Corte di cassazione (Sez. un. civ.),
udienza del 6 aprile 2001


FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Accertamento del passivo - Ammissione - Privilegio speciale su credito del fallito - Impossibilità di acquisizione alla massa del credito - Ammissione al passivo - (In)ammissibilità
È sorto contrasto di giurisprudenza sul problema se per ammettere al passivo un credito sorto con privilegio speciale sia necessaria l'esistenza nell'attivo fallimentare del bene su cui si deve esercitare la prelazione, al momento stesso del provvedimento di ammissione, o se sia possibile ammettere al rango privilegiato il credito e rinviare il controllo sull'esistenza o meno del bene vincolato alla fase della graduazione dei crediti preordinata al riparto.

Le sentenze 15 novembre 1976, n. 4218, e 2 febbraio 1995, n. 1227, hanno affermato che l'ammissione allo stato passivo di un credito con privilegio speciale presuppone la già avvenuta acquisizione alla massa attiva del bene su cui si deve esercitare la prelazione.

Costituisce invece espressione della tesi per cui l'ammissione al passivo di un credito in via privilegiata non presuppone, ove si tratti di privilegio speciale su determinati beni, che i beni stessi siano già acquisiti alla massa, salva la possibilità del positivo esercizio del privilegio al momento del riparto, la sentenza 18 giugno 1982, n. 3728.

In parte diversa è la sentenza 1° giugno 1995, n. 6149, che sembra abbia affermato che la questione della concreta esercitabilità del privilegio sia da rinviare alla fase del riparto. Per altro, la stessa pronuncia ha distinto fra le ipotesi della sussistenza del bene al momento della verifica, della "contingente insussistenza" dello stesso in tale frangente e della "non individuabilità", nel sorgere del credito, di alcun bene o valore su cui il privilegio possa trovare collocazione. Nei primi due casi, il credito andrebbe ammesso con collocazione privilegiata (nel primo, per ovvie ragioni, nel secondo perché non potrebbe escludersi a priori la successiva acquisizione del bene), mentre nel terzo, nascendo il credito sin dall'origine senza un oggetto su cui sia possibile esercitare la prelazione, esso andrebbe senz'altro ammesso al chirografo, dovendosi considerare, sin dall'origine, alla stregua di un credito chirografario. Nessun cenno invece, in tale pronuncia, al caso in cui, nel momento del sorgere del credito, un bene su cui poter esercitare il privilegio esisteva (sicché non si rientra nell'ultima delle tre fattispecie innanzi individuate), e l'assenza del bene era, al momento della verifica, non "contingente", ma definitiva (ipotesi, questa, estranea sia alla seconda che alla prima).

Non sembra potersi iscrivere in tale orientamento neppure la sentenza 3 dicembre 1996, n. 10786 la quale fa piuttosto riferimento al diverso, seppur collegato, problema del modo in cui deve avvenire l'indicazione dei beni. Essa si limita ad affermare che in sede di verifica del passivo fallimentare, affinché possa utilmente richiedersi il riconoscimento di un privilegio speciale, non è necessario che il creditore dia l'indicazione di ciascun bene oggetto della causa di prelazione (della cui presenza nel patrimonio del debitore egli potrebbe anche non essere a conoscenza). Sarebbe quindi sufficiente - al fine della specificità della domanda e della garanzia del contraddittorio - che il diritto fosse indicato nelle componenti essenziali, di fatto e di diritto, da cui derivino i criteri di individuazione e di determinazione dei beni soggetti alla soddisfazione prioritaria del creditore fruente del privilegio.

Infine, secondo la sentenza 9 agosto 1991, n. 8685 le questioni relative all'identificazione dei beni oggetto della prelazione, non individuati all'atto dell'ammissione allo stato passivo, vanno proposte mediante impugnazione del piano di riparto. Ma le sentenze 9 aprile 1984, n. 2255, resa a sezioni unite, e 26 gennaio 1985, n. 391, hanno riconfermato che l'indagine volta ad accertare che tutti i beni indicati come oggetto di prelazione siano acquisiti all'attivo "è normalmente estranea alla sede della verifica dei crediti… e finanche irrilevante". Tali ultime due decisioni - la seconda delle quali resa in tema di prelazione ipotecaria - hanno ribadito che la cognizione affidata al giudice della verifica è limitata all'esistenza e alla misura del diritto al concorso e la rango del credito, oltre che (ovviamente) ai necessari presupposti logici, quali, per esempio, la validità e l'efficacia del negozio da cui il credito e la prelazione derivano. Conseguentemente, quando il provvedimento di ammissione si esprime in formula generica senza alcuna indagine sull'esistenza dei beni su cui la prelazione grava o l'estensibilità della prelazione a determinati beni non abbia costituito un punto disputato e deciso, l'accertamento delle condizioni di fatto e di diritto ai fini del concreto esercizio della prelazione "rimane quindi impregiudicato nella sede propriamente destinata a tale concreto esercizio: cioè la sede della ripartizione delle somme ricavate dalla vendita di quei beni".

Di qui l'esigenza di portare il complesso problema al vaglio delle Sezioni unite.












 

 

 


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