Bancarotta fraudolenta - valore della sentenza dichiarativa di fallimento
(Tribunale di Pistoia, sentenza 24.05.2001)

Con la sentenza in commento il Tribunale di Pistoia in composizione collegiale ha assolto l’imputata dal delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale - art. 216 R.D. 16.III.1942 n. 267 - con la motivazione “perché il fatto non sussiste” seguendo un ragionamento logico - giuridico condivisibile e ben argomentato al quale è arrivato dopo aver affrontato e risolto alcune questioni sulle quali merita soffermarsi.


In primo luogo il giudicante ha ritenuto di dover respingere l’istanza di sospensione del processo penale ex art. 479 c.p.p. in attesa della definizione del procedimento civile nato dalla opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento.


Interpretando la norma processuale conformemente all’indirizzo dominante della giurisprudenza, ha ritenuto infatti che il procedimento penale non sia da sospendere “allorquando il giudice che procede possa pervenire agevolmente alla decisione, risolvendo anche la questione pregiudiziale” (così Cass. sez. V, 22.IV.1993).


Superato questo primo scoglio al giudicante, entrando nel merito, si è aperta una ulteriore questione relativa alla rilevanza della sentenza dichiarativa di fallimento nel processo penale. Riguardo a ciò il Tribunale, dopo aver preso in esame le varie posizioni giurisprudenziali in materia, ha ritenuto di aderire a quell’orientamento più avvertito secondo il quale la sentenza di fallimento, pur irrevocabile, non ha efficacia di giudicato nel processo penale, ma “si offre alla doverosa valutazione del giudice penale al pari di qualsiasi altra indicazione probatoria” (così Cass. 16.2.1995 n. 3943 e conforme Cass. 7.7.1998 n. 7961).


Il Tribunale è così arrivato alla decisione di assoluzione dell’imputata sulla base dell’applicazione della norma di cui all’art. 147 L. fall. come interpretata recentemente dalla Corte Costituzionale. Il giudice delle leggi (sent. 21.7.2000 n. 319) ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata norma “nella parte in cui prevede che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata possa essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi abbiano perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata”. Considerando pertanto che l’imputata aveva provveduto alla cessione delle proprie quote due anni prima della dichiarazione di fallimento, la stessa non poteva essere dichiarata fallita e quindi la sentenza dichiarativa è da considerarsi illegittima. Quindi, dato che la dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo del reato contestato ex art. 216 l. fall., l’accertata illegittimità della detta dichiarazione comporta l’assoluzione della imputata “perché il fatto non sussiste”. (dott. Luca Cimoroni)

 

TRIBUNALE DI PISTOIA


COLLEGIO PENALE


MOTIVAZIONE NON CONTESTUALE


Con decreto del 14.12.1998 il Gup/sede disponeva il rinvio a giudizio dell'imputata XXXXXXXXXXXX WWWWWWWWW per rispondere del reato rubricato.


Nel corso delle udienze tenutesi davanti a questo Collegio, presente l'imputata all'udienza del 20.9.1999, il difensore in forza della procura speciale conferitagli, richiedeva all'udienza del 10.5.2000 l'ammissione dell'imputata al giudizio abbreviato. Questo Tribunale, valutata l'ammissibilità in rito della richiesta di giudizio abbreviato ricorrendo le condizioni di cui all'art.223 D.Lgs. n.51/98, ammetteva l'imputata medesima al giudizio abbreviato, rinviando per la discussione all'udienza del 24.1.2001.


All'udienza predetta, assente l'imputata, le parti procedevano alla discussione e concludevano come da allegato verbale.

Ritiene il Collegio che l'istruttoria sulla base degli atti abbia consentito di escludere la configurabilità del reato ipotizzato a carico dell'imputata, non essendo stata fornita prova della sussistenza degli elementi oggettivi del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.


Quanto al merito, il Collegio osserva quanto segue.


Con sentenza 20.12.1995 - 9.1.1996 il Tribunale di Pistoia dichiarava il fallimento della E. S.a.s. di Xxxxxxxxxxxx P. e C., già YYYYYYYYYY S.a.s. di Xxxxxxxxxxxx e C., con sede in Pescia, esercente il commercio all'ingrosso e al dettaglio di prodotti per l'agricoltura, piante e fiori. Il fallimento veniva dichiarato anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili XXXXXXXXXXXX e WWWWW, odierna imputata.


Oggetto della contestazione nel decreto che disponeva il giudizio era la sottrazione dell'autovettura Y10 tg. PT 00000000 che, in base a quanto risulta dagli atti, costituiva bene personale della fallita.


Dalla relazione del curatore e dagli atti allegato al fascicolo, peraltro, emergeva che il curatore del fallimento, dott.ssa A.C.i, aveva ricevuto alla fine del mese di settembre 1996 una lettera da parte della Agenzia della TORO ASSICURAZIONI di Lucca diretta alla Xxxxxxxxx avente ad oggetto il risarcimento danni per un incidente stradale. A seguito di ciò, quindi, la C. accertava presso il PRA e presso il locale ufficio della Motorizzazione Civile che la WWWWWW risultava proprietaria dell'autovettura in questione. Di tale bene, tuttavia, la Xxxxxxxxxxxx
non aveva fatto menzione in sede di inventario eseguito il 27.3.1996, successivamente alla dichiarazione di fallimento, dichiarando in quella sede di non possedere alcun bene sia personale che della società fallita. La disponibilità dell'autovettura in capo alla fallita, peraltro, veniva confermata dalle dichiarazioni rese telefonicamente dalla madre della Xxxxxxxxxxxx che riferiva come l'autovettura fosse alla data del novembre 1996 nel possesso e nella disponibilità della WWWWWW, circostanza oggetto di diretto accertamento da parte di militari della Stazione CC di Pescia.


Con provvedimento del GIP di questo Tribunale emesso in data 20.11.1996 su richiesta del PM/sede, eseguito il 2.12.1996, l'autovettura veniva acquisita al procedimento penale in corso e successivamente restituita con provvedimento del PM/sede del 12.12.1996 al curatore del fallimento E. S.a.s. A seguito della trasmissione del provvedimento del PM al PRA per l'annotazione del provvedimento di sequestro preventivo si appurava, peraltro, che l'autovettura in questione non risultava registrata al PRA entro 90 gg. dal rilascio della targhe elemento, questo, valorizzato dal PM di udienza per evidenziare la sussistenza del relativo elemento
psicologico del reato.


Nessun contributo processuale, peraltro, veniva fornito dalla fallita in sede di interrogatorio eseguito il successivo 10.12.1996, essendosi avvalsa l'imputata della facoltà di non rispondere.


A seguito della dichiarazione di fallimento, però, la WWWWWWWW proponeva formale opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento emessa anche nei suoi confronti quale socia illimitatamente responsabile della predetta S.a.s., essendo la Xxxxxxxxxxxx receduta dalla compagine sociale con cessione della propria quota oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento, periodo nel quale non sussisteva l'insolvenza della società successivamente dichiarata fallita. La curatela
fallimentare si costituiva in giudizio resistendo all'opposizione chiedendo la
reiezione della domanda. Con ordinanza Collegiale del 27.1.1999, il Tribunale di Pistoia disponeva la rimessione della causa sul ruolo ordinando all'opponente di provvedere all'integrazione del contraddittorio nei conforti di due creditori sociali, essendo stata proposta l'opposizione solo nei confronti della curatela e non anche nei confronti dei creditori richiedenti il fallimento. Allo stato, peraltro, la decisione sulla opposizione non è stata ancora definita dal Tribunale di Pistoia, sicchè si opponeva processualmente il problema di attendere o meno la definizione della controversia civile prima di decidere sulla perseguibilità penale dell'imputata per il fatto contestato.


Il Tribunale di Pistoia, sollecitato dalle parti nel senso di esercitare il potere di sospensione del processo ex art.479 c.p.p. in attesa della definizione della controversia civile, respingeva la richiesta all'udienza del 24.1.2001 evidenziando come la risoluzione della controversia civile in ordine alla assoggettabilità al fallimento dell'imputata WWWWWWWW, tra l'altro per l'asserito decorso del termine annuale dal recesso, non rivestisse i caratteri di controversia civile "di
particolare complessità", anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto.


La sospensione del dibattimento, prevista dall'art. 479 c.p.p. per la definizione della questione pregiudiziale, è infatti ispirata ad esigenze di celerità ed economia, sicché ad essa può farsi luogo solo in presenza di determinate condizioni, la cui mancanza comporta l'irrilevanza della pregiudiziale e l'obbligo di procedere; la prima di tali condizioni, costituita dalla «particolare complessità» della controversia civile o amministrativa da cui dipende la decisione sull'esistenza del reato, è
dettata allo scopo di scongiurare superflue stasi processuali, verificabili allorquando il giudice che procede possa pervenire agevolmente alla decisione, risolvendo anche la questione pregiudiziale; il giudice è tenuto, pertanto, a motivare la sussistenza del requisito della particolare complessità della suddetta questione (CASS.PEN., sez. V, 22-04-1993,
Bortoloso: fattispecie di bancarotta fraudolenta nella quale l'ordinanza di sospensione è stata annullata, in quanto adottata prima dell'inizio del dibattimento, senza, perciò, saggiare l'indefettibile aspetto della pregiudiziale, per il solo fatto che pendeva il giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento).


Nel caso in esame, la valutazione della serietà della controversia concernente l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento avente ad oggetto l'accertamento della qualità di fallito dell'imputata non rientra nel novero delle questioni pregiudiziali previste all'art.3 c.p.p., costituendo, infatti, una questione pregiudiziale di stato personale e
non una pregiudiziale "sullo stato di famigli o di cittadinanza". Non sussiste, pertanto, alcun obbligo per il giudice penale di procedere alla sospensione facoltativa del processo penale, soprattutto alla luce della recente giurisprudenza costituzionale sulla fallibilità del socio receduto ex art.147 RD 16 marzo 1942 n.267.


Prima di entrare nel merito della questione, però, ritiene il Collegio necessario soffermarsi, seppur brevemente, sulla questione concernente la rilevanza nel giudizio penale della sentenza dichiarativa di fallimento che, quale elemento costitutivo dei reati di bancarotta, incide sulla sussistenza del reato stesso oggetto di contestazione. Questo Collegio, sul punto - pur consapevole di un orientamento giurisprudenziale di legittimità più rigoroso (tendente a ribadire il principio secondo il quale la dichiarazione di fallimento, una volta che abbia acquisito il carattere dell'irrevocabilità, viene a costituire un dato definitivo e vincolante sul quale non possono più sorgere questioni che non siano collegate alla produzione formale della prova della sua giuridica esistenza: CASS.PEN., Sez. 5^, 4.5 – 23.8.1993 n.7912, Berzanti; conforme, CASS.PEN., Sez. 5^, 24.2 - 15.4.1998 n.4427) e di uno intermedio che limita la vincolatività della sentenza dichiarativa di fallimento solo alla stato di "fallito" ma non a quello di "imprenditore" (CASS.PEN., Sez. 5^, 1.12.1990 - 9.4.1991 n.3950, Milazzo ed altro) - ritiene di dover aderire al più avvertito orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale in virtù della disciplina delle questioni pregiudiziali dettata dagli art. 2 e 3 c.p.p., la sentenza dichiarativa di fallimento, pur se irrevocabile, non ha efficacia di giudicato nel processo penale. Essa, infatti, si offre alla doverosa valutazione del giudice penale, al pari di qualsiasi altra indicazione probatoria ed in tali limiti può essere utilizzata per l'accertamento della verità sostanziale (CASS.PEN., Sez. V, 16-02-1995, Bertoldo; conforme, CASS.PEN., Sez. 5^, 29.4 - 7 luglio 1998 n.7961).


Premesso quanto sopra, quindi, agevole è la risoluzione della questione di diritto, nei termini prospettati dalla difesa, tenuto conto del dato normativo come interpretato dalla Corte Costituzionale.


Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale emerge, in particolare, che la WWWWWWW cedette l'intera quota di partecipazione con atto notaio Lenzi del 29.6.1993 (registrato il 2.7.1993). La cessione delle quote e la conseguente modifica della ragione sociale da YYYYYYYYYYY S.a.s. di WWWWWWWWW & C. a YYYYYYY S.a.s. di Xxxxxxxxxxxx & C. venne regolarmente pubblicata nel registro delle imprese in data 9.7.1993.


Orbene, già la Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa di rigetto n.66 del 12.3.1999 aveva affermato che la norma di cui all'art.147 Legge Fallimentare dovesse essere interpretata nel senso che il fallimento del socio illimitatamente responsabile, in estensione a quello della società fallita, poteva essere dichiarato solo entro un anno dalla cessazione della carica sociale.


La giurisprudenza di merito aveva recepito in maniera difforme l'orientamento giurisprudenziale del Giudice delle Leggi rendendosi, quindi, necessario un intervento della Corte Costituzionale che risolvesse una volta per tutte il problema onde evitare il perpetuarsi di tale incertezza interpretativa.


La Corte Costituzionale, intervenendo sulla questione, ha infatti con la sentenza 11.7 - 21.7.2000 n.319 dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.147 Legge Fallimentare nella parte in cui prevede che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata possa essere dichiarato dopo il decorso di un anno in cui essi abbiano perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata.


Facendo, quindi, coerente applicazione di tale declaratoria di incostituzionalità della norma sulla quale era fondata l'estensione alla Xxxxxxxxxxxx della dichiarazione di fallimento (v., sul punto, la motivazione della sentenza del Tribunale di Pistoia n.1/96 depositata il 9.1.1996, da cui emerge che "ritenendosi inapplicabile nei confronti del socio receduto il termine di cui all'art.10 LF - come da costante giurisprudenza - deve essere dichiarato anche il fallimento della WWWWW quale socia illimitatamente responsabile ex art.147 LF"), oltre che della norma dell'art.10 LF ("risultando assorbita in tale pronuncia la censura relativa all'art.147": v. sempre la motivazione della sentenza Corte Cost. 319/2000) "nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell'impresa, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l'impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società, invece che dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese" deve, quindi, ritenersi che lo status di "fallita" della WWWWWWWWW non possa essere giudizialmente riconosciuto in quanto l'imputata è stata dichiarata fallita dopo il decorso di un anno dalla cessione delle quote.


Tale circostanza assume importanza in quanto l'autovettura di cui è contestata la sottrazione costituisce bene personale della Xxxxxxxxxxxx e non della società. E', dunque, rilevante la dichiarazione di fallimento dell'imputata "in proprio" e non quella della società (diversamente, infatti, la Xxxxxxxxxxxx sarebbe stata responsabile a prescindere dal proprio personale fallimento). Quanto, poi, alla connessa questione se il termine decorra dalla data del recesso o della cessione oppure da quello in cui sia stata data pubblicità di tali fatti nel Registro delle imprese
ex art.2290 cod. civ., la risoluzione della stessa da parte della giurisprudenza di legittimità secondo cui il termine decorre dalla pubblicità del fatto perché solo in questo momento è opponibile ai terzi (CASS.CIV., sez. I, 05-10-1999, 11045/1999, Zanardi - Fall. soc. Famar 80:


"L'art. 147 l.fall. stabilisce quale principio generale che il fallimento della società di persone comporta necessariamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, mentre l'art. 2290, 1º comma, c.c. tempera indirettamente tale principio, nel senso che limita la responsabilità del socio recedente al momento del recesso, a condizione però che di tale recesso sia stata data adeguata pubblicità, così come stabilito dal 2º comma dello stesso articolo; ne consegue che qualora il recesso non sia in alcun modo pubblicizzato non è opponibile, in base all'art. 2290, 2º comma, c.c., con ciò intendendosi che non produce i suoi effetti al di fuori dell'ambito societario e non è quindi idoneo a escludere l'estensione del fallimento pronunciata ai sensi dell'art. 147 l.fall.") conferma la correttezza della prospettazione difensiva, poiché la cessione delle quote da parte dell'imputata è stata ritualmente pubblicata nel Registro delle imprese in data 9.7.1993, ossia oltre due anni prima del fallimento, dichiarato con sentenza del 20.12.1995, dep. il 9.1.1996.


Risolta, quindi, la questione pregiudiziale nel senso della insussistenza della qualità di fallita dell'imputata, ne discende che essendo la dichiarazione di fallimento un elemento costitutivo dei reati di bancarotta conferendo carattere di illiceità alla sua condotta, l'accertata illegittimità della dichiarazione di fallimento secondo la lettura offerta dalla Corte Costituzionale comporta, quale necessaria conseguenza, l'assoluzione dell'imputata con la formula di cui in dispositivo, incidendo negativamente la risoluzione della pregiudiziale sulla stessa sussistenza del reato.


P.Q.M.


Il Tribunale di Pistoia, in composizione collegiale, visto l'art.530 c.p.p. assolve WWWWWWWW dalla imputazione ascrittale perché il fatto non sussiste.


Pistoia 24.1.2001


Il Giudice est. Il Presidente


(Dott.A.Scarcella) (dott.G.Signorelli)


 












 

 

 


2000 (c) ilFallimento.it - Ideato e diretto dal Dott. Raimondo Olmo
Torre Annunziata (Napoli) - Corso Umberto I, n.242