Corte
di cassazione (Sez. I civ.), sentenza 16 marzo 2001, n.
3819
FALLIMENTO
E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Fallimento - Chiusura -
Reclamo contro il decreto di chiusura - Legittimati a proporlo
- Sono il fallito e i creditori ammessi allo stato passivo
R.d. 16.03.1942, n. 267, art. 118; 119
In
presenza di uno dei casi di chiusura del fallimento, previsti
dall'art. 118 della legge fallimentare, nessuna facoltà
discrezionale è data agli organi fallimentari di
protrarre la procedura e di differirne la chiusura. Ne consegue
che la cognizione rimessa alla corte d'appello in sede di
reclamo (art. 119, comma 2, della legge fallimentare) è
limitata alla verifica della sussistenza di uno dei casi
di chiusura previsti dallo stesso art. 118 e il reclamo
contro il decreto di chiusura è dato per porre in
discussione - appunto - la ricorrenza in concreto dello
specifico caso, rispetto al quale dev'essere pure valutata
la legittimazione - e l'interesse - alla speciale impugnazione.
È questo un principio fermo nella giurisprudenza
di legittimità. La Corte, nel ribadirlo con la sentenza
in rassegna, con riferimento al "caso di chiusura previsto
al n. 3 dell'art. 118 e, dunque, al caso in cui sia stata
compiuta la ripartizione finale dell'attivo, ha chiarito
che la legittimazione al reclamo (da considerare necessariamente
fondata sulla prospettiva di acquisizione di ulteriori elementi
di attivo, pur in dipendenza dall'esito favorevole di cause
pendenti o promovibili) non può riconoscersi, oltre
al fallito, che ai creditori ammessi al passivo, i quali
potrebbero beneficiare di un ulteriore riparto, non costituendo
ostacolo alla "chiusura" la pendenza di giudizi
di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva
di credito.
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. Pasquale REALE, Presidente Dott. Giovanni
LOSAVIO, Rel. Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI,
Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO, Consigliere Dott. Luigi
MACIOCE, Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA
N. 3819 DEP. IL 16.03.2001 sul ricorso proposto da: F.M.,
elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE BELLE ARTI 8,
presso l'avvocato COSTI DANIELE, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato PIETROBON VITTORINO, giusta mandato
in calce al ricorso; ricorrente contro FALLIMENTO CASEIFICIO
F. di F.B. & C. Snc, F.C., F.E., F.B.; intimati avverso
la sentenza n. 221/98 della Corte d'Appello di VENEZIA,
depositata il 19.11.98; udita la relazione della causa svolta
nella pubblica udienza del 28.09.2000 dal Consigliere Dott.
Giovanni LOSAVIO; udito il P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Francesco MELE che ha concluso
per l'inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Contro il decreto 4 agosto 1998 con il quale il Tribunale
di Treviso aveva dichiarato la chiusura del fallimento della
società in n.c. Caseificio F. di F.B. e c. e delle socie
illimitatamente responsabili B.F., C.F. ed E.F. (su istanza
del curatore, per compiuta ripartizione finale dell'attivo),
M.F. proponeva reclamo alla Corte d'appello di Venezia chiedendo
che fosse disposta la prosecuzione della procedura fino
alla definizione della controversia da essa promossa nei
confronti del fallimento e delle fallite per l'accertamento
del suo diritto di proprietà sulla quota pari alla metà
dei beni immobili pervenuti alle fallite per successione
legittima dal loro padre (acquisiti al fallimento e oggetto
della avvenuta liquidazione), essendo il diritto vantato
dalla reclamante (madre delle fallite che, prima del fallimento,
aveva rinunciato all'eredità del marito) fondato nel rinvenimento
del testamento del proprio marito, avvenuto dopo la dichiarazione
di fallimento. Con decreto 19 novembre 1999 la Corte d'appello
di Venezia rigettava il reclamo rilevando: che la reclamante
non aveva proposto la domanda di rivendicazione ex art.
103 l.f. ma aveva in sede ordinaria promosso azione nei
confronti del fallimento e delle fallite per far dichiarare
la nullità o l'annullamento della propria rinuncia all'eredità
e perché si procedesse alla divisione dei beni costituenti
l'asse ereditario, con attribuzione ad essa attrice della
metà; che la valutazione della eventuale incidenza ostativa
alla dichiarazione di chiusura del fallimento della pendenza
di una controversia proposta da un terzo comporta la delibazione
degli effetti che dalla pretesa azionata potrebbero riflettersi
sulla procedura e delle conseguenza che si produrrebbero
sulle stesse pretese con la dichiarazione di chiusura del
fallimento; che nell'ambito di tale delibazione doveva osservarsi
a) che ai sensi dell'art. 525 C.C. l'accettazione dell'eredità
da parte del rinunziante non può pregiudicare le ragioni
acquistate da terzi sopra i beni ereditari, e quindi - per
la sua posizione di terzietà - dal fallimento (che aveva
acquisito i beni dalle fallite; b) che, con riguardo ai
beni immobili, posta la equiparazione tra pignoramento e
dichiarazione di fallimento e tra creditore pignorante e
procedura fallimentare, a norma dell'art. 2915, ultimo comma,
C.C. non possono aver effetto in pregiudizio della stessa
procedura "le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi
acquirenti la legge richiede la trascrizione" se sono trascritte
successivamente al pignoramento; c) che, con riguardo ai
beni mobili (che la reclamante aveva acquistato, in sede
di liquidazione dell'attivo, dalla procedura) la domanda
di restituzione pro quota della somma dovuta pagare per
l'acquisto ben potrà essere svolta nei confronti delle fallite
(già parti nella azione promossa dalla reclamante) una volta
che esse siano tornate in bonis. Contro questo decreto M.F.
ha proposto ricorso per cassazione prospettando tre motivi
di impugnazione. Il fallimento intimato non si è costituito
in questa fase. MOTIVI DELIA DECISIONE 1. Con il primo motivo
del ricorso M.F. prospetta "falsa applicazione delle norme
e dei principi in tema di tutela dei temi nel traffico e
nel fallimento" con riferimento ai disposti di cui agli
artt. 525 e 2915 C.C., 42, 43 e segg. legge fallimentare,
nonché difetto di motivazione, e critica la decisione impugnata
per avere la Corte di merito erroneamente riconosciuto al
fallimento la posizione di terzo rispetto alla azione petitoria
esercitata dalla stessa F. per far valere il suo diritto
ereditario nei confronti delle fallite e della procedura
concorsuale: in tale controversia il fallimento non può
dirsi avente causa dalle fallite ma ad esse si sostituisce
e ne esercita i diritti. Con il secondo motivo la ricorrente
deduce "falsa applicazione e violazione delle norme e dei
principi in tema di efficacia dalla dichiarazione di fallimento"
e cioè dei disposti di cui agli artt. 42, 43 e segg. legge
fallimentare e dell'art. 2915 c.c., nonché difetto di motivazione,
e denuncia l'errore del decreto impugnato che ha equiparato
la dichiarazione di fallimento al pignoramento, con indebita
estensione del precetto dettato dall'art. 42 l.f., giacché
la privazione della disponibilità dei beni sanzionata a
carico del fallito non può significare attribuzione al fallimento
della titolarità dei beni non appartenenti al fallito stesso.
Con il terzo motivo, infine, la F. lamenta "violazione e
falsa applicazione delle norme e dei principi sull'interesse
ad agire, in relazione alle norme che regolano i diritti
dei terzi sulle cose mobili oggetto di espropriazione: art.
100 c.p.c. e art. 2915 C.c.", nonché "insufficiente motivazione"
e rileva che la reclamante aveva fatto "valere verso il
fallimento il suo diritto ereditario non già su singoli
beni, ma su un patrimonio comprendente beni immobili e beni
mobili per una quota pari al 50%", sicché, se per i beni
immobili "la sua pretesa è comunque sempre garantita dalla
trascrizione della domanda", per i mobili invece la presenza
in, lite del fallimento corrisponderebbe a un sicuro interesse
della reclamante in funzione della "applicabilità, quanto
meno, degli artt. 2919 e 11 C.C.". 2. L'esame dei tre motivi
del ricorso, che pongono in discussione la legittimità del
decreto della Corte d'appello di Venezia pronunciato su
reclamo di M.F. contro il decreto di chiusura del fallimento
della società in n.c. "Caseificio F. di F.B. e C.", postula
la preventiva verifica (cui il giudice di legittimità è
tenuto d'ufficio) della legittimazione della stessa F. a
promuovere il procedimento contenzioso previsto dall'art.
119, comma 2, legge fallimentare (a introdurre, cioè, l'episodio
giurisdizionale). Ebbene, ritiene il collegio che tale verifica
conduca ad esito negativo e che perciò, in applicazione
analogica del disposto di cui all'art. 382, comma 2, seconda
ipotesi, c.p.c., il decreto impugnato debba essere cassato
senza rinvio, perché il reclamo (la "causa") non poteva
essere proposto da M.F.. 3. È principio fermo nella giurisprudenza
di legittimità (per tutte, Cass. 9506/1994) che in presenza
di una delle ipotesi previste dall'art. 118 l.f. nessuna
facoltà discrezionale sia data agli organi fallimentari
di protrarre la procedura e di differirne la chiusura, sicché
la cognizione rimessa alla corte d'appello in sede di reclamo
(ex art. 119, comma 2, l.f.) è limitata alla verifica della
sussistenza di uno dei "casi di chiusura" previsti da 1)
a 4) dall'art. 118 l.f. e il reclamo di chiusura "è dato
per porre in discussione - appunto - la ricorrenza in concreto
contro il "decreto dello specifico "caso", rispetto al quale
deve pure valutarsi la legittimazione - e l'interesse -
alla speciale impugnazione. Con riferimento al "caso di
chiusura" di cui al n. 3) dell'art. 118 l.f. - incontestabilmente
sussistente nella specie - la legittimazione al reclamo
(che necessariamente si fonda sulla prospettiva di acquisizione
di ulteriori elementi di attivo, pur in dipendenza dall'esito
favorevole di cause pendenti o che possono essere promosse)
non può riconoscersi, oltre al fallito, che ai creditori
ammessi al passivo che potrebbero beneficiare di un ulteriore
riparto, non costituendo ostacolo alla "chiusura" la pendenza
di giudizi di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione
tardiva di credito. 4. La Corte d'appello di Venezia ha
implicitamente riconosciuto la legittimazione a proporre
reclamo ex art. 119 l.f. al terzo M.F. (che aveva promosso
nei confronti del fallimento l'azione di petizione dell'eredità,
rivendicando la proprietà della quota pari alla metà del
complesso dei beni immobili e mobili acquisito alla massa
e pervenuto alle fallite - allora in bonis - per successione
legittima dal padre) e ha rigettato il reclamo stesso, previa
"delibazione in via incidentale" del merito della controversia
e del fondamento della pretesa in essa fatta valere dalla
F., pervenendo alla conclusione, quanto ai beni immobili
in particolare, che quella pretesa nessuna incidenza avrebbe
potuto conseguire nella procedura concorsuale in ragione
del disposto dell'art. 2915, comma 2, C.C. - dovendo equipararsi
al pignoramento la dichiarazione di fallimento quanto gli
effetti di inopponibilità degli atti e delle domande trascritte
successivamente. Cosí decidendo, la Corte d'appello è per
certo uscita dai limiti della cognizione ed essa rimessa
dall'art. 119, comma 2, l.f. e cioè il controllo, in sede
di reclamo, della ricorrenza delle condizioni poste dall'art.
118 l.f. alla "chiusura del fallimento" - , per non aver
considerato il difetto di legittimazione di M.F., priva
della qualifica di creditore ammesso al passivo, che non
poneva in contestazione la sussistenza in concreto del "caso"
di cui al n. 3 dell'art. 118 l.f., ma faceva valere come
ostacolo alla "chiusura", in contrasto con l'automatismo
al quale è informata la disciplina dell'epilogo della procedura,
la pendenza della controversia da essa promossa (secondo
le norme ordinarie di competenza ex art. 24, ultima ipotesi,
l.f., e relativa a beni oggetto della esaurita liquidazione,
il cui ricavo era stato infine integralmente ripartito tra
i creditori). 5. Decidendo dunque sul ricorso proposto da
M.F., rileva il collegio che essa non era legittimata a
proporre reclamo ex art. 119 l.f. contro il decreto di chiusura
del fallimento della società in n.c. "Caseificio F. di F.B.
c.c." e perciò, in applicazione analogica dell'art. 382,
comma 3, c.p.c., cassa senza rinvio il decreto della Corte
d'appello di Venezia che ha rigettato nel merito il reclamo.
Poiché il fallimento intimato non si è costituito in questa
fase, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M. La Corte, decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio
il decreto impugnato. Roma, 28 settembre 2000.