Corte
Costituzionale, sentenza 20 ottobre 2000 n.431, Questione
di legittimità costituzionale dell'articolo 56, secondo
comma, legge fallimentare.
SENTENZA
N. 431
ANNO
2000
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare MIRABELLI Presidente
-
Francesco GUIZZI Giudice
-
Massimo VARI "
-
Cesare RUPERTO "
-
Riccardo CHIEPPA "
-
Gustavo ZAGREBELSKY "
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dellart.
56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa),
promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1999 dal Tribunale
di Milano nel procedimento civile vertente tra il Fallimento
Sales Promotion s.r.l. e la Rusconi Pubblicità s.p.a.
ed altra, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1999
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
41, prima serie speciale, dellanno 1999.
Visto latto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2000 il Giudice
relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto
in fatto
1.- Nel corso di un giudizio promosso dal curatore fallimentare
per ottenere la condanna di un debitore al pagamento del
credito vantato nei confronti di quest'ultimo dal fallito,
il Tribunale di Milano in composizione monocratica - di
fronte all'eccezione del debitore convenuto di compensazione
di tale credito con quello contrapposto, già scaduto,
a lui ceduto da un terzo nell'anno anteriore alla dichiarazione
di fallimento - ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede che
la compensazione non abbia luogo se il creditore ha acquistato
il credito per atto tra vivi nell'anno anteriore al fallimento,
anche se il credito è scaduto.
Il rimettente - richiamata la giurisprudenza della Corte
di cassazione sulla non revocabilità ai sensi dell'art.
67 del regio decreto n. 267 del 1942 di una siffatta cessione
del credito, non essendo quest'ultima un atto del fallito
- ritiene che il differente trattamento normativo previsto
nel caso di acquisto per atto tra vivi di un credito scaduto
(nel quale la compensazione è ammessa) rispetto a
quello di un credito non scaduto (nel quale la compensazione
è vietata) non sia giustificabile alla stregua dell'evocato
parametro costituzionale, perché, secondo quanto
denunciato anche dalla prevalente dottrina, la ratio del
divieto di compensazione mediante un credito non scaduto
- cioè l'esigenza di non violare il principio del
concorso sostanziale dei creditori - varrebbe ugualmente
nel caso di credito scaduto e perché sussisterebbe
altresì, anche in tale ipotesi, il pericolo di favorire
lo sviluppo di un mercato dei crediti vantati nei confronti
dell'imprenditore insolvente.
Sempre secondo il rimettente, la diversità di disciplina
non potrebbe giustificarsi in base alla considerazione che
l'effetto estintivo della compensazione si verifica nel
momento della coesistenza dei contrapposti crediti, e dunque
già prima del fallimento per i debiti scaduti; in
contrario, nell'ordinanza di rimessione, si osserva che
«questa conclusione non vale ai fini del concorso,
in quanto rispetto alla massa dei creditori l'estinzione
del credito del fallito presuppone che sia avvenuta efficacemente».
Il giudice a quo nega, infine, la possibilità di
un'interpretazione secundum Constitutionem della denunciata
disposizione, perché all'esclusione del meccanismo
compensativo rispetto ai crediti, acquistati per atto inter
vivos, già scaduti (prevista, ad esempio, negli ordinamenti
tedesco, austriaco e svizzero), non può pervenirsi
in via di interpretazione analogica, ostandovi il chiaro
dettato della disposizione denunciata.
2.- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità
o, comunque, di infondatezza della sollevata questione ed
osservando, con successiva memoria presentata nell'imminenza
dell'udienza, che la compensazione opera già prima
della dichiarazione di fallimento, secondo i princípi
generali dell'estinzione delle obbligazioni, senza che possa
lamentarsi la violazione della par condicio creditorum,
principio residuale, ed in ogni caso «di per sé
inidoneo a fondare diritti non previsti da norme specifiche».
Considerato
in diritto
1.- Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica,
dubita - con riferimento all'art. 3 Cost. - della legittimità
costituzionale dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede che
la compensazione non abbia luogo se il creditore ha acquistato
il credito per atto tra vivi nell'anno anteriore al fallimento,
anche se il credito è scaduto. Secondo il rimettente,
la denunciata norma riserva un'ingiustificata disparità
di trattamento all'ipotesi di acquisto per atto tra vivi,
da parte del debitore del fallito, nell'anno anteriore alla
dichiarazione di fallimento, di un credito scaduto (o che
scada prima del fallimento) verso il fallito, rispetto all'ipotesi
di acquisto, ferme le altre condizioni, di un credito ancora
non scaduto: mentre in quest'ultimo caso la compensazione
tra i contrapposti crediti è esclusa dal legislatore,
nel primo caso è invece ammessa, nonostante che ricorrano
le identiche esigenze di non violare il principio del concorso
sostanziale dei creditori e di evitare la creazione di un
mercato dei crediti verso l'imprenditore insolvente.
2.- La questione non è fondata.
2.1.- L'art. 56 della legge fallimentare è composto
da due commi. Nel primo si dispone, in deroga al tendenziale
principio della par condicio creditorum, che i creditori
hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito
i crediti vantati verso di lui, ancorché non scaduti
prima della dichiarazione di fallimento. Il secondo comma
stabilisce - quale eccezione a tale regola - che, «tuttavia»,
«per i crediti non scaduti la compensazione (...)
non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per
atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno
anteriore».
La ratio differentiae dell'eccezione posta dal censurato
secondo comma risiede (come risulta dai lavori preparatori:
v. la Relazione del Ministro Guardasigilli, al punto n.
13) nell'esigenza di «evitare possibili abusi».
L'artificiosa compensazione, effettuata attraverso l'acquisto
per atto tra vivi di un credito verso il fallito nel cosiddetto
periodo sospetto, viene impedita dal legislatore attraverso
una presunzione assoluta di frode ai danni della massa fallimentare
(come evidenziato anche dall'inapplicabilità della
disposizione in esame all'ipotesi di acquisto del credito
mortis causa, nella quale manca necessariamente ogni intento
fraudolento); con conseguente esclusione della vis compensativa
dei contrapposti crediti, così da ripristinare la
vigenza, nella specie, del principio della par condicio
creditorum.
2.2.- Individuata come sopra la ratio della denunciata norma,
può certo apparire discutibile la distinzione fatta
dal legislatore, con riguardo ai crediti acquistati per
atto tra vivi nel medesimo periodo di tempo, tra quelli
non scaduti (i soli espressamente esclusi dalla compensazione)
e quelli scaduti. Infatti essa ha sempre formato oggetto
di serie critiche in dottrina, una parte minoritaria della
quale - seguíta da alcuni giudici di merito - ha
anche cercato, basandosi sulla non felice formulazione del
testo letterale, di dare alla norma un senso opposto rispetto
a quello fatto palese dalla connessione delle parole e accolto
dal rimettente. Nella stessa giurisprudenza della Corte
di cassazione si ritrova il rilievo che, per risolvere i
problemi pratici posti dal secondo comma dell'art. 56 in
esame, l'unica alternativa alla repulsa di un'interpretazione
che porti appunto ad estendere, analogicamente, la non operatività
della compensazione anche ai crediti scaduti sarebbe un
intervento legislativo innovatore.
2.3. - Tanto osservato, ritiene questa Corte che, comunque,
neppure se interpretata nel senso restrittivo generalmente
accolto, la denunciata norma meriti le censure formulate
dal giudice a quo.
Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore
- col solo limite della manifesta illogicità o arbitrarietà
la
scelta degli strumenti normativi idonei ad evitare una artificiosa
compensazione operata in danno della massa fallimentare
attraverso l'acquisto, nel cosiddetto periodo sospetto,
di crediti verso il fallito. E tale limite non appare travalicato
nella specie, atteso che l'asserita incongruità della
disposizione in esame sarebbe comunque da intendersi, non
già come incoerenza logico-giuridica, bensì
come semplice insufficienza a raggiungere il risultato finale
di preservare in modo completo la par condicio creditorum
dalle manovre fraudolente che sarebbero possibili in tutti
i casi di reciprocità delle posizioni attive e passive,
derivata dall'acquisto di crediti verso il fallito. Risultato
che, evidentemente, il legislatore non ha inteso perseguire
- come invece auspicato da più parti - per rispetto
del generale principio sancito nell'art. 1242 cod. civ.
La differenza di trattamento fra crediti scaduti prima del
fallimento e crediti non ancora scaduti trova plausibile
spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai primi l'effetto
estintivo proprio della compensazione (la quale si produce,
ai sensi del citato art. 1242, sin dal giorno della coesistenza
dei crediti contrapposti) deve intendersi realizzato anteriormente
alla dichiarazione del fallimento.
Né rileva che pure i crediti come sopra esclusi si
considerano scaduti in quest'ultima data, ai sensi dell'art.
55, secondo comma, della legge fallimentare. Infatti, poiché
la loro scadenza è stabilita dal legislatore solo
«agli effetti del concorso», mentre il meccanismo
della compensazione vale ad escludere in radice il concorso,
anche sotto tale aspetto non è possibile equiparare
gli uni agli altri.
Si deve dunque concludere che le prospettate censure alla
normativa dettata dal legislatore si muovono tutte nell'àmbito
delle mere valutazioni di opportunità e di efficacia
pratica, restando perciò estranee allo scrutinio
di legittimità costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), sollevata - in riferimento all'art.
3 della Costituzione - dal Giudice del Tribunale di Milano
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 10 ottobre 2000.
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Cesare
RUPERTO, Redattore
Depositata
in cancelleria il 20 ottobre 2000.