Corte di cassazione (Sez. I civ.), sentenza 16 marzo
2001, n. 3819
FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Fallimento -
Chiusura - Reclamo contro il decreto di chiusura - Legittimati
a proporlo - Sono il fallito e i creditori ammessi allo
stato passivo
MASSIMA
In
presenza di uno dei casi di chiusura del fallimento, previsti
dall'art. 118 della legge fallimentare, nessuna facoltà
discrezionale è data agli organi fallimentari di
protrarre la procedura e di differirne la chiusura. Ne consegue
che la cognizione rimessa alla corte d'appello in sede di
reclamo (art. 119, comma 2, della legge fallimentare) è
limitata alla verifica della sussistenza di uno dei casi
di chiusura previsti dallo stesso art. 118 e il reclamo
contro il decreto di chiusura è dato per porre in
discussione - appunto - la ricorrenza in concreto dello
specifico caso, rispetto al quale dev'essere pure valutata
la legittimazione - e l'interesse - alla speciale impugnazione.
È questo un principio fermo nella giurisprudenza
di legittimità. La Corte, nel ribadirlo con la sentenza
in rassegna, con riferimento al "caso di chiusura previsto
al n. 3 dell'art. 118 e, dunque, al caso in cui sia stata
compiuta la ripartizione finale dell'attivo, ha chiarito
che la legittimazione al reclamo (da considerare necessariamente
fondata sulla prospettiva di acquisizione di ulteriori elementi
di attivo, pur in dipendenza dall'esito favorevole di cause
pendenti o promovibili) non può riconoscersi, oltre
al fallito, che ai creditori ammessi al passivo, i quali
potrebbero beneficiare di un ulteriore riparto, non costituendo
ostacolo alla "chiusura" la pendenza di giudizi
di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva
di credito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
Pasquale REALE, Presidente
Dott. Giovanni LOSAVIO, Rel. Consigliere
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI, Consigliere
Dott. Salvatore SALVAGO, Consigliere
Dott. Luigi MACIOCE, Consigliere
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
N. 3819 DEP. IL 16.03.2001
sul
ricorso proposto da:
F.M.,
elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE BELLE ARTI 8,
presso l'avvocato COSTI DANIELE, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato PIETROBON VITTORINO, giusta mandato
in calce al ricorso;
ricorrente
contro
FALLIMENTO
CASEIFICIO F. di F.B. & C. Snc, F.C., F.E., F.B.;
intimati
avverso
la sentenza n. 221/98 della Corte d'Appello di VENEZIA,
depositata il 19.11.98;
udita
la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28.09.2000 dal Consigliere Dott. Giovanni LOSAVIO;
udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Francesco MELE che ha concluso per l'inammissibilità
del ricorso.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Contro il decreto 4 agosto 1998 con il quale il Tribunale
di Treviso aveva dichiarato la chiusura del fallimento della
società in n.c. Caseificio F. di F.B. e c. e delle
socie illimitatamente responsabili B.F., C.F. ed E.F. (su
istanza del curatore, per compiuta ripartizione finale dell'attivo),
M.F. proponeva reclamo alla Corte d'appello di Venezia chiedendo
che fosse disposta la prosecuzione della procedura fino
alla definizione della controversia da essa promossa nei
confronti del fallimento e delle fallite per l'accertamento
del suo diritto di proprietà sulla quota pari alla
metà dei beni immobili pervenuti alle fallite per
successione legittima dal loro padre (acquisiti al fallimento
e oggetto della avvenuta liquidazione), essendo il diritto
vantato dalla reclamante (madre delle fallite che, prima
del fallimento, aveva rinunciato all'eredità del
marito) fondato nel rinvenimento del testamento del proprio
marito, avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento.
Con
decreto 19 novembre 1999 la Corte d'appello di Venezia rigettava
il reclamo rilevando: che la reclamante non aveva proposto
la domanda di rivendicazione ex art. 103 l.f. ma aveva in
sede ordinaria promosso azione nei confronti del fallimento
e delle fallite per far dichiarare la nullità o l'annullamento
della propria rinuncia all'eredità e perché
si procedesse alla divisione dei beni costituenti l'asse
ereditario, con attribuzione ad essa attrice della metà;
che
la valutazione della eventuale incidenza ostativa alla dichiarazione
di chiusura del fallimento della pendenza di una controversia
proposta da un terzo comporta la delibazione degli effetti
che dalla pretesa azionata potrebbero riflettersi sulla
procedura e delle conseguenza che si produrrebbero sulle
stesse pretese con la dichiarazione di chiusura del fallimento;
che
nell'ambito di tale delibazione doveva osservarsi a) che
ai sensi dell'art. 525 C.C. l'accettazione dell'eredità
da parte del rinunziante non può pregiudicare le
ragioni acquistate da terzi sopra i beni ereditari, e quindi
- per la sua posizione di terzietà - dal fallimento
(che aveva acquisito i beni dalle fallite; b) che, con riguardo
ai beni immobili, posta la equiparazione tra pignoramento
e dichiarazione di fallimento e tra creditore pignorante
e procedura fallimentare, a norma dell'art. 2915, ultimo
comma, C.C. non possono aver effetto in pregiudizio della
stessa procedura "le domande per la cui efficacia rispetto
ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione"
se sono trascritte successivamente al pignoramento; c) che,
con riguardo ai beni mobili (che la reclamante aveva acquistato,
in sede di liquidazione dell'attivo, dalla procedura) la
domanda di restituzione pro quota della somma dovuta pagare
per l'acquisto ben potrà essere svolta nei confronti
delle fallite (già parti nella azione promossa dalla
reclamante) una volta che esse siano tornate in bonis.
Contro
questo decreto M.F. ha proposto ricorso per cassazione prospettando
tre motivi di impugnazione.
Il
fallimento intimato non si è costituito in questa
fase.
MOTIVI
DELIA DECISIONE
1.
Con il primo motivo del ricorso M.F. prospetta "falsa
applicazione delle norme e dei principi in tema di tutela
dei temi nel traffico e nel fallimento" con riferimento
ai disposti di cui agli artt. 525 e 2915 C.C., 42, 43 e
segg. legge fallimentare, nonché difetto di motivazione,
e critica la decisione impugnata per avere la Corte di merito
erroneamente riconosciuto al fallimento la posizione di
terzo rispetto alla azione petitoria esercitata dalla stessa
F. per far valere il suo diritto ereditario nei confronti
delle fallite e della procedura concorsuale: in tale controversia
il fallimento non può dirsi avente causa dalle fallite
ma ad esse si sostituisce e ne esercita i diritti.
Con
il secondo motivo la ricorrente deduce "falsa applicazione
e violazione delle norme e dei principi in tema di efficacia
dalla dichiarazione di fallimento" e cioè dei
disposti di cui agli artt. 42, 43 e segg. legge fallimentare
e dell'art. 2915 c.c., nonché difetto di motivazione,
e denuncia l'errore del decreto impugnato che ha equiparato
la dichiarazione di fallimento al pignoramento, con indebita
estensione del precetto dettato dall'art. 42 l.f., giacché
la privazione della disponibilità dei beni sanzionata
a carico del fallito non può significare attribuzione
al fallimento della titolarità dei beni non appartenenti
al fallito stesso.
Con
il terzo motivo, infine, la F. lamenta "violazione
e falsa applicazione delle norme e dei principi sull'interesse
ad agire, in relazione alle norme che regolano i diritti
dei terzi sulle cose mobili oggetto di espropriazione: art.
100 c.p.c. e art. 2915 C.c.", nonché "insufficiente
motivazione" e rileva che la reclamante aveva fatto
"valere verso il fallimento il suo diritto ereditario
non già su singoli beni, ma su un patrimonio comprendente
beni immobili e beni mobili per una quota pari al 50%",
sicché, se per i beni immobili "la sua pretesa
è comunque sempre garantita dalla trascrizione della
domanda", per i mobili invece la presenza in, lite
del fallimento corrisponderebbe a un sicuro interesse della
reclamante in funzione della "applicabilità,
quanto meno, degli artt. 2919 e 11 C.C.".
2.
L'esame dei tre motivi del ricorso, che pongono in discussione
la legittimità del decreto della Corte d'appello
di Venezia pronunciato su reclamo di M.F. contro il decreto
di chiusura del fallimento della società in n.c.
"Caseificio F. di F.B. e C.", postula la preventiva
verifica (cui il giudice di legittimità è
tenuto d'ufficio) della legittimazione della stessa F. a
promuovere il procedimento contenzioso previsto dall'art.
119, comma 2, legge fallimentare (a introdurre, cioè,
l'episodio giurisdizionale).
Ebbene,
ritiene il collegio che tale verifica conduca ad esito negativo
e che perciò, in applicazione analogica del disposto
di cui all'art. 382, comma 2, seconda ipotesi, c.p.c., il
decreto impugnato debba essere cassato senza rinvio, perché
il reclamo (la "causa") non poteva essere proposto
da M.F..
3.
È principio fermo nella giurisprudenza di legittimità
(per tutte, Cass. 9506/1994) che in presenza di una delle
ipotesi previste dall'art. 118 l.f. nessuna facoltà
discrezionale sia data agli organi fallimentari di protrarre
la procedura e di differirne la chiusura, sicché
la cognizione rimessa alla corte d'appello in sede di reclamo
(ex art. 119, comma 2, l.f.) è limitata alla verifica
della sussistenza di uno dei "casi di chiusura"
previsti da 1) a 4) dall'art. 118 l.f. e il reclamo di chiusura
"è dato per porre in discussione - appunto -
la ricorrenza in concreto contro il "decreto dello
specifico "caso", rispetto al quale deve pure
valutarsi la legittimazione - e l'interesse - alla speciale
impugnazione. Con riferimento al "caso di chiusura"
di cui al n. 3) dell'art. 118 l.f. - incontestabilmente
sussistente nella specie - la legittimazione al reclamo
(che necessariamente si fonda sulla prospettiva di acquisizione
di ulteriori elementi di attivo, pur in dipendenza dall'esito
favorevole di cause pendenti o che possono essere promosse)
non può riconoscersi, oltre al fallito, che ai creditori
ammessi al passivo che potrebbero beneficiare di un ulteriore
riparto, non costituendo ostacolo alla "chiusura"
la pendenza di giudizi di opposizione allo stato passivo
o per dichiarazione tardiva di credito.
4.
La Corte d'appello di Venezia ha implicitamente riconosciuto
la legittimazione a proporre reclamo ex art. 119 l.f. al
terzo M.F. (che aveva promosso nei confronti del fallimento
l'azione di petizione dell'eredità, rivendicando
la proprietà della quota pari alla metà del
complesso dei beni immobili e mobili acquisito alla massa
e pervenuto alle fallite - allora in bonis - per successione
legittima dal padre) e ha rigettato il reclamo stesso, previa
"delibazione in via incidentale" del merito della
controversia e del fondamento della pretesa in essa fatta
valere dalla F., pervenendo alla conclusione, quanto ai
beni immobili in particolare, che quella pretesa nessuna
incidenza avrebbe potuto conseguire nella procedura concorsuale
in ragione del disposto dell'art. 2915, comma 2, C.C. -
dovendo equipararsi al pignoramento la dichiarazione di
fallimento quanto gli effetti di inopponibilità degli
atti e delle domande trascritte successivamente.
Cosí
decidendo, la Corte d'appello è per certo uscita
dai limiti della cognizione ed essa rimessa dall'art. 119,
comma 2, l.f. e cioè il controllo, in sede di reclamo,
della ricorrenza delle condizioni poste dall'art. 118 l.f.
alla "chiusura del fallimento" - , per non aver
considerato il difetto di legittimazione di M.F., priva
della qualifica di creditore ammesso al passivo, che non
poneva in contestazione la sussistenza in concreto del "caso"
di cui al n. 3 dell'art. 118 l.f., ma faceva valere come
ostacolo alla "chiusura", in contrasto con l'automatismo
al quale è informata la disciplina dell'epilogo della
procedura, la pendenza della controversia da essa promossa
(secondo le norme ordinarie di competenza ex art. 24, ultima
ipotesi, l.f., e relativa a beni oggetto della esaurita
liquidazione, il cui ricavo era stato infine integralmente
ripartito tra i creditori).
5.
Decidendo dunque sul ricorso proposto da M.F., rileva il
collegio che essa non era legittimata a proporre reclamo
ex art. 119 l.f. contro il decreto di chiusura del fallimento
della società in n.c. "Caseificio F. di F.B.
c.c." e perciò, in applicazione analogica dell'art.
382, comma 3, c.p.c., cassa senza rinvio il decreto della
Corte d'appello di Venezia che ha rigettato nel merito il
reclamo.
Poiché
il fallimento intimato non si è costituito in questa
fase, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La
Corte, decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio il decreto
impugnato.
Roma,
28 settembre 2000.