Tribunale di Palermo, 15 gennaio 2001, Azione di responsabilità
ex art. 146 legge fallimentare e motivi d'urgenza, ordinanza
cautelare.
TRIBUNALE
DI PALERMO
II
G.I. letti gli atti ed i documenti prodotti e sciogliendo
la riserva formulata all'udienza del 18 dicembre 2000; Con
ricorso depositato in data 21.11.2000 nel corso del giudizio
di merito intrapreso ai sensi dell'art. 146 L.F., il curatore
del fallimento della S S.p.a. instava per la concessione
di un sequestro conservativo, nella misura di £ 24.122.750.961,
sui beni di proprietà di X, Y e Q, tutti amministratori,
ed il primo anche liquidatore, della società fallita. Avvalendosi
nella ricostruzione delle vicende societarie della consulenza
resa dal dott. A al Giudice Delegato per il fallimento e
della relazione elaborata dal perito nominato dal Procuratore
della Repubblica di Milano, che aveva perseguito i convenuti
per i reati di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta
variamente aggravata, denunciava che costoro avevano falsificato
i bilanci societari a far data dal 1988 sì da occultare
le marcate perdite finanziarie della società ed avevano
continuato ad operare la raccolta dei fondi tra il pubblico
con allentanti promesse di fruttificazione delle somme investite
nel mercato azionario, senza che sussistessero reali possibilità
di restituzione.
Esponeva, inoltre, che nell'anno 1991 la S aveva acquistato
il controllo della Z S.p.a., società commissionaria di borsa
operante a Milano ed avente sede in Piazza Affari.
Proseguiva affermando che l'acquisto, che aveva riconquistato
alla S S.p.a. la fiducia degli investitori, aveva consentito
agli amministratori della società siciliana di addivenire
alla sua liquidazione ed estinzione nell'anno 1993 senza
che emergesse la reale situazione di dissesto finanziario.
Quest'ultimo, tuttavia, condusse, l'anno successivo, alla
dichiarazione di fallimento della società pronunziata da
questo Tribunale su istanza del Procuratore della Repubblica
di Palermo reso edotto, nelle more, dello svolgimento delle
indagini della Procura di Milano. Deduceva il ricorrente
che i debiti contratti dalla S S.p.a. verso gli investitori
ammontavano, secondo la ricostruzione operata dal perito
del P.M., ad un importo prossimo a 19 miliardi di lire e
che tale rilevante esposizione era stata stornata in modo
non palese nei conti della Z S.p.a, - che per tale motivo
aveva patito il tracollo finanziario- mentre nella i contabilità
della S S.p.a. le partite debitorie nei confronti dei clienti,
per la massima parte rimasti ignari dell'operazione, risultavano
chiuse contabilmente, alla data del 31.12.1991, con la dicitura
"per condono". Specificava che la traslazione dei debiti
non aveva riguardato tutti gli investitori, i più ragguardevoli
o insistenti dei quali erano stati soddisfatti in via preferenziale.
Rilevava ancora l'indebita percezione da parte del convenuto
Q della somma di £ 3.167.000.000, imputata quanto £. 650.000.000
a restituzione del conferimento iniziale, in realtà annullato
dalle passività, e per la restante parte a guadagni conseguiti,
con operazioni aventi prevalentemente ad oggetto le azioni
Rodriguez e Banco di Credito Siciliano, in danno della S
S.p.a., costretta a registrare le perdite correlative.
Avverso tali domande proponevano opposizione i convenuti
con censure che hanno posto in luce quasi tutti gli aspetti
problematici della vicenda. Riservando al prosieguo la trattazione
dettagliata di ciascuno dei rilievi mossi, può osservarsi
che la difesa di Q ha sollevato la questione della rilevanza
indiziaria delle relazioni peritali da cui prendono le mosse
gli addebiti formulati della curatela, contestando inoltre
che la cessione di un posta debitoria possa aver arrecato
pregiudizio alla società fallita. Y ha affermato la propria
estraneità alle illegittime operazioni compiute dall'amministratore
delegato e dal liquidatore in modo occulto e dunque sfuggite
alla contabilizzazione, evidenziando con ciò la tematica
del presupposti per l'affermazione della responsabilità
solidale dei componenti del consiglio di amministrazione.
La linea difensiva di X - il quale ha ammesso le proprie
responsabilità innanzi all'autorità giudiziaria milanese
- ha, infine, proposto il problema dei criteri di apprezzamento
dell'ammontare del risarcimento dovuto dagli amministratori
a titolo di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. e del
nesso di causalità che deve connettere le azioni di costoro
al passivo della società, nonché quello della verifica della
concreta sussistenza del credito azionato dalla curatela,
atteso che la Z S.p.a., nel cui passivo sono confluiti i
debiti della S verso i propri investitori, non si è insinuata
nel passivo fallimentare dì quest'ultima.
Ha altresì rassegnato, con riferimento al presupposto dei
periculum in mora, di aver concesso ipoteca volontaria sul
proprio patrimonio immobiliare in favore del fallimento
Z, conferendo altresì procura notarile al curatore di questo
affinché disponesse dei beni nel modo più conveniente. Procedendo
partitamente nella disamina delle questioni proposte, va
in primo luogo osservato come l'accertamento del fumus boni
juris, nella specie il diritto della curatela della società
fallita al risarcimento dei danni provocati dagli amministratori
e dal liquidatore con dolo o colpa, richieda approfondimenti
tendenti a verificare sia l'aspetto oggettivo della sussistenza
e della consistenza del diritto al risarcimento, che quello
subiettivo della imputabilità dette poste ai convenuti.
A) Quanto al primo profilo, ritenuta la valenza indiziaria
della relazione peritale elaborata dal consulente del P.M.
- che quale pubblico ufficiale, investito di poteri finalizzati
all'accertamento delle responsabilità penali non può essere
ritenuto portatore di interessi tecnicamente definibili
"di parte" nel diverso procedimento civile- e della consulenza
resa dal c.t.u nominato dal Giudice delegato al fallimento,
organo certamente terzo ed imparziale, può ritenersi sufficientemente
acclarata, nella forma attenuata correlata alla natura ed
alle finalità del procedimento cautelare in corso, l'anomalia
della gestione della società. Dalle dichiarazioni rese da
X all'autorità giudiziaria milanese (cfr. verbali di interrogatorio
in atti) si evince, infatti, che la S S.p.a, poco tempo
dopo la costituzione venne a trovarsi in crisi di liquidità
e che, falliti vari tentativi di rilancio economico, adottò
linee di condona fraudolente consistenti nella raccolta
sempre più allargata del pubblico risparmio, favorita dalla
promessa di sicure fruttificazioni di interessi - benché,
a rigore, trattandosi di investimenti azionari, questi avrebbero
dovuto essere assoggettati all'alea dell'andamento del mercato
mobiliare- finalizzata a foraggiare il rimborso dei clienti
più vicini agli organi societari o più insistenti nella
richiesta di disinvestimento. La scelta dei prodotti finanziari
su cui investire, poi, era ispirata a criteri inavveduti,
come dimostra il collocamento sul mercato azionario della
Rodriquez S.p.a., per il quale, nonostante la notoria condizione
dì decozione della società, venne lanciato un appello presso
il pubblico del piccoli risparmiatori. Ora, se è vero che
all'autorità giudiziaria non è consentito sindacare le strategie
aziendali elaborate dagli amministratori - soprattutto ove
la verifica sia condotta ex post, ovvero dopo la dichiarazione
di fallimento - è pur vero, tuttavia, che la limitazione
dell'indagine giudiziale alla legittimità degli atti di
gestione non comporta l'esenzione dal vaglio finalizzato
ad accertarne la palese irragionevolezza o l'inescusabile
erroneità, manifestazioni, queste, della contravvenzione
degli amministratori al generale dovere di diligenza imposto
dall'art. 2392 comma I c.c.. Nella specie, la condotta degli
amministratori può essere assoggettata a censura, trattandosi
di valutare non il merito delle singole operazioni finanziarie
di investimento, ma le modalità stesse attraverso cui costoro
hanno ritenuto di operare sul mercato, seguendo criteri
che, provocando una crescente ed insanabile sproporzione
tra le risorse patrimoniali della società e l'esposizione
debitoria accumulata, hanno pregiudicato ab initio gli interessi
degli investitori e generato un danno irreversibile per
la società.
Tanto premesso deve tuttavia immediatamente soggiungersi
che la responsabilità degli amministratori non può essere
ricondotta alla cifra indicata nel ricorso per sequestro.
Dalle componenti del danno che la curatela lamenta di poter
subire va, infatti, escluso l'ammontare di £ 18.908.653.052,
espressione dei debiti ceduti alla Z S.p.a., nel calcolo
operato dal consulente del P.M. A differenza del requisito
dell'esigibilità, che può maturare in un momento futuro,
la certezza è connotato indefettibile del credilo la cui
garanzia il ricorrente teme di perdere nelle more dello
svolgimento del processo, non potendo disporsi una cautela
patrimoniale a fronte di un diritto non ancora esistente
e di incerta insorgenza. Riconnettendo il sub-procedimento
cautelare al giudizio di merito, tanto equivarrebbe a pretendere
dagli amministratori il risarcimento per un danno patrimoniale
non ancora prodottosi e di incerta verificazione. Il tali
termini deve riguardarsi alla pretesa dalla ricorrente di
premunirsi dall'eventuale richiesta della Z di insinuarsi
nel proprio passivo fallimentare per il recupero delle contropartite
monetarie dei debiti impropriamente traslati in contabilità.
Valga in proposito un'altra rilevante considerazione. L'esiguità
dei dati rappresentati dalla ricorrente per descrivere l'operazione
di trasferimento dei debiti impedisce, in questa sede, di
valutare se l'azione dì responsabilità per danni eventualmente
proposta dalla società milanese avrebbe come legittimati
passivi gli attuali resistenti, responsabili in proprio
-a titolo di responsabilità aquiliana o ai sensi dell'art.
2392 c.c.- del danno arrecato alla Z, ovvero la S S.p.a.
Solo in tale ultima eventualità, che ricorrebbe in ipotesi
di violazione da parte della società siciliana di obblighi
di natura contrattuale assunti in concomitanza al trasferimento
delle passività, potrebbe in futuro sorgere il diritto della
S, che veda il proprio passivo fallimentare ulteriormente
gravato dalla tardiva insinuazione della Z, a pretendere
dai propri amministratori il risarcimento per il danno risentito.
Eliminata, dunque, tale posta occorre verificare ancora
la legittimità delle restanti pretese analizzando le singole
contestazioni mosse. In proposito, lacunosa sì rivela la
censura concernente la violazione del divieto del compimento
di nuove operazioni posto a carico degli amministratori
dall'art. 2449 comma I c.c. atteso che la curatela ricorrente
- pur con le obiettive difficoltà di individuazione della
data di inizio della gestione liquidatoria, indotte dall'irregolare
tenuta dei libri giornali nei quali non è registrata la
delibera assembleare di scioglimento della società - sottraendosi
all'onere di deduzione e probatorio gravante a suo carico,
non ha neppure allegato quali fossero le nuove attività
intraprese dagli amministratori (diverse dalla già esaminata
chiusura fittizia dei conti) con esiti pregiudizievoli per
la società. Considerazioni di ordine diverso devono svolgersi
quanto agli addebiti formulati in capo a Q al quale si rimprovera
di aver agito in conflitto di interessi con la società amministrativa
ritraendo profitti dalle operazioni Rodriguez e Banco di
Credito Siciliano, rivelatesi fallimentari per la società.
Ad onta dei deprezzamento di tali titoli sul mercato mobiliare,
questi avrebbe ottenuto la restituzione del capitate investito
ed il pagamento degli interessi concordati. I riscontri
alle censure supportate dalle dichiarazioni rese da X al
P.M. - di Milano in data 13.12.1995, discendono dagli accertamenti
condotti dal perito del magistrato inquirente sui conti
correnti intestali alla S e ad X, i quali registrano reiterate
uscite in favore di Q, per un importo complessivo di £ 3.167.000.000,
per le quali non sono state fornite giustificazioni di sorta.
Ricorrono, inoltre, sufficienti dementi indiziari per reputare
integrata la fattispecie di falso in bilancio e correlativamente
il fumus del diritto della società ricorrente al risarcimento
dei danni ingenerati dalla colpevole condotta dei propri
amministratori. Depongono per la irregolare tenuta delle
scritture contabili e per l'infedele compilazione dei bilanci
di esercizio e di liquidazione le dichiarazioni di X che,
interrogato dal P.M. di Milano in data 13.12.1995, ha affermato
che "in S le cose si svolgevano in maniera assai artigianale.
Non c'era una contabilizzazione precisa del denaro incassato,
delle promesse che si facevano di interessi ." ed ha ammesso
di aver partecipato all'elaborazione degli artifici necessari
per la chiusura delle posizioni a debito, ed ancora, la
mancata trascrizione dei bilanci per gli anni 1992 e 1993
sul libro degli inventari, rilevata dal consulente del giudice
delegato, ed, in ultimo l'ammontare dello stato passivo,
pari circa a 2 miliardi di lire, a fronte della liquidazione
in pareggio della società nell'anno 1993, preceduta dall'accertamento,
per la prima volta nel 1990, di perdite di esercizio per
un importo approssimativo di £. 900.000.000. E" appena il
caso di significare che la confessione resa sul punto da
X nel procedimento penale, contenendo affermazioni pregiudizievoli
solo per sé stesso, dispiega piena efficacia anche in questa
sede. In merito all'addebito sopra riportalo va, poi, soggiunto
che se l'irregolare tenuta delle scritture contabili pur
rappresentando la violazione di una precisa condotta normativamente
imposta non da luogo di per sé a responsabilità, la formazione
infedele del bilancio volta a dissimulare la condizione
di sostanziale insolvenza della società deve, invece, reputarsi
lesiva degli interessi della società e dei soci. b) La censura
coinvolge tutti i resistenti quali componenti del consiglio
di amministrazione in carica sino alla liquidazione della
società - secondo quanto emerge dalle visure camerali -,
tenuti, ai sensi dell'art. 2423 cod. civ., al compito, non
delegabile, di redigere il bilancio di esercizio secondo
criteri di chiarezza, verità e correttezza, si che questo
rappresenti in modo attendibile la situazione economico-patrimoniale
dell'azienda. Quanto poi alle residue contestazioni, sovviene
a sostegno dell'affermazione di responsabilità solidale
degli amministratori, la specificazione del dovere di diligente
amministrazione espresso dal secondo comma dell'art. 2392
c.c. che fa carico <>, e dunque anche in ipotesi
di delega di funzioni a taluno soltanto degli amministratori
o ad un comitato esecutivo, di vigilare sull'andamento della
società- ponendo con ciò un obbligo gravame su ciascun singolo
amministratore. Né meritevole di condivisione appare l'eccezione
formulata da Y e Q di essere rimasti all'oscuro delle operazioni
condotte in via esclusiva da X. Ed invero, la funzione di
garanzia che il legislatore assegna agli amministratori
a tutela degli interessi che fanno capo alla società, ai
creditori ed ai terzi, non si esaurisce in una condotta
personale non direttamente pregiudizi e voi e, ma si estende
necessariamente all'obbligo di impedire gli illeciti altrui.
"L'art. 2392 comma II riflette un obbligo di portata generalissima
attinente sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che
devono essere impediti o . neutralizzati, sia agli atti
dei quali l'amministratore può venire a conoscenza vigilando
sul generale andamento della gestione societaria e quindi
adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali
di informazione" (Corte Appello Milano, 10.6.1996). Tanto
chiarito, occorre ancora interrogarsi sulla portata pregiudizievole
di tale indebito comportamento. In difetto di più certi
criteri di determinazione, il danno prodotto può essere
identificato nella misura del passivo fallimentare accertato
dal giudice delegato nell'importo di £. 2.047.097.909, insuscettibile
di abbattimento per inesistenza dell'attivo. Se pure infatti,
per regola generale, l'affermazione di responsabilità degli
amministratori consegue all'individuazione delle condotte
pregiudizievoli ed all'accertamento del nesso eziologico
che le avvince al danno denunziato, nel caso concreto l'intero
dissesto finanziano (la cui misura, peraltro, è solo parzialmente
registrata dallo Staio passivo, potendo evincersi dalla
relazione del perito del P.M. che taluni creditori conviti
ad incanalare i propri investimenti azionari attraverso
la Z S.p.a. abbiano fatto valere la proprie pretese verso
tale ultima procedura concorsuale, piuttosto che verso il
fallimento S) sia da imputare ai resistenti, responsabili
non per il compimento di condotte isolate, ma per la complessiva
conduzione dell'impresa societaria, che ha operato a lungo
in condizioni di mascherata insolvenza. Se dunque appare
ravvisabile, con le limitazioni sopra evidenziale, il fumus
boni juris del diritto al risarcimento del danno in capo
alla ricorrente, occorre ancora affrontare l'esame della
sussistenza del periculum in mora.
Senza voler indulgere ad alcun automatismo, deve in primo
luogo evidenziarsi che il timore della perdita della garanzia
generica del credito si fondi sull'obiettiva sproporzione
sussistente tra l'ammontare del diritto di credito della
ricorrente e la consistenza del patrimonio dei resistenti,
due dei quali, Q e Y, hanno dichiarato di trarre mezzi di
sostentamento unicamente dalla propria attività professionale
e di non essere proprietari di beni immobili.
Quanto poi agli elementi di carattere soggettivo sui quali,
per costante orientamento della giurisprudenza, può essere
fondata la prognosi di dispersione dei patrimonio dell'obbligato
nelle more della celebrazione del giudizio di merito, deve
osservarsi come la volontà riparatoria dimostrata da X con
il conferimento del proprio patrimonio al fallimento della
Z S.p.a., sia obiettivamente indirizzata in favore di un
soggetto diverso dall'odierna ricorrente, così che risulta
accentuato il rischio di dispersione della garanzia del
credito. Considerato, conclusivamente, che nella ricorrenza
dei presupposti indicati dall'art. 671 c.p.c., il ricorso
per sequestro conservativo può trovare accoglimento, se
ne deve determinare la misura nella somma di £. 5.214.097.909.
P.Q.M. in parziale accoglimento del ricorso ex art. 671
c.p.c. depositato dall'Avv. XXX nella qualità di curatore
del fallimento della S S.p.a., in data 21.11.2000, dispone
il sequestro conservativo sino alla concorrenza di £. 5.214.097.909
su tutti i beni mobili ed immobili di X, Y e Q.
Palermo,
15 gennaio 2001. Il G.I. Giulia Maisano