Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 3 marzo 2001 n. 3096 sull'intervento del Fondo di Garanzia gestito dall'INPS nel caso di interposizione fittizia di mano d'opera.

La massima

Nel rapporto di lavoro posto in essere contro le disposizioni dei primi tre commi dell'art. 1 della legge 23.10.1960 n. 1369, la nullità del contratto tra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - non comportano la liberazione dell'appaltatore o dell'interposto dagli obblighi sorti dal rapporto di lavoro; di conseguenza il Fondo di garanzia, istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, si sostituisce anche al datore di lavoro apparente in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto spettante ai lavoratori o loro aventi diritto a mente dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297

La sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Marino Donato SANTOJANNI - Presidente -
Dott. Fernando LUPI - Consigliere -
Dott. Luciano VIGOLO - Consigliere -
Dott. Attilio CELENTANO - Rel. Consigliere -
Dott. Federico ROSELLI - Consigliere -

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
INPS - Istituto della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, selettivamente domiciliato in Roma Via della Frezza 17, presso l'avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Morelli Vincenzo, Todaro Antonio, Cantarini Luigi, Tadris Patrizia, giusta delega in atti;

-ricorrente-
contro
Lazzaroni Mirca, Guidi Sonia, Vergani Maria Grazia, Nobili Paolo, Cavallanti Renata, Lembo Mariella, Rigoni Franca, Ciaglia Floriana, Barengo Simona, Colli Elena, Andreotti Laura, Rossi Vittoria;

-intimati-
e sul 2° ricorso n. 16686/98 proposto da:
Vergani Maria Maria Grazia, nobili Paolo, Lazzaroni Mirca, Guidi Sonia, Lembo Mariella, Ciaglia Floriana, Colli Elena, Rossi Vittoria, Andreotti Laura, Barengo Simona, Rigoni Franca, Cavallanti Renata, selettivamente domiciliati in Roma Via Lucrezio Caro 12, presso lo studio dell'avvocato Dante Enrico, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato scacchi Pierangelo, giusta delega in atti;

-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
nonché contro
INPS-Istituto Nazionale della previdenza Sociale;

-intimato-
avverso la sentenza n. 239/98 del Tribunale di Novara, depositata il 06/07/98 R.G.N. 798/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/00 dal Consigliere Dott. Attilio Celentano;
udito l'avvocato Dante;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio Sepe che ha concluso, previa riunione, per l'accoglimento del ricorso principale e per il rigetto di quello incidentale

Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Novara, depositato il 13 novembre 1995, Mirca Lazzarini ed altri undici lavoratori, premesso di avere lavorato alle dipendenze della ditta SAA s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Novara in data 18.1.1994, e di avere insinuato il proprio credito di lavoro nel fallimento, lamentavano che l'INPS non aveva accolto la domanda da essi presentata, successivamente al deposito dello stato passivo, per ottenere, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 297/82, il pagamento del trattamento di fine rapporto a carico del Fondo di garanzia. Chiedevano, pertanto, la condanna dell'Istituto previdenziale al pagamento di quanto spettante a titolo di TFR, oltre interessi e rivalutazione.
L'INPS, costituitosi, deduceva che, da accertamenti effettuati dall'Ispettorato del Lavoro di Novara in data 16.6.1993, era emerso che i ricorrenti avevano in realtà lavorato per l'azienda Cascina Laura, e che, attesa la violazione del divieto di interposizione di cui all'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, erano dipendenti di tale ditta; chiedeva, pertanto, la reiezione delle domande.
Con sentenza del 20 maggio 1997 il Pretore accoglieva il ricorso, dichiarando l'INPS tenuto al pagamento delle somme richieste a titolo di TFR, oltre gli interessi legali dal 61° giorno successivo alla presentazione della domanda.
La decisione veniva appellata dall'INPS, che lamentava che il Pretore, pur riconoscendo la natura fittizia del rapporto di lavoro tra la SAA ed i dipendenti, non aveva svolto alcuna indagine in merito allo stato di insolvenza del datore di lavoro effettivo, presupposto per la operatività dell'art. 2 della legge 297/82.
Gli ex dipendenti della SAA, costituitisi, chiedevano la conferma della sentenza di primo grado sotto il diverso ed assorbente motivo che l'esistenza del rapporto di lavoro era stata accertata definitivamente dal giudice delegato in sede di ammissione al passivo del fallimento della SAA s.r.l.; rilevavano, inoltre, che anche la ditta Cascina Laura era stata dichiarata fallita con sentenza in data 23 giugno 1997.
Con sentenza del 27 maggio/6 luglio 1998 il Tribunale di Novara rigettava l'appello e confermava la decisione del Pretore, compensando tra le parti le spese del grado.
Osservavano i giudici di secondo grado che, nel rapporto di lavoro posto in essere contro le disposizioni dei primi tre commi dell'art. 1 della legge 23.10.1960 n. 1369, la nullità del contratto tra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - non comportano la liberazione dell'appaltatore o dell'interposto dagli obblighi sorti dal rapporto di lavoro, sicché la responsabilità di tali soggetti permane e concorre in via autonoma con quella del committente, legittimando il prestatore di lavoro ad esigere l'adempimento anche dall'appaltatore o dall'interposto.
Rilevavano, inoltre, che l'art. 61 della legge fallimentare prevede espressamente che il creditore di più obbligati in solido concorre nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti, per l'intero credito. L'ammissibilità della insinuazione al passivo rendeva operante, per il Tribunale, la disciplina prevista dall'art. 2 della legge 297/82; mentre la pretesa di accertare l'insolvenza anche di quest'ultimo avrebbe riversato sul lavoratore le conseguenze della violazione di una norma imperativa che è posta esclusivamente a suo vantaggio.
Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando un unico motivo di censura, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Gli ex dipendenti SAA resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato, articolato in due motivi.

Motivi della decisione
Denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297 e dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369, nonché vizio di motivazione, la difesa dell'INPS deduce che occorre tenere distinti i rapporti dei lavoratori con i datori di lavoro, reale e fittizio, e dei lavoratori con l'INPS ai fini dell'intervento del Fondo di garanzia.
Assume che mentre i lavoratori sono legittimati ad esigere l'adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro dall'interposto, oltre che dal committente, anche mediante insinuazione al passivo di quello tra gli imprenditori che sia fallito, invece I'INPS, nella sua qualità di gestore del Fondo di garanzia per il pagamento del TFR, non può che sostituirsi all'effettivo datore di lavoro, atteso che la natura pubblicistica della sua attività istituzionale esige che ogni sua funzione si svolga secondo la legge, e che l'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 considera il lavoratore come dipendente a tutti gli effetti dell'imprenditore che abbia utilizzato effettivamente la sua prestazione.
Poiché nella fattispecie l'Istituto aveva evidenziato e provato che l'imprenditore reale non era quello interposto fallito, e che, inoltre, il primo aveva assunto direttamente i costi del personale, sopportandone gli oneri retributivi, contributivi ed assistenziali, mancavano le premesse per l'intervento del Fondo.
Aggiunge che l'intervenuto fallimento, in corso di causa, anche dell'imprenditore reale, non ha comportato alcuna "sostanziale cessazione della materia del contendere", come invece ritenuto dal Tribunale, non risultando che i lavoratori si fossero inseriti in quel fallimento e avessero presentato domanda di intervento del Fondo con riferimento a quell'imprenditore.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato la difesa dei lavoratori denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 100 e 102 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267.
Deduce che l'ammissione dei crediti dei lavoratori al passivo del fallimento SAA, effettuata dal giudice delegato con decisione giurisdizionale a tutti gli effetti, realizza la fattispecie regolata dall'art. 2 della legge n. 297 del 1982; e che il ricorso dell'INPS si risolve in una inammissibile impugnazione della pronuncia del giudice delegato, non prevista dalla legge fallimentare.
Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione sul punto decisivo costituito dall'appalto di mano d'opera tra SAA s.r.l. e Cascina Laura, la difesa dei ricorrenti incidentali assume che il Pretore, dopo aver esperito la prova dedotta dall'INPS, non ha tratto conclusioni sui rapporti tra le due imprese; per cui la intermediazione ritenuta dal Tribunale risulta del tutto sfornita di prova.
Il ricorso principale è infondato.
L'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297 prevede, al primo comma, che il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, si sostituisce al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto spettante ai lavoratori o loro aventi diritto.
I commi 2, 3 e 4 disciplinano i tempi per la presentazione della domanda di intervento del Fondo in caso di imprenditori soggetti a procedure concorsuali; il comma 5 regola l'ipotesi del datore di lavoro non soggetto a tali procedure.
Osserva la Corte che il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto è stato istituito per garantire il lavoratore dal rischio di insolvenza o inadempimento del datore di lavoro, in ordine, appunto, al TFR.
Soggetto "assicurato", dal punto di vista previdenziale, è il lavoratore e non il datore di lavoro.
Il sistema previdenziale non opera, in altri termini, come una assicurazione privata, sia pure obbligatoria, a favore dell'inadempiente o del responsabile del danno.
Le considerazioni dell'INPS sul fatto che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369, i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti di intermediazione e interposizione, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che abbia effettivamente utilizzato le loro prestazioni, sono del tutto ininfluenti rispetto al problema della tutela previdenziale di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982; cosi come infondato è l'assunto secondo il quale l'INPS, quale ente pubblico, obbligato ad operare nella legalità, si debba "sostituire" al datore di lavoro effettivo e non a quello apparente.
L'INPS non contesta la permanenza dell'autonoma responsabilità del datore di lavoro apparente in ordine agli obblighi retributivi scaturenti dal rapporto di lavoro, riconosciuta dalla giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte (Cass., 13 gennaio 1975 n. 136; 5 febbraio 1980 n. 818; 18 febbraio 1982 n. 1041; 23 gennaio 1987 n. 659; 4 febbraio 1987 n. 1080; 30 marzo 1987 n. 3066; 3 febbraio 1993 n. 1355; 9 ottobre 1995 n. 10556), sulla considerazione, condivisa dal Collegio, che la sanzione stabilita dall'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 - per il quale i prestatori di lavoro, occupati in violazione dello stesso articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni - è stata voluta in funzione di esclusiva tutela del lavoratore, al quale non può negarsi il diritto di richiedere l'adempimento degli obblighi retributivi, in virtù del principio dell'apparenza del diritto e della tutela dell'affidamento, in primo luogo a colui che l'ha formalmente assunto e, fino ad un certo punto, formalmente retribuito; anche in considerazione del fatto, sottolineato in dottrina, che, da un lato il lavoratore non è sempre in grado di conoscere ed apprezzare la sussistenza di una ipotesi di intermediazione vietata, la cui prova non è scevra di difficoltà, soprattutto per chi non è partecipe degli accordi tra committente ed appaltatore, e, d'altro lato, che risulterebbe scarsamente razionale un sistema normativo che prevede la responsabilità solidale, nei confronti del lavoratore, del committente e dell'appaltatore, in molti casi di appalto lecito (art. 3 della legge n. 1369, con le eccezioni previste dall'art. 5), mentre esclude qualsiasi responsabilità "retributiva" dell'interposto nell'appalto o intermediazione illeciti.
Ecco che allora operano i primi due commi dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297: trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell'art. 97 L.F., il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere, a domanda, il pagamento, a carico del Fondo di garanzia, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte.
Quanto alla "sostanziale cessazione della materia del contendere", per il sopravvenuto fallimento anche della impresa indicata come committente (ed effettivo datore di lavoro), ritenuta dal Tribunale nella parte conclusiva della sentenza, si tratta di affermazione tesa esclusivamente a giustificare la compensazione delle spese tra le parti; per cui non è certo I'INPS che se ne può dolere.
Per tutto quanto esposto il ricorso principale va rigettato, con il conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato (che, peraltro, contiene argomentazioni tipiche di un controricorso, più che autonome censure).
La novità della questione giustifica la compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 3 MARZO 2001












 

 

 


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