Corte
costituzionale, 28 maggio 2001, n. 167, ordinanza, Manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale
degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n.
267, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104
e 111 della Costituzione, per la partecipazione del giudice
delegato ai giudizi di opposizione a stato passivo.
Corte
cost. 28 maggio 2001, n. 167 - ord. ORDINANZA N.167
ANNO
2001 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Cesare RUPERTO
Presidente - Fernando SANTOSUOSSO Giudice - Massimo VARI
" - Riccardo CHIEPPA " - Gustavo ZAGREBELSKY " - Valerio
ONIDA " - Carlo MEZZANOTTE " - Guido NEPPI MODONA " - Piero
Alberto CAPOTOSTI " - Annibale MARINI " - Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK " ha pronunciato la seguente ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 98
e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina
del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa),
promossi con due ordinanze emesse il 18 luglio e il 14 settembre
2000 dal Giudice istruttore del Tribunale di Velletri nei
procedimenti civili vertenti tra Benetton Group s.p.a. e
il Fallimento Clan Italiana s.r.l. e tra Colarossi Nicolina
ed altri e il Fallimento Edilmaria s.r.l., iscritte ai numeri
617 e 742 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 49, prima serie
speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera
di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Annibale
Marini Ritenuto che con due ordinanze di analogo contenuto,
emesse il 18 luglio 2000 ed il 14 settembre 2000, il Giudice
del Tribunale di Velletri, delegato ai fallimenti delle
società Clan Italiana s.r.l. ed Edilmaria s.r.l. e, perciò,
istruttore delle cause di opposizione allo stato passivo
promosse, in entrambe le procedure, da alcuni creditori
esclusi, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,
101, 104 e 111 della Costituzione, come modificato, quest'ultimo,
dall'art. 1, comma 2, della legge costituzionale 23 novembre
1999, n. 2, questione di legittimità costituzionale degli
artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina
del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa),
"nella parte in cui designano il giudice delegato al fallimento
a ricevere e ad istruire, nonché, indirettamente, a partecipare
alla decisione, nei giudizi di opposizione allo stato passivo
previsti e disciplinati dalle medesime disposizioni"; che
- ad avviso del rimettente - la violazione degli indicati
parametri costituzionali risulterebbe palese alla stregua
dell'affermazione, contenuta nella sentenza di questa Corte
n. 387 del 1999, secondo cui, ai fini dell'obbligo di astensione
previsto dall'art. 51, primo comma, numero 4, del codice
di procedura civile, l'espressione "altro grado" "deve ricomprendere
- con una interpretazione conforme a Costituzione - anche
la fase che, in un processo civile, si succede con carattere
di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata
(...) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle
stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta
nella prima fase, ancorché avanti allo stesso organo giudiziario";
che gli enunciati principi sarebbero di per sé comprensivi
anche dei rapporti tra decreto di approvazione ed esecutività
dello stato passivo nel fallimento e giudizio di opposizione
allo stesso ex art. 98 della legge fallimentare, essendo
pacifici, da un lato, la natura giurisdizionale ed il contenuto
decisorio del suddetto decreto e, dall'altro, il carattere
impugnatorio del giudizio di opposizione; che peraltro al
giudice delegato non sarebbe data la possibilità di astenersi,
ai sensi del citato art. 51, primo comma, numero 4, cod.
proc. civ., in quanto le norme denunciate, di carattere
chiaramente speciale, indicherebbero proprio in lui il giudice
funzionalmente destinato a ricevere il ricorso in opposizione,
ad istruirlo ed a partecipare alla sua decisione quale relatore;
che dette norme si porrebbero in tal modo in contrasto in
primo luogo con l'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento
che si verificherebbe tra gli opponenti allo stato passivo,
che si troverebbero a dover coltivare le proprie pretese
dinanzi ad un giudice che tali pretese ha già disatteso
in altro provvedimento giurisdizionale di natura decisoria
ed idoneo alla reiudicata, e tutti gli altri attori di un
ordinario giudizio civile; che le medesime norme contrasterebbero
inoltre con l'art. 24 Cost., risultando violato il diritto
di difesa dell'opponente dalla necessità che il giudizio
si svolga dinanzi ad un giudice privo delle garanzie di
imparzialità e terzietà, giudicate da questa stessa Corte
"imprescindibili"; che la menomata condizione di terzietà-imparzialità
del giudice delegato altererebbe inoltre la soggezione del
giudice alla sola legge sancita dall'art. 101 Cost. e le
prerogative di autonomia ed indipendenza della funzione
giurisdizionale di cui all'art. 104, primo comma, Cost.
e si porrebbe infine in contrasto con i principi affermati
dal novellato art. 111 Cost.; che è intervenuto nel secondo
dei due giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza
o, in subordine, di infondatezza della questione, in quanto
identica a quella già dichiarata non fondata con sentenze
n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970; che nelle suddette sentenze
si porrebbe in luce come il processo fallimentare sia ispirato
al principio della concentrazione presso i suoi organi di
ogni controversia che ne deriva, con conseguenti inevitabili
collegamenti ed interferenze processuali, non rilevabili
tuttavia agli effetti della legittimazione del giudice,
"per la prevalente apprezzabile esigenza di portare allo
stesso organo giurisdizionale tutto il procedimento e di
ridurlo ad unità"; che tali considerazioni resterebbero
valide - ad avviso dell'Avvocatura - anche dopo la riforma
del processo civile operata dalla legge n. 353 del 1990,
tenuto conto della riserva di collegialità riguardante le
controversie in tema di opposizione allo stato passivo,
verosimilmente ispirata proprio dall'esigenza di mantenere
ferma la partecipazione al collegio del magistrato da cui
il provvedimento opposto promana, assicurando nel contempo
una dialettica interna all'organo stesso; che la stessa
Corte, del resto, dichiarando manifestamente infondata la
medesima questione, con ordinanza n. 304 del 1998, ha precisato
che condizione necessaria per l'incompatibilità endoprocessuale
è la preesistenza di valutazioni ricadenti sulla medesima
res iudicanda e che non vi è identità di res iudicanda quando
due cognizioni dello stesso fatto siano caratterizzate -
come appunto, secondo la parte pubblica, è nella specie
- l'una dalla particolare sommarietà e l'altra dalla completezza
dell'accertamento effettuato sulla base di tutto il materiale
probatorio acquisibile; che la sentenza n. 387 del 1999
- diversamente da quanto il rimettente mostra di ritenere
- non modificherebbe, ad avviso ancora dell'Avvocatura,
siffatta impostazione né il testo novellato dell'art. 111
Cost. introdurrebbe elementi di novità nella questione,
essendo il valore costituzionale della terzietà ed imparzialità
del giudice indubbiamente già acquisito nella Costituzione
vivente e nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale.
Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima
questione, vanno riuniti per essere unitariamente decisi;
che, nel merito, questa Corte, dichiarando identica questione
non fondata, con sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970,
e manifestamente infondata, con ordinanza n. 304 del 1998,
ha escluso qualsiasi incompatibilità tra l'attività istruttoria
e decisoria relativa alla causa di opposizione allo stato
passivo e quella svolta in precedenza dal giudice delegato
per la formazione dello stato passivo; che appare non pertinente
il richiamo, operato dal rimettente, ai principi enunciati
nella successiva sentenza n. 387 del 1999, del resto pienamente
coerente con la precedente giurisprudenza della Corte in
argomento, in quanto la formazione dello stato passivo ad
opera del giudice delegato e la pronuncia sulla (eventuale)
opposizione al medesimo stato passivo non attengono alle
stesse valutazioni decisorie, né i due provvedimenti sono
contraddistinti da una uguale idoneità al giudicato; che,
sotto il primo aspetto, la cognizione del giudice delegato
- diversamente da quella, piena, del giudice dell'opposizione
- è infatti di carattere sommario e fondata su materiale
probatorio di natura esclusivamente cartolare; che, per
quanto riguarda il secondo profilo, alla stregua del diritto
vivente, l'efficacia preclusiva dello stato passivo non
opposto è di natura meramente endoprocessuale e solo la
sentenza resa sulla opposizione è suscettibile di assumere
effetti di giudicato; che l'evocazione dell'ulteriore parametro
rappresentato dal novellato art. 111 Cost. non introduce,
infine, profili nuovi o diversi di illegittimità costituzionale,
essendo la terzietà ed imparzialità del giudice - alla cui
stregua la questione è posta - pienamente tutelate nella
carta costituzionale, anche anteriormente alla citata novella;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative
per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale. PER QUESTI
MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara
la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt.
3, 24, 101, 104 e 111 della Costituzione, dal giudice istruttore
del Tribunale di Velletri con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2001. Cesare RUPERTO,
Presidente Annibale MARINI, Redattore Depositata in Cancelleria
il 28 maggio 2001.