Corte
di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 21 febbraio
2001 n. 2481 in materia di competenza del Tribunale Fallimentare
La massima
La competenza funzionale del Tribunale che ha dichiarato
il fallimento a conoscere di tutte le azioni che ne derivano,
qualunque ne sia il valore, salve le eccezioni espressamente
previste dalla legge, così come disposta dall'articolo
24 del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, si estende anche
a tutte quelle azioni che, sebbene non direttamente occasionate
dalla procedura fallimentare, abbiano ad oggetto una pretesa
potenzialmente destinata a ricevere soddisfacimento a carico
della massa fallimentare, il che determina in ogni caso,
per ciò stesso il loro necessitato assoggettamento
alle modalità dell'accertamento del passivo mediante
gli strumenti tipicamente concorsuali della insinuazione
tempestiva, ovvero dell'insinuazione tardiva, ai sensi degli
articoli 93 e 101 della richiamata legge fallimentare, nonché
ai limiti della partecipazione al concorso, a cui soggiacciono
anche le diverse posizioni creditorie prededuttive.
Ne deriva, pertanto, che il Giudice Ordinario non è
competente a conoscere della domanda avente ad oggetto la
pretesa restitutoria delle spese legali sostenute dall'aggiudicatario
in sede di vendita fallimentare, dell'immobile facente parte
della massa, per conseguirne il rilascio coattivo, rappresentando
essa, pur sempre, un'iniziativa depauperatoria dei beni
del fallimento, potenzialmente idonea a realizzare la sottrazione
al concorso del patrimonio ad esso vincolato e suscettibile,
pertanto, di risolversi in un'alterazione della par condicio
creditorum (a cura di Francesco Balletta).
La
sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni OLLA -Presidente-
Dott. Giovanni LOSAVIO -Consigliere-
Dott. Vincenzo FERRO -Rel. Consigliere-
Dott. Mario Rosario MORELLI -Consigliere-
Dott. Walter CELENTANO -Consigliere-
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Curatela del Fallimento Chiti Maria Chiara, in persona del
Curatore, elettivamente domiciliato in Roma Largo del Teatro
Valle 6, presso l'avvocato Francesco Torre, rappresentato
e difeso dall'avvocato Marcello Faccendi, giusta delega
in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
Porcello Anna Maria, elettivamente domiciliata in Roma Via
Alberigo II 35, presso l'avvocato Luca Fatello, rappresentata
e difesa dall'avvocato Roberto Fontana Antonelli, giusta
delega a margine del controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 89/99 del Giudice di pace di Grosseto,
depositata il 06/05/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 25/10/2000 dal Consigliere Dott. Vincenzo Ferro;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Raffaele Ceniccola che ha concluso per l'accoglimento
del primo motivo per quanto di ragione, l'assorbimento nel
resto del ricorso.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22 aprile 1997 Porcello
Anna Maria ha convenuto in giudizio, davanti al Giudice
di pace di Grosseto, il Fallimento di Chita Maria Chiara,e,
premesso di essersi resa aggiudicataria in sede di vendita
fallimentare dell'appartamento abitato dalla fallita e di
avere sostenuto spese legali per conseguire il rilascio
coattivo dell'immobile dalla Chiti detenuto, ha chiesto
"accertare l'effettuazione di prestazioni esecutive
da parte del legale della Sig.ra Porcello nei confronti
del convenuto per un importo pari a lire 1.900.000, accertato
il pagamento del detto importo dall'attrice al proprio legale,
condannare il Fallimento Chiti Maria Chiara a rimborsare
all'attrice la somma di lire 1.900.000 oltre interessi legali
dalla domanda al saldo, con vittoria di spese."
Costituendosi in giudizio, il curatore del fallimento ha
eccepito in via pregiudiziale l'incompetenza per materia
del giudice adito, in via preliminare il difetto di legittimazione
passiva del fallimento,e, nel merito, l'infondatezza della
domanda.
Con sentenza in data 6 maggio 1989 il giudice di pace ha
disatteso l'eccezione di incompetenza per materia affermando
che la competenza del Pretore di cui all'art. 611 c.p.c.
è circoscritta alla liquidazione delle spese vive
anticipate, e non si estende al rimborso degli onorari e
diritti, per il rimborso dei quali quindi si può
agire nei confronti dell'esecutato col giudizio ordinario;
ha rigettato altresì l'eccezione di difetto di legittimazione
passiva, osservando che "risulta depositata in atti
ordinanza del 13 marzo 1996 del giudice delegato che tra
l'altro ingiunge al curatore del fallimento di rilasciare
l'immobile nella piena disponibilità dell'acquirente
Porcello Anna Maria", che "il Curatore è
rimasto inerte, non adoperando ogni mezzo per far lasciare
libero l'appartamento", che "pertanto parte attrice
ha citato correttamente nel presente giudizio il fallimento
Chiti Maria in persona del curatore" e che "va
anche evidenziata la mancanza di capacità processuale
nel caso in esame della signora Chiti Maria Chiara";
e, dando atto che "le spese sostenute da parte attrice
per le prestazioni professionali svolte nella procedura
per il rilascio dell'immobile sono documentate, quindi vanno
rimborsate", ha accolto la domanda.
Avverso la suddetta sentenza la Curatela del fallimento
di Chiti Maria Chiara propone il presente ricorso per cassazione,
al quale Porcello Anna Maria resiste con controricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Trattandosi di sentenza pronunciata dal giudice di pace
in causa non eccedente il limite di valore che circoscrive
l'area di applicazione dell'equità necessaria (art.
113 secondo comma c.p.c.), e indipendentemente dall'assenza
nella motivazione della stessa di qualsiasi riferimento
all'equità quale criterio di giudizio (Cass. 29 novembre
1999 n. 13340, occorre tenere presenti i principi stabiliti
dalle Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza
15 ottobre 1999 n. 716, ove - in esito al riesame funditus
compiuto del contenuto della regola di giudizio equitativo
adottabile e dell'oggetto del sindacato del giudice di legittimità
ad esso inerente- trovansi espressi i seguenti principi:
a seguito della nuova formulazione dell'art. 113 comma secondo
c.p.c., nella decisione di controversia di valore non superiore
a lire 2.000.000, il giudice di pace non deve procedere
alla previa individuazione della norma di diritto applicabile
alla fattispecie, ma deve giudicarla facendo immediata applicazione
della equità cosiddetta formativa (o sostitutiva),
non correttiva (o integrativa), fondata su un giudizio di
tipo intuitivo e non sillogistico, con osservanza, ai sensi
dell'art. 311 c.p.c, delle norme processuali, nonché
di quelle in cui la regola del giudizio è contenuta
in una norma di procedura che rinvia ad una norma sostanziale,
senza obbligo di rispetto dei principi regolatori della
materia e dei principi generali dell'ordinamento, ma osservando
le norme costituzionali nonché quelle comunitarie
quando siano di rango superiore a quelle ordinarie; pertanto
il ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza costituisce
impugnazione di sentenza di equità- abbia il giudice
dichiarato di avere applicato una norma equitativa o una
norma di legge perché rispondente ad equità,
o si sia limitato ad applicare una norma di legge - ed è
ammissibile per violazione di norme processuali, nel senso
esposto (art. 360 comma primo n. 1, 2, e 4 c.p.c.) laddove
la censura di violazione di legge, attinente alla decisione
di merito, è consentita per violazione di norme costituzionali,
e di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie-
e tale interpretazione non contrasta con l'art. 24 Cost.-
mentre la pronunzia secondo equità non esclude poi
la configurabilità di censure ai sensi dell'art.
360 n. 4 nei casi di inesistenza della motivazione, ovvero
ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., allorché l'enunciazione
del criterio di equità adottato sia inficiato da
un vizio che, attenendo a un punto decisivo della controversia,
si risolva in un'ipotesi di mera apparenza o di radicale
e insanabile contraddittorietà della motivazione".
Nell'ambito dei limiti di deducibilità come sopra
delineati rientra, in se stessa, la censura, formulata nel
primo motivo di ricorso, di "nullità del procedimento
per violazione degli art. 16, 91 e 611 c.p.c., nullità
del procedimento per violazione dell'art. 24 legge fallimentare",
onde non ha ragione di essere il dubbio prospettato al riguardo
dalla resistente. La Curatela del fallimento si duole del
mancato accoglimento dell'eccezione di incompetenza dell'adito
giudice di pace. La censura, così come formulata,
investe la fondamentale questione della discriminazione
tra la sfera della potestas iudicandi del giudice ordinario,
al quale è istituzionalmente demandata in via generale
la tutela dei diritti soggettivi, e quella riservata alla
cognizione endofallimentare strumentalmente preordinata
alla formazione di qualsivoglia titolo esecutivo destinato
a ricevere attuazione mediante prelievo dell'attivo fallimentare.
In relazione a tale problematica, l'assunto della ricorrente,
che si sviluppa nella riproposizione della eccezione di
incompetenza, eccede -a ben guardare- le esigenze della
ratio decidendi richiesta dalla attuale materia del contendere.
Invero, di competenza per materia sarebbe ragionevole pertinente
discutere solo se la situazione controversa rientrasse nell'ambito
della cognizione del giudice ordinario. Ma la domanda, che
l'originaria attrice ha proposto davanti al giudice di pace
e che da questo è stata accolta, avendo ad oggetto
una pretesa patrimoniale potenzialmente destinata a ricevere
soddisfacimento a carico del patrimonio del fallito, non
sfugge al necessitato assoggettamento alle modalità
dell'accertamento del passivo (mediante gli strumenti della
insinuazione tempestiva ai sensi dell'art. 93 ovvero, ove
occorra, dell'insinuazione tardiva ai sensi dell'art. 101
della legge fallimentare) e ai limiti della partecipazione
al concorso a cui soggiacciono anche le posizioni creditorie
prededuttive, secondo un ben noto e costante indirizzo della
giurisprudenza di legittimità, che è confortato
dall'opinione della prevalente dottrina, e che trova conforto
nel principio generale della sottrazione del patrimonio
vincolato al concorso a qualsivoglia iniziativa depauperatoria
rispondente ad interessi particolari e suscettibile di risolversi
in alterazione della par condicio creditorum (v. ex pluribus,
da ultimo: Cass. 8111/2000, Cass. 12670/1999, Cass. 11379/1998).
Né rileva, in contrario, la correlazione della domanda,
nella sua causa petendi, con il procedimento di esecuzione
per rilascio di bene immobile, che è strutturalmente
estraneo e logicamente e cronologicamente successivo alla
procedura concorsuale che, relativamente alla sorte di tale
cespite, si è esaurita con il decreto di trasferimento
emesso a favore dell'aggiudicataria attrice, la quale, dopo
essersi avvalsa di quel titolo nei confronti della detentrice
ai fini dell'esecuzione ordinaria contro il detentore del
bene, si afferma titolare nei confronti del fallimento di
un diritto al rimborso delle spese in quella sede sostenute.
Devesi, conclusivamente, dare atto della originaria improponibilità,
non solo davanti al giudice di pace ma, in termini più
generali, davanti a qualsiasi giudice ordinario, della domanda
della Chiti nei confronti della Curatela fallimentare, la
quale doveva essere introdotta mediante gli strumenti previsti
dalla legge fallimentare ai fini dell'ammissione al passivo.
Tale improponibilità può e deve essere rilevata
d'ufficio, indipendentemente dalla consapevolezza o meno
nella parte ricorrente delle conseguenze giuridiche derivanti
dalla corretta impostazione e soluzione della questione
dalla stessa introdotta.
Si accede quindi, conclusivamente, alla cassazione senza
rinvio della impugnata sentenza ai sensi del terzo comma
dell'art. 382 c.p.c. La parte resistente non può
andare esente dal rimborso delle spese processuali dell'intero
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo
di cui al ricorso; cassa senza rinvio la impugnata sentenza;
condanna la controricorrente Porcello Anna Maria al rimborso
in favore della Curatela del fallimento di Chiti Anna Maria
delle spese dell'intero giudizio, che liquida in lire 80.000
per esborsi e lire 699.000 per diritti e lire 300.000 per
onorari relativamente al grado di merito e in lire 308.400
per esborsi e lire 800.000 per onorari relativamente alla
fase di legittimità.
Roma, 25 ottobre 2000
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 21 FEBBRAIO 2001