Corte
di cassazione (Sez. I civ.), sentenza 27 febbraio 2001,
n. 2830
FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI - Stato di insolvenza
- Va desunto dalla sussistenza o meno della capacità
o meno dell'impresa in crisi di fronteggiare con mezzi ordinari
le obbligazioni assunte
Lo
stato d'insolvenza di un'impresa, ai fini della dichiarazione
di fallimento, va desunto, piú che dal rapporto tra
attività e passività, dalla possibilità
dell'impresa di continuare a operare proficuamente sul mercato,
fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni
Di questo principio, ripetutamente affermato dai giudici
di legittimità, aveva fatto applicazione la corte
d'appello di Roma, nel revocare la dichiarazione di fallimento
nei confronti di un'impresa, giudicata capace dalla stessa
corte territoriale di fronteggiare con mezzi ordinari le
passività. In particolare la sentenza, che i giudici
di legittimità hanno confermato, aveva considerato
non eccessivo lo scarto tra partite passive e attive, desumendo
le prospettive di risanamento dell'impresa medesima dall'
estinzione di numerose passività durante l'istruzione
prefallimentare, tanto che era rimasto un solo debito consistente,
nei confronti dell'Inps.
Il
credito dell'ente previdenziale era rilevante e, tuttavia,
la corte d'appello aveva argomentato l'assenza del dissesto
dell'impresa debitrice soprattutto dal fatto che l'INPS
avesse riscosso un acconto di circa trecento milioni e non
avesse avviato procedure esecutive.
Corte
di cassazione (sez. I - Civile), sentenza 27 febbraio 2001,
n. 2830 [La massima] REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO LA CORTE SUPREMA DICASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri magistrati: Dott. Pellegrino
SENOFONTE, Presidente Dott. Giovanni LOSAVIO, consigliere
Dott. Giovanni VERUCCI, Consigliere Dott. Donato PLENTEDA,
Rel. Consigliere Dott. Walter CELENTANO, Consigliere ha
pronunciato la seguente SENTENZA N. 2830 DEP. IL 27.02.2001
sul ricorso proposto da: FALLIMENTO DITTA V. di P.E., in
persona del Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA NOVENIO BUCCHI 7, presso l'avvocato CANNIZZARO FRANCO,
che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato SANSONE
EDUARDO, giusta delega in calce al ricorso; ricorrente contro
B.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA LARGO RUSSELL
6, presso l'avvocato GIUSEPPE PETILLO, che la rappresenta
e difende, giusta procura in calce al ricorso notificato;
controricorrente contro P.E., AUROS ELEVATOR Sr1, INPS;
intimati e sul 2° ricorso n° 13283/99 proposto da: ISTITUTO
NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'istituto
medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, FONZO FABIO e CORRERA FABRIZIO, giusta procura
in calce al controricorso e ricorso incidentale; controricorrente
e ricorrente incidentale contro G.B.A., elettivamente domiciliata
in ROMA LARGO RUSSELL 6, presso l'avvocato GIUSEPPE PETILLO,
che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al
ricorso notificato; controricorrente contro FALLIMENTO DITTA
V. di P. E., P.E., A.E. Srl; intimati e sul 3° ricorso n°
15176/99 proposto da: P.E., elettivamente domiciliato in
ROMA VIALE DELLE MILIZIE 9, presso l'avvocato CARLO MARIO
D'ACUNTI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato
ALBERTO AMATUCCI, giusta delega a margine del controricorso
e ricorso incidentale; controricorrente e ricorrente incidentale
contro ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale
dell'istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati
CORETTI ANTONIETTA, FONZO FABIO e CORRERA FABRIZIO, giusta
procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
controricorrente al ricorso incidentale contro B.G.A., elettivamente
domiciliata in ROMA LARGO RUSSELL 6, presso l'avvocato GIUSEPPE
PETILLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in
calce al ricorso notificato; controricorrente contro FALLIMENTO
DITTA V. DI P.E., AUROS ELEVATOR Srl; intimati e sul 4°
ricorso n° 15607/99, proposto da: P.E. elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 9, presso l'avvocato CARLO MARIO
D'ACUNTI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato
ALBERTO AMATUCCI, giusta delega a margine del controricorso
e ricorso incidentale; controricorrente e ricorrente incidentale
contro INPS, FALLIMENTO DITTA V. P.E., A.E. Srl, G.B.A.;
intimati avverso la sentenza n. 1197/99 della Corte d'Appello
di ROMA, depositata il 19.04.99; udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 24.10.2000 dal Consigliere
Dott. Donato PLENTEDA; uditi per i ricorrenti, gli Avvocati
Sansone e Cannizzaro, che hanno chiesto l'accoglimento del
proprio ricorso; udito per il resistente e ricorrente incidentale,
P., gli Avvocati Amatucci e D'Acunti, che hanno chiesto
il rigetto dei ricorsi del Fallimento V. e dell'INPS e per
l'accoglimento dei propri ricorsi; udito il P.M. .in persona
del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che
ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine per il
rigetto di tutti i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con
sentenza. 21.5.1997 il Tribunale di Roma rigettò la opposizione
proposta da P. E. avverso la sentenza 18.4.1996 di quel
tribunale, che ne aveva dichiarato il fallimento, e dichiarò
inammissibile l'intervento di G.B.A., inteso a conseguire
la risoluzione del contratto preliminare stipulato con il
fallito, per l'acquisto di un immobile, e la sua condanna
alla restituzione di quanto riscosso e al risarcimento del
danno. Il P. appellò la decisione convenendo in giudizio
il fallimento, i creditori istanti tra cui l'Inps e la soc.
A.E. s.r.l.s, sostenendo che non gli era stato notificato
il ricorso per fallimento dell'Inps, negando la sussistenza
dello stato di insolvenza, ribadendo la richiesta già formulata
in primo grado di risarcimento dei danni nei confronti dell'Istituto
previdenziale e della società A. e infine contestando la
compensazione disposta dal tribunale delle spese processuali
nei confronti della G.. Il fallimento rimase contumace,
mentre i due creditori istanti chiesero il rigetto dell'appello
e la declaratoria di inammissibilità della domanda di risarcimento,
perché nuova, deduzione formulata, per mancata specificazione
dei motivi, anche dalla G., che chiese in via incidentale
che fosse dichiarato ammissibile il proprio intervento,
con condanna del P. al pagamento delle spese processuali
o, subordinatamente, con compensazione delle stesse. La
Corte di appello di Roma, con sentenza 12.2.1999 ha dichiarato
inammissibile l'appello nei confronti della G., mentre ha
accolto quello proposto nei riguardi del fallimento, dell'Inps
e della soc. A., revocando la dichiarazione di fallimento;
ha respinto la domanda di risarcimento danni del P. nei
confronti dei creditori istanti e ha condannato il fallimento
al pagamento in favore del fallito delle spese processuali
compensando interamente quelle tra lui, l'Inps, la soc.
A. e G.. Ha ritenuto la corte territoriale che al fallito
fosse stato regolarmente notificato il ricorso per fallimento
dell'Inps, ma ha escluso la sussistenza dello stato di insolvenza,
avendo verificato che il credito rilevante residuo era solo
quello vantato dall'Istituto previdenziale, per circa tre
miliardi, che però non era stato azionato esecutivamente
in via preventiva, mentre gran parte della: debitoria era
stata eliminata nel corso del procedimento prefallimentare,
tanto che erano rimasti insoddisfatti solo l'Inps e la soc.
A.; sicchè la situazione economico - finanziaria del P.
consentiva una sicura ripresa, tanto più per la presenza
di ben tre cantieri in corso. Ha tuttavia escluso il giudice
di merito la responsabilità dei creditori istanti, considerati
la obiettiva esistenza del loro credito e l'inadempimento
del debitore, ancor più verso l'A., nei cui confronti non
era stata proposta una specifica domanda di risarcimento,
ma una semplice generica doglianza. Ha poi il giudice di
appello dichiarato inammissibile l'impugnazione del P.,
riferita al regolamento delle spese processuali di primo
grado tra lui e la G., in difetto di conclusioni a riguardo,
mentre ha respinto l'appello incidentale di quest'ultima,
ribadendo quanto già rilevato dal giudice di merito e cioè
che la partecipazione al giudizio di opposizione a sentenza
dichiarativa di fallimento è consentita solo a soggetti
interessati al mantenimento del fallimento o alla pronunzia
opposta, con impossibilità di proporre domande autonome.
Ha proposto ricorso per cassazione il fallimento, notificato
a P.E., alla SOC. A., all'Inps e a G.B.A., con tre motivi
resistiti dal P. che ha anche proposto ricorso incidentale,
con unico motivo, nei confronti dell'Inps; dalla G, che
ha chiesto che sia dichiarato il giudicato della sentenza
della corte di merito sul punto che la riguarda; e dall'Inps,
che ha proposto ricorso incidentale adesivo a quello del
fallimento, con un solo motivo, ed ha resistito anche al
ricorso incidentale di P.E.. Il curatore del fallimento
e quest'ultimo hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno riuniti, ricorrendo le condizioni previste
dall'art. 335 c.p.c.. Con il primo motivo del ricorso principale
il fallimento denunzia la omessa e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia e la violazione
e falsa applicazione degli artt. 5 L.F. e 115 e 116 c.p.c.,
assumendo che la corte di merito sia incorsa nel vizio di
abnorme travisamento nell'esame degli atti inseriti nel
fascicolo fallimentare traendo dati, circostanze e valutazioni
arbitrarie. Deduce che, contrariamente a quanto assume la
sentenza impugnata, le poste passive sono pari a L.17.700.889.066
e non a L.8.700.000.000 e quelle attive sono pari a L.3.141.307.325
e non a L.7.457.000.000. Nega che il patrimonio del fallito
fosse in grado di consentire, attraverso le procedure esecutive,
qualche realizzo, essendo pendenti numerosi pignoramenti
da parte di istituti bancari, con crediti privilegiati che
avrebbero frustrato iniziative similari di altri creditori;
come pure contesta l'affermazione contenuta nella predetta
decisione, secondo cui la potenzialità gestionale e produttiva
dell'impresa, articolata su tre cantieri, escludesse lo
stato di insolvenza, essendo il contrario invece provato
dal fatto che l'impresa era totalmente priva di dipendenti,
tanto che sistematicamente si era avvalsa di subappalti;
deduce che l'unico cantiere operativo aveva eseguito lavori
per L. 3.356.000.000, con tutti gli alloggi venduti ed il
prezzo incassato e con la ditta subappaltatrice creditrice
di oltre 1.800 milioni, mentre gran parte degli appartamenti
da realizzare negli altri cantieri era stata promessa in
vendita, con la riscossione di notevoli anticipi da parte
del P.; che le liquidità della fallita superavano di poco,
tra contanti, assegni bancari di terzi e cambiali, 56 milioni.
Quanto alla supposta vitalità della struttura produttiva,
appalesata dalla cessione di un ramo di azienda a terzi,
e precisamente da uno dei tre cantieri, quello in fase avanzata,
gioverebbe ad escluderla la circostanza che la cessione
fosse avvenuta, al netto delle passività, nei confronti
della impresa subappaltatrice, sicchè nessun valore attivo
avrebbe espresso ove la cessionaria avesse dovuto pagare
quelle passività. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia,
ancora, la violazione e falsa applicazione degli artt. 5
L.F. e 115 - 116 c.p.c., censurando l'assunto che il venir
meno dello stato di insolvenza era appalesato dal fatto
che nel corso della fase prefallimentare l'impresa avesse
pagato varie passività, lasciando insoluti solo i crediti
dell'Inps - che peraltro avevano subito decurtazioni dell'ordine
di 300 milioni - e della A.E. Osserva, infatti, il curatore
del fallimento che l'unicità dell'inadempimento - peraltro
così rilevante come quello verso l'Inps - contraddice la
sottostante capacità patrimoniale, una volta che il soddisfacimento
degli altri creditori sia stato reso possibile dal sacrificio
imposto a chi è rimasto incapiente. Con il terzo è denunziata,
infine, la omessa motivazione su un punto decisivo della
controversia, in relazione alle norme fallimentari e processuali
di cui ai precedenti motivi, e si deduce che la corte territoriale,
non dando rilievo alle numerose esecuzioni immobiliari pendenti
ad istanza del ceto bancario, abbia trascurato di considerare
la totale carenza di credito dell'impresa fallita, manifestazione
evidente dello stato di insolvenza. I motivi vanno trattati
unitariamente, in quanto riflettono la circostanza del mancato
accertamento dello stato di insolvenza di P.E., prospettato
attraverso presunte violazioni di legge e vizi di motivazione
e riferito alle effettive passività dell'impresa fallita,
in luogo di quelle ritenute dalla decisione impugnata; alla
inidoneità del suo patrimonio a soddisfare le pretese creditorie;
alla assenza di potenzialità gestionali dell'azienda, alla
scarsa consistenza delle liquidità; alla elevata misura
del debito verso l'Inps, rimasto inadempiuto e capace da
sé solo di rappresentare la insolenza predetta; alla mancata
rilevazione delle numerose esecuzioni immobiliari fà :pendenti
ad istanza di banche, che avrebbero evidenziato ulteriormente
lo stato di dissesto, per la totale carenza di credito della
fallita. La censura è palesemente inammissibile, in quanto
sollecita valutazioni di merito non consentite in sede di
legittimità, esse involgendo apprezzamenti di fatto, riproposti
attraverso la deduzione di vizi motivazionali, i quali possono
configurarsi solo quando vi sia carenza di elementi nello
sviluppo logico del provvedimento, che non consenta la identificazione
del criterio posto a base della decisione, ovvero in caso
di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico - giuridiche
addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile
la ratio decidendi (Cass. 3615/1999, 6189/1995; 6868/1994),
ma non anche quando vi sia difformità tra il significato
ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi
delibati e le attese e deduzioni della parte a riguardo.
La corte territoriale ha ritenuto di non ravvisare la incapacità
dell'impresa di fronteggiare con mezzi ordinari le passività,
considerandole globalmente e comparandole con le attività,
e così pervenendo ad un giudizio positivo in ordine alla
possibilità; di superamento della crisi, tale da escludere
l'irreversibile dissesto, ed ha fornito le ragioni della
decisione, adottata con una motivazione analitica e congrua,
sul piano logico - giuridico, a sorreggere le conclusioni
raggiunte. Sfugge, pertanto, al sindacato di legittimità
il riesame delle circostanze di fatto, in ordine alla entità
del passivo e al criterio di quantificazione dell'attivo,
misurate l'una e l'altra con criteri valutativi diversi
da quelli della sentenza impugnata, giacchè la deduzione
di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di
legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento,
assumere e valutare le prove, controllarne l'attendibilità
e la concludenza a scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare
la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 9314/1997;
3782/1997). Il giudice di appello, dopo avere correttamente
premesso che lo stato di insolvenza per la dichiarazione
di fallito va desunto, più che dal rapporto tra attività
e passività, dalla possibilità dell'impresa di continuare
ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con
mezzi ordinari le obbligazioni, facendo cosi corretta applicazione
dei principi di diritto ripetutamente enunciati da questa
corte, in riferimento all'art. 5 L.F., di cui il ricorrente
denunzia la violazione (Cass. 5736/1993; 795/1989; 1980/1985),
ha considerato non eccessivo lo scarto tra partite passive
ed attive ed ha soprattutto desunto la capacità dell'impresa
di risanarsi dalla estinzione di numerose passività durante
la istruzione prefallimentare, tanto che era rimasto un
solo debito consistente, nei confronti dell'Inps, considerando
che quello verso l'altro creditore ricorrente per fallimento,
la società A.E., era insignificante. E sebbene il credito
dell'ente previdenziale fosse rilevante, ha argomentato
l'assenza del dissesto, tra l'altro, dal fatto che l'Inps
avesse riscosso un acconto di circa trecento milioni e non
avesse avviato procedure esecutive, mentre la presenza di
tre cantieri rivelavano la vitalità dell'azienda e la sua
capacità di far fronte alle passività, in ragione delle
sue potenzialità produttive, idonee a superare la situazione
di difficoltà, giudicata pertanto transitoria. Dinanzi a
tali valutazioni; l'assunto che la corte di merito sia incorsa
in un travisamento dei fatti di causa è di per sé sufficiente
a svalutare il motivo di censura, non essendo quel supposto
vizio denunziabile in sede di legittimità; come inammissibile
resta la prospettazione di passività maggiori e di attività
minori, rispetto a quelle considerate dalla sentenza impugnata,
ovvero la impossibilità di agire esecutivamente pendendo
numerosi pignoramenti di istituti bancari, o ancora il rilievo
in ordine alla scarza potenzialità dei cantieri e alla irrisorietà
delle liquidità, impingendo tutti su fatti e valutazioni,
il cui riesame non è consentito, come si è detto, al giudice
di legittimità. Alla inammissibilità del ricorso principale
segue quella del ricorso incidentale, adesivo, dell'Inps,
con il quale sono stati denunziati la violazione e falsa
applicazione dell'art. 5 L.F. e il vizio di motivazione
della sentenza impugnata, con gli stessi argomenti dedotti
dal curatore del fallimento. Ma inammissibile è anche il
ricorso incidentale di P.E., che lamenta omissioni e contraddittorietà
di motivazione della sentenza di appello, laddove essa ha
escluso la responsabilità processuale aggravata dei creditori
istanti, e più specificamente dell'Inps, nell'avere richiesto
il suo fallimento; e denunzia la falsa applicazione di norme
di legge, non meglio specificate, addebitando alla corte
di merito di avere prima censurato la condotta dell'Inps,
per il fatto che non aveva promosso anteriormente al ricorso
per fallimento azioni esecutive, e poi dichiarato che non
sussiste la sua responsabilità per colpa, solo perché il
credito esisteva e pacifico ne era l'inadempimento, circostanze
che non confliggerebbero con la colpa grave. Ha considerato
il giudice di merito che la esistenza del credito previdenziale
escludesse la applicabilità dell'art. 96 c.p.c. e, rilevando
che la colpa deve essere grave, non ha ritenuto che fosse
rinvenibile nella condotta dell'ente ricorrente. Tale motivazione
si appalesa congrua alle conclusioni raggiunte poiché se
la esistenza del credito e la sua esigibilità giovano ad
escludere la ipotesi di responsabilità prevista dall'art.
96 cpv c.p.c., la rilevanza di esso giustifica la proposizione
del ricorso, essendo quel debito idoneo in astratto a prospettare
uno stato di insolvenza del debitore inadempiente e comunque
ad escludere la colpa grave di chi aveva attivato la procedura
per la apertura del fallimento. Né costituisce elemento
di contraddizione il fatto che la corte abbia apprezzato
il mancato esercizio di procedure esecutive da parte dell'INPS
come dato utile ad escludere - insieme ad altri - lo stato
di insolvenza, esso operando sul piano distinto della infondatezza
della domanda e non su quello della sua temerarietà, cui
neanche giova l'assunto della mancata esplicitazione dell'acconto
di L. 300.000.000, non avendo il giudice di merito - cui
è in via esclusiva demandato l'accertamento della temerarietà
(Cass. 2475/1995; 126/1992), incensurabile in sede di legittimità
- ritenuto di assegnare a quella circostanza, pure apprezzata
nella generale valutazione della insolvenza, valenza significativa
ai fini .della gravità ,della colpa di cui trattasi; il
cui opere probatorio incombeva al P. che l'aveva invocata.
Quanto alle richieste di G.B.A. - che non ha proposto mezzi
di gravame dirette alla declaratoria del giudicato sul punto
della decisione del giudice di appello, che ha dichiarato
inammissibile la impugnazione che aveva proposto nei suoi
confronti P.E., la circostanza che esso sia estraneo alla
materia del contendere, una volta rimasto escluso dalle
censure dei ricorrenti, principale e incidentali, rende
la richiesta improponibile. Le spese del giudizio possono
compensarsi, sussistendo giusti motivi. P.Q.M. La Corte
riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili; compensa
le spese processuali. Roma 24.10.2000