Corte di cassazione (Sez. I civ. ), sentenza 27 febbraio 2001, n. 2825
FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Regolamento di competenza - Condizione di ammissibilità - Mancata opposizione ai sensi dell'articolo 18 della legge fallimentare
R.d. 16.03.1942, n.267, art. 18

Il rimedio del regolamento di competenza è ammissibile, nei riguardi di una sentenza dichiarativa di fallimento solo a condizione che, al momento del relativo esperimento, lo stesso ricorrente non abbia optato per la diversa, possibile alternativa dell'opposizione ai sensi dell'art. 18 della legge fallimentare, ivi eccependo anche l'incompetenza del giudice che ha dichiarato il fallimento.

Nel caso in cui quest'altro rimedio, cui deve essere riconosciuto il carattere di impugnazione ordinaria in senso tecnico, sia stato già radicato, resta preclusa, in forza del principio di alternatività stabilito dalla disposizione contenuta nell'art. 43, comma 2, del codice di procedura civile, la proponibilità dell'istanza di regolamento facoltativo a opera della medesima parte, rimanendo consentita tale istanza soltanto alle parti non impugnanti in via ordinaria, ovvero alle parti che di tale rimedio non si siano avvalse.

In tal senso la Corte si era già pronunciata nel 1996 con le sentenze 1404; 3327; 5570.




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Corrado CARNEVALE, PRESIDENTE
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO, CONSIGLIERE
Dott. Mario ADAMO, CONSIGLIERE
Dott. Laura MILANI, CONSIGLIERE
Dott. Paolo GIULIANI, CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
N. 2825 DEP IL 27.02.2001

sul ricorso per REGOLAMENTO di COMPETENZA proposto da T.C.M. s.r.l., già TECNIMONT ITALIA s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n.88, presso l'Avv. Vitaliano Amiconi che la rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del ricorso

RICORRENTE

CONTRO

Amministrazione fallimento T.C.M. s.r.l., già Tecnimont Italia s.r.l., in persona del curatore Dott. Paolo Cesarini, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tito Labieno n.70, presso l'Avv. Fabrizio Petrarchini, rappresentata e difesa dall'Avv. Alvaro Bartollini del foro di Terni in forza di procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso

RESISTENTE

NONCHÉ

MEDIOVENEZIE Banca S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Agostino Depretis n. 86, presso l'Avv. Pietro Cavasola che la rappresenta e difende, in forza di procura speciale in calce alla memoria ex art. 47 c.p.c., unitamente all'Avv. Stefano Dindo del foro di Verona giusta procura generale alle liti per Notaio Marco Cicogna di Verona in data 20.10.1995, rep.83123

RESISTENTE
E

ARTI GRAFICHE CELORI s.n.c. di Celori Arrigo & C.

INTIMATA

E

BANCO AMBROSIANO VENETO S.p.A.

INTIMATA

avverso la sentenza del Tribunale di Terni n. 633 pubblicata il 20 luglio 1999.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30.10.2000 dal Consigliere Dott. Paolo Giuliani.

Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Ceniccola, con le quali si chiede che la Corte di Cassazione dichiari la inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Tecnimont Italia s.r.l., oggi T.C.M. s.r.l., avendo sede legale ed effettiva in Alatri, chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Frosinone, a causa di una situazione di temporanea difficoltà economica, di essere ammessa, con decreto in data 26/29.4.1999, all'amministrazione controllata.

Contemporaneamente, il Tribunale di Terni, sulle istanze presentate dalla Arti Grafiche s.n.c. di Celori Arrigo e C., dalla Mediovenezie Banca S.p.a. e dalla Banco Ambrosiano Veneto S.p.a., con sentenza dell'8/20.7.1999 dichiarava il fallimento della stessa Tecnimont Italia s.r.l., assumendosi territorialmente competente ai sensi dell'art. 9 del Regio decreto 16 marzo 1942, n.267 (c.d. legge fallimentare), sul rilievo secondo il quale le prime due istanze erano state depositate anteriormente alla registrazione della delibera assembleare che aveva disposto il trasferimento della sede sociale della fallita da Terni ad Alatri ed assumendo altresì che il disposto del richiamato art. 9 fosse applicabile anche nel caso in cui, come nella specie, altro tribunale avesse già ammesso il debitore alla procedura di amministrazione controllata.

Avverso la predetta sentenza, propone ricorso per regolamento di competenza la T.C.M. s.r.l., già Tecnimont Italia s.r.l., deducendo tre motivi di gravame.

L'amministrazione del fallimento della stessa società e la Mediovenezie Banca S.p.a. hanno rispettivamente depositato, ex art. 47, ultimo comma, c.p.c., scrittura difensiva con documenti e memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 9 legge fallimentare, in relazione agli artt. 19 e 360, n. 2, c.p.c., assumendo che la sede principale dell'impresa (intesa sia nel senso reale che amministrativo ed organizzativo) è ormai da tempo trasferita in Alatri, onde l'inderogabile ed assoluta competenza del Tribunale di Frosinone, non essendo più nella giurisdizione del Tribunale di Terni né la sede, né l'attività principale, né quella secondaria, né, tanto meno, il centro direttivo degli affari dell'impresa medesima.

Il motivo è inammissibile.

Premesso, infatti, che l'odierno ricorso risulta essere stato notificato il 29.9.1999, si osserva come la società ricorrente, in data anteriore e precisamente il 27.8.1999, abbia proposto rituale opposizione avverso la dichiarazione di fallimento.

Orbene, il rimedio del regolamento di competenza è ammissibile, nei riguardi di una sentenza dichiarativa di fallimento solo a condizione che, al momento del relativo esperimento, lo stesso ricorrente non abbia optato per la diversa, possibile alternativa dell'opposizione ex art. 18 legge fallimentare, ivi eccependo, come nella specie, anche l'incompetenza del giudice che ha dichiarato il fallimento, laddove, qualora siffatto ultimo rimedio, cui deve essere riconosciuto il carattere di impugnazione ordinaria in senso tecnico, sia stato già radicato, resta preclusa, in forza del principio di alternatività stabilito dalla disposizione contenuta nell'art. 43, secondo comma, c.p.c., la proponibilità dell'istanza di regolamento facoltativo ad opera della medesima parte, rimanendo consentita tale istanza soltanto alle parti non impugnanti in via ordinaria, ovvero alle parti che non si siano avvalse del predetto rimedio (Cass. 22 febbraio 1996, n. 1404; Cass. 10 aprile 1996, n. 3327; Cass. 17 giugno 1996, n. 5570).

Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente nullità della sentenza per violazione dell'art. 15 legge fallimentare, nonché violazione dell'art. 276 c.p.c. e del principio generale dell'immutabilità del giudice, deducendo che il legale rappresentante della T.C.M. non è mai stato convocato dal giudice il quale, poi, in composizione collegiale, ha dichiarato il fallimento, nel senso esattamente che il Dott. Rainone, cui in precedenza erano affidate le funzioni di giudice delegato, non ha partecipato alla decisione collegiale essendogli subentrata medio tempore la Dott.ssa Matteini avanti alla quale, appunto, non è mai stato convocato o ascoltato il legale rappresentante della T.C.M..

Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta ancora la ricorrente violazione dell'art. 5 legge fallimentare in relazione all'art. 360 c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria, deducendo come la sola pendenza delle tre istanze di fallimento presso il Tribunale di Temi non possa significare l'esistenza di uno stato di decozione, laddove è assolutamente contraddittorio che il beneficio di risanamento concesso dall'art. 187 legge fallimentare proprio per superare momenti di temporanea difficoltà. delle imprese venga poi assunto quale prova di uno stato di insolvenza e di decozione delle stesse.

Tali due motivi sono entrambi inammissibili.

In sede di regolamento di competenza, infatti, possono essere sollevate soltanto questioni relative alla competenza, con esclusione di quelle che, riguardando la decisione della controversia, non attengano in modo diretto e necessario alla competenza, sia che si tratti di questioni processuali sia che riflettano il rapporto sostanziale dedotto in giudizio (Cass. 20 marzo 1997, n. 2458; Cass. 29 maggio 1999, n. 5260; Cass. 11 febbraio 2000, n. 1510).

Né, del resto, le predette censure (le quali, in questo senso, si palesano del pari inammissibili) sono suscettibili di venire convertite in altrettanti motivi di ricorso per cassazione, atteso che, da un lato, i provvedimenti impugnabili con siffatto rimedio sono le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, nonché i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo, mentre, dall'altro lato, la sentenza dichiarativa del fallimento non è comunque impugnabile per cassazione, neppure ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal momento che trattasi di provvedimento privo del necessario carattere della definitività essendo suscettibile di autonoma impugnazione, nelle forme di cui all'art. 18 legge fallimentare, attraverso lo strumento dell'opposizione avanti lo stesso tribunale che l'ha pronunciata, la cui sentenza, ex art. 19 legge fallimentare, è "in entrambi i casi" (di revoca del fallimento, cioè, ovvero di rigetto dell'opposizione) suscettibile di venir gravata con l'appello.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

La sorte delle spese del giudizio di cassazione segue il dettato dell'art. 385, primo comma, c.p.c., estensivamente inteso, liquidandosi tali spese, per ciascuna delle due resistenti, in lire, di cui lire 4.000.000 per onorario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore di ambedue le resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, per ciascuna, in lire 4.161.600, di cui lire 4.000.000 per onorario.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2000.












 

 

 


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