Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del
14 febbraio 2001 n. 2095 sulle condizioni per la dichiarazione
di fallimento di una società apparente.
La
massima
Per affermare l'esistenza di una società è
sufficiente il comportamento atto ad ingenerare il convincimento
incolpevole, nei terzi, della sussistenza di un vincolo
sociale senza necessità di accertare se, in concreto,
ricorrano anche gli ulteriori elementi della comunione dei
conferimenti e della condivisione dell'alea.
La sistematicità delle fideiussioni prestate dai
familiari costituisce comportamento atto ad ingenerare,
nei terzi estranei, la convinzione che le garanzie siano
giustificate dal perseguimento di uno scopo comune, poiché
la solidarietà familiare può spiegare occasionali
prestazioni di garanzia, ma non il regolare coinvolgimento
nelle operazioni volte a procacciar fondi all'impresa del
congiunto.
Dedotta l'esistenza, nell'ipotesi descritta, di una società
(apparente) può essere applicata alla stessa la disciplina
fallimentare (a cura di Nicola Graziano).
La
sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
Giovanni OLLA -Presidente-
Dott. Giammarco CAPPUCCIO -Cons. Relatore-
Dott. Francesco Maria Fioretti -Consigliere-
Dott. Francesco FELICETTI -Consigliere-
Dott. Luigi MACIOCE -Consigliere-
Ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Lucio Fabio Cancemi, in proprio e quale rappresentante legale
della Cancemi Michele & C. s.n.c., nonché Vittoria
Spagnolo, tutti elettivamente domiciliati in Roma, via S.
Godenzo 59, presso l'avv. Giuseppe Aiello, rappresentati
e difesi dall'avv. Giovanni Grande giusta delega in atti;
-ricorrenti-
contro
Fallimenti Cancemi Lucio, Spagnolo Adriana, Cancemi Michele
e Cancemi Michele & C. s.n.c.
-intimati-
avverso la sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta
n.8 del 21.1/16.2.98.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 06/10/2000 dal Relatore Cons. G. Cappuccio;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuatore Generale
Dott. Marco Pivetti, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con sentenza 19.10.93 il tribunale di Caltanissetta, ravvisando
una società di fatto tra Cancemi Michele, già
dichiarato fallito quale imprenditore individuale, la moglie
Vittoria Adriana Spagnolo ed il figlio Fabio Lucio Cancemi,
estendeva a costoro il fallimento, quali soci di fatto di
Cancemi Michele e dichiarava altresì il fallimento
della Cancemi Michele & C., s.n.c., di cui i tre predetti
costituivano la compagine sociale.
L'opposizione proposta da Lucio Fabio Cancemi, in proprio
e quale legale rappresentante della società e da
Vittoria Adriana Spagnolo in proprio veniva rigettata con
sentenza 12/13.10.95 che Lucio Fabio Cancemi, nella richiamata
duplice veste, e Vittoria Adriana Spagnolo in proprio appellavano
per vari motivi, che la C.d.A. di Caltanissetta respingeva,
confermando la estensione del fallimento e condannando gli
appellanti alle spese in favore della curatela ed a carico
della massa attiva fallimentare, con sentenza 21.01/16.02.98.
La sentenza d'appello rilevava che la violazione dell'art.
15 L.F., denunciata col primo motivo di gravame, per non
esser stato il Cancemi convocato per l'audizione in camera
di consiglio anche come legale rappresentante della s.n.c.,
oltre che in proprio, non aveva comportato alcuna violazione
dei diritti della difesa, perché il Cancemi si era
difeso nel merito ed aveva altresì, tramite il proprio
difensore, depositato note difensive volte ad evitare il
fallimento della s.n.c. Sussisteva, inoltre, lo stato di
insolvenza della s.n.c. La società era priva di beni
mobili o immobili e di qualsiasi risorsa finanziaria, era
priva della attrezzatura necessaria per l'esecuzione di
lavori, edili o stradali, non aveva, secondo la G.d.F.,
realizzato alcun volume d'affari e non aveva i mezzi per
soddisfare il debito tributario di 77 milioni insinuato
al passivo dall'esattoria. In realtà, l'unica attività
svolta dalla società era stata di copertura e strumentale,
finalizzata a procacciare i capitali necessari alla impresa
individuale di Michele Cancemi, alla cui attività
era quindi cointeressata.
Era esatto che tra la convocazione e l'audizione in camera
di consiglio di Spagnolo e Lucio Cancemi erano intercorse
solo 24 ore, ma il termine, data la speditezza della procedura
fallimentare, non poteva considerarsi incongruo e del resto
era stato concesso, ed utilizzato mediante il deposito di
note difensive, ulteriore termine a difesa. Né l'art.
15 L.F. poteva considerarsi violato se l'audizione era avvenuta
ad opera del giudice delegato, anziché del collegio.
Il carattere sistematico e continuativo delle fideiussioni
prestate, per importi ingenti, da Cancemi Lucio e da Spagnolo
Vittoria a favore di Cancemi Michele e non giustificate
da imposizioni degli istituti bancari, il groviglio di interessi
economici tra di loro esistenti trascendevano l'espressione
della solidarietà familiare e manifestavano l'impegno
di costante sostegno dell'attività imprenditoriale
di Michele Cancemi.
Contro tale sentenza, non notificata, proponevano ricorso
per cassazione Vittoria Adriana Spagnolo in proprio e Lucio
Fabio Cancemi nelle richiamate vesti, avanzando, con atto
notificato il 10.02.99, due motivi di censura, variamente
articolati.
La curatela intimata non si è costituita.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Col primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione
degli artt. 5, 15 e 147 L.F., degli artt. 158, 161 e 276
cpc, degli artt. 1414 e 2697 cc nonché omessa e contraddittoria
motivazione su punti decisivi.
Assumono anzitutto i ricorrenti che la convocazione ed audizione
ad opera del giudice delegato costituisce palese violazione
del carattere collegiale della procedura e si risolve in
un vizio di costituzione del giudice, causa di nullità
insanabile della sentenza estensiva del fallimento. In secondo
luogo, ribadiscono che la brevità del termine di
convocazione, la mancata convocazione di Lucio Cancemi quale
legale rappresentante della s.n.c. costituiscono lesioni
del diritto di difesa, non sanate dalla audizione del Cancemi
anche come rappresentante della s.n.c. e dalla concessione
di termine a difesa, perché non realizzano quella
conoscenza ex ante, necessaria ad una valida difesa. Infine,
l'affermazione dello stato di decozione della s.n.c. si
basava su una -implicita ed apodittica- ritenuta simulazione
della società, su mere affermazioni di principio
e sull'errata imputazione alla s.n.c. di un debito fiscale
di Michele Cancemi.
Le censure sono infondate. Per quanto attiene alle censure
procedurali, occorre prender le mosse dal rilievo delle
particolari esigenze di celerità e di libertà
di forme della procedura prefallimentare, per escludere
che, in assenza di specifiche norme, possa essere richiesta
la collegialità nella raccolta di quegli elementi
che il tribunale, in sede collegiale, sarà poi chiamato
a valutare: l'utilizzazione, per l'istruttoria, del giudice
delegato, del tutto privo di poteri decisionali, risponde
alle già richiamate esigenze proprie della fase di
raccolta, come questa Corte ha ripetutamente affermato (
da ultimo, Cass.6505/96). Né incide sul diritto di
difesa della società la mancata convocazione di Lucio
Cancemi come legale rappresentante, oltre che in proprio
(Cass. 1721/94) dal momento che la libertà di forme
della fase prefallimentare esclude preclusioni formali e
comporta una valutazione sostanziale e dialettica del diritto
di difesa, privando di concreta rilevanza quella distinzione
tra conoscenza ex ante e conoscenza ex post che i ricorrenti
prospettano.
Quanto alla sussistenza, nei confronti della società,
del requisito della insolvenza, occorre richiamare le ragioni
che la sentenza impugnata ha espresso: assenza di patrimonio,
assenza dei beni strumentali necessari allo scopo sociale,
carenza di mezzi atti a soddisfare il debito tributario
insinuato al passivo. L'assunto del ricorrente Cancemi,
che il debito tributario riguardava Michele Cancemi e non
la società, costituisce mera affermazione non suffragata
da alcuna argomentazione e quindi non valutabile in sede
di legittimità, ove vanno evidenziati errori di diritto
o carenze ragionative della sentenza impugnata e non avanzate
richieste, attraverso enunciazioni in contrasto, di nuove
valutazioni di merito.
L'assunto che, nel considerare la società in nome
collettivo come strumento della attività imprenditoriale
di Michele Cancemi, la sentenza impugnata implicitamente
verrebbe ad affermare la simulazione del contratto sociale,
è inconferente, dal momento che i ricorrenti non
censurano le ragioni che hanno portato alla estensione a
tale società del fallimento di Michele Cancemi ed
è altresì ingiustificata, dal momento che
la strumentalizzazione della società, affermata dalla
sentenza impugnata, non comporta la negazione della sua
sussistenza.
Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2251 cc, dell'art. 147 L.F., l'insufficiente
ed errata valutazione delle prove e l'omessa ed insufficiente
motivazione su punti decisivi.
I ricorrenti insistono nel dedurre il carattere necessitato
delle fideiussioni, ne negano la sistematicità e
continuità, escludono che possa affermarsi un vincolo
sociale in assenza di prove di un fondo comune, della alea
comune, della affectio societatis.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata si è basata sull'istituto,
di creazione dottrinaria e giurisprudenziale, della società
apparente, ed ha quindi ritenuto che il comportamento atto
ad ingenerare il convincimento incolpevole, nei terzi, della
sussistenza di un vincolo sociale sia sufficiente ad affermare
l'esistenza della società (Cass. 8168/96; 2985/94)
senza necessità di accertare se, in concreto, ricorrano
anche gli ulteriori elementi della comunione dei conferimenti
e della condivisione dell'alea. Ha ravvisato l'esteriorizzazione
del vincolo nelle fideiussioni prestate dalla Spagnolo a
favore del marito Michele -a garanzia delle obbligazioni
da questi contratte con il Banco di Sicilia per lire 1.118.000.000;
con la Cassa rurale ed artigiana S.Michele per lire 140.000.000;
con la Banca del Sud per ulteriori importi - e dal figlio
Lucio Fabio a favore del padre Michele, escludendo che tali
prestazioni di garanzia fossero giustificabili come espressione
di solidarietà familiare, data la loro continuità
e sistematicità, o fossero - per quanto specificamente
riguarda la Spagnolo- imposte dagli istituti bancari come
condizione per erogare i finanziamenti. Infatti, in esito
ad istruttoria testimoniale, era risultato che la fideiussione
del coniuge veniva richiesta solo in presenza di una comunione
dei beni, mentre tra Michele Cancemi e la moglie vigeva
il regime di separazione.
La stessa argomentazione dei ricorrenti volta a negare la
sistematicità delle fideiussioni - articolandosi
nel diniego che eventuali ratifiche e che comunque le fideiussioni
del coniuge, in quanto necessitate, possano essere calcolate-
ne conferma la molteplicità, dal momento che le valide
ragioni espresse dal giudice a quo per escluderne il carattere
necessitato non vengono contrastate, mentre la reiterazione
a ratifica, non dedotta in precedenza e priva di riferimento
al concreto, risulta una mera ipotesi astratta, come tale
irrilevante.
La sistematicità, peraltro, costituisce comportamento
atto ad ingenerare, nei terzi estranei, la convinzione che
le garanzie siano giustificate dal perseguimento di uno
scopo comune, poiché la solidarietà familiare
può spiegare occasionali prestazioni di garanzia,
ma non il regolare coinvolgimento nelle operazioni volte
a procacciar fondi all'impresa del congiunto: sussiste,
in tal caso, l'affidamento incolpevole del terzo estraneo
che l'ordinamento tutela in vari contesti e, per quanto
qui interessa, nella disciplina fallimentare applicata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Roma, 6 ottobre 2000
DEPOSITATA
IN CANCELLERIA
IL 14 FEBBRAIO 2001