Tribunale di Torre Annunziata, G.D. Dott. Massimo Palescandolo, Fallimento ed impossibilità dell'istituto della confusione tra il patrimonio del defunto imprenditore e quello degli eredi, contrariamente a quanto accadrebbe in sede civile con "de cuius" non imprenditore

TRIBUNALE di TORRE A.

Fallimento nr.171/1994 di Sabatino Gaetano

Il G.D., letta la richiesta del curatore, dott. Raffaele La Rocca, depositata in cancelleria in data 7-11-2002, osserva quanto segue: l'istanza non può essere accolta non concretizzandosi, nella materia fallimentare, la confusione tra il patrimonio del de cuius e quello degli eredi.
Preliminarmente va evidenziato come siano errate le conclusioni, già in termini civilistici, poste a base della richiesta: infatti, qualora gli eredi, nel possesso dei beni ereditari, non compiano l'inventario nel termine di tre mesi (o in quello successivamente prorogato dal Tribunale) dal giorno dell'apertura della successione, sono da considerare quali eredi puri e semplici; di conseguenza, nessuna giuridica influenza è da ascrivere al decorso dei dodici anni, in quanto l'omesso inventario unitamente al possesso dei beni ha reso eredi puri e semplici la moglie ed i figli del defunto, sicché non v'è alcuno spazio per l'istituto della prescrizione (dell'accettazione dell'eredità) di cui all'art.480 c.p.c..
Nella legge fallimentare l'ipotesi della morte del fallito è disciplinata dall'art.12, il cui primo comma testualmente recita "se l'imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario".
Proprio tal ultima locuzione è stata foriera di qualche dubbio, solo iniziale e da parte di minoritaria seppur autorevole dottrina, giacché non si dubita che anche nel caso d'accettazione pura e semplice, agli organi fallimentari è precluso apprendere i beni dell'erede.
In realtà, ed a fortori, chi scrive non ritiene neanche possibile l'accettazione pura e semplice, in ciò aderendo ad autorevole dottrina, e ciò per motivi fattuali e giuridici.
In fatto, dal momento che il chiamato all'eredità non ne trarrebbe alcun vantaggio, subentrando nei diritti del de cuius verso la procedura fallimentare anche accettando in via beneficiata; né l'accettazione pura e semplice gli consentirebbe la disponibilità dei beni del defunto, acquisiti -com'è ovvio- all'attivo fallimentare.
In diritto, invece, valgono le seguenti considerazioni. L'accettazione senza il beneficio dell'inventario comporta il subentrare, da parte dell'erede, in tutti i rapporti, attivi e passivi, del defunto: orbene, nel caso dell'eredità dell'imprenditore fallito tale istituto, ossia dell'accettazione sic et simpliciter, non potrebbe attuarsi completamente, dal momento che tutte le attività risultano acquisite all'attivo fallimentare, con consequenziale indisponibilità delle stesse. Più che un'accettazione d'eredità, ci troveremmo innanzi ad un accollo dei debiti fallimentari, dei quali l'erede diverrebbe un mero assuntore.
In conclusione, in qualunque modo venga manifestata l'accettazione dell'eredità, essa -per le peculiarità testé esposte- va qualificata sempre come "con beneficio d'inventario".
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Poiché dall'istanza del curatore non è dato evincere se sia mai stato nominato un rappresentante dei plurimi eredi ex co.2° della norma in questione, voglia lo stesso su tal punto conferire o riferire.
P.Q.M.
Rigetta la richiesta del curatore di procedere all'inventario dei beni personali degli eredi del fallito;
conferisca o riferisca circa la designazione del rappresentante comune dei coeredi.

Torre A.


Il Giudice Delegato
dr. Massimo Palescandolo


 

 

 

 

 











 

 

 


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