Corte
di Cassazione, Sezioni Unite, 14 maggio 2001, n. 202, Esercizio
del diritto di prelazione derivante da c.d. pegno irregolare
La
Suprema Corte, pronunciandosi sul contrasto delineatosi
tra due decisioni della prima sezione (Cass. 24 gennaio
1997, n. 745 e Cass. 28 agosto 1997, n. 8164), ha statuito
che, nell'ambito del fallimento, il creditore pignoratizio,
il cui credito sia garantito da una somma di denaro - c.d.
pegno irregolare - non necessita della previa ammissione
al passivo per realizzare il proprio diritto di prelazione,
avendo egli acquistato la proprietà della somma nel
momento stesso in cui sia entrata a far parte del suo patrimonio.
Cassazione
- Sezioni unite civili - 14 maggio 2001, n. 202 - Pres.
Vela - Rel. Morelli - PM Maccarone (conf.) - Globo Compagnia
di assicurazione e riassicurazione S.p.a. in Lca c. Uci
(Ufficio centrale italiano Scarl) Svolgimento del processo
La Globo Compagnia di assicurazione e riassicurazione Spa
con atti in data 16 marzo 1976 e 21 luglio 1980 depositava
presso il Banco di Roma contanti per 113 milioni di lire
e titoli per un valore nominale di 117 milioni di lire sul
conto corrente intestato all'Ufficio centrale italiano società
consortile a rl (di seguito Uci) a garanzia del rimborso
dell'ammontare degli indennizzi che questo avrebbe pagato
all'estero per sinistri occorsi ad assicurati della società
assicuratrice. Quest'ultima, con Dm 22 giugno 1983, veniva
posta in liquidazione coatta amministrativa e il commissario
liquidatore richiedeva all'Uci la restituzione delle somme
depositate a garanzia oltre gli interessi. L'Uci accreditava
alla procedura la somma di 255 milioni 208mila 701 lire
per capitale e interessi maturati alla data predetta, trattenendo
la differenza di 27 milioni 289mila 114 lire quale complessivo
ammontare degli indennizzi pagati ai danneggiati per conto
della compagnia di assicurazione dopo l'inizio della procedura
concorsuale. Quanto sopra premesso, il Commissario liquidatore
della Globo Spa convenne in giudizio davanti al tribunale
di Milano l'Uci chiedendone la condanna al pagamento della
differenza tra la somma a suo tempo depositata a garanzia,
maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi
dal 22 giugno 1983 (o in subordine dal 5 ottobre 1983),
e l'importo di 227 milioni 910mila 587 lire già versato
il 21 ottobre 1987. Costituendosi in giudizio, l'Uci eccepiva
che il deposito a suo tempo effettuato dalla Globo a garanzia
del rimborso delle spese pagate per conto di essa compagnia,
in quanto costituito da denaro contante e titoli non individuati,
configurava un pegno irregolare e che il credito di regresso
per il pagamento dei sinistri verificatisi all'estero si
era pareggiato contabilmente in modo automatico con il debito
di restituzione di denaro e titoli, divenuti - l'uno e gli
altri - di sua proprietà. O, in subordine, che tra i due
crediti si era operata la compensazione in base all'articolo
56 legge fallimentare. Contestava il credito vantato dalla
Globo in Lca per rivalutazione e interessi anzitutto perché
prescritto e secondariamente perché il ritardo nella restituzione
era dipeso dalla necessità di verificare il numero, l'entità
economica, la definizione o meno di tutti i sinistri provocati
all'estero dagli assicurati della società predetta Globo,
venutasi a trovare in stato di disordine contabile, gestionale
ed amministrativo. Con sentenza 3 dicembre 1997, il tribunale
condannava l'Uci a restituire alla Globo in Lca la somma
di 27 milioni 289mila 144 lire oltre interessi e maggior
danno, in misura omnicomprensiva del 10 per cento annuo
dal 21 ottobre 1987 al 15 dicembre 1990 ed oltre interessi
legali al tasso del 10 per cento annuo dal 16 dicembre 1990
al saldo; condannava, inoltre, l'Uci a pagare alla Globo
in Lca il maggior danno sulla somma di 210 milioni di lire
in misura del 5 per cento annuo dal 5 ottobre 1983 al 21
ottobre 1987. Pur ravvisando nel deposito a garanzia costituito
dalla Globo la fattispecie del pegno irregolare, il tribunale
riteneva che la convenuta aveva fatto valere un'eccezione
di compensazione in senso tecnico come tale infondata ai
sensi degli articoli 56 e 201 legge fall. in quanto relativa
a un credito (di rivalsa) sorto dopo l'apertura della procedura
concorsuale. Affermava, poi, il primo giudice che il ritardo
nell'adempimento dell'obbligo di restituzione era imputabile
alla convenuta, previamente disattendendo l'eccezione di
prescrizione del credito vantato dell'attrice per il maggior
danno ex articolo 1224 Cc. Contro tale sentenza proponevano
appello in via principale l'Uci, e, in via incidentale,
la Globo in Lca. Con sentenza resa il 3 giugno 1997, la
Corte d'appello di Milano, in accoglimento dell'appello
principale, e disatteso l'appello incidentale, rigettava
entrambe le domande proposte dall'attrice. Secondo il giudice
d'appello: a) nel pegno irregolare, disciplinato dall'articolo
1851 Cc con una norma applicabile analogicamente anche a
rapporti diversi dall'anticipazione bancaria, le somme di
denaro o i titoli, considerati quali beni fungibili, diventano
di proprietà del creditore cui sono stati consegnati ed
il soddisfacimento di quest'ultimo avviene non mediante
la vendita o l'assegnazione, che presuppone l'altruità delle
cose ricevute in pegno, ma con un pareggio contabile delle
contrapposte partite di dare e avere, non precluso dall'articolo
53 l.fall. - che per la realizzabilità del credito pignoratizio,
richiede la preventiva ammissione al passivo fallimentare
-, in quanto applicabile solo al pegno regolare; b) nel
caso in esame, l'Uci non aveva eccepito una compensazione
in senso tecnico, ma aveva solo pareggiato contabilmente
contrapposte ragioni di dare e avere inerenti a rapporti
connessi, essendo l'uno accessorio rispetto all'altro; c)
era comunque, infondata anche la pretesa dell'attore di
addebitare al convenuto il ritardo nella restituzione della
parte residua della somma oggetto di pegno, perché il pegno
irregolare conserva la sua funzione di garanzia sino al
momento in cui non risultino liquidate tutte le obbligazioni
garantite; sicché la liquidazione del rapporto principale
è condizione di esigibilità del credito di restituzione
delle somme oggetto del pegno, e incombe, quindi, all'attore
in restituzione l'onere della prova, mentre nel caso in
esame il commissario liquidatore della Globo non aveva provato
che all'epoca della richiesta di restituzione fossero già
individuati e definiti tutti i sinistri indennizzati dall'Uci
per conto della società assicuratrice. Avverso questa decisione
la Globo in Lca ha proposto ricorso per cassazione affidato
a due motivi, cui resiste con controricorso l'Uci. Con ordinanza
1° settembre 1999 della Sezione I civile, la causa è stata
rimessa al Primo presidente che ne ha disposto l'assegnazione
alle sezioni unite sulla questione, oggetto di opposte soluzioni
nelle sentenze 745 e 8164/97 della medesima sezione semplice,
"se nel pegno irregolare l'esercizio della prelazione sia,
o non, condizionato alla previa ammissione al passivo fallimentare
del credito garantito" ai sensi degli articoli 52 e 53 Lf.
L'Uci ha anche depositato memoria. Motivi della decisione
1. Con i due motivi, di cui si compone la impugnazione,
la "Globo" ha, rispettivamente, denunciato: a) violazione
dell'articolo 53, in relazione agli articoli 52, 56 Lf,
sul rilievo che la Corte di merito avrebbe erroneamente
escluso la necessità della preventiva ammissione al passivo
per la realizzabilità in sede concorsuale anche del credito
garantito da pegno irregolare, ai sensi del citato articolo
53 Lf; b) ulteriore violazione degli articoli 1218, 2697
Cc, quanto alla (seconda la ricorrente) a torto esclusa
risarcibilità del maggior danno conseguente al ritardo con
cui l'Uci aveva estinto il proprio debito di restituzione
della "parte residua dei beni ricevuti in pegno". 2. In
relazione alla questione sottesa al primo mezzo impugnatorio
- se sia, o non, applicabile anche al pegno irregolare,
l'articolo 53 Lf nella parte in cui richiede la previa ammissione
al passivo del credito pignoratizio per la sua realizzazione
anche durante la procedura concorsuale - la causa è stata,
come detto, rimessa all'esame di questo Collegio per composizione
di contrasto di giurisprudenza. 3. Il denunciato contrasto
effettivamente sussiste perché il riferito quesito interpretativo
dell'articolo 53 Lf, e disposizioni collegate, in parte
qua, ha formato oggetto di contrastanti (anzi radicalmente
opposte) soluzioni - in senso, rispettivamente, negativo
ed affermativo - da parte di due, quasi, coeve, sentenze,
745 e 8164 del 1997, della medesima sezione I civile. 3.1.
La prima di dette sentenze (745/97) - premesso che, contrariamente
alla fattispecie del pegno regolare, in cui il creditore
di regola non può disporre dei beni senza il consenso del
costituente (articolo 2792 Cc), nell'ipotesi, invece, del
pegno irregolare le somme di denaro od i titoli depositati
presso il creditore, costituendo beni fungibili, diventano
di proprietà dello stesso creditore per effetto della confusione
nel suo patrimonio delle cose consegnategli - ne ha desunto,
appunto, che l'esercizio della prelazione non postuli, in
tal caso, la previa ammissione al passivo ai sensi del citato
articolo 53 Lf. Ed a conforto di tale soluzione ha argomentato
che: "l'equiparazione tra pegno regolare e pegno irregolare,
ai fini dell'applicabilità anche al secondo dell'articolo
53 Lf, non può automaticamente discendere dalla funzione
di garanzia che entrambe le figure svolgono"; - "se anche
in presenza del fallimento del debitore concedente il pegno
irregolare deve poter realizzare l'effetto che gli è proprio,
permettendo al creditore pignoratizio di soddisfarsi sulla
cosa al di fuori del concorso, non si vede la ragione per
cui quel creditore avrebbe l'onere di far accertare il proprio
credito secondo le regole del capo V Lf, aventi lo scopo
di verificare il diritto al concorso"; - il meccanismo di
"autorizzazione alla vendita" delle cose pignorate previsto
dal menzionato articolo 53, comma 2, Lf per la "realizzazione"
dei "crediti garantiti da pegno" non risulta applicabile
quando la cosa sia già di proprietà del creditore come nel
caso del pegno irregolare; - avvenendo, viceversa, nel pegno
irregolare, la realizzazione della prelazione attraverso
una "operazione contabile" (più che attraverso una "compensazione
anomala") comportante, in ogni caso l'estinzione del credito,
per la parte corrispondente al debito di restituzione del
tantundem facente carico allo stesso creditore, non è configurabile
conseguentemente "l'onere della preventiva ammissione al
passivo fallimentare di un credito già estinto". 3.2. La
successiva sentenza 8164/97, ha affermato, invece, l'opposto
principio della necessaria previa ammissione al passivo
ex articolo 53 Lf per la realizzazione del credito garantito
da pegno anche irregolare. Ed a tale conclusione è pervenuta
sulla base delle seguenti divergenti argomentazioni: - "è
ben vero che i commi 2° e 3° di detta norma contengono una
disciplina che non può che avere ad oggetto che cosa rimasta
in proprietà del debitore (e quindi acquisita al fallimento),
ciò che avviene solo nel pegno regolare, ma detti commi
disciplinano unicamente le modalità dell'esercizio della
prelazione", mentre il precedente comma primo, che disciplina
l'ammissibilità di tale esercizio, nel porre la condizione
della previa ammissione del credito al passivo, avrebbe
"portata generale e indiscriminata come tali applicabili
ad ogni tipo di pegno; - .... connotati che differenziano
il pegno irregolare da quello regolare sarebbero "non idonei
a giustificare la non necessità della applicazione al pegno
irregolare della previa ammissione al passivo" del credito
così garantito; - "l'articolo 52 Lf, disponendo che ogni
credito anche se munito di prelazione deve essere accertato,
porrebbe il "canone fondamentale della verifica di tutti
i crediti a garanzia della par condicio creditorum". 4.
Ritiene il Collegio, valutate tali opposte prospettazioni
e le rispettive argomentazioni, che debba condividersi la
prima di esse (conducente ad escludere la necessità della
previa ammissione al passivo fallimentare). E ciò sia in
considerazione della suitas del pegno irregolare, sia sulla
base di una corretta interpretazione dell'articolo 53, e
disposizioni collegate Lf; avuto, per altro, anche riguardo
alla natura processuale della Lf che non può, con tale,
sovvertire il contenuto effettuale di istituti sostanziali
che nella procedura, così regolata, vengono in rilievo.
4.1. Il "pegno irregolare", disciplinato dall'articolo 1851
Cc, in tema di anticipazione bancaria - ancorché (non ostante
tale sua separata e specifica collocazione) rispondente
(come pacifico in dottrina) ad uno schema negoziale di portata
generale ed accomunabile al pegno (cosiddetto regolare),
di cui ai successivi articoli 2784 ss, sia per il profilo
(strutturale) della "natura reale" del contratto (quanto
all'attrazione della datio rei nel suo momento perfezionativo),
sia per il profilo (funzionale) della condivisa "causa di
garanzia" - ha, però, una sua innegabile specificità di
contenuto effettuale. Poiché l'"effetto reale" che nel pegno
regolare si esaurisce nella creazione di uno ius in re aliena
opponibile erga omnes, nel pegno irregolare assume, invece,
la ben maggior valenza e latitudine di un vero e proprio
trasferimento di proprietà delle cose attribuite in garanzia
(la cui "causa" inizialmente ricondotta ad una sorta di
dazione in pagamento risolutivamente condizionata è ora
più coerentemente ricollegata alla stessa funzione di garanzia,
una volta riconosciutale dalla dottrina l'idoneità a giustificare
una attribuzione in proprietà non meno delle tradizionali
causae venditionis e donationis). Mentre l'obbligazione
restitutoria, gravante sul creditore, che nel pegno regolare
ha ad oggetto la medesima res di cui quegli ha avuto temporaneamente
la detenzione, nel pegno irregolare si rivolge viceversa
al tantundem di quanto ricevuto in garanzia. Per cui può
dirsi acquisita la definizione del pegno irregolare come
quel contratto con cui il garante consegna e attribuisce
in proprietà al creditore denaro o beni aventi un prezzo
corrente di mercato, e per ciò reputati fungibili con il
denaro, dei quali l'accipiens deve restituire il tantundem
(solo) se e quando interviene l'adempimento della obbligazione
garantita; restringendosi altrimenti l'obbligazione restitutoria
alla eventuale eccedenza del valore dei beni trasferiti
in proprietà, rispetto al valore della prestazione garantita
rimasta inadempiuta. Mentre, quanto infine alle modalità
operative della garanzia (in caso di inadempimento del debitore),
concretantisi in una automatica estinzione (satisfattiva)
del credito garantito, con residuo obbligo del creditore
di restituire (al debitore garante) l'eventuale eccedenza,
le riserve di parte della dottrina in ordine ad una sua
configurazione nei termini (quali del resto suggeriti dallo
stesso articolo 1851 Cc) di un meccanismo compensativo -
riserve formulate sul presupposto che la "compensazione",
in senso tecnico, postuli una "autonomia" dei reciproci
rapporti, di debito e credito, non ravvisabile, nella specie,
e conducenti a spiegare alternativamente l'effetto estintivo
in ragione di una sorta di "operazione contabile" tra le
rispettive partite di dare e avere - possono considerarsi,
in realtà, ora superate. Con la recente sentenza 775/99
di queste sezioni unite, si è infatti chiarito e dimostrato
che vi è ostacolo alla compensazione soltanto nel caso in
cui le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano
tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne
escluda l'autonomia, perché - in tale ipotesi - se si ammettesse
la reciproca elisione delle obbligazioni si inciderebbe
sulla stessa efficacia del negozio, paralizzandone gli effetti;
mentre, quando le obbligazioni, ancorché aventi causa in
un unico rapporto negoziale o da rapporti collegati, non
siano però in posizione sinallagmatica - come nel caso,
appunto, del debito principale e del debito di restituzione
del tantundem del creditore assistito da pegno irregolare
(che restano autonomi ancorché collegati da un vincolo di
accessorietà) - non v'è ragione di escludere l'operatività
di un meccanismo propriamente compensativo. Nella compensazione
- in una compensazione, cioè, automatica, coessenziale allo
schema effettuale stesso del pegno irregolare - può così
individuarsi lo strumento tipico di realizzazione di siffatta
prelazione, sostitutivo del più complesso congegno satisfattivo
previsto per il pegno regolare (espropriazione - vendita
- soddisfacimento sul ricavato), che resta, nella specie,
scavalcato anche per ragioni di opportunità pratica (evidentemente
delibate e sottese alla opzione normativa) confliggenti
con una previsione di vendita, a fini satisfattivi del creditore
di quanto è, a tali effetti, già in sua proprietà. Cosicché
- come è stato sottolineato da attenta dottrina - il contratto
di pegno irregolare non tanto elimina il diritto a pretendere
l'adempimento, quanto esaurisce in limine l'interesse del
creditore a percorrere la via della esecuzione forzata,
essendo anticipato con lo strumento negoziale - su accordo,
quindi, con il debitore cui può riconoscersi un pari interesse
ad evitare gli aggravi di quella procedura - l'effetto finale
della tutela processuale (nel che poi risiede la meritevolezza
dell'assetto di interessi, basato sull'effetto traslativo
della proprietà della cosa data in garanzia, attuato con
lo schema negoziale generale del pegno regolare). 4.2. L'automatismo
di tutela, così predisposto, scatta, dunque, alla scadenza
della obbligazione principale, nel caso di suo inadempimento.
Ed ove anticipatamente si acquisisca la certezza della impossibilità
giuridica di tale adempimento in conseguenza di sopravvenuta
dichiarazione di fallimento del debitore (v. articolo 55,
comma 2, Lf) e a tal momento appunto che il pegno irregolare
produce il suo effetto, legato alla funzione di evitare
al creditore l'onere della procedura esecutiva, attraverso
il riferito meccanismo endogeno di compensazione, senza
neppure bisogno, quindi, di invocare la speciale compensazione
ex articolo 56 Lf. In questo contesto, l'ipotesi ermeneutica
che il creditore assistito da pegno irregolare, per realizzare
la prelazione, abbia l'onere di far accertare il proprio
credito con domanda di ammissione al passivo, ai sensi dell'articolo
53 Lf, urta inevitabilmente con lo spirito oltre che con
la lettura della norma stessa. Testualmente dispone infatti,
nei suoi tre commi, il citato articolo 53 (in parziale deroga
al divieto di azioni esecutive individuali, di cui al precedente
articolo 51) che: (comma 1°) "I crediti garantiti da pegno
o assistiti da privilegio" (sulla cosa detenuta dal creditore)
"a norma degli articoli 2756 e 2761 Cc possono essere realizzati
anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi
al passivo con prelazione". (comma 2°) "Per essere autorizzato
alla vendita il creditore fa istanza al giudice delegato,
il quale ... stabilisce con decreto...". (comma 3°) "Il
giudice delegato ... può anche autorizzare il curatore a
riprendere le cose sottoposte a pegno o privilegio, pagando
il creditore...". Orbene l'identità della "causa di garanzia",
che accomuna i due tipi di pegno, non autorizza ad estendere
al "pegno irregolare" la "riferita disposizione, che testualmente
menziona (solo) il pegno" (espressione usata nel capo III,
tit. II, libro VI Cc, articolo 2784 e ss., per individuare
il pegno cosiddetto regolare, su cosa che passa nella detenzione
del creditore, rimanendo in proprietà del debitore), stante
le già rilevate profonde differenze, di struttura, di contenuto
effettuale e disciplinatorie del pegno "irregolare" rispetto
al pegno "regolare": cui non a caso l'articolo 53 in esame
affianca, invece, la figura, ad esso omologa, del privilegio
possessuale. È innegabile, del resto, la riferibilità al
solo pegno regolare (ed a quel tipo di privilegi mobiliari)
dei meccanismi di realizzazione della prelazione descritti
nei commi 2° e 3° dell'articolo 53. Posto che - come ben
sottolineato nella sentenza 745/97 - "di autorizzazione
alla vendita" da parte del Gd si può parlare solo quando
la cosa data in pegno appartenga al patrimonio del concedente
fallito e non, come accade nell'ipotesi del pegno irregolare,
quando essa sia divenuta di proprietà del creditore; ed
analoga considerazione va fatta con riferimento all'autorizzazione
... di "riprendere" la cosa data in pegno.... Né a superare
tale dato ermeneutico può valere l'argomento, speso dalla
successiva sentenza 8164/97, che l'applicabilità del citato
articolo 53 anche al pegno irregolare si desuma non dai
suoi 2° e 3° comma - descrittivi delle "modalità" di realizzazione
della prelazione, effettivamente modulate con riguardo al
solo pegno regolare - bensì da precedente comma primo. Nel
quale, appunto, si conterrebbe la "regola generale" (valida,
quindi, anche per il pegno irregolare) relativa alla "ammissibilità"
della prelazione, solo previo accertamento del credito,
e della correlativa garanzia nella sede fallimentare: in
consonanza - come si assume - con il "canone fondamentale"
della verifica di tutti i crediti a garanzia della par condicio
creditorum, enunciato nel comma 2° del precedente articolo
52 ("Ogni credito, anche se munito di prelazione deve essere
accertato secondo le norme stabilite nel capo V..."). Un
tal rilievo si scontra, infatti, con la considerazione -
imposta dal chiaro dettato del comma primo dello stesso
articolo 52 ("Il fallimento, apre il concorso dei creditori
sul patrimonio del fallito") e dalla ratio complessiva del
sistema - che il richiamato "canone fondamentale" di verifica
nella sede fallimentare attiene appunto ai crediti (anche
"muniti di prelazione"), la cui realizzazione debba avvenire
attraverso il "concorso" sul "patrimonio del debitore".
Ma, per quanto sin qui detto, non è questa la situazione
del credito assistito da pegno irregolare che - per le descritte
sue peculiarità di funzione (evitare l'esecuzione forzata)
e di struttura operativa (basata sull'automatismo del risultato
compensativo) - si estingue satisfattivamente senza entrare
"in concorso" (e quindi senza che possa assimilarsi ai "crediti
concorsuali" e soggiacere alla correlativa disciplina);
e si realizza, per di più, non "sul patrimonio del fallito",
bensì sugli stessi beni già entrati - al momento della consegna
e per effetto della garanzia - nel patrimonio del creditore.
Per cui ciò che residua in capo al creditore, dopo la costituzione
del pegno irregolare in suo favore, in relazione ai beni
che ne formano oggetto, è non già un credito - come nel
caso, invece, del pegno regolare - da realizzare nelle forme
di cui all'articolo 53 Lf, bensì eventualmente un debito
de residuo. Dal che anche la non ravvisabilità di un interesse
del creditore a domandare l'ammissione al passivo (del suo
credito già così soddisfatto) essendo viceversa legittimato
il curatore ad agire nei di lui confronti per il recupero
di quanto risulti trasferitogli in eccedenza rispetto all'importo
del credito garantito. 5. Conclusivamente deve ribadirsi
(in tal senso, quindi, risolvendosi la questione di contrasto)
che il creditore assistito da pegno irregolare non può -
per carenza di interesse - e non è tenuto ad insinuarsi
nel passivo fallimentare, ai sensi dell'articolo 53 Lf per
il soddisfacimento del proprio credito. 6. Alla luce del
principio enunciato, la sentenza della Corte territoriale
- che ne ha fatto (sostanzialmente) corretta applicazione
- resiste alle censure formulate con il primo mezzo del
ricorso, che va pertanto respinto. 7. Lo stesso principio,
e le premesse che lo sorreggono (in tema di operatività
del pegno irregolare), comportano il rigetto anche del residuo
secondo motivo della stessa impugnazione. Non fondata è,
infatti, la censura, in esso svolta, contro la affermazione
(sulla base della quale la Corte territoriale ha respinto
la domanda risarcitoria per asserito ritardo dell'Uci nella
estinzione dell'obbligo di restituzione della parte residua
dei beni ricevuti in pegno) secondo cui incombesse su essa
(odierna) ricorrente fornire la prova della esigibilità
del credito alla data della richiesta di restituzione. Esatto
è invero, in linea di principio, che l'obbligo della restituzione
- delle cose trasferite in detenzione al creditore nel pegno
regolare o dell'eccedenza di quanto trasferitogli in proprietà
nel pegno irregolare - sorge, per il soggetto ricevente,
con l'estinzione dell'obbligazione garantita dal pegno stesso.
La quale deve essere, conseguenzialmente, provata, appunto,
da chi agisce per la restituzione (cfr. 307/76). 8. Il ricorso
va pertanto integralmente respinto. In considerazione della
sin qui controversa interpretazione della normativa la cui
violazione si è denunciata in ricorso, possono compensarsi
tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.
PQM la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.