Corte
di cassazione (Sez. I civ.), sentenza 14 febbraio 2001,
n. 2093
FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - Concordato -
Azioni revocatorie - Sopravvenuta omologazione del concordato
- Consequenziale carenza sopravvenuta di interesse ad agire
- Improseguibilità delle azioni
R.d. 16.03.1942, n. 267, art. 64; 67
[Testo integrale della sentenza]
La
sopravvenuta omologazione del concordato fallimentare incide
sulle condizioni di ammissibilità delle azioni fallimentari
proposte dalla curatela e dirette alla declaratoria di inefficacia,
ai sensi dell'art. 64 o dell'art. 67 del r.d. 16 marzo 1942,
n. 267, di atti pregiudizievoli posti in essere dal fallito,
donde anche l'improseguibilità del giudizio.
Di tale principio, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità,
la Corte dà ragione sulla base tanto dello stretto
collegamento funzionale delle azioni revocatorie con i fini
di tutela della par condicio dei creditori, cosí
come con il soddisfacimento dei creditori in concorso, quanto
delle conseguenze che dal collegamento stesso si traggono
in termini di insussistenza sopravvenuta di ogni interesse
alla prosecuzione di tali azioni, segnatamente dell'interesse
dei creditori, essendo le azioni stesse preordinate alla
ricostruzione della massa attiva.
Risulta
da ciò evidente come ha osservato la pronuncia in
rassegna, che la sopravvenienza del concordato fallimentare
è evento destinato a incidere, più che sulla
soggettività delle azioni e del processo, in termini
di "perdita della capacità di stare in giudizio
del curatore", per effetto della decadenza dell'ufficio
fallimentare, sulle stesse condizioni di ammissibilità
delle azioni. Questo conseguentemente al venir meno dell'interesse
sostanziale alla cui tutela - in vista di una declaratoria
di inefficacia degli atti pregiudizievoli del fallito -
le azioni e il processo sono rivolti.
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. Giovanni OLLA, Presidente Dott. Giovanni
LOSAVIO, Consigliere Dott. Vincenzo FERRO Consigliere Dott.
Mario Rosario MORELLI, Consigliere Dott. Walter CELENTANO,
Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA N.
2093 DEP. IL 14.02.2001 sul ricorso proposto da: G.P.L.,
non in proprio ma in qualità di Curatore del FALLIMENTO
V . MICHI & FIGLI Srl, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA MONTE ZEBIO 30, presso l'avvocato G.C., rappresentato
e difeso dall'avvocato P.L., giusta delega a margine del
ricorso; ricorrente contro BANCA DI ROMA SpA, GRUPPO BANCAROMA,
in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso l'avvocato
MARCO MCHETTA, rappresentata e difesa dall'avvocato ALBERTO
GAVIRAGHI, giusta procura in calce al controricorso; controricorrente
avverso la sentenza n. 1361/98 della Corte d'Appello di
FIRENZE, depositata il 12.12.98; udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 25.10.2000 dal Consigliere
Dott. WALTER CELENTANO; udito per il resistente, l'Avvocato
GAVIRAGHI, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RAFFAELE CENICCOLA che, ha chiesto per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo Con sentenza emessa il 19.7.1996
il tribunale di Pistoia, accogliendo la domanda proposta,
ai sensi dell'art. 67 l.f., dalla curatela del fallimento
della S.r.l. V.Michi e Figli revocò "gli accreditamenti
eseguiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento
sul c.c. n. 12941 intestato alla società fallita presso
la filiale di Lucca della Banca di Roma, descritti nell'atto
di citazione del 12.5.1995, e condannò la banca convenuta
al pagamento, in via di restituzione alla curatela, della
somma di lire 1.693.207.507 oltre interessi dalla domanda
al saldo..". La Banca suddetta propose appello (citazione
del 8.1.1997) e nel corso del giudizio di gravame sopravvenne
- documentata dalla stessa Banca - l'omologazione ( sentenza
emessa il 25.1.1998 dal tribunale di Pistoia) del concordato.
fallimentare proposto dalla fallita. Preso atto della suddetta
omologazione del concordato, e richiamando il disposto degli
artt. 131 e 140 della legge fallimentare, la Corte di Firenze,
con sentenza emessa il 12.12.1998, ha dichiarato improcedibile
l'azione revocatoria promossa dalla curatela fallimentare
della stessa s.r.l. Michi e figli, spiegando nella motivazione
della sentenza che "dall'impossibilità di prosecuzione dell'azione
restava travolta anche la sentenza del primo giudice" -
in riforma della quale la stessa Corte ha in effetti pronunciato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
curatela del fallimento. Resiste la Banca di Roma, costituitasi
con controricorso. Motivi della decisione Con l'unico mezzo
proposto, la curatela ricorrente ha denunziato la violazione
degli artt. 120 comma 1° l.f., 300 e 304 c.p.c. . A sostegno
della censura deduce che, una volta preso atto della chiusura
del fallimento, a seguito dell'omologazione del concordato,
e della decadenza degli organi della procedura, la Corte
di merito avrebbe dovuto dichiarare non già improcedibile
l'azione revocatoria bensì interrotto il processo instaurato
con la proposizione della domanda revocatoria, atteso che
"la decadenza dell'ufficio fallimentare comportava la perdita
della capacità di stare in giudizio del curatore, sicché
nemmeno avrebbe dovuto giungersi alla fase collegiale decisoria
ma, appunto, far luogo, invece, all'interruzione del processo"
nel momento in cui l'omologazione del concordato, da eguagliarsi,
negli effetti, ad un evento interruttivo ex art. 300 c.p.c.,
era stata dedotta e formalmente dichiarata. Il motivo è
infondato. E' principio giuridico ricorrente nella giurisprudenza
di questa Corte di legittimità (v. le sentenze n. 1452 del
1965, n. 538 .e 558 del 1974, n. 2130 del 1978, n. 951 del
1992, n. 8255 del 1993, n. 2459 del 1995 ) quello secondo
il quale la sopravvenuta omologazione del concordato fallimentare
incide sulle condizioni di ammissibilità delle azioni fallimentari
proposte dalla curatela e dirette alla declaratoria di inefficacia,
ex art. 64 o ex art. 67 l.f., di atti pregiudizievoli posti
in essere dal fallito, donde anche l'improseguibilità del
giudizio. Di tale principio si dà ragione sulla base tanto
dello stretto collegamento funzionale delle azioni revocatorie
con le finalità di tutela della par condicio creditorum
e con il soddisfacimento, nel fallimento, dei creditori
in concorso, quanto delle conseguenze che da tale collegamento
funzionale si traggono in termini di insussistenza sopravvenuta
di ogni interesse alla prosecuzione di dette azioni, segnatamente
dell'interesse dei creditori, essendo le azioni stesse finalizzate
alla ricostruzione della massa attiva. Risulta da ciò evidente
che la sopravvenienza del concordato fallimentare è evento
destinato ad incidere, più che sulla soggettività delle
azioni e del processo, in termini di "perdita della capacità
di stare in giudizio del curatore", per effetto della decadenza
dell'ufficio fallimentare, sulle stesse condizioni di ammissibilità
delle azioni in conseguenza del venir meno dell'interesse
sostanziale alla cui tutela - in vista di una declaratoria
di inefficacia degli atti pregiudizievoli del fallito -
le azioni e il processo sono rivolti, onde anche resta esclusa
la necessità di una pronuncia sulla domanda revocatoria.
E del resto la stessa norma dell'art. 140 l.f. nel prevedere,
per il caso di riapertura dei fallimento per risoluzione
o per annullamento del concordato, che le azioni revocatorie
possano essere riproposte, dà ragione del suddetto orientamento
giurisprudenziale così come del principio giuridico che
di esso costituisce la materia. Tale orientamento giurisprudenziale
dev'essere dunque ancora una volta riaffermato, per il caso
di specie, non trovando la Corte ragioni che ne consiglino
l'abbandono. II ricorso va dunque rigettato e le spese del
giudizio poste a carico della ricorrente curatela. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese dei presente giudizio, liquidate in
lire 317.900 oltre lire 5.000.000 per onorario. Così deciso
addì 25 ottobre 2000 nella camera di consiglio della prima
sezione civile della Corte di Cassazione. Dott. GIOVANNI
OLLA, Presidente Dott. Walter Celentano, Estensore