Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 23 marzo 2001 n. 4261 sulla decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria maturati sul TFR a carico del Fondo di Garanzia


La massima
Il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, istituito presso l'Inps ai sensi dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297, ha, secondo l'esplicita formulazione della norma, "lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso d'insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto", dovuto a norma dell'art. 2120 cod. civ.; essendo lo scopo dell'intervento del Fondo la soddisfazione del credito del lavoratore, questo, in ogni caso, mantiene la propria natura di credito "indicizzato" alle variazioni del costo della vita, cosicché il lavoratore ha il diritto a percepire gli interessi e la rivalutazione monetaria dal giorno di maturazione del credito al saldo (a cura di Fabrizio Amendola).

La sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Massimo GENGHINI -Presidente-
Dott. Giovanni PRESTIPINO -Consigliere-
Dott. Giancarlo D'AGOSTINO -Consigliere-
Dott. Maura LA TERZA -Consigliere-
Dott. Saverio TOFFOLI -Rel. Consigliere-
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via Della Frezza 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Todaro Antonio, Cantarini Luigi, Tadris Patrizia, giusta delega in atti;

-ricorrente-
contro
Rongont Franco, Airaghi Fabrizio, Amato Anna Maria, Canobbio Daria Luisa, Cappello Anna Maria, Mondellini Marisa, Murgida Chiara, Ratta Caterina, Villa Marina, Viscomi Rosa Maria, elettivamente domiciliati in Roma viale Bruno Buozzi 32, presso lo studio dell'avvocato Afeltra Roberto, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato Zezza Luigi, giusta delega in atti;

-controriccorrenti-
avverso la senza n. 9047/97 del Tribunale di Milano depositata il 30/07/97 R.G.N. 1387/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/01 dal Consigliere Dott. Saverio Toffoli;
udito l'avvocato Cantarini;
udito l'avvocato Zezza;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Martone che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Franco Rongoni ed altri nove ricorrevano al Pretore di Milano lamentando che l'Inps, quale gestore del Fondo di garanzia, aveva loro corrisposto il trattamento di fine rapporto maturato alle dipendenze della Termozeta Elettrodomestici s.p.a. in concordato preventivo, con i soli interessi e rivalutazione maturati fino al giorno della sentenza di omologazione del concordato preventivo e chiedendo che, invece, fosse accertato il loro dritto a conseguire tali accessori dalla maturazione del credito al saldo, con la condanna dell'Inps al conseguente pagamento. L'Inps resisteva alla domanda, che veniva accolta dal Pretore.
L'appello proposto dall'Inps veniva respinto dal Tribunale di Milano, che faceva applicazione del principio secondo cui l'ente gestore del Fondo subentra nella stessa posizione del datore di lavoro, senza che la natura sostanziale del debito cambi natura, neanche in relazione alla previsione, a favore dell'lnps, di un termine per il pagamento di 60 giorni, a norma dell'art. 2, settimo comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297.
Contro questa sentenza l'Inps ha proposto ricorso per cassazione.
Il Rongoni e i suoi litisconsorti resistono con controricorso e hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
L'lnps lamenta la violazione dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297, degli artt. 429 e 442 c.p.c., e degli artt. 52, 54, 95, 97, 110, 111 della legge fallimentare in riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., affermando che il giudice di appello, nel riconoscere anche il diritto alla svalutazione maturatasi dopo la definizione dello stato passivo fino al soddisfo, non ha correttamente fatto applicazione delle norme in materia, disattenendo in particolare l'insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui la rivalutazione deve essere disposta fino al momento in cui lo stato passivo diventa definitivo (sentenza 18 aprile 1989 n. 204), e il principio affermato da questa Corte, secondo cui il termine ad quem della svalutazione del credito relativo al trattamento di fine rapporto coincide con il momento in cui la verifica giudiziale diventa definitiva. La questione proposta dalla presente controversia e in particolare dall'esposto motivo di ricorso è già stata esaminata più volte da questa Corte, la quale, già con la sentenza n. 5036 del 1989, ha rilevato che il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, istituito presso l'Inps ai sensi dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982 n. 297, ha, secondo l'esplicita formulazione della norma, "lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso d'insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto", dovuto a norma dell'art. 2120 cod. civ. (nel testo sostituito dall'art.1 della stessa legge); che, coerentemente, al Fondo è demandata, nella concorrenza dei presupposti di legge, la corresponsione di tale trattamento "e dei relativi crediti accessori previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte", pur nella previsione di un determinato iter procedimentale, caratterizzato dalla domanda dell'interessato e dalla fissazione di alcuni termini; che, essendo lo scopo dell'intervento del Fondo la soddisfazione del credito del lavoratore, questo in ogni caso mantiene la propria natura di credito "indicizzato" alle variazioni del costo della vita, cosicché il lavoratore ha il diritto a percepire gli interessi e la rivalutazione dal giorno di maturazione del credito, nonostante le modalità ed i tempi di funzionamento del Fondo previsti dalla norma; che il coinvolgimento del Fondo è giuridicamente qualificabile non tanto in termini di fideiussione, quanto di accollo ex lege, con assunzione, da parte del Fondo, dello stesso debito del datore di lavoro e con surrogazione del fondo medesimo ai sensi del settimo comma dello stesso art. 2.
L'esposta interpretazione della normativa in esame è stata ribadita da Cass. n. 1341/1992 e Cass. n. 5043/1994. Quest'ultima sentenza, in particolare, pur confermando la ricostruzione dell'istituto in termini di accollo cumulativo ex lege e non di fideiussione, al fine di rimarcare come l'Inps subentri in una posizione debitoria identica a quella del datore di lavoro, rileva che, anche qualificando in termini di sussidarietà l'obbligazione dell'ente previdenziale, muterebbe la posizione creditoria dell'unico ed originario creditore (in termini analoghi, cfr. Cass. n. 10968/1995, in relazione alla disciplina della prescrizione dei crediti in questione). La stessa pronuncia, soprattutto, qualifica come chiaramente erronea la tesi secondo cui la prestazione a carico del fondo si determinerebbe in relazione alle pretese azionabili nei confronti del fallimento del datore di lavoro (e quindi in base alla disciplina derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/1989, dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 59 legge fall. e dell'art. 429 c.p.c., nella parte in cui garantisce la rivalutazione del credito di lavoro solo fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo), rilevando che a fondamento della stessa tesi è l'equivoco di ritenere che il fondo si sostituisca al fallimento e non al datore di lavoro.Quanto al termine massimo di sessanta giorni dalla domanda, assegnato dalla legge al fondo per svolgere la necessaria indagine sulla domanda formulata dall'interessato, osserva che esso non può pregiudicare, con riferimento al suo ammontare, il credito del lavoratore.
Un ulteriore contributo d'analisi è fornito da Cass. n.5606/1994 (avente ad oggetto specificamente questioni in tema di prescrizione), che, facendo riferimento anche ai lavoratori, ha rilevato come, in base alla riforma del 1982, che ha istituito la vigente disciplina del trattamento di fine rapporto, l'esigenza di una speciale tutela delle somme accantonate a titolo di t.f.r. è giustificata dal fatto che le somme stesse rappresentano un capitale di pertinenza del lavoratore, forzosamente risparmiato e mobilitato come investimento nella stessa impresa del datore di lavoro, e ha ribadito la qualificazione della vicenda in accollo ex lege.
L'orientamento in esame è stato implicitamente disatteso da Cass. n. 8021/1995, che, sul presupposto della corrispondenza dei diritti azionabili nei confronti del procedimento concorsuale cui sia assoggettato il datore di lavoro e di quelli azionabili nei confronti del fondo di garanzia (e di una interpretazione della disciplina conseguente alle sentenze della Corte Costituzionale nn. 300/1986, 204/1982 e 567/1982), ha ritenuto che, in ipotesi di concordato preventivo, la rivalutazione del credito per il t.f.r. si verifica fino alla data di pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo.
Non si sono invece pronunciate, neanche implicitamente, sul punto, Cass. n. 1052/1991 e n. 7355/1999, che hanno interpretato la disposizione sullo spatium deliberandi di sessanta giorni concessi all'Inps, nel senso che il relativo termine decorre solo dopo che l'interessato abbia fornito la documentazione necessaria e legittimamente richiesta dall'ente stesso, sulla base dell'esercizio di poteri di autoregolamentazione della pubblica amministrazione.
D'altra parte l'orientamento maggioritario è stato confermato di recente da Cass. n. 14761/1999, che ha anche osservato che la diversa disposizione contenuta nell'art. 2 del d. lgs. n. 80 del 1992 (sulla tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro dei crediti di lavoro diversi dal t.f.r.), secondo cui gli interessi e la svalutazione sono dovuti dalla data di presentazione della domanda al fondo, conferma l'applicabilità della disciplina ordinaria dei crediti di lavoro quanto al trattamento di fine rapporto.
Si ritiene lo stesso orientamento meritevole di adesione.
Quella in esame è una disciplina che indubbiamente configura in maniera particolare i diritti del lavoratore nei confronti dell'ente previdenziale, ma ciò trova una corrispondente giustificazione nella ratio della disciplina.
In materia di trattamento di fine rapporto, il legislatore del 1982 ha riconfermato l'assetto previgente sotto il profilo della conservazione a favore del lavoratore di una rilevante prestazione economica, caratterizzata da una maturazione correlata alla prestazione dell'attività lavorativa (o all'operare di determinate cause di sospensione del rapporto) e da un'erogazione differita fino alla conclusione del rapporto, e ha ribadito e rafforzato la connotazione retributiva di tale prestazione, già costituente ius receptum sulla base della giurisprudenza costituzionale ed ordinaria. Contemporaneamente, però, ha evidenziato e appositamente disciplinato la concorrente natura di risparmio forzoso dell'accantonamento operato a favore del lavoratore (cfr. le norme sulle modalità di applicazione degli interessi e della rivalutazione e quelle -peraltro piuttosto restrittive, a tutela delle esigenze delle imprese- sulle anticipazioni in caso di sussistenza di particolari ragioni di bisogno del lavoratore), implicitamente dando riconoscimento alla circostanza che, tra le ragioni del mantenimento dell'istituto del trattamento di fine rapporto, vi sono anche considerazioni di politica economica generale, e in particolare l'esigenza di non far venire meno una fonte importante di finanziamento delle imprese, disponibile a condizioni vantaggiose a prescindere dalla dimensione e dalla forza economica di ciascuna di esse (in termini analoghi, sulla ratio della disciplina in esame, anche sulla scorta dei lavori preparatori, cfr. Cass. n. 9233/1995, oltre a Cass. n. 5606/1994, già citata). Ma proprio quest'ultima circostanza è alla base del pericolo, per una parte, a priori non determinabile, dei lavoratori, di non essere concretamente in grado di riscuotere quella importante quota dei loro risparmi costituita dal trattamento di fine rapporto.
Il legislatore ha ritenuto quindi logico ed equo, in considerazione anche della direttiva costituzionale sulla tutela del risparmio (art. 47, primo comma, Cost.), delineare un sistema che, quanto al trattamento di fine rapporto -nel quale possono essere incorporati i risparmi di una intera vita lavorativa de singolo lavoratore-, garantisca nella maniera più ampia ed efficace possibile la soddisfazione integrale dei diritti maturati Ha dato luogo quindi ad una speciale forma di assicurazione sociale (che l'istituto sia qualificabile in tali termini -diversamente da. quanto ritenuto da Cass. n. 5606/1994, secondo cui si tratta di tutela di tipo privatistico- può affermarsi in base alla sua funzione, ai soggetti che ne assicurano la gestione, alla natura giuridica dei contributi posti a carico dei datori di lavoro, ecc.), in cui l'interesse del lavoratore è conseguito non attraverso l'erogazione di un'autonoma indennità, ma mediante l'assunzione, in caso di insolvenza del datare di lavoro, della responsabilità solidale per l'erogazione del trattamento di fine rapporto da parte dell'istituto previdenziale indicato come competente dalla legge.
La responsabilità solidale -che sul piano testuale si evince dalle, già esaminate, chiare dizioni del primo e secondo comma dell'art.2 della legge- garantisce, in mancanza di contrarie previsioni ( e tanto più in presenza di una disposizione esplicita), l'identità delle prestazioni rispetto a quelle dovute in base alla disciplina lavoristica, anche dal punto di vista di quegli accessori, quali gli interessi e la rivalutazione, che per i crediti di lavoro costituiscono parte integrante del credito principale. E determina anche l'applicabilità del termine di prescrizione proprio del credito originario e delle speciali regole dettate in materia a proposito delle obbligazioni sociali (cfr. le già citate Cass. n. 5606/1994 e n. 10968/1995, nonché Cass. n. 9233/1995 e n. 8515/1996); da questo ultimo punto di vista consegue la applicabilità della prescrizione quinquennale in luogo di quella annuale di cui all'art. 2952 c.c., rilevante anche nelle assicurazioni sociali, in difetto di speciale disciplina, a norma dell'art. 1886 c.c.. Ed è indubbiamente significativo che il d. lgs. 27 gennaio 1992 n. 80, diretto a garantire, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il pagamento della retribuzione degli ultimi tre mesi del rapporto (peraltro nei limiti di determinati massimali e con la deducibilità di taluni tipi di differenti prestazioni conseguite dal lavoratore, sicché l'intervento del Fondo di garanzia presenta connotazioni che lo differenziano da quello relativa al t.f.r.), nel prevedere la prescrizione annuale e la computabilità degli interessi e della svalutazione solo dalla data di presentazione della domanda la Fondo di garanzia, abbia riferito le relative disposizioni solo al nuovo trattamento e abbia lasciato invariata la disciplina di cui alla legge del 1982, la cui specialità risulta quindi confermata.
Può infine osservarsi che il riferimento compiuto dalla giurisprudenza alla figura dell'accollo legale per spiegare il titolo della responsabilità solidale assunta dal Fondo di garanzia appare coerente con l'ampio spettro di situazioni riguardo a cui la medesima figura è correntemente richiamata. Infatti, mentre l'accollo contrattuale, previsto dall'art, 1273 c.c., integra innanzitutto un accordo tra il debitore originario e quello nuovo che inter partes (almeno di norma) sposta il definitivo onere dell'adempimento sull'accollante (cfr. Cass. n. 821/1997, n. 8044/1997 e n. 4604/2000) alla figura dell'accollo legale cumulativo si fa riferimento anche in varie situazioni (cfr., per es.,gli artt. 1104, terzo comma, e 2112, secondo comma, c.c.) in cui, come nel caso in esame, la responsabilità del nuovo debitore è prevista ai fini di maggiore garanzia del terzo, senza che necessariamente si verifichi la traslazione dell'onere economico definitivo sul nuovo debitore (traslazione certamente esclusa nel caso in esame, in cui, a norma dell'art. 2, settimo comma, della legge n.297/1982, si verifica la surrogazione di diritto del fondo nel credito privilegiato del lavoratore).
In conclusione, poiché la sentenza impugnata si è attenuta ai principi che con questa sentenza vengono ribaditi, il ricorso va rigettato. Si provvede sulle spese del giudizio in base al criterio della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in £18.000 oltre a £4.000.000 per onorari.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2001.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 23 MAR. 2001.

 












 

 

 


2000 (c) ilFallimento.it - Ideato e diretto dal Dott. Raimondo Olmo
Torre Annunziata (Napoli) - Corso Umberto I, n.242