diversamente dall’ipotesi di cui all’art.28 st.lav.
ove il magistrato che si occupa della opposizione non è
per legge lo stesso che ha trattato la fase sommaria, nel
giudizio ex art.98 l.fall. l’identità è
automatica e predeterminata.
Escluso
che la distonia provocata dall’art.98 l.fall. possa
essere superata in via amministrativa o con il meccanismo
della ricusazione-astensione, non resta che indagare sulla
esistenza anche nel processo civile di un principio di incompatibilità
del giudicante (previsto nel processo penale) derivante
da una preventiva cognizione sul medesimo procedimento,
argomento sul quale la dottrina si è di recente lungamente
interrogata (pur se sino ad ora si sono forti resistenze
al cambiamento sono state raccolte proprio sul piano del
processo di fallimento visto che il giudice costituzionale,
pur ripetutamente interessato, ha costantemente disatteso
i dubbi di legittimità).
In
particolare per ciò che attiene alla vicenda che
qui interessa, Corte cost, 18 luglio 1998, n.304, in Foro
it., 1998, I, c.3024 (sulla falsariga dei precedenti risalenti
costituiti da Corte cost., 18 novembre 1970, n.158, in Foro
it., 1970, I, c.2998; Corte cost., 29 aprile 1975, n.94,
in Foro it., 19875, I, c.1045) ha escluso il dubbio di costituzionalità
con riferimento alla posizione del giudice delegato nel
giudizio di opposizione allo stato passivo.
In
quella occasione il giudice remittente aveva dubitato della
costituzionalità dell’art.99 l.fall. argomentando
dalle considerazioni condivise dalla Corte costituzionale
in tema di incompatibilità nel processo penale.
Il
giudice delle leggi ha osservato che << l’attività
relativa alla formazione dello stato passivo si caratterizza
per una verifica dei crediti effettuata con cognizione sommaria,
laddove quella in sede di opposizione è finalizzata
a raccogliere elementi utili alla decisione del collegio
sulla base dei motivi dell’opposizione stessa, suscettibili
d’introdurre nuovo materiale probatorio>> .
La
ratio decidendi della pronuncia di manifesta infondatezza
sembra dunque raccolta in due proposizioni: a) il giudice
delegato nella sua veste di giudice istruttore si limita
a raccogliere gli elementi da sottoporre all’esame
del collegio; b) l’oggetto della cognizione può
essere diverso in quanto nel processo di opposizione può
essere raccolto ulteriore materiale probatorio.
Sub
a) La prima proposizione tende a sminuire il ruolo del giudice
delegato quale mero giudice della "raccolta delle prove"
, trascurando che il giudice delegato quale giudice istruttore
partecipa alla decisione del collegio non già in
posizione di emarginazione, ma quale componente che più
degli altri è informato delle vicende del processo.
Peraltro il fatto che il giudice del provvedimento gravato
sia investito della cognizione impugnatoria quale membro
di un collegio, non può certo escludere l’incompatibilità
per prevenzione cognitiva come dimostra chiaramente l’art.669
terdecies c.p.c. in tema di reclamo cautelare. Il fatto
che la cognizione impugnatoria sia affidata ad un collegio
non è una garanzia sufficiente per superare il principio
della imparzialità.
Sub
b) La seconda proposizione mira a sottolineare la profonda
diversità del profilo cognitorio fra fase della verifica
del passivo e fase dell’opposizione. Si assume, infatti,
che nella fase sommaria la cognizione sarebbe limitata a
prove cartolari (così si era espressa l’avvocatura
dello stato nel giudizio costituzionale concluso con la
pronuncia n.304/99), mentre nella fase a cognizione piena
potrebbero essere dedotte le prove tipiche di un qualsiasi
altro processo ordinario di cognizione.
Questa
affermazione non può essere condivisa, sia per eccesso
che per difetto, e ciò giustifica una nuova istanza
di rimessione.
Innanzi
tutto non è vero che nel processo di opposizione
allo stato passivo possono essere dedotti tutti i mezzi
di prova previsti per il processo di cognizione, in quanto
non possono trovare spazio, ad esempio, le prove costituende
che presuppongono la disponibilità della lite –
confessione e giuramento – .
In
secondo luogo non è vero che nella fase della verificazione
del passivo le uniche prove da cui il giudice delegato possa
trarre il proprio convincimento siano solo quelle "cartolari"
precostituite. Infatti, a tacer d’altro, nel giudizio
di verifica possono essere assunte le opportune informazioni
secondo quanto dispone l’art.95 l.fall. Le opportune
informazioni possono fornire al giudice delegato elementi
di valutazione non dissimili, nella sostanza, da quelli
ricavabili dall’istruttoria orale. Così pure
elementi di valutazione possono essere desunti dalle contestazioni
e dalle osservazioni dei controinteressati (ovverosia gli
altri creditori).
All’interno
di questa nozione di sommarie informazioni possono trovare
spazio tutte le c.d. prove << di non lunga indagine
>> , definizione che, peraltro, in quanto assente
nel diritto positivo, si presta ad interpretazioni a fisarmonica.
In tale contesto nei "cataloghi" di prove di lunga
indagine suggeriti in letteratura non se ne incontrano due
uguali. Tutto ciò induce a ritenere che non possa
essere recepita nel nostro ordinamento la nozione astratta
di << prova di lunga indagine >> e che invece
debba valutarsi in concreto, in relazione alle singole specificità
del procedimento, se un determinato mezzo istruttorio sia
o no ammissibile.
In
questo senso se non può essere trascurato che sul
piano normativo un valore essenziale della verifica fallimentare
è la celerità, non si può neppure misconoscere
che nella realtà attuale e nella prassi l’esigenza
di pervenire rapidamente alla formazione dello stato passivo
non è affatto osservata.
Ed
allora se la valutazione della ammissibilità della
prova di lunga indagine va svolta in concreto, deve escludersi
che possano essere considerate incompatibili con il procedimento
di verifica tanto le prove orali, quanto gli accertamenti
tecnici nella misura in cui questi adempimenti istruttori
possano concludersi in termini tali da non provocare ritardi
nella dichiarazione di esecutività dello stato passivo.
La
cognizione sommaria del giudice delegato non è quindi
una cognizione superficiale ma una cognizione che si fonda
su prove deformalizzate.
La
diversità dello spettro cognitivo di cui dispone
il giudice delegato nella fase sommaria dell’accertamento
del passivo rispetto a quella di cui dispone il giudice
delegato che diviene giudice istruttore nella causa di opposizione
è quindi affidata a criteri puramente casuali (esame
di questioni di puro diritto, esame di domande che necessitano
di lunga istruttoria, esame di domande che possono essere
risolte con breve istruttoria, ecc…) che non possono
assolutamente influenzare il valore del principio della
imparzialità del giudice.
Il
semplice fatto che nel corso del procedimento di opposizione
allo stato passivo possa arricchirsi il materiale probatorio
non è un motivo sufficiente per escludere che il
giudice delegato-istruttore abbia un approccio al processo
uguale a quello che avrebbe un altro giudice completamente
estraneo alla formazione del provvedimento impugnato.
Per
superare il vincolo della forza della prevenzione tipico
delle ripetitività decisorie si potrebbe sostenere
che la fase necessaria della verifica sommaria del passivo
e quella eventuale della opposizione costituiscono fasi
dello stesso processo come già si è affermato
in occasione del rapporto fra procedimento cautelare ante
causam e processo di merito.
Ma
se il processo di merito non esprime in alcun modo una forma
di gravame rispetto al provvedimento cautelare sì
che il legame fra i due procedimenti è soltanto quello
della strumentalità, nel caso dell’opposizione
ex art.98 l.fall. le cose non stanno proprio così.
Infatti
se pur è vero che tale giudizio rappresenta un ordinario
giudizio di cognizione di primo grado (cui seguono appello
e ricorso per cassazione), la struttura del processo è
caratterizzata da alcune componenti dei giudizi di gravame
che ne condizionano profondamente l’esito.
Si
pensi al fatto che a) l’opposizione va radicata entro
un termine perentorio che decorre dalla comunicazione del
provvedimento sfavorevole (Cass., 17 marzo 2000, n. 3104),
tanto è vero che se manca l’avviso si ritiene
ammissibile l’opposizione entro il termine annuale
(Cass., 27 agosto 1990, n. 8763, in Fallimento, 1991, 251;
Trib. Catania, 13 giugno 1998, in Foro it., 1998, I, 3010);
b) la legittimazione alla opposizione spetta solo al creditore
"soccombente"; c) nel giudizio non possono essere
introdotte domande nuove (Cass., 8 novembre 1997, n. 11026,
in Fallimento, 1998, 1232; Cass., 11 luglio 1996, n. 6319,
in Giust. civ., 1996, I, 2848); d) non è ammissibile
la reformatio in pejus ( Trib. Milano, 12 maggio 1997, in
Giur. it., 1998, 1666).
Talora
poi il giudice di legittimità ha dichiarato espressamente
che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura
impugnatoria (Cass., 8 novembre 1997, n. 11026).
Ci
si trova pertanto di fronte da un lato ad un provvedimento
sommario che incide su diritti soggettivi (si pensi al diritto
a partecipare alle distribuzioni del ricavato) e dall’altro
lato ad un procedimento nel quale viene riesaminato il provvedimento
sommario, situazione questa assai simile, per non dire identica,
a quella decisa con la pronuncia n.387/99.
In
relazione a questi profili impugnatori il timore che la
forza della prevenzione possa condizionare l’esercizio
della giurisdizione da parte del giudice delegato-istruttore
non può assolutamente essere escluso e l’ordinamento
non può tollerare il solo dubbio che la parte possa
avere della imparzialità del giudice che sul medesimo
bene della vita già si sia pronunciato (sul punto
vanno recepite le ormai ripetute affermazioni di principio
contenute nelle decisioni della Corte europea dei diritti
dell’uomo, secondo la quale Justice must not only be
done, it must also be seen to be done; sent. 30 ottobre
1991, in Rev.trim.droits de l’homme, 1992, 201).
Ma
la ragione della necessità di separare le due funzioni
(giudice delegato e giudice istruttore) deriva anche all’inverso
dal possibile vincolo da cognizione preventiva che il giudice
delegato può avere in quanto giudice istruttore della
causa di opposizione allo stato passivo. L’esempio
emblematico è costituito da come le conoscenze acquisite
in corso di causa possano condizionare la valutazione amministrativa
della convenienza di una transazione (ammissibile anche
in questi procedimenti, cfr., Trib. Trieste, 3 aprile 1998,
in Giur. comm., 1999, II, 434; Trib. Roma, 8 febbraio 1995,
in Dir. fallim., 1995, II, 922) che il tribunale fallimentare
deve autorizzare con la presenza nel collegio del giudice
delegato.
L’unica
soluzione per evitare che si possa dubitare della imparzialità
funzionale del giudice delegato ( e non già della
imparzialità del singolo magistrato) è costituita
dalla soppressione dell’inciso contenuto nell’art.98
l.fall. nella parte in cui si prevede che l’opposizione
si introduca <<presentando ricorso al giudice delegato>>,
e di quello contenuto nell’art.99 l.fall. nella parte
in cui si dice <<il giudice delegato provvede all’istruzione>>.
Sul
piano normativo processuale ed ordinamentale non vi sono
controindicazioni assorbenti sia a) perché sarebbe
sufficiente sostituire al giudice delegato nell’art.98
l.fall. il presidente (un modello al riguardo è quello
di cui all’art.87 del t.u. n.385/93 in tema di liquidazione
coatta amministrativa delle aziende bancarie), e sopprimere
la parola "delegato" nell’art.99, sia b)
perché l’istituzione del giudice unico di primo
grado ha consentito la creazione di tribunali nei quali
la composizione dell’organico non è mai inferiore
alle quattro unità.
Si
impone quindi la rimessione del procedimento alla Corte
costituzionale perché valuti la legittimità
degli artt.98 e 99 l.fall. in relazione all’art.111
Cost.
P.Q.M.
Dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt.98 e 99 l.fall.
nella parte in cui il primo prevede che il ricorso in opposizione
allo stato passivo sia presentato al giudice delegato ed
il secondo prevede che il giudice delegato sia il giudice
istruttore della causa di opposizione per violazione del
principio del giusto processo ed in particolare dell’art.111
Cost. con riferimento alla regola dell’imparzialità
del giudice.
Dispone
che a cura della Cancelleria ai sensi dell’art.23 l.n.87/53
la presente ordinanza sia trasmessa alla Cancelleria della
Corte costituzionale, sia notificata alle parti e al Sig.
Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia comunicata
ai Sigg. Presidenti del Senato della Repubblica e della
Camera dei Deputati.
Sospende
il presente procedimento sino alla decisione della Corte
costituzionale.
Milano,
25 gennaio 2001
Il
Giudice delegato