Corte
di cassazione (sez. I civ.), sentenza 11 maggio 2001, n.
6550
FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Fallimento -
Apertura - Dichiarazione di fallimento - Stato d'insolvenza
- Società in stato di liquidazione - Accertamento
dello stato d' insolvenza - Modalità
R.d. 16.03.1942, n. 267, art. 5
Quando
una società è in liquidazione, la valutazione
del giudice, ai fini dell'applicazione dell'articolo 5 della
legge fallimentare, deve essere diretta unicamente ad accertare
se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano
di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei
creditori sociali.
Ciò perché non è più richiesto
che l'impresa disponga, come invece la società in
piena attività di credito e di risorse, e quindi
di liquidità necessari per soddisfare le obbligazioni
contratte.
In tale situazione, inoltre, l'impresa in liquidazione non
si propone di restare sul mercato, ma ha come esclusivo
obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori
sociali, previa realizzazione delle attività sociali,
e alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci.
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. Corrado CARNEVALE, Presidente Dott. Ugo
VITRONE, Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI, Consigliere
Dott. Mario ADAMO, Rel. Consigliere Dott. Giuseppe Maria
BERRUTI, Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA
N. 6550 DEP. IL 11.05.2001 sul ricorso proposto da: FALLIMENTO
DE-PI COSTRUZIONI SpA, in persona del Curatore, elettivamente
domiciliato a Roma presso la CANCELLERIA CIVILE della CORTE
SUPREMA di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato
SILVESTRO LANDOLFI, giusta mandato a margine del ricorso;
ricorrente contro MERIDIONALE PREFABBRICATI Srl in liquidazione,
in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in
ROMA VIA XX SETTEMBRE 3, presso l'avvocato MICHELE SANDULLI,
che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso; controricorrente contro FALLIMENTO MERIDIONALE
PREFABBRICATI Srl; intimato avverso la sentenza n. 1768/99
della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 14.07.99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 28.02.2001 dal Consigliere Dott. Mario ADAMO; udito
per il resistente, l'Avvocato Sandufli, che ha chiesto il
rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Raffaele CENICCOLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con
atto notificato in data 20 e 21.gennaio 1998 la s.r.l. Meridionale
Prefabbricati proponeva opposizione alla sentenza con cui
in data 10.12.1997 era stato dichiarato il proprio fallimento.
A sostegno della opposizione la s.r.l. Meridionale Prefabbricati
assumeva che a) fra essa società opponente ed il fallimento
della s.p.a. DE.PI Costruzioni, unico creditore istante,
era intervenuta una transazione in base alla quale aveva
riconosciuto un debito verso la creditrice istante di £.
2.323.000.000; b) a garanzia del pagamento della somma pattuita
di £. 1.800.000.000 da effettuarsi in otto mesi e con clausola
risolutiva espressa, in caso di omesso pagamento anche di
una sola rata, tale N.C. aveva girato alla curatela della
DE.PI Costruzioni n. 58 effetti cambiari per l'importo complessivo
di £. 1.600.000.000 emessi dalla Irpinia Sviluppo s.r.l.
c) di tali effetti erano stati pagati i primi venti per
un importo globale di £. 500.000.000 cui dovevano sommarsi
altre £. 50.000.000, versate in contanti all'atto della
sottoscrizione della transazione; d) la curatela del Fallimento
DE.PI s.p.a. aveva richiesto ed ottenuto anche la dichiarazione
di fallimento della s.r.l. Irpinia Sviluppo. e) il patrimonio
immobiliare della Meridionale Prefabbricati e della Irpinia
Sviluppo era ampiamente sufficiente a far fronte ai crediti
della De PI Costruzioni s.p.a. e degli altri creditori.
In base alle esposte considerazioni rilevava la società
opponente che inesistente doveva ritenersi lo stato di insolvenza
ritenuto dal Tribunale di Napoli all'atto della dichiarazione
di fallimento. Con sentenza in data 19.10.1998 il Tribunale
di Napoli respingeva l'opposizione. Proponeva appello la
s.r.l. Meridionale Prefabbricati in liquidazione contestando
il proprio stato di insolvenza. Con sentenza in data 14.7.1999
la Corte di appello di Napoli accoglieva il gravame e revocava
la sentenza dichiarativa di fallimento, dopo avere accertato
che il patrimonio della s.r.l. Meridionale Prefabbricati
in liquidazione era ampiamente sufficiente a garantire il
pagamento dell'unico creditore istante e dei crediti di
altri due creditori insinuati al passivo. Rilevava infatti
la Corte territoriale che al fine di stabilire lo stato
di insolvenza di una società in liquidazione doveva farsi
riferimento al capitale della società stessa, con conseguente
esclusione dell'insolvenza qualora fosse rimasto accertato
che l'attivo era sufficiente a garantire il pagamento dei
debiti. Per la cassazione della sentenza della Corte di
appello propone ricorso fondato su quattro motivi il Fallimento
della s.p.a. DE.PI Costruzioni. Resiste con controricorso
la s.r.l. Meridionale Prefabbricati. Non svolge attività
difensiva il Fallimento di quest'ultima società. Motivi
della decisione Con il primo motivo di ricorso il Fallimento
ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art.
5 L.F.in relazione all'art. 360 n 3 c.p.c. Rileva che erroneamente
la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dello stato
di insolvenza di una società in liquidazione quando l'attivo
patrimoniale risultante dal bilancio, benché illiquido,
sia superiore al passivo, considerato che la società posta
in liquidazione non si propone di rimanere sul mercato.
Tale statuizione è sicuramente errata ed in contrasto con
il concetto di insolvenza elaborato dalla giurisprudenza
di legittimità e di merito. Con il secondo motivo assume
che la statuizione della Corte distrettuale è certamente
errata in quanto a) qualora la società in liquidazione,
già insolvente, non venisse espulsa dal mercato verrebbe
frustrata una delle ragioni che giustificano l'istituto
stesso del fallimento, consistente appunto nell'eliminazione
dal mercato delle aziende non sane, sotto il profilo economico;
b) il mancato fallimento inoltre frustrerebbe il principio
della par condicio in quanto legittimerebbe pagamenti preferenziali
e ritarderebbe la determinazione del periodo sospetto; c)
non è esatto che la società in liquidazione abbia limitata
capacità di intraprendere posto che il superamento di tale
limite potrebbe sempre essere ratificato dall'assemblea
e potrebbe comunque dare luogo ad un vistoso volume di affari,
pari a quello di una società in attività, sia pure nel rispetto
dell'art. 2449 c.c. d) la liquidazione è sempre revocabile
dall'assemblea e ciò renderebbe la società stessa arbitra
del proprio fallimento. Con il terzo motivo deduce che non
sempre il valore finale dell'attivo corrisponde al valore
stimato talché qualora il valore finale si dimostrasse,
inferiore a quello stimato resterebbe il solo risultato
perverso di un aggravamento del dissesto, con ulteriore
falcidia delle ragioni dei creditori. Nel caso in esame
la Corte di merito ha inoltre ritenuto l'inesistenza dello
stato passivo sulla base di una consulenza prodotta dalla
società fallenda e non contestata dal creditore istante,
senza considerare che qualora la consulenza fosse stata
contestata avrebbe dovuto procedere ad una consulenza estimativa
d'ufficio, non ammissibile nel giudizio di opposizione alla
sentenza di fallimento, da tutti reputato come processo
a prove costituite. Con il quarto ed ultimo motivo assume
che la sentenza della Corte di Cassazione n 3321/1996 è
stata fraintesa dal giudice di secondo grado. Nel caso deciso
con l'indicata sentenza la Corte Suprema ha affermato, con
riferimento al caso di specie, che non si poteva tenere
conto delle prospettive dinamiche della società ma ci si
doveva attenere solo alla situazione finanziaria statica.
Pertanto per le società in liquidazione la Corte Suprema
ha introdotto, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, un criterio più rigido, posto che ha escluso
si potesse tenere conto del correttivo mitigatore della
"crisi transeunte". il ricorso è infondato e va pertanto
respinto. Invero riguardo al primo motivo si osserva che
questa Corte Suprema ha già ritenuto che l'insolvenza di
una società in liquidazione, al contrario di quanto avviene
per le società in piena attività, deve escludersi ogni qual
volta l'ammontare dell'attivo patrimoniale sia superiore
all'ammontare dei debiti e ciò perché la società in liquidazione
non è più destinata ad operare sul mercato, talché non è
più necessario che disponga di credito e risorse, e quindi
di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni che
via via contrae, devendo solo liquidare il proprio attivo,
per estinguere prima le obbligazioni pendenti e quindi la
società stessa (Cass. civ. sez. I 10.4.1996 n. 3321 ) A
tale giurisprudenza si ritiene di dover dare continuità,
non avendo il ricorrente dedotto elementi di giudizio indonei
a giustificare la modifica dell'indi-cata decisione. Invero
va ribadito e rilevato che, a seguito della delibera di
messa in liquidazione della società, si determina un mutamento
dello scopo sociale nel senso che questo non consiste più
nel fine di lucro, che connota l'attività delle società
commerciali, ma resta limitato solo alla definizione dei
rapporti pendenti, (Cass. civ. sez. I, 8.2.1974 n. 365)
ed inoltre che ai liquidatori ai sensi dell'art. 2279 c.c.
è fatto divieto di intraprendere nuove attività, con responsabilità
personale ed illimitata, nell'ipotesi di violazione di tale
divieto, peculiarità che giustificano l'adozione di un criterio
di qualificazione dello stato di insolvenza diverso da quello
valido per le società in piena attività. Il primo motivo
va quindi respinto. Parimenti infondato è altresí il secondo
motivo articolato in più censure che vanno partitamente
esaminate. In relazione alla prima censura si osserva, al
contrario di quanto assunto dal ricorrente, che la finalità
principale della dichiarazione di fallimento è quella di
assicurare ai creditori la par condicio , nel senso che
tutti devono concorrere al soddisfacimento del proprio credito
in ugual misura, tenuto conto dell'ammontare dell'attivo
fallimentare, e che costituisce solo motivo residuale l'espulsione
delle società commerciali insolventi dal mercato. L'indicata
finalità principale non può ritenersi elusa, nelle ipotesi,
quali quelle in esame, in cui il giudice di merito abbia
accertato; con valutazione in fatto, che l'attivo patrimoniale
sia sufficiente a consentire il pagamento di tutti i debiti
posto che in tal caso, e solo in tal caso, la liquidazione
della società assolve a finalità analoga a quella perseguita
con la dichiarazione di fallimento, consistente appunto
nel garantire il pagamento di tutti i debiti, con uguale
e totale soddisfazione dei creditori. Nessuna violazione
della par condicio può quindi ravvisarsi nella decisione
in esame. La liquidazione della società, soddisfatte ed
estinte le obbligazioni pendenti, porta inoltre allo scioglimento
della società stessa, con conseguenze sua eliminazione dal
mercato, cosí come sarebbe avvenuto nell'ipotesi di dichiarazione
di fallimento. Nè le esposte argomentazioni possono ritenersi
scalfite dalla considerazione che ben potrebbe l'assemblea
dei soci revocare la decisione di liquidazione della società,
determinando una situazione di disparità fra i creditori
soddisfatti ed i creditori rimasti esclusi dai pagamenti.
Invero trattasi di una situazione non normalmente ricorrente,
in relazione alla quale l'ordinamento prevede dei correttivi,
costituiti dall'immediato fallimento della società, riprendendo
vigore il tradizionale concetto di insolvenza, con possibilità
di revoca dei pagamenti effettuati, e dalla previsione di
bancarotta preferenziale a carico dei liquidatori e dei
soci che abbiano agito in mala fede. La prima articolata
censura va quindi disattesa. Irrilevante deve ritenersi
poi la doglianza relativa alla possibilità che i liquidatori
contraggano rilevanti debiti nel periodo di durata della
liquidazione. Invero, come già detto, a seguito della delibera
di liquidazione muta lo scopo sociale della società talché
i liquidatori, pena la responsabilità personale ed illimitata,
possono contrarre solo debiti necessari per il raggiungimento
dello scopo residuo, consistente coma più volte precisato,
nella definizione delle obbligazioni pendenti. Pertanto
l'argomento in questione si configura come una mera ipotesi
che può concretizzarsi solo nel caso di patologia del sistema
e che pertanto non può assumere rilevanza in una situazione
di normalità giuridica. Anche il secondo motivo va quindi
respinto. Inammissibile deve al contrario ritenersi il terzo
motivo. Invero il Fallimento ricorrente, con la doglianza
contenuta nel motivo in esame, prospetta una mera ipotesi
non riferibile al caso di specie, avendo il giudice di merito
accertato, con valutazione in fatto, non censurabile nel
giudizio di cassazione; che l'attivo della soc. Meridonale
Prefabbricati e della soc. Irpinia Sviluppo era abbondantemente
sufficiente a coprire tutti i debiti, circostanza questa
fondamentale, come già precisato, ai fini dell'applicabilità
alle società in liquidazione del concetto di insolvenza
in precedenza enunciato. Infine assorbito deve ritenersi
il quarto ed ultimo motivo, attese le argomentazioni in
precedenza espresse, in occasione della disamina del primo
motivo. Pertanto il ricorso va interamente respinto. Le
spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M. respinge il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di cassazione di cui
£ 120.000 per esborsi e £. 4.000.000 per onorari. Cosí deciso
in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile,
in data 28 febbraio 2001