Corte
costituzionale, ordinanza numero del 23-31 maggio 2001 sulla
legittimità costituzionale di norme in materia di
astensione del giudice delegato del fallimento
La Massima
È manifestamente infondata, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile,
nella parte in cui non prevede che il giudice delegato del
fallimento, il quale abbia autorizzato il curatore a promuovere
contro gli amministratori della società fallita azione
di responsabilità ai sensi dell'art. 146, secondo
comma, della legge fallimentare e abbia nel contempo autorizzato,
o comunque disposto, in vista di detta causa, il sequestro
dei beni degli amministratori medesimi ai sensi del terzo
comma dell'articolo ora in ultimo citato, debba poi obbligatoriamente
astenersi dal giudicare nella causa medesima.
Condizione necessaria per l'incompatibilità endoprocessuale,
nell'ambito del giudizio civile, è la preesistenza
di valutazioni ricadenti sulla medesima res iudicanda: tale
condizione con evidenza non ricorre nel caso del giudice
delegato il quale faccia parte del collegio chiamato a decidere
sull'azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori, da lui stesso autorizzata, atteso che l'autorizzazione
all'esercizio dell'azione di responsabilità non è
un provvedimento giurisdizionale di carattere decisorio
e pertanto non comporta alcuna valutazione ricadente sulla
res iudicanda.
Per quanto riguarda poi la concessione, da parte del medesimo
giudice delegato, su istanza del curatore, del sequestro
conservativo dei beni degli amministratori, deve affermarsi
che non vi è identità di res iudicanda - né,
conseguentemente, duplicazione di giudizi - ove diverso
sia l'ambito della cognizione, come è appunto nel
caso del giudizio cautelare rispetto a quello di merito
(a cura di Michele Buonauro).
L'ordinanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO Giudice
- Massimo VARI "
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.
51 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza
emessa l'8 luglio 1999 dal Tribunale di Vigevano sull'istanza
di ricusazione proposta da Caserta Franco, iscritta al numero
489 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale,
dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice
relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Tribunale di Vigevano, nel corso di un procedimento
di ricusazione, con ordinanza emessa l'8 luglio 1999, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art.
51 del codice di procedura civile, "nella parte in
cui non prevede che il giudice delegato del fallimento,
il quale abbia autorizzato il curatore a promuovere contro
gli amministratori della società fallita azione di
responsabilità ai sensi dell'art. 146, secondo comma,
della legge fallimentare e abbia nel contempo autorizzato,
o comunque disposto, in vista di detta causa, il sequestro
dei beni degli amministratori medesimi ai sensi del terzo
comma dell'articolo ora in ultimo citato, debba poi obbligatoriamente
astenersi dal giudicare nella causa medesima";
che, ad avviso del rimettente, il giudice delegato, autorizzando
il curatore a promuovere l'azione di responsabilità
contro gli amministratori della società fallita e
disponendo, nel contempo, il sequestro conservativo dei
beni di costoro, esprimerebbe necessariamente una valutazione
"contenutistica", sia pure allo stato degli atti,
sulla illiceità e dannosità del comportamento
degli amministratori medesimi, idonea a condizionarlo, per
la cosiddetta "forza della prevenzione", nel successivo
giudizio sulla fondatezza dell'azione medesima;
che pertanto la norma denunciata - non contemplando il caso
in questione tra le ipotesi di astensione obbligatoria e,
perciò, di ricusazione del giudice - si porrebbe
in contrasto con il principio del "giusto processo",
sancito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, in base al
quale il giudice, sia civile che penale, deve non solo essere,
ma anche apparire, imparziale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o
l'infondatezza della questione;
che, in una memoria illustrativa depositata nell'imminenza
della camera di consiglio, l'Avvocatura osserva che la stessa
Corte, in precedenti pronunce relative ad ipotesi parzialmente
analoghe, avrebbe posto in luce come il processo fallimentare
sia ispirato al principio della concentrazione presso i
suoi organi di ogni controversia che ne deriva, con conseguenti
inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non
rilevabili tuttavia agli effetti della legittimazione del
giudice, stante la prevalente esigenza di portare davanti
allo stesso organo giurisdizionale tutto il procedimento
e di ridurlo ad unità;
che in ogni caso l'autorizzazione al curatore a promuovere
l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori
della società fallita non sarebbe un provvedimento
giurisdizionale di carattere decisorio e non presupporrebbe
valutazioni di merito in ordine alla responsabilità
degli amministratori, cosicché esso non potrebbe
rientrare nella categoria degli atti aventi effetti pregiudicanti
per l'imparzialità del giudice;
che ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi anche per
quanto riguarda i provvedimenti cautelari che il giudice
delegato può adottare d'ufficio, ex art. 146 della
legge fallimentare, allorché autorizza il curatore
a promuovere l'azione di responsabilità contro gli
amministratori della società fallita, trattandosi
di provvedimenti fondati su valutazioni sommarie, che ben
possono essere superate nel giudizio di merito, all'esito
dell'istruttoria.
Considerato che, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, condizione necessaria per l'incompatibilità
endoprocessuale, nell'ambito del giudizio civile, è
la preesistenza di valutazioni ricadenti sulla medesima
res iudicanda (sentenze n. 387 del 1999, n. 341 del 1998
e n. 326 del 1997, ordinanza n. 304 del 1998);
che siffatta condizione con evidenza non ricorre nel caso
del giudice delegato il quale faccia parte del collegio
chiamato a decidere sull'azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori, da lui stesso autorizzata,
atteso che l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di
responsabilità non è un provvedimento giurisdizionale
di carattere decisorio e pertanto non comporta alcuna valutazione
ricadente sulla res iudicanda;
che, per quanto riguarda poi la concessione, da parte del
medesimo giudice delegato, su istanza del curatore, del
sequestro conservativo dei beni degli amministratori, questa
Corte ha già affermato che non vi è identità
di res iudicanda - né, conseguentemente, duplicazione
di giudizi - ove diverso sia l'ambito della cognizione,
come è appunto nel caso del giudizio cautelare rispetto
a quello di merito (sentenze n. 326 del 1997 e n. 94 del
1975, ordinanze nn. 359, 315 e 193 del 1998);
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative
per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
dal Tribunale di Vigevano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2001.