Tribunale di Catania, 19 dicembre 2003, Rel. Dott. Mariano Sciacca, Reclamo - art. 700 - revoca amministratore s.n.c. - giusta causa - esclusione socio - rapporto revoca amm. e esclusione - nomina amministratore giudiziario

TRIBUNALE DI CATANIA

QUARTA SEZIONE CIVILE

ORDINANZA
Riunito in camera di consiglio e composto dai seguenti magistrati:

1) Dott. G. Macrì Presidente

2) Dott. Roberta Crucitti Giudice

3) Dott. Mariano Sciacca Giudice rel.

* * *

Con atto depositato in cancelleria in data 25.11.2003 Pietro La Mela ha proposto reclamo avverso l’ordinanza cautelare pronunziata dal Giudice Designato in data 10.11.2003.

Segnatamente l’odierna reclamante ripropone, in primo luogo, l’eccezione di difetto di giurisdizione del Tribunale adito in considerazione della previsione statutaria di una clausola compromissoria di arbitrato tra i soci.

In secondo luogo, nel merito, deduce, sotto il profilo del fumus boni iuris, l’erronea valutazione operata dal giudice designato in ordine all’esistenza di una giusta causa di revoca dell’amministratore della s.n.c., tanto sotto il profilo dell’inesistenza degli addebiti relativi alla tenuta di una doppia contabilità dell’impresa funzionale all’indebita appropriazione degli utili conseguiti quanto sotto il distinto profilo comunque della mancanza di gravità e di attualità dei fatti dedotti, ove ritenuti esistenti.

In subordine lamenta l’incompletezza del provvedimento impugnato, in quanto, nel disporre la revoca dell’amministratore della s.n.c., avrebbe omesso di nominare un amministratore giudiziario della società medesima, eventualmente sulla scorta delle indicazioni normative desumibili dall’art. 2409 c.c., debitamente considerando, da un lato, che statutariamente il potere gestorio è affidato all’amministratore revocato e conseguentemente non può essere nominato l’altro unico socio rimasto e, dall’altro, che lo stato attuale dei rapporti tra gli unici due soci sarebbe ormai così deteriorato da escludersi la sola possibilità di una nomina congiunta di un amministratore estraneo alla compagine sociale.

Notificato il reclamo, si è costituita Vincenza Farinato, deducendo l’infondatezza del reclamo, nonché proponendo in via incidentale reclamo al provvedimento di prima istanza sotto un triplice profilo.

In primo luogo chiede la Farinato voglia il Tribunale inibire la facoltà di amministrazione del socio La Mela, attribuendole, quale altro socio della s.n.c., in via esclusiva il potere gestorio.

In secondo luogo censura il provvedimento reso in prima istanza nella parte in cui ha rigettato, dichiarandola inammissibile, la richiesta di sequestro giudiziario dell’azienda per difetto di strumentalità della domanda rispetto all’azione di merito proponenda.

Infine ripropone la domanda di esclusione in via d’urgenza del La Mela dalla società, rigettata dal giudice di prime cure sotto il profilo dell’insussitenza del fumus boni iuris.

All’udienza del 12.12.2003, le parti sono comparse innanzi al Collegio, il quale, all’esito, ha riservato ordinanza con termini per note e repliche.

IN DIRITTO

1) RECLAMO IN VIA PRINCIPALE.

Difetto di giurisdizione.

Il motivo di reclamo non ha pregio, dovendo confermare e ribadire il Collegio, così come già avvenuto in numerose analoghe pronunzie di questo Tribunale e della stessa Corte d’Appello (Corte d’Appello di Catania Sent. n. 683 dei dì 19/7/2000-21/10/2000), la soluzione affermativa della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria relativamente all’oggetto della presente controversia.

Mette conto a tal uopo richiamare la clausola compromissoria invocata dal reclamante contenuta nell'art. 11 dello statuto sociale della F.lli La Mela s.n.c. (in atti), secondo cui " qualunque controversia tra i soci circa l’interpretazione e la esecuzione di questo contratto sara’ rimessa al giudizio di tre arbitri amichevoli compositori …. ".

A tal riguardo ritiene di non potere né dovere aggiungere nulla di più rispetto a quanto puntualmente ed esaustivamente rilevato dal giudice di prima istanza, esclusivamente dovendosi ribadire:

- che la legge ( cfr. art. 806 C.p.C. e 1966 C.C.), impedisce la compromettibilita' in arbitri delle liti tra privati, - oltre, che per alcune ipotesi tipiche specificamente individuate, quali le controversie di lavoro, questioni di stato, separazione tra coniugi, - di tutte quelle controversie che non possono formare oggetto di transazione, e cioe' di tutte quelle controversie che hanno ad oggetto diritti che, per la loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilita' delle parti ( cfr. art. 1966, secondo comma, C.C.);

- che conseguentemente, al fine di stabilire la compromettibilita' o meno di una determinata controversia, l'interprete e' chiamato a stabilire se si e' in presenza di un diritto disponibile, e cioe' tutelato dall'ordinamento con una norma dispositiva, in funzione del potere di autodeterminazione del privato, ovvero se si e' in presenza di un diritto indisponibile, e cioe' di un diritto protetto con norma imperativa, in vista della tutela di un interesse superiore e pubblico;

- che, a tal riguardo, considerando i principi generali della materia societaria, per verificare la compromettibilita' in arbitri o meno di una determinata controversia occorre accertare se le questioni da decidere coinvolgano interessi individuali dei singoli soci, ovvero coinvolgano interessi pubblici o di terzi, immediatamente e direttamente tutelati dalla legge;

- che, quanto all'azione di revoca per giusta causa dell’amministratore di una societa' di persone, promossa dal socio in vista dell'affermazione del proprio diritto alla corretta gestione sociale ed all'utile sociale, com'e' nel caso in esame, occorre valutare ricorra o meno un interesse pubblico o di terzi, tutelato direttamente dalla legge e, come tale, ostativo alla compromettibilita', ovvero se sia configurabile un interesse privato, come tale disponibile e compromettibile.

A tla proposito l'esame della disciplina positiva dettata dal codice civile con riferimento agli obblighi di rendiconto gravanti sugli amministratori di una s.n.c., al capitale sociale della s.n.c. e, piu’ in generale, alle regole di formazione dei rendiconti nelle societa’ personali porta ad escludere la compromettibilita’ in arbitri delle controversie in tema di revoca dell'amministratore di s.n.c. per giusta causa, laddove l’azione si fondi sulla lamentata violazione delle regole dettate in tema di rendiconto e di quelle che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci nonche’ l’obbligo di consentire ai soci il controllo della gestione sociale, trattandosi di disposizioni preordinate alla tutela di interessi non disponibili da parte dei singoli soci e percio’ non deferibili al giudizio degli arbitri ( cfr. Cass. 88/1739 ). Conclusione questa, così come ha rilevato il primo giudice, avvalorata dalle considerazioni:

- che il rendiconto previsto nelle societa' personali dagli artt. 2261 e 2262 C.C., - espressamente applicabili alla s.n.c. in virtu' del richiamo di cui all'art. 2293 C.C., - seppure non e' assoggettato a forme di pubblicita' legali, a differenza dei bilanci delle societa' di capitali, e' uno strumento di informazione e di controllo della gestione destinato ad esplicare i suoi effetti sia nei rapporti interni tra i soci, sia anche nei confronti dei terzi, i quali, pur potendo contare sulla responsabilita' patrimoniale illimitata dei soci, anche se non amministratori, inderogabilmente prevista dall'art. 2291 C.C.., hanno un interesse giuridicamente rilevante alla veridicita’ del rendiconto, data la regola di cui all’art. 2304 C.C. secondo cui i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale;

- che tanto la giurisprudenza del S.C. secondo cui il rendiconto nelle societa' personali va redatto secondo i criteri stabiliti per le societa' di capitali, analogicamente applicabili, ( cfr. in tal senso gia' Cass. n.187/1965; Cass. 1117/68; e piu' recentemente Cass. 4454/95; Cass. 1240/96 ) quanto la circostanza che i rendiconti vanno di norma allegati alla dichiarazione dei redditti presentata all’amministrazione Finanziaria dello Stato inducono a ritenere sussistente un’interesse pubblico sotteso alla osservanza dei principi di chiarezza e di verita’ dei bilanci in funzione dell’accertamento dei redditi imponibili.

Ciò senza omettere di richiamare l'esistenza della tutela penale prevista dall'art. 2621 n. 2 C.C., ( sicuramente applicabile anche all'amministratore della s.n.c.), la quale costituisce norma confermativa della rilevanza pubblicistica degli interessi sottesi alla materia in esame.

Revoca dell’amministratore della s.n.c. La Mela – Farinato.

Deduce poi l’odierno reclamante in via principale, nel merito sotto il profilo del fumus boni iuris, l’erronea valutazione del giudice designato in ordine all’esistenza di una giusta causa di revoca dell’amministratore della s.n.c.. Segnatamente il g.d. avrebbe errato nel ritenere sufficientemente provata la circostanza che il La Mela abbia tenuto una doppia contabilità, abbia gestito incassi in nero ed abbia versato sul proprio conto gli incassi della Società.

Il motivo di reclamo non merita accoglimento.

Ed invero sulla scorta della documentazione in atti non può seriamente dubitarsi che tutte le annotazioni a mano vergate sulla cd. agenda in nero prodotta in fotocopia indichino una serie rilevante di incassi non registrati dall’amministratore La Mela alla contabilità ufficiale e dallo stesso sottratti alla conoscenza dell’altro socio e versati su proprio conto bancario.

A tal uopo mette conto rilevare, in primo luogo, come non v’è dubbio che gli incassi risultanti dalle copie fotostatiche dell’agenza tenuta dal La Mela contenessero l’indicazione di incassi non trascritti nella contabilità ufficiale dell’azienda (v. le chiare dichiarazioni dei testi informatori rese dinanzi al g.d. e il raffronto co n i mastrini ufficiali), laddove poi circostanza del tutto distinta e - ai fini in esame - fuorviante è quella che “i nominativi segnati nell’agenda corrispondono a clienti con i quali la società ha avuto rapporti pienamente contabilizzati”. Ciò in quanto, la circostanza che i nominativi di clienti in essa indicati risultassero pure nella contabilità ufficiale nulla toglie al fatto che quegli incassi in essa indicati non furono comunque inseriti nella contabilità ufficiale dell’impresa, chè anzi avvalora ulteriormente e conclama la pratica della contabilizzazione in nero di una parte delle transazioni commerciali con una parte della clientela (v. in tal senso i pertinenti rilievi della difesa Farinato in note a verbale di udienza del 13.10.2003).

Quanto poi alla ritenuta mancata dimostrazione che siasi trattato di incassi in nero, la stessa risulta essere del tutto apodittica e generica a fronte, per come su rilevato, debitamente considerando le surrichiamate dichiarazione rese dai testi informatori (testi Spataro e La Mela Piera) e la documentazione contabile in atti, ampiamente esaminata dalle parti e dallo stesso g.d. nella parte in cui denunzia una evidente discrasia tra la contabilità ufficiale e quella parallelamente tenuta dall’amministratore La Mela (v. la documentazione relativa ai clienti Stissi e coop. Sferro, Prezzavento e Furnò, questa anzi relativa ad un’operazione in nero effettuata cautelare pendente, nonché la dichiarazione – generica e razionalmente pco intelligibile nella parte in cui tenta di giustificare la funzione delle annotazioni sull’agenda - di Agatina La Mela, ).

Né poi è a dire che le predette circostanze non possano rilevare ai fni disciplinati dall’art. 2259 c.c. siccome privi del requisito della gravità e dell’attualità.

Quanto al primo profilo, in punto di diritto, mette conto rilevare come parte reclamante, richiamandosi alla distinta disciplina prevista dall’art. 2409 c.c. per le società di capitali, introduca un elemento della fattispecie giuridica non contemplato e richiesto dalla normativa sulla revoca dell’amministratore nelle società di persone, atteso che il concetto di giusta causa rilevante, ai sensi dell'art. 2259 c.c., per la revoca di un amministratore di societa' di persone ricomprende, da un lato, tutti quei comportamenti dell'amministratore che compromettono l'esistenza stessa dell'impresa collettiva ed il suo funzionamento; dall'altro, le condotte che, violando obblighi di legge o doveri di correttezza e diligenza propri dell'amministratore, non garantiscono una corretta amministrazione della societa' e la tutela degli interessi privati dei soci della stessa e dei terzi (in termini Tribunale Vallo Lucania, 14 ottobre 1996).

A tal uopo significativamente alla giusta causa, quale fattispecie costitutiva di un potere risolutivo nei rapporti fiduciari di durata, si è dalla dottrina più avvertita assegnata la funzione di rendere giuridicamente rilevanti non solo gli inadempimenti a specifici obblighi assunti, ma anche ulteriori comportamenti i quali, pur non qualificabili come inadempimento in senso stretto eventualmente connotato dall’ulteriore requisito della gravità (di contro richiamato espressamente dall’art .2286 c.c. a mò di aggettivazione connotante l’inadempimento legittimante l’esclusione del socio), incidono comunque per la loro significatività e gravità sul rapporto fiduciario rendendone intollerabile la prosecuzione dello stesso.

Esemplificativamente la nozione di giusta causa che è stata nel tempo elaborata dalla giurisprudenza ha permesso di fare riferimento esemplificativamente:

- alla violazione da parte del socio accomandatario dell’obbligo di regolare tenuta della documentazione contabile e dell’obbligo di informazione annuale (Tribunale Roma 9.10.1987, Tribunale Milano 16.4.1984);

- al tentativo dell’amministratore di provocare artificiosamente lo scioglimento della società (Pretura Monza 15.6.1984);

- al’esistenza di ammanchi dalle case sociali (Tribunale Catania 19.10.1987) ovvero di comportamenti del socio amministratore che si concretino nell’appropriazione di utili sociali (Tribunale Bari 13.7.1976).

Ma, venendo alla valutazione in concreto dell’addebito, va rilevato, in prima istanza, che certamente grave in sé e per sé sia il comportamento dell’amministratore, soprattutto se statutariamente unico soggetto investito del potere di amministrazione, come nel caso di specie, che crei una contabilità parallela, gestendola con evidenti fini distrattivi e di indebita appropriazione. Ciò senza poi omettere di rilevare che, quand’anche si dovesse reputare, così come indica il reclamante che il totale degli incassi eventualmente sottratti alla contabilità ufficiale dell’impresa e all’altro socio sia pari a sole € 49.050,68, anche in tale ipotesi ricorrerebbe un comportamento di estrema gravità, doverosamente soggetto alla misura della revoca (e ciò indipendentemente da ogni eventuale, ipotetica sottrazione dal totale degli incassi in nero delle relative spese).

Quanto, poi, all’altro profilo relativo alla mancanza di attualità delle irregolarità evidenziate dal g.d., rileva il Collegio, come si tenti di introdurre un elemento ovvero un requisito ulteriore connotate la fattispecie risolutiva del rapporto fiduciario che non ha ragione di essere, non essendo stato mai indicato espressamente dal legislatore, né lo stesso risultando funzionale alle esigenze sottese all’istituto in esame, al più potendo il difetto di attualità delle irregolarità rilevare sotto il distinto ordine di questioni che pone il periculum in mora nella vicenda in esame.

Né, infine, riveste alcun pregio, né merita specifica replica la finale deduzione relativa al diritto del reclamante a procedere alla compensazione delle somme eventualmente trattenute in nero con le somme dovutegli dalla Farinato.

Nomina di amministratore giudiziario.

Lamenta, in subordine, il reclamante La Mela l’incompletezza del provvedimento impugnato in quanto, nel disporre la revoca dell’amministratore della s.n.c., avrebbe omesso di nominare un amministratore giudiziario della società medesima, eventualmente sulla scorta delle indicazioni normative desumibili dall’art. 2409 c.c., debitamente considerando, da un lato, che statutariamente il potere gestorio è affidato all’amministratore revocato e conseguentemente non può essere nominato l’altro unico socio rimasto e, dall’altro, che lo stato attuale dei rapporti tra gli unici due soci sarebbe ormai così deteriorato da escludersi la sola possibilità di una nomina congiunta di un amministratore estraneo alla compagine sociale.

Il motivo non ha pregio.

In punto di diritto rileva il Collegio come la questione della rilevanza dell’interesse dei soci alla prosecuzione del rapporto sociale pur in presenza di contrasti endosocietari gravi e tali da avere necessitato la revoca dell’amministratore in carica per giusta causa impegni, e da non poco tempo, tanto la dottrina che la giurisprudenza di merito e di legittimità.

A tal uopo, se è - come questo Collegio ritiene – peculiare funzione della normativa sulla revoca dell’amministratore per giusta causa nelle società di persone quella di potersi tutelare contemporaneamente l’interesse alla vita della società e alla sua corretta amministrazione (v. a tal riguardo significativamente la non recente Cass. civ. n. 879 del 10.3.1975 in ordine al non assorbimento della domanda di revoca dell’amministratore per giusta causa nella distinta domanda di scioglimento della società), giuoco forza devesi poi ritenere che l’interesse alla conservazione della società e al proseguimento della sua attività d’impresa deve trovare comunque un’adeguata e consequenziale risposta dall’ordinamento giuridico allorquando si abbia a verificare un vuoto gestorio nell’amministrazione della società in conseguenza di un provvedimento giurisdizionale di revoca per giusta causa dell’amministratore.

Il punto di partenza, allora, di tale ragionamento non potrà essere che quello di valutare se mediatamente il legislatore - in via generale e astratta - ovvero direttamente le parti della singola società abbiano o meno rispettivamente, approntato una regola che permetta l’adozione di un rimedio alternativo al vuoto amministrativo creatosi.

A tal uopo va osservato come in uno dei pochi precedenti in materia la Suprema Corte (sentenza n. 1113 del 1963), sul presupposto inespresso dell’assenza di una disciplina specifica in materia, ha optato per l’applicazione analogica dell’art. 1105 c.c. previsto in materia di condominio.

Soluzione questa che, pur se espressamente prescelta da numerose pronunce dei giudici di merito, non risulta - a parere del Collegio – condivisibile, considerando come difetta nel caso di specie uno dei due presupposti fondamentali del criterio analogico, cioè la similitudine di situazioni a fronte delle quali rendere operante la eadem ratio. Segnatamente nell’un caso rileva l’esistenza di una società commerciale e nell’altro una mera comunione di godimento. Insussistenza della possibilità di paragone, non medesimezza o assimilabilità delle due situazioni che è stata variamente e condivisibilmente spiegata con riferimento o alle differenze strutturali e funzionali che distinguerebbero la comunione dalla società (Tribunale Ascoli Piceno 20.2.1985, Tribunale Roma 5.3.1982), ovvero alla impossibilità che si verifichi nella società di persone una scissione tra potere rappresentivo e gestorio e responsabilità (Pretura Mirandola 20.2.1985), ovvero ancora considerando la natura eccezionale della norma attributiva al giudice del potere di intervenire sull’amministrazione della comunione, potere di contro escluso nelle società di persone (Pretura Milano 23.3.1981, Pretura Milano 19.2.1979). Ciò senza omettere di rilevare come il succitato arresto giurisprudenziale risulta essere stato poi smentito dalla successiva giurisprudenza di legittimità, la quale ha escluso l’applicabilità analogica dell’art. 1105 c.c.c poiché “ove nelle società personali si verifichino i presupposti di applicabilità della norma (consistente in una impossibilità di gestione del patrimonio sociale per discordia tra i soci o per altra causa) …. Tornano applicabili le norme relative allo scioglimento del vincolo sociale” (Cass. civ. 13.1.1987 n. 134).

Secondo altri il vuoto normativo (che tale sarebbe e non una precisa scelta legislativa di escludere ogni intervento “gestorio e pretorio” dell’autorità giudiziaria ordinaria) richiederebbe di procedere all’applicazione analogica dell’art. 2409 c.c. ovvero, quo minus, di alcune parti della detta disposizione le quali risultino compatibili con la disciplina della società di persone.

Soluzione questa che, condivisibilmente ha incontrato l’opposizione della dottrina più avvertita e della giurisprudenza, debitamente considerandosi le plurime obiezioni cui la stessa si espone:

- la collocazione sistemativa dell’art. 2409 c.c. (capo V del titolo V del libro V del codice civile) dimostrerebbe che l’istituto è stato voluto dal legislatore per le sole società di capitali tramite un sistema articolato di rinvi e richiami (artt. 2488 e 2464 c.c.) (Tribunale Napoli 24.1.1990, Pretura Milano 23.3.1981);

- la natura eccezionale della procedura e dei poteri previsti dall’art. 2409 c.c. che impedirebbe il ricorso all’analogia (Tribunale Napoli 17.6.1992, con motivazione, per il vero, non condivisibile, essendo nell’ambito delle società di capitali l’istituto un rimedio tipico e generale predisposto e voluto come novità rilevante dal legislatore del 1942);

- la diversità di interessi tutelati dall’art. 2409 c.c., norma posta a tutela dell’interesse pubblico alla corretta gestione dell’impresa; interesse questo che non rileverebbe nel diverso ambito categoriale delle società di persone (Tribunale Napoli 17.6.1992);

- essere la tutela dei terzi nelle società di persone affidata, piuttosto che all’attivazione di meccanismi di controllo e intervento giurisdizionali, al regime della responsabilità illimitata e solidale dei soci quale garanzia sufficiente per i terzi e i creditori (Tribunale. Lecce29.11.1989);

- la concezione contrattualistica imporrebbe l’esclusione della nomina di un soggetto esterno, estraneo alla compagine sociale per il principio inderogabile che, nelle società di persone, lega il potere gestorio alla responsabilità illimitata e solidale (Tribunale Ascoli Piceno 5.7.1986).

Per il vero, ad avviso del Collegio, le rassegnate obiezioni, al di là della conducenza e condivisibilità di ciascuna di esse (alcune delle quali invero sono state convincentemente criticate), manifestano comunque una incompatibilità complessiva - tanto sotto il profilo sistematico, che strutturale e funzionale - del rimedio previsto dall’art. 2409 c.c. rispetto alle società di persone: la stessa espressa previsione di siffatto rimedio nel solo ambito delle società di capitali a fronte del silenzio serbato dall’art. 2259 c.c. in materia di società di persone non può essere letto nei meri termini di un ingiustificabile vuoto normativo frutto di disattenzione, ma una precisa scelta di politica legislativa perseguita nella consapevolezza della diversità di esigenze e di problemi che caratterizzano le due realtà in esame.

Peraltro non sembra possa essere priva di significato la circostanza che l’art. 2091 c.c., con norma di contenuto e significato indubbiamente speciale rispetto al complessivo impianto codicistico, prevedesse la possibilità di nomina dell’amministratore giudiziario per la sola ipotesi della violazione da parte dell’imprenditore degli obblighi imposti dall’ordinamento corporativo nell’interesse della produzione.

Richiamando allora quanto inizialmente rilevato occorre interrogarsi se il coordinamento tra il regime legale dell’amministrazione della società in nome collettivo e le eventuali pattuizioni intervenute tra i soci possano in altro modo concorrere a risolvere la situazione di impasse su rassegnata.

A tal uopo mette conto rilevare come in materia di amministrazione e rappresentanza nelle società di persone la spettanza del potere gestorio è di pertinenza, in difetto di contraria pattuizione, di ciascun socio conformemente alla disciplina prevista per la società semplice (ex plurimis v. Cass. 6419\84); disciplina avente natura dispositiva e come tale derogabile dai soci che ben possono attribuire il potere di amministrazione ad un unico socio, ipotesi che si è appunto verificata nel caso di specie ove l’atto costitutivo prevedeva espressamente l’attribuzione del potere gestorio al solo socio La Mela.

Previsione statutaria derogatrice della disciplina legale dispositiva che fintanto potrà operare a regime sino a quando non intervenga una qualche causa di inefficacia o impossibilità giuridica di operatività della stessa, come nel caso che ci occupa. Segnatamente, ad avviso del collegio, il provvedimento costitutivo con il quale si revoca ai sensi dell’art. 2259 c.c. l’amministratore unico di una s.n.c. con due soli soci porta seco automaticamente l’inefficacia della clausola statutaria attributiva del potere gestorio al socio amministratore revocato, sì da dovere operare nuovamente il regime legale previsto dal legislatore di amministrazione disgiuntiva (Tribunale Genova 13.11.1959, seppure con riferimento ad un caso di opzione originaria dei soci per l’amministrazione disgiuntiva, Tribunale Roma 5.3.1982, Tribunale Reggio Emilia 17.11.1983, nonché Cass. cit. n. 134\87, la quale espressamente prevede che “in caso di recesso o di revoca dell’amministratore unico ciascuno degli altri soci, ove non sia pattuito diversamente, potrà disgiuntamente esercitare i compiti di amministratore che ineriscono al suo status (di socio con responsabilità illimitata) “. Né è a dire che in tal modo l’interpretazione proposta e la soluzione conseguentemente prospettata inducano ad un surrettizio e inammissibile mutamento del contratto sociale, atteso che la situazione che si delinea a seguito della revoca giudiziale dell’amministratore pone all’interprete la questione della sopravvenuta impossibilità di operare di una singola clausola contrattuale la quale, in virtù di un’interpretazione conservativa e sistematicamente supportata dai dati normativi su indicati, viene posta in una condizione di inefficacia, permettendo ugualmente alla società di operare per il conseguimento del suo oggetto sociale. Peraltro non sembra sia senza significato che proprio per la revoca dell’amministratore nominato nel contratto sociale si richieda l’unanimità dei consensi in ossequio all’art. 2252 c.c. con eccettuazione del consenso dell’amministratore revocato.

La prospettata soluzione è stata, peraltro, oggetto della critiche dottrinali che ne hanno denunciato la parzialità e non esaustività per l’intero novero delle società personali, al più essa potendosi adeguare all’ipotesi di revoca giudiziale dell’amministratore di s.n.c., laddove non potrebbe la stessa certo rilevare per il diverso caso di società in accomandita semplice: nel qual caso l’esistenza di una distinte categorie di soci e il conseguente riconoscimento del potere di amministrazione al solo socio accomandatario non permetterebbe di adottare analoga soluzione.

A tal uopo, non investendo tale questione l’oggetto del presente reclamo, rileva il Collegio esclusivamente per completezza di argomentare, come siano ormai acquisiti in dottrina elaborazioni dottrinali le quali, senza indulgere in prospettazioni analogiche di dubbia consistenza, hanno anche in tali ipotesi, rinvenuto proprio all’interno della disciplina della s.a.s. le norme sufficienti per risolvere i problemi conseguenti alla revoca giudiziale dell’accomandatario. Ed invero, nel caso di pluralità di soci accomandatari, la sostituzione dell’accomandatario revocato non sarà problema da porsi, valendo anche in tale ipotesi, il regime dell’amministrazione disgiuntiva per gli altri soci appartenenti alle stessa categoria. Di contro potrà porsi il problema nel caso di unico socio accomandatario attinto dal provvedimento di revoca, nel qual caso, fatta definitivamente giustizia dell’opinione dottrinale e giurisprudenziale che negava al socio accomandante il potere di richiedere la revoca per giusta causa dell’unico accomandatario – non avendosi in tale caso alcuna ingerenza vietata, nella gestione della s.a.s., ma solo l’esercizio legittimo di un potere di controllo dell’accomandante sull’impresa sociale - potrebbe ragionevolmente sostenersi l’applicabilità dell’art. 2323 c.c. , non ravvisandosi in essa alcun rilievo eccezionale o di norma speciale, ed anzi la stessa espressamente ponendo un rimedio provvisorio endogeno alla stessa società e idoneo a rimediare momentaneamente al mancanza dell’organo di amministrazione sociale.

Segue che il motivo di reclamo va rigettato, correttamente avendo omesso il giudice reclamato ogni pronunciamento relativo alla nomina di un amministratore giudiziario e, di contro, rilevando, a seguito del provvedimento cautelare di revoca per giusta causa del La Mela, la posizione gestoria dell’unico altro socio, il quale risulta allora ex lege investito dei poteri di gestione e amministrazione, ciò almeno fintantocchè il dissidio tra i due unici soci risulterà avere trapassato ogni ulteriore ragionevole limiti, tale da denunziare una impossibilità definitiva di prosecuzione del rapporto sociale e di conseguimento dell’oggetto sociale (art. 2272, n. 2, c.c.) e tale quindi da necessitare gli opportuni provvedimenti di messa in liquidazione e scioglimento della società.

2) RECLAMO IN VIA INCIDENTALE.

Individuazione socio amministratore.

In primo luogo chiede la Farinato voglia il Tribunale inibire la facoltà di amministrazione del socio La Mela, attribuendole, quale altro socio della s.n.c., in via esclusiva il potere gestorio.

Tale motivo di reclamo proposto in via incidentale è infondato, debitamente considerando che nessuna specifica pronuncia integrativa e sostitutiva del provvedimento reclamato risulta essere necessaria per i motivi anzi espressi dell’essere stata investita la socia Farinato automaticamente del potere gestorio in conseguenza della pronunzia cautelare di revoca del socio amministratore.

Sequestro giudiziario dell’azienda.

In secondo luogo censura il provvedimento reso in prima istanza nella parte in cui ha rigettato, dichiarandola inammissibile, la richiesta di sequestro giudiziario dell’azienda per difetto di strumentalità della domanda rispetto all’azione di merito proponenda.

A tal riguardo ritiene il Collegio di dovere confermare senza ulteriori precisazioni la soluzione negativa accolta dal giudice reclamato, il quale ha richiamato la giurisprudenza consolidata di questo Tribunale in materia, giurisprudenza peraltro assolutamente conforme all’indirizzo dottrinale e giurisprudenziale prevalente (oltre al Tribunale Trani richiamato dal g.d., v. Tribunale Napoli 25.2.1994, Tribunale Piacenza 28.2.1995; Tribunale Napoli 20.4.1994;).

Esclusione dalla compagine sociale del socio revocato.

Infine ripropone la Farinato la domanda di esclusione in via d’urgenza del La Mela dalla società, rigettata dal giudice di prime cure sotto il profilo dell’insussitenza del fumus boni iuris.

Segnatamente lamenta il reclamante in via incidentale che “lo stesso provvedimento, dopo avere ritenuto i fatti accertati rilevanti ai fini della revoca dell’amministratore, li dice non capaci, proprio perché non sufficientemente gravi, di motivare l’esclusione del socio dalla società. Non si comprende tuttavia da quali norme il Tribunale abbia tratto la convinzione che le due misure presuppongano livelli diversi di gravità, né si comprende perché abbia valutato i fatti così gravi da giustificare la revoca dell’amministratore”.

Ora ritiene il Collegio - in primo luogo - di dovere ribadire che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale preferibile, la violazione degli obblighi inerenti alla qualita’ di amministratore puo’ comportare oltre alla revoca dell’amministratore anche l’esclusione del socio soltanto allorquando le violazioni siano cosi’ gravi da incidere anche sul rapporto societa’ socio, non essendovi coincidenza automatica tra le due fattispecie (Tribunale Milano 3.2.1983). Segnatamente, richiamandosi i contributi dottrinali in materia, quanto ai rapporti tra le fattispecie disciplinate dagli artt. 2259 e 2286 c.c. e le rispettive sfere di operatività, le soluzioni prospettate si possono brevemente individuare nella completa identificazione degli istituti e nella intercambiabilità delle relative sanzioni, nella differenziazione qualitativa della tipologia di inadempimenti se di rilievo amministrativo o sociale, ovvero nell’affermazione dell’intersezione delle due ipotesi in una serie di circostanze rilevanti ai fini tanto della revoca che dell’esclusione.

All’uopo l’impraticabilità della prima soluzione emerge – indipendentemente dal rilievo che così ritenendosi si finirebbe in modo irrazionale per trattare in modo arbitrariamente identico ipotesi non omologhe - sol che si ponga attenzione al dato sistematico desumibile dal raffronto letterale dei due articoli richiamati, i quali nel riferirsi distintamente alla circostanza costitutiva della giusta causa e delle gravi inadempienze indicano una distinzione contenutistica doverosamente orientata alla diversità ed intensità delle sanzioni che ciascuno di essi prevede e commina, sì da doversi concludere che per l’esistenza di una sicura differenziazione quantitativa dell’intensità della lesione al rapporto fiduciario che ha a verificarsi nei due casi, richiedendo solo l’art. 2286 c.c. che l’inadempimento determinante l’esclusione si colori dell’ulteriore requisito della gravità.

Diversamente, come rilevato, altra dottrina ritiene, fondandosi sulla distinzione tra rapporto sociale e rapporto gestorio discendente dalla preposizione institoria o di mandato, possibile distinguere nettamente la revoca per giusta causa conseguente alle violazioni degli obblighi derivanti dal rapporto di mandato che lega amministratore alla società d’esclusione del socio per gravi inadempienze agli obblighi derivanti dal rapporto sociale.

La soluzione non è condivisibile, e non tanto perché s’intenda sostenere che è pur sempre la legge che assegna al socio amministratore il potere gestorio, ma perché, da un lato, omette di considerare come rapporto sociale e rapporto gestorio risultano intimamente connessi nelle società di persone - l’uno fondando e giustificando comunque l’altro anche nel caso in cui vi sia stato conferimento del potere di amministrazione con atto separato rispetto all’atto costitutivo – e, dall’altro, risulta di difficile applicabilità concreta allorquando postula la puntuale distinzione del tipo di inadempienza posta in essere dal socio amministratore. Proprio in caso in esame né da esemplificativamente conferma, debitamente considerando come se, da un lato, il tenere una contabilità in nero costituisca patente violazione dei doveri incombenti sull’amministratore, d’altra parte, l’appropriarsi degli utili conseguiti da parte dello stesso amministratore non può certo ritenersi comportamento non incidente sulla qualità del rapporto sociale e fatto connotato da una evidente gravità tale da consigliarne l’esclusione (v. in termini Appello Bari 31.10.1977 e Cass. civ. 30.1.1980 n. 710).

Sembra certamente preferibile allora ritenere che l’attuale impianto normativa legittimi l’esclusione del socio amministratore allorquando lo stesso abbia violato obblighi sullo stesso incombenti nella qualità di amministratore e la violazione abbia i connotati e le caratteristiche della gravità tali da permettere di richiamare la previsione sulle gravi inadempienze prevista dall’art. 2286 c.c.. In tal senso allora il criterio discretivo relativamente alle violazioni commesse dal socio amministraore sarebbe quello meramente quantitativo della graduazione della sazione in ragione dell’intensità (id est della gravità) della violazione perpetrata (v. a tal riguardo, oltre le succitate Appello Bari 31.10.1977 e Cass. civ. 30.1.1980 n. 710, anche Cass. civ. 9.7.1977; Cass, civ. 17.1.1956 n. 103).

Fatta tale doverosa premessa, osserva il Collegio, come, sempre in punto di fumus, la decisione del g.d. non sia condivisibile nel merito della valutazione operata: ed invero, se il g.d. ha mostrato di adeguarsi alla surriferita soluzione interpretativa allorquando ha affermato – onde negare l’esclusione in via d’urgenza del socio amministratore – che “le pur riscontrate irregolarita’ non appaiono connotate da una gravita’ tale da giustificare anche l’esclusione del La Mela dalla compagine sociale” , lo stesso ha poi omesso di considerare (recte, ha erroneamente valutato) che proprio le su censurate condotte poste in essere dal socio amministratore (e quindi a prescindere dal se vi sia o meno stato adempimento all’obbligo di informazione sullo stesso incombente nei confronti dell’altra socia) rivestono certamente i connotati della gravità tali da giustificarne l’esclusione dalla società medesima. Ed invero non pare vi possano essere dubbi che le dette condotte rientrano nel novero di quelle che sono direttamente in contrasto, oltre che con i doveri dell’amministratore, con i fini ultimi della società (scopo della società essendo proprio la distrubizione degli utili conseguiti tra i soci in conseguenza dello svolgimento in comune di un’attività economica: art. 2247 c.c.), sì da integrare certamente il requisito della grave inadempienza ai sensi dell’art. 2286 c.c. (Cass. civ. 30.1.1980 n. 710).

Tale conclusione non importa peraltro l’accoglimento del motivo di reclamo e la conseguente statuizione in via d’urgenza di esclusione del La Mela dalla società, difettando l’ulteriore requisito del periculum in mora, ciò per l’intuitiva considerazione che tutte le condotte addebitate al La Mela sono state pur sempre rese possibili grazie ai poteri di amministrazione dei quali egli era unico titolare, sicchè la sua revoca ai sensi dell’art. 2259 c.c. elimina in nuce ogni possibilità che lo stesso abbia per il futuro ad influire negativamente sulla vita della società reiterando le violazioni oggi contestategli.

Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese.

P. T. M.

Il Tribunale di Catania, quarta sezione civile - in composizione collegiale -, pronunciandosi nel reclamo principale proposto da Pietro La Mela nei confronti di Farinato Vincenza e del relativo reclamo incidentale (R.G. 11184\03),

1) rigetta i reclami;

2) compensa integralmente le spese del giudizio;

3) manda alla cancelleria per le prescritte comunicazioni.

Così deciso in Catania nella Camera di Consiglio del 19.12.2003.

Il Presidente

Dott. G.B. Macrì

 

 
 











 

 

 


2000 (c) ilFallimento.it - Ideato e diretto dal Dott. Raimondo Olmo
Torre Annunziata (Napoli) - Corso Umberto I, n.242