Corte
di Cassazione, 18 gennaio 2002 n.518, Sentenza, Sanabile
nullità notifica del ricorso al curatore, anzichè
al fallito procedente
Massima
La notificazione di un atto non può considerarsi addirittura
inesistente nel caso in cui sia stata effettuata in un luogo
o nei confronti di una persona avente comunque una qualche
relazione con il reale destinatario (v., fra le altre, C.Cass.
1999/07012, proprio in tema di rapporti fra notificazione
e fallimento).
La
dichiarazione di fallimento di una società non comporta
la nascita di un nuovo soggetto in luogo od accanto al precedente,
che viene soltanto privato dell'amministrazione e della disponibilità
dei suoi beni. Ne consegue che l'erronea destinazione del
ricorso per cassazione al fallimento in persona del suo curatore
non comporta l'evocazione in giudizio di un soggetto diverso
dalla società poi fallita che aveva partecipato alla
precedente fase processuale e che, essendosi costituita, ha
comunque sanato ogni carenza ed irregolarità della
citazione e della sua notificazione.
Cassazione
civile
Sezione
V
Sentenza
18-01-2002, n. 518
PRES Saccucci B- REL Tirelli F- PM Pivetti M (conf.) - Min.
Finanze c. RIS Sas di Bonometto M. e C.
La
Corte osserva quanto segue.
Con
avviso notificato il 26/7/1995, l'Ufficio II.DD. di Venezia
rettificava in L. 153.595.000 il reddito prodotto nel 1987
dalla sas R.I.S. di B.M. e C., nel frattempo dichiarata fallita
con sentenza del 17/6/1993.
La
Commissione Tributaria di 1° Grado di Venezia annullava,
però, l'accertamento perché basato su indagini
bancarie condotte in forza dell'art. 18 della legge n. 413/1991
e, dunque, di una disposizione che non avrebbe potuto essere
applicata per i periodi d'imposta precedenti al 1992.
L'Ufficio
si doleva al giudice superiore, sottolineando che il ricorso
introduttivo non era stato proposto dal curatore fallimentare,
ma dal legale rappresentante della società e che, in
ogni caso, l'art. 18 della legge n. 413/1991 doveva essere
riguardato come una norma immediatamente applicabile a tutte
le verifiche in corso, indipendentemente dall'annata oggetto
del controllo.
Con
sentenza in data 15/10/1997, la Commissione Tributaria Regionale
del Veneto condivideva la tesi della generale operatività
dell'art. 18, ma nonostante ciò rigettava ugualmente
l'appello in quanto la legittimazione del curatore non escludeva
quella del fallito e, d'altra parte, "il metodo logico
giuridico utilizzato per l'accertamento del maggior reddito
imponibile" risultava sostanzialmente inaccettabile,
anche perché l'Ufficio "ben avrebbe potuto utilizzare
i versamenti ed i prelevamenti registrati nei conti bancari,
ma in questo caso avrebbe dovuto fondare il suo ragionamento
non unicamente sull'assioma versamenti e prelevamenti uguale
a ricavi", ma su "altri elementi di riscontro"
capaci di "collegare anche attraverso presunzioni gravi,
precise e concordanti i movimenti bancari al risultato economico".
L'Amministrazione
ricorreva allora per cassazione, deducendo con due motivi
che i giudici a quo erano incorsi nel vizio di violazione
e falsa applicazione di norme di diritto, in quanto avrebbero
dovuto dichiarare il difetto di legittimazione della società
fallita e, soprattutto, riconoscere che in mancanza di adeguata
giustificazione da parte della contribuente, i versamenti
ed i prelevamenti bastavano da soli a sostenere l'imputazione
dei maggiori ricavi alla società.
Dichiarando
di agire in proprio e nelle rispettive qualità di socio
accomandatario ed accomandante della R.I.S., B.M. e P.V. resistevano
con controricorso, proponendo nel contempo ricorso incidentale
sul punto relativo all'applicabilità, anche per il
1987, dell'innovazione introdotta dall'art. 18 della legge
n. 413/1991 che, a tutto concedere, presupponeva comunque
l'esistenza di un'autorizzazione (mai prodotta) del Comandante
di zona della G.d.F., nonché l'instaurazione di un
previo contraddittorio, che nel caso di specie aveva riguardato
soltanto il curatore fallimentare e non il socio amministratore,
dei cui rapporti bancari l'Ufficio si era per di più
servito in aperta violazione della norma sopra citata, che
consentiva di utilizzare soltanto quelli intrattenuti dalla
società.
Tenuto
conto di quanto sopra e considerato che ai sensi dell'art.
8 della legge n. 4/1929, l'Ufficio avrebbe dovuto quanto meno
ridurre l'ammontare delle sanzioni, che andavano in ogni caso
riviste alla luce della riforma di cui ai Dlgs nn. 471 e 472
del 1997, concludevano per la dichiarazione d'inammissibilità
del ricorso principale, perché tardivamente ed irritualmente
notificato, nonché per la cassazione della sentenza
impugnata con ogni consequenziale statuizione.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Riuniti preliminarmente i due ricorsi perché proposti
contro la medesima sentenza, osserva innanzitutto il Collegio
che la parte interamente vittoriosa non ha bisogno né
titolo per proporre impugnazione incidentale sulle questioni
non esaminate perché ritenute assorbite dal giudice
a quo (C.Cass. 1998/07103, 1999/03355 e 2000/03908).
Dichiarata,
perciò, l'inammissibilità del ricorso incidentale
nei punti relativi alla mancanza dell'autorizzazione del Comandante
di zona della G.d.F., all'omessa instaurazione di un previo
contraddittorio con il socio amministratore, alla indebita
utilizzazione dei conti bancari di quest'ultimo ed alla misura
delle sanzioni, che hanno rappresentato degli argomenti neppure
sfiorati dai giudici di merito, occorre considerare che secondo
parte controricorrente, questa Corte dovrebbe dichiarare anche
l'inammissibilità del ricorso principale, perché
tardivamente notificato ad un soggetto che non aveva partecipato
alle precedenti fasi del processo, ovverossia al fallimento
della R.I.S. in persona del curatore anziché ai soci
personalmente.
Cominciando
da quest'ultimo aspetto, devesi rilevare che le precedenti
fasi del giudizio si sono effettivamente svolte fra l'Ufficio
II.DD. di Venezia, la R.I.S. ed i suoi due soci B. e P.
Tanto
precisato, conviene ulteriormente aggiungere che la notificazione
di un atto non può considerarsi addirittura inesistente
nel caso in cui sia stata effettuata in un luogo o nei confronti
di una persona avente comunque una qualche relazione con il
reale destinatario (v., fra le altre, C.Cass. 1999/07012,
proprio in tema di rapporti fra notificazione e fallimento).
Tenuto
conto di quanto sopra e rilevato, altresì, che la dichiarazione
di fallimento di una società non comporta la nascita
di un nuovo soggetto in luogo od accanto al precedente, che
viene soltanto privato dell'amministrazione e della disponibilità
dei suoi beni, deve necessariamente concludersi nel senso
che l'erronea destinazione del ricorso per cassazione al fallimento
della R.I.S. in persona del suo curatore non ha comportato
l'evocazione in giudizio di un soggetto diverso dalla società
che aveva partecipato alla precedente fase processuale e che
essendosi costituita anche in questa assieme ai due soci B.
e P., ha comunque sanato ogni carenza ed irregolarità
della citazione e della sua notificazione.
Parte
controricorrente ha peraltro eccepito l'inammissibilità
del ricorso principale anche sotto l'ulteriore profilo del
mancato rispetto del termine breve di cui all'art. 325 cpc.
La
sentenza di appello era stata invero notificata il 5/5/1998
all'Ufficio impositore ed il precedente 28/4/1998 all'Amministrazione
finanziaria in persona del Ministro pro tempore presso l'Avvocatura
distrettuale di Venezia.
Considerato
che era stata proprio quest'ultima notificazione a far decorrere
il termine di 60 gg., ne conseguiva che il ricorso principale
doveva ritenersi senz'altro tardivo perché notificato
soltanto in data 3/7/1998.
Neppure
tale argomentazione può essere, però, condivisa
perché dopo una prima pronuncia che ne aveva affermato
la necessità della notifica presso l'Avvocatura Generale
dello Stato, questa Suprema Corte si era definitivamente orientata
nel senso che le sentenze emesse in appello dalle Commissioni
Tributarie, andavano notificate direttamente all'Ufficio nel
caso in cui quest'ultimo fosse stato in giudizio senza farsi
assistere dalla difesa erariale (C.Cass. 1998/09846, 1998/10752
e 1999/04276).
Il
Legislatore è, per la verità, intervenuto sul
punto, stabilendo con l'art. 21/1 della legge n. 133/1999
che ai fini del decorso del termine breve d'impugnazione di
cui all'art. 325 cpc, l'art. 38 del Dlgs n. 546/1992 doveva
essere interpretato nel senso che le sentenze pronunciate
dalle Commissioni Tributarie Regionali e da quelle di 2°
Grado delle province autonome di Trento e Bolzano andavano
notificate all'amministrazione finanziaria presso gli uffici
dell'Avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'art.
11/2 del RD 30/10/1933, n. 1611.
Questa
stessa Sezione ha, tuttavia, sollevato questione di costituzionalità
della predetta norma e con sentenza n. 25/2000, la Corte costituzionale
ne ha dichiarato l'illegittimità nella parte in cui
estendeva la propria efficacia anche al periodo anteriore
alla sua entrata in vigore (avvenuta il 18/5/1999).
In
ragione di quanto sopra, va pertanto ribadito che nel caso
di specie, l'unica notificazione in grado di far decorrere
il termine breve d'impugnazione è stata proprio quella
indirizzata all'Ufficio impositore, che aveva preso parte
al giudizio di appello senza farsi assistere dall'avvocatura
dello Stato.
Risalendo
tale notificazione al 5/5/1998 e dovendo di conseguenza concludersi
per la tempestività del ricorso per cassazione notificato
il 3/7/1998, può finalmente passarsi all'esame del
medesimo, cominciando dal primo motivo con cui l'Amministrazione
ha contestato ai giudici a quo di avere erroneamente riconosciuto
la legittimazione processuale della società fallita.
A
questo proposito conviene preliminarmente ricordare che questa
Suprema Corte ha già più volte chiarito che
il fallito conserva una capacità suppletiva in ordine
a quei beni e rapporti patrimoniali che pur essendo astrattamente
suscettibili di rientrare nel fallimento, non vi siano in
concreto entrati a causa del disinteresse degli organi fallimentari
(C.Cass. 1967/02734, 1970/00100, 1990/11727, 1992/08157, 1998/07132,
2000/01901 e 2000/08116).
Nel
caso di specie, non risulta che il curatore del fallimento
della R.I.S. abbia separatamente impugnato l'avviso di accertamento
o si sia in qualche altro modo interessato della questione.
Dalla
sentenza impugnata emerge, anzi, il contrario in quanto la
Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l'eccezione
dell'Ufficio sul presupposto che il diritto di difesa doveva
essere assicurato anche al fallito e ciò soprattutto
nell'ipotesi di totale inerzia del curatore.
Così
argomentando, i giudici a quo hanno implicitamente dato atto
che nella fattispecie in esame l'organo fallimentare non aveva
preso alcuna esplicita posizione sul punto e tale circostanza
risulta, d'altronde, confermata dallo stesso contenuto del
ricorso per cassazione, con il quale l'Amministrazione si
è limitata ad una generica contestazione, senza minimamente
specificare in cosa si sarebbe tradotto l'interessamento del
curatore nella vicenda.
Rigettato
così il primo motivo del ricorso, non resta che passare
all'esame del secondo, a proposito del quale giova premettere
che con l'art. 10, comma 2, n. 12 della legge delega 9/10/1971,
n. 825, venne prevista la possibilità di derogare al
segreto bancario in tassative ipotesi di particolare gravità.
In
applicazione di tale direttiva, fu perciò riconosciuta
all'amministrazione finanziaria la facoltà di richiedere,
nei circoscritti casi di cui all'art. 35 del DPR n. 600/1973,
copia dei conti intrattenuti dai contribuenti con le aziende
e gli istituti di credito.
La
richiesta alle banche avrebbe dovuto essere avanzata su conforme
parere dell'ispettorato compartimentale delle imposte dirette,
nonché previa autorizzazione del presidente della Commissione
Tributaria di 1° Grado competente per territorio e gli
elementi così ottenuti avrebbero potuto essere posti
a base delle rettifiche qualora il contribuente non fosse
riuscito a fornire un'adeguata prova in contrario.
Venne
in questo modo introdotta una presunzione legale (semplice)
che implicava l'utilizzabilità de plano dei dati bancari
e, cioè, la possibilità d'imputarli direttamente
a ricavi anche in assenza di qualsiasi altro elemento di riscontro
(C.Cass. 2000/09946 e 2001/09103).
Tanto
ricordato, occorre altresì rammentare che la possibilità
di accesso ai dati bancari è stata in seguito generalizzata
dall'art. 18 della legge n. 413/1991, che oltre ad abolire
l'art. 35 del DPR n. 600/1973, ha subordinato la richiesta
alle aziende ed istituti di credito alla sola autorizzazione
dell'ispettore compartimentale delle imposte dirette o del
comandante di zona della G.d.F.
L'innovazione
avrebbe dovuto avere effetto dal 1/1/1992 per cui, non contenendo
la legge alcuna previsione di retroattività, sorse
il problema di accertare l'applicabilità o meno della
nuova normativa nell'ambito delle verifiche relative ad annualità
precedenti a quella di entrata in vigore della L. n. 413/1991.
E
questa Suprema Corte ha già avuto modo di pronunciarsi
sul punto, osservando che la modifica legislativa non aveva
interferito nel rapporto tributario, né aveva toccato
l'onere dell'amministrazione di provare la pretesa impositiva,
ma si era occupata unicamente dell'attività d'indagine
e di accertamento, dal che discendeva la sua piena operatività
anche per le iniziative ispettive attinenti a periodi d'imposta
anteriori al 1/1/1992 (C.Cass. 1999/01728, 2000/09611 e 2001/11778).
Ciò
posto, devesi rilevare che con il secondo motivo del ricorso,
l'Amministrazione ha lamentato il completo travisamento dell'art.
32 del DPR n. 600/1973, che contrariamente a quanto ritenuto
dalla Commissione Tributaria Regionale non postulava affatto
la necessità di ulteriori elementi di riscontro per
imputare i versamenti ed i prelevamenti a ricavi.
La
doglianza è, per quanto già detto, senz'altro
fondata, a differenza di quella contenuta nel primo ed unico
motivo ammissibile del ricorso incidentale, con cui la R.I.S.
ed i suoi soci hanno sostenuto che i giudici a quo non avrebbero
potuto riconoscere l'applicabilità alle annate pregresse
dell'innovazione introdotta dall'art. 18 della legge n. 413/1991.
In
accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, la
sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio degli atti,
anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione
della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che provvederà
ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi
sopra enunciati.
P.Q.M.
la Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e
di quello incidentale, accoglie il secondo motivo del ricorso
principale, dichiara inammissibili gli altri motivi di quello
incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per
le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Commissione
Tributaria Regionale del Veneto.
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