Corte
Costituzionale, Ordinanza, 5 luglio 2002 n.321, Infondatezza
della questione di legittimità costituzionale dellart.
147, secondo comma L.F., nella parte in cui non prevede un
limite temporale, decorrente dalla data della sentenza dichiarativa
del fallimento principale, per la dichiarazione del fallimento
del socio occulto illimitatamente responsabile di una società
di persone
ORDINANZA
N.321
ANNO 2002
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare RUPERTO Presidente
-
Massimo VARI Giudice
-
Riccardo CHIEPPA "
-
Gustavo ZAGREBELSKY "
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Giovanni Maria FLICK "
-
Francesco AMIRANTE "
-
Ugo DE SIERVO "
-
Romano VACCARELLA "
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dellart.
147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso
con ordinanza emessa il 24 aprile 2001 dal Tribunale di Trani
sullistanza proposta dalla curatela del fallimento di
Bombini Tommaso contro Bombini Sergio ed altra, iscritta al
n. 691 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dellanno
2001.
Visto
latto di costituzione di Bombini Sergio ed altra;
udito
nelludienza pubblica del 7 maggio 2002 il Giudice relatore
Fernanda Contri;
udito
lavvocato Olinto Valentini per Bombini Sergio ed altra.
Ritenuto
che il Tribunale di Trani ha sollevato, in riferimento all'art.
3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa), nella parte in cui non prevede un limite
temporale, decorrente dalla data della sentenza dichiarativa
del fallimento principale, per la dichiarazione del fallimento
del socio occulto illimitatamente responsabile di una società
di persone;
che
il giudice rimettente è investito dellesame di
una istanza, presentata dal curatore del fallimento di un
imprenditore individuale, con la quale si chiede di dichiarare
il fallimento in estensione della società occulta costituita
dal fallito e dai suoi genitori, e di questi ultimi quali
soci illimitatamente responsabili della stessa;
che,
in ordine alla non manifesta infondatezza della questione,
il giudice a quo osserva che la più recente giurisprudenza
ha ribaltato l'orientamento, un tempo consolidato, pur se
criticato dalla dottrina, secondo il quale gli artt. 10 ed
11 della legge fallimentare si applicano al solo imprenditore
individuale;
che,
ricordata la svolta rappresentata dalla sentenza della Corte
n. 66 del 1999 ed il successivo dibattito sulle conseguenze
di tale pronuncia interpretativa di rigetto, il Tribunale
di Trani rileva come con la successiva sentenza n. 319 del
2000 la Corte abbia definitivamente chiarito le relazioni
intercorrenti tra l'art. 10 e l'art. 147, primo comma, della
legge fallimentare;
che
secondo il rimettente resterebbe comunque "discriminata
la posizione del socio occulto, per il fallimento del
quale non sussiste alcun limite temporale dal momento che
la pronunzia di incostituzionalità ha riguardato il
solo primo comma dell'art. 147 della legge fallimentare e
non ha investito anche il secondo comma della stessa disposizione;
che
il giudice rimettente osserva ancora come non possa
negarsi che l'esigenza di tutela del principio di certezza
delle situazioni giuridiche dovrebbe ispirare anche l'applicazione
del secondo comma dell'art. 147 legge fallimentare",
esigenza ancor più sentita nel caso della estensione
del fallimento al socio occulto, essendo in questo caso minore
"o addirittura insussistente" la necessità
di tutelare i creditori nei confronti di un soggetto del quale
neppure conoscono la qualità;
che,
secondo il Tribunale di Trani, la posizione del socio occulto,
che non può esternare il suo recesso con le forme legali
di pubblicità e si vede esposto al rischio di una dichiarazione
di fallimento per un tempo illimitato, andrebbe confrontata
con quelle del socio receduto e del socio illimitatamente
responsabile di società di persone trasformata in società
di capitali, situazioni che appaiono diverse tra loro, ma
non in modo tale da giustificare una disparità di trattamento
riguardo al termine per la sottoposizione a fallimento;
che,
ad avviso del giudice a quo, la mancanza di un termine per
l'estensione del fallimento al socio occulto, la cui qualità
si sia manifestata ai creditori, al curatore o al pubblico
ministero dopo la dichiarazione del fallimento della società
- termine che dovrebbe decorrere dalla data della prima sentenza
di fallimento - viola lart. 3 Cost., né sarebbe
possibile uninterpretazione secondo Costituzione della
norma impugnata, mancando nella stessa un qualunque riferimento
al momento preciso da cui far decorrere detto termine;
che
secondo il rimettente è assurdo prevedere, per il fallimento
del socio receduto, il termine di un anno dal recesso dalla
società, tenendo al contrario indefinitamente nell'incertezza
il destino del socio occulto, dopo che questi ha perduto ogni
controllo dell'impresa, atteso che "la nettezza della
interruzione del rapporto sociale rappresentata dalla dichiarazione
del fallimento principale combinata con l'intrinseca esigenza
di concentrazione della procedura concorsuale dovrebbero imporre
a maggior ragione il rispetto di un termine perentorio per
definire la posizione del socio;
che
secondo il giudice a quo, lomessa previsione di un termine
entro il quale possa esservi la pronuncia di estensione del
fallimento nei riguardi del socio occulto urta non solo col
principio di eguaglianza, ma anche con lesigenza di
dare certezza alle situazioni giuridiche e con quella di garantire
ai creditori un accesso certo ed efficiente alla tutela giurisdizionale;
che,
sempre ad avviso del Tribunale di Trani, dovendosi stabilire
un termine per lestensione del fallimento al socio,
questo dovrebbe essere fissato a far data dalla dichiarazione
del fallimento principale;
che
nel giudizio di legittimità costituzionale si sono
costituite le parti nei cui confronti il curatore del fallimento
dellimpresa individuale ha chiesto al Tribunale di Trani
la pronuncia di sentenza ex art. 147, secondo comma, legge
fallimentare;
che
le parti private, ribadendo una specifica eccezione sollevata
nel corso del giudizio a quo, ritengono che la norma impugnata
dal Tribunale di Trani possa essere interpretata in senso
costituzionalmente legittimo;
che,
ad avviso delle parti private, quello previsto dallart.
10 legge fallimentare è un termine di decadenza applicabile
in ogni caso e la cessazione per qualsiasi causa dellimpresa,
pubblicizzata nelle forme di legge, costituisce il dies a
quo dal quale esso inizia a decorrere;
che,
sempre secondo le parti costituite, una diversa interpretazione
dellart. 147 impugnato sarebbe incostituzionale, in
quanto si tratterebbe dellunico caso in cui, nonostante
la cessazione dellimpresa, avvenuta a seguito della
dichiarazione di fallimento, verrebbe dichiarato il fallimento
dei soci decorso un anno dalla prima pronuncia;
che
le parti private chiedono, in subordine, che la Corte dichiari
incostituzionale la norma impugnata nel senso indicato dal
tribunale rimettente.
Considerato
che il Tribunale di Trani dubita, in riferimento allart.
3 della Costituzione, della legittimità dellart.
147, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella
parte in cui non prevede un limite temporale, decorrente dalla
data della sentenza dichiarativa del fallimento principale,
per la dichiarazione di fallimento c.d. in estensione del
socio occulto illimitatamente responsabile;
che
secondo il giudice a quo la disposizione impugnata violerebbe
il principio di eguaglianza, poiché determinerebbe
una disparità di trattamento, quanto al termine per
la dichiarazione di fallimento, tra il socio occulto, da un
lato, e limprenditore individuale ed il socio palese
cessato per qualsiasi causa dalla società dallaltro,
situazioni che, pur non essendo secondo il Tribunale di Trani
identiche, sarebbero fra loro raffrontabili;
che,
sempre secondo il Tribunale di Trani, vi sarebbe violazione
della stessa norma costituzionale anche avuto riguardo al
principio di ragionevolezza, stante lesigenza di dare
certezza, anche per il fallimento in estensione del socio
occulto, alle situazioni giuridiche e di garantire ai creditori
un accesso certo ed efficiente alla tutela giurisdizionale;
che
la premessa da cui prende le mosse il giudice rimettente,
in ordine alla ritenuta violazione del principio di eguaglianza,
risulta palesemente erronea, non potendo in alcun modo essere
poste a raffronto, ai fini della applicabilità del
termine annuale entro il quale può essere dichiarato
il fallimento personale del socio illimitatamente responsabile
di una società personale, due situazioni fra loro del
tutto diverse quali sono quella del socio receduto da una
società regolarmente costituita e registrata, nel rispetto
delle forme di pubblicità prescritte dalla legge, e
quella del socio occulto di una società irregolare
perché non iscritta nel registro delle imprese o addirittura,
come nel caso allesame del tribunale rimettente, a sua
volta del tutto occulta;
che
tutto il nostro sistema normativo, ed in particolare le disposizioni
del libro V del codice civile in tema di responsabilità
personale del socio per le obbligazioni delle società
di persone, è improntato a netta differenza tra società
registrate e società irregolari o occulte, potendo
essere opposte ai creditori (salvo che questi ne abbiano avuto
ugualmente conoscenza) solo le vicende, societarie o personali,
regolarmente iscritte nel registro delle imprese, secondo
quanto prescrivono gli artt. 2193 e 2200 cod. civ. e le altre
disposizioni connesse;
che
la stessa legge fallimentare, quanto alla ammissione alle
procedure concorsuali, esclude le società irregolari,
ed a maggior ragione quelle occulte, dal concordato preventivo
e dalla amministrazione controllata (artt. 160 e 187 del r.d.
n. 267 del 1942);
che
le sentenze di questa Corte n. 66 del 1999 e n. 319 del 2000,
contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice rimettente,
considerano appunto esclusivamente ipotesi nella quali sia
stata regolarmente cancellata una società dal registro
delle imprese ovvero nelle quali sia regolarmente pubblicizzata
la perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile
a seguito di vicende che siano state, a loro volta, debitamente
portate a conoscenza dei terzi nelle forme prescritte;
che
altrettanto infondata appare la questione sollevata, sempre
con riferimento allart. 3 Cost., in relazione alla violazione
del principio di ragionevolezza;
che,
contrariamente a quanto sostiene il rimettente, è proprio
la necessità di dare certezza alle situazioni giuridiche
che consente al legislatore di prevedere una diversa disciplina
per le società ed i soci in regola con le disposizioni
sulla pubblicità e per i soci e le società irregolari,
se non occulti, essendo la mancata registrazione una scelta
degli stessi associati, che in tal modo si espongono, per
loro volontà, alle conseguenze di tale loro opzione;
che,
infine, appare del tutto evidente come linteresse dei
creditori ad avere un accesso certo ed efficiente alla tutela
giurisdizionale stia esattamente in senso contrario a quanto
sostiene il giudice a quo, risultando la possibilità
di chiedere il fallimento di chi ha volutamente occultato
la propria qualità di socio, un mezzo di rafforzamento
della garanzia patrimoniale;
che
la questione di legittimità costituzionale risulta
perciò manifestamente infondata sotto ogni profilo.
Visti
gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dellart. 147, secondo comma, del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata
e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in
riferimento allart. 3 della Costituzione, dal Tribunale
di Trani con l'ordinanza in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta,
il
1° luglio 2002.
F.to:
Cesare
RUPERTO, Presidente
Fernanda
CONTRI, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 5 luglio 2002.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA
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