Corte
di Cassazione Sezione Prima Civile, Sentenza del 21 febbraio
2001 n. 2493 sul rapporto di autonomia tra la domanda di
insinuazione privilegiata allo stato passivo relativa al
credito da capitale e quella relativa agli interessi
La massima
Ferma restando la proponibilità del ricorso straordinario
per Cassazione, ex articolo 111 della Costituzione, avverso
il provvedimento che il Tribunale Fallimentare emette sul
reclamo proposto contro il decreto del Giudice Delegato
che dichiari esecutivo il piano di riparto, sul presupposto
che esso sia idoneo ad incidere in via definitiva e con
forza di giudicato sostanziale sui diritti del creditore,
e che, dunque, acquisti la natura sostanziale della sentenza,
la domanda di insinuazione tardiva in via privilegiata allo
stato passivo formulata, ai sensi dell'articolo 101 del
R.D. 26 marzo 1942 n. 267, con esclusivo riferimento al
credito principale assistito da garanzia ipotecaria, senza
alcuna autonoma richiesta anche per gli interessi, benché
questi ultimi, se dovuti, siano oggetto del trattamento
preferenziale (estensione del grado ipotecario) indicato
dalla norma dell'art. 2855 comma 3° c.c., non determina
per ciò stesso l'automatica ammissione al passivo
anche di questi e degli altri accessori del credito che,
viceversa, potrà essere disposta solo a seguito di
autonoma domanda, da formularsi in sede di insinuazione
ovvero di impugnazione del provvedimento che rende esecutivo
lo stato passivo, ed alla quale dovrà, conseguentemente,
corrispondere un'espressa previsione nel provvedimento avente
ad oggetto l 'esecutività dello stato passivo medesimo.
Mancata l'impugnazione, l'ammissione dei crediti in quei
termini in cui è disposta dal Giudice Delegato diviene
definitiva e non è più modificabile ed il
relativo decreto che la dispone, ed al quale consegue l'inclusione
dei crediti nello stato passivo, diviene il titolo per il
concorso dei creditori nella ripartizione dell'attivo, senza
che sia più ammessa, perché ormai definitivamente
preclusa, alcuna contestazione relativa all'esistenza, all'entità
e alla qualità dei crediti ammessi ( a cura di Francesco
Balletta).
La
sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI -Presidente-
Dott. Giovanni LOSAVIO -Consigliere-
Dott. Donato PLENTEDA -Consigliere-
Dott. Walter CELENTANO -Rel. Consigliere-
Dott. Salvatore SALVAGO -Consigliere-
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Banca di Roma Spa, già denominata Banco di Santo
Spirito Spa, risultante dalla fusione per incorporazione
del Banco di Roma Spa nel Banco di Santo Spirito, quest'ultimo
già conferitario dell'azienda bancaria Cassa di Risparmio
di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elett.te domiciliata in Roma Via dei Gracchi 278, presso
l'avvocato Rivelli Massimiliano, che la rappresenta e difende
giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
Fallimento F.lli D'Offizi di Sergio e C. Snc;
-intimato-
avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato il
23/04/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 14/11/2000 dal Consigliere Dott. Walter Cementano;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Rivelli, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Raffaele Ceniccola che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con decreto emesso in data 23 aprile 1999, il tribunale
di Roma rigettò il reclamo proposto dalla Banca di
Roma S.p.A. avverso il decreto di esecutività del
piano di riparto finale depositato il 21-28 gennaio 1999.
Il Tribunale ha puntualizzato, nel suo decreto, che a) con
ricorso proposto ai sensi dell'art. 101 l.f. (dichiarazione
tardiva di credito), la Banca di Roma S.p.a. aveva richiesto,
quale creditrice ipotecaria, di essere ammessa al passivo
del fallimento della S.n.c. F.lli D'Offizi e dei singoli
soci per la somma di lire 528.130.860 "oltre interessi,
rate maturate e maturande e spese convenuti"; b)all'udienza
fissata dal giudice delegato, il procuratore della Banca
aveva dichiarato a verbale "a modifica dell'istanza
di insinuazione, chiede ammettersi in via privilegiata la
complessiva somma di lire 466.307.774, intendendosi il privilegio
per le ipoteche iscritte a garanzia dei crediti fondiari";
c) il giudice delegato, in detta udienza, preso atto della
mancata contestazione del credito da parte del curatore,
aveva disposto l'ammissione al passivo della Banca "in
via privilegiata per lire 466.307.774", senza fare
alcuna menzione agli interessi o ad altri accessori; d)
la Banca di Roma S.p.A. era stata collocata nel riparto
finale, predisposto e reso esecutivo dal giudice delegato
con il decreto del 28.01.1999, per la stessa somma di lire
466.307.774, senza che si fosse tenuto conto degli interessi
e degli altri accessori, in conformità del decreto
di ammissione al passivo.
Nella motivazione di rigetto del reclamo, il tribunale ha
considerato che nessuno dei mezzi di impugnazione esperibili
contro il decreto di ammissione al passivo era stato proposto
dalla Banca di Roma, con la conseguenza che, essendo passato
in giudicato il decreto stesso, l'ammissione al passivo
come disposta dal g.d. non risultava più modificabile
ed ogni questione ad essa relativa era da ritenersi definitivamente
preclusa, onde il riparto finale giustamente aveva escluso
gli interessi e gli accessori del credito perché
in relazione agli stessi nessuna statuizione conteneva il
decreto di ammissione.
Avverso il suddetto decreto, la Banca di Roma s.p.a. ha
proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111
della Costituzione.
La curatela del fallimento non ha svolto attività
difensiva.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Il ricorso è ammissibile, come questa Corte, in relazione
alla tutela del creditore in sede di piano di riparto dell'attivo,
ha più volte confermato.
Il provvedimento che il tribunale emette sul reclamo proposto
avverso il decreto del giudice delegato che dichiari esecutivo
il piano di riparto è, infatti, idoneo ad incidere
in via definitiva e con forza di giudicato sostanziale sui
diritti del creditore.
Il ricorso è articolato in due motivi.
Con il primo motivo è denunciata "la violazione
e falsa applicazione di norme di diritto".
La censura, nello svolgimento argomentativo , muove dalla
condivisa premessa che al decreto di ammissione al passivo
debba essere riconosciuto il contenuto sostanziale di sentenza,
suscettibile di essere assoggettato ad impugnazione attraverso
i rimedi ordinari (la ricorrente si richiama alla sentenza
n. 5459 del 1997 di questa Corte). Su tale premessa, la
stessa ricorrente addebita al tribunale la violazione e
falsa applicazione di norme giuridiche ed individua detta
violazione di legge nella mancata interpretazione "secondo
buona fede" del decreto di ammissione al passivo, nel
senso, cioè, che, essendo mancata ogni rinuncia alle
ulteriori ragioni di credito (gli interessi e gli altri
accessori) e dovendo ritenersi superflua una specificazione
circa gli interessi ed accessori stante la consequenzialità
ex lege degli stessi rispetto al credito fondiario (sono
richiamati gli artt. 2788 e 2855 c.c.), interessi ed accessori
avrebbero dovuto ritenersi compresi, se pur tacitamente,
nell'ammissione del credito per capitale. Proprio con riferimento
alle richiamate norme del codice civile, la violazione di
legge denunciata è ancora argomentata nel senso che
"il riconoscimento degli interessi legali successivi
alla dichiarazione di fallimento, e fino alla vendita, deve
ritenersi ammesso per legge in mancanza di un corretto provvedimento
di esclusione e/o di una specifica rinuncia al credito,
che è atto di parte".
Il motivo è infondato in tutte le sue argomentazioni.
Benché siano oggetto del trattamento preferenziale
(estensione del grado ipotecario) indicato dalla norma dell'art.
2855 comma 3° c.c., gli interessi sul credito garantito
da ipoteca, non si sottraggono alla necessità della
domanda. Su tale conclusione sembra concordare la stessa
ricorrente allorché ammette che il creditore possa
rinunciarvi. Non può conseguentemente addebitarsi
al tribunale la violazione della suindicata norma per non
aver ritenuto che l'ammissione del credito, così
come disposta dal giudice delegato, dovesse intendersi ex
lege riferita anche agli interessi e agli altri accessori
e che ne fosse illegittima fosse l'esclusione dal piano
di riparto.
Il decreto di ammissione al passivo del fallimento che il
giudice delegato emette ai sensi dell'art. 101 l.f. ha natura
sostanziale di sentenza (v. ex multis, Cass. n. 6937 del
1995), come anche la ricorrente riconosce, ed è soggetto
ad impugnazione, ancorché, in relazione alle singole
e diverse fattispecie, la giurisprudenza di questa Corte
abbia indicato l'esperibilità di mezzi diversi (l'appello,
il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., il reclamo
ex art. 26 l.f.), come il tribunale ha rilevato nel decreto
ora impugnato. Da ciò consegue che l'eventuale difformità
tra il decreto di ammissione e la domanda del creditore,
che sia conseguente ad un giudizio del giudice delegato
in ordine alla domanda stessa (ciò che deve dar luogo,
invero, all'introduzione della fase più strettamente
contenziosa, com'è disposto nel secondo inciso del
comma terzo dell'art. 101 l.f.), o che invece sia conseguente
ad un errore d'interpretazione della domanda da parte dello
stesso giudice delegato, come per il caso di specie deduce
la ricorrente, non può essere rimossa altrimenti
se non attraverso l'impugnazione del decreto di ammissione
(v. Cass. n. 4866 del 1997). Mancata l'impugnazione, l'ammissione
del credito in quei termini in cui è disposta dal
giudice delegato diviene definitiva e non più modificabile.
Il decreto, nella sua concreta statuizione, al quale consegue
l'inclusione del credito nello stato passivo, diviene il
titolo per il concorso del creditore nella ripartizione
dell'attivo, fase quest'ultima nella quale non è
più ammessa, perché definitivamente preclusa,
ogni contestazione relativa all'esistenza, all'entità
e alla qualità del credito ammesso (può essere
qui richiamato utilmente il ristretto ambito delle osservazioni
che i creditori iscritti allo stato passivo possono far
pervenire in ordine al progetto di ripartizione, ambito
che concerne la graduazione e collocazione dei vari crediti,
l'ammontare della somma distribuita, l'opportunità
stessa di una ripartizione, ferma in ogni caso l'intangibilità
dello stato passivo non impugnato nei termini e nelle forme
previste dalla legge fallimentare: v. Cass. n. 5073 del
1994, n. 12790 del 1995, n. 2321 del 1996 ed altre conformi).
Nel caso di specie, il tribunale ha rilevato che l'ammissione
al passivo della Banca di Roma era stata disposta, con il
decreto pronunciato all'udienza del 17.11.1993, in quegli
stessi termini in cui era stata da ultimo- con le dichiarazioni
a verbale del procuratore della creditrice- precisata e
richiesta, sicchè correttamente, e movendo dalla
definitività raggiunta dal decreto stesso per il
difetto di impugnazione, il tribunale stesso ha ritenuto
preclusa, nella sede del riparto, qualsiasi contestazione
relativa alla misura e all'entità del credito.
Né il decreto ora impugnato è censurabile
sotto il profilo dell'interpretazione del titolo. Nei soli
limiti in cui un controllo di legittimità può
ritenersi ammesso, in relazione ai provvedimenti concernenti
l'esecutività dello stato passivo (decreto del g.d.
e decreto emesso dal tribunale su reclamo ex art. 26 l.f.),
il decreto ora impugnato risulta immune da errori. Il tribunale
ha verificato, infatti, che l'iscrizione del credito della
Banca di Roma nel piano di riparto finale era conforme ai
termini in cui il credito stesso era stato ammesso ed iscritto
allo stato passivo- ciò che del resto, per le ragioni
dinanzi spiegate, avrebbe potuto costituire l'unica materia
di reclamo da parte della creditrice.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia il vizio di
"omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione"
dolendosi della mancata pronuncia tanto in ordine "all'eccezione
di illegittimità e incongruenza del decreto impugnato",
quanto in merito all'istanza di rimessione in termini per
l'impugnazione del decreto del giudice delegato di ammissione
del credito al passivo fallimentare.
Con tale censura, la ricorrente prospetta un vizio di omessa
pronuncia, piuttosto che di mancanza o insufficienza della
motivazione, e quindi il motivo può essere disaminato.
Anche tale motivo è infondato.
Le censure o eccezioni di "illegittimità e incongruenza"
del decreto (di approvazione e di esecutività del
piano di riparto) impugnato con il reclamo debbono ritenersi
disattese dal tribunale, sia pure per implicito, in quella
parte della motivazione nella quale il tribunale ha verificato
(correttamente, per le ragioni spiegate nella disamina del
primo motivo), quanto all'esclusione degli interessi e degli
altri accessori, la conformità del piano di riparto
finale al decreto di ammissione al passivo.
Sul punto, l'infondatezza del motivo è in ciò
che il vizio denunciato non si configura rispetto ad una
questione che deve ritenersi implicitamente assorbita in
un'altra statuizione del provvedimento impugnato, ovvero
anche quando la soluzione negativa di una questione proposta
o sollevata dalla parte debba ritenersi implicita nella
costruzione logico-giuridica del provvedimento decisorio:
nel caso di specie, operano in tal senso il rilievo del
tribunale circa la definitività, per difetto di impugnazione,
raggiunta dal decreto di ammissione al passivo e l'altro,
connesso e conseguente, circa l'operatività della
preclusione, nella sede del riparto, delle questioni relative
al credito ammesso. Questa parte della decisione del tribunale
contiene, invero, una implicita esclusione della sussistenza
di quei vizi- illegittimità ed incongruenza- che
la banca reclamante imputava al decreto impugnato.
Nemmeno può condurre alla cassazione del provvedimento
ora impugnato l'omessa pronuncia del tribunale sulla richiesta
di rimessione in termini per l'impugnazione del decreto
di ammissione al passivo.
Il vizio di omessa pronuncia, ricorre, infatti, in relazione
alle sole pronunce concernenti una statuizione necessaria
ai fini della decisione. Il che nella specie non ricorre
perché il semplice rilievo della perentorietà
dei termini di impugnazione, dei quali il tribunale ha rilevato
l'avvenuto decorso ("da tempo", v. nell'ultima
pagina del decreto), e della irrimediabile decadenza verificatasi,
non avrebbe potuto condurre il tribunale a decisione diversa
da quella correttamente adottata.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Non è luogo a provvedere sulle spese del presente
giudizio di cassazione perché la curatela intimata
non ha svolto alcuna attività di difesa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso addì 14 novembre 2000 nella camera
di consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 21 FEBBRAIO 2001