Corte
di Cassazione sez. I civile - sentenza 25 gennaio 2001 n.
1058
Verifica
dei crediti e titoli di credito
Svolgimento del processo.
La
Corte d'appello di Genova, con la sentenza pubblicata il
27 aprile 1998, riformando la sentenza 20 giugno 1994 del
Tribunale di Genova, respingeva la domanda di ammissione
al passivo del fallimento della soc. a r.l. Medilmec proposta
dalla s.a.s. Immobiliare Futura Cei di Gironi Annalisa e
c. con dichiarazione tardiva di credito ex art. 101 l.f.,
avendo giudicato che le cambiali prodotte a documentazione
del credito fossero invalide, poiché così
la sottoscrizione di emissione (sotto il timbro della società
Medilmec) come quella di girata del prenditore (sotto il
timbro Azienda Agricola La Fonte s.a.s.) non corrispondevano
al precetto dell'art. 8 legge camb., consistendo in segni
grafici indecifrabili. Contro questa decisione ha proposto
ricorso per cassazione la società in a.s. Immobiliare
Futura Cei nell'unico motivo deducendo «violazione
e/o falsa applicazione» degli artt. 8-15 della legge
cambiaria. Resiste con controricorso - e memoria - il curatore
del fallimento della soc. a r.l. Medilmec che eccepisce
preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per
invalidità della procura, stesa a margine dell'atto
(priva di data e del requisito di specialità).
Motivi
della decisione.
1.
Costituendosi con controricorso, il curatore del fallimento
della società Medilmec ha eccepito la inammissibilità
del ricorso per la asserita invalidità della procura
stesa a margine dell'atto (e priva di data) con formulazione
generica che descrive il patrocinio del difensore in ogni
grado e fase di un astratto processo e che non risponde
quindi al requisito di specialità posto dall'art.
365 c.p.c.
L'eccezione non è fondata e il ricorso è ammissibile.
Il disposto dell'art. 83, comma 3, c.p.c., che dà
facoltà alla parte di apporre la procura a margine
o in calce di specifici e tipici atti del processo - e,
in ragione di tale modalità, speciale - dà
infatti fondamento alla presunzione che il mandato così
conferito abbia effettiva attinenza al grado o alla fase
del giudizio cui l'atto che lo contiene inerisce. Sicché
la formulazione in ipotesi generica e come nella specie
onnicomprensiva (ma con riferimento pure alla fase di cassazione)
dei poteri attribuiti al difensore non vale a contraddire
quella presunzione e non invalida perciò la procura
stesa a margine del ricorso per cassazione e incorporata
nell'atto attraverso il reciproco richiamo nella intestazione
del ricorso (alla procura a margine) e nel testo della stessa
procura (al «presente giudizio»), alla quale,
infine, quando priva di data, deve intendersi estesa quella
del ricorso (per decisioni in tal senso, in analoghe fattispecie,
Cass. 11516, 4299, 3034, 921 e 463/1999).
La procura stesa a margine del ricorso della s.a.s. Immobiliare
Futura CEI di Gironi Annalisa e c. deve dunque ritenersi
speciale così da legittimare il difensore a proporre
l'impugnazione. 2. Il motivo di impugnazione dedotto sotto
il titolo «violazione e/o falsa applicazione»
degli artt. 8-15 e segg. legge cambiaria si articola in
realtà in quattro distinti rilievi critici, benché
tutti attinenti al tema enunciato come «illeggibilità
della firma di emissione e di girata» delle cambiali
ipotecarie che la società Immobiliare Futura CEI
di Gironi Annalisa e c. aveva inteso azionare con la domanda
di ammissione (al passivo del fallimento) del credito relativo
con collocazione ipotecaria.
Con i primi tre profili di censura la società ricorrente
critica la decisione per non avere la Corte di merito considerato:
1) che la asserita invalidità della sottoscrizione
di emissione dei pagherò-cambiari, formando oggetto
di una eccezione di «carattere personale», non
sarebbe stata opponibile ad essa società ricorrente
come portatore di buona fede dei titoli per effetto della
girata a suo favore della società prenditrice; 2)
che, dovendosi il «negozio cambiario» equiparare
alla scrittura privata, la contestazione della autenticità
della sottoscrizione sarebbe dovuta avvenire nei modi dell'art.
214 c.p.c.; 3) che le cambiali, benché in ipotesi
irregolari nella formazione del titolo, dovevano tuttavia
essere valutate come prova documentale (deve intendersi
di una promessa di pagamento) idonea a dare fondamento alla
domanda di ammissione del credito al passivo del fallimento.
Con il quarto profilo di censura la ricorrente infine critica
la decisione per avere la Corte di merito negato validità
alle sottoscrizioni così per emissione dei titoli
come per girata, perché apposte rispettivamente sotto
i timbri della società Medilmec (emittente) e della
società Azienda Agraria La Fonte (girante) dai relativi
rappresentanti con una sigla, mentre l'art. 8 legge cambiaria
esige la sottoscrizione con nome e cognome (potendo il nome
essere indicato con la sola iniziale) quando «colui
che si obbliga» sia persona fisica, non dovendo valere
il medesimo rigore per la sottoscrizione del rappresentante
di una società (di capitali o di persone) che ben
può essere validamente apposta pure con una sigla
sotto il timbro che identifichi la «ditta»,
recante cioè la denominazione o la ragione sociale
della società obbligata.
3. Tutti i profili di censura così argomentati sono
infondati.
Quanto al primo profilo, basti rilevare che la eccezione
attinente alla sottoscrizione cambiaria, perché non
conforme alla prescrizione dell'art. 8 l.c., costituisce
una tipica "eccezione di forma" per difetto di
uno dei requisiti essenziali di contenuto-forma elencati
nell'art. 1 stessa legge (sub «8. La sottoscrizione
di colui che emette la cambiale.») e, come tale, a
norma dell'art. 1993 c.c., è opponibile al possessore
del titolo (irrilevante essendo al riguardo, per il carattere
reale della eccezione, lo stato soggettivo di buona fede
del possessore). Il secondo profilo di censura riflette
un palese fraintendimento, poiché il curatore non
già ha inteso porre in discussione la autenticità
della firma di emissione delle cambiali, ma ha eccepito
bensì il difetto radicale di sottoscrizione dei negozi
cambiari (di emissione e girata) perché non rispondente
al requisito formale dell'art. 8 legge cambiaria.
Per rispondere poi al terzo profilo di censura basti osservare
che neppure potrebbe parlarsi nella specie di scrittura
privata utilizzabile come documento probatorio di una ordinaria
promessa di pagamento fatta valere a norma dell'art. 1988
c.c., non solo perché la sottoscrizione consiste
in un segno grafico indecifrabile (così interpretato
dalla Corte di merito) e non riferibile perciò ad
alcuna persona determinata, ma per la ragione dirimente
che l'utilizzo della cambiale come promessa di pagamento
implica l'esercizio dell'azione causale fondata sul rapporto
sottostante alla emissione o alla trasmissione del titolo,
esperibile esclusivamente tra le parti dell'uno o dello
altro rapporto (art. 66 c.c.), sicché la società
ricorrente avrebbe in ipotesi potuto far valere quella promessa
nei confronti della girante società Azienda Agraria
La Fonte e non già della emittente società
Medilmec. E infatti la società ricorrente intese
esercitare, con la domanda di ammissione al passivo, la
azione cambiaria verso l'emittente, avendo fatto valere
la garanzia reale ipotecaria che, quale accessorio del credito
cartolare, avendo riferimento esclusivo alla obbligazione
«all'ordine o al portatore» (art. 2831 c.c.),
non può trasferirsi che attraverso il negozio cambiario
di girata del titolo (e non si estende alla obbligazione
derivante dal rapporto sostanziale).
4. Il quarto rilievo critico riflette una questione controversa
in dottrina e in giurisprudenza e che si pone così
per l'art. 8 legge cambiaria come per l'art. 11 legge assegno,
dettando l'uno e l'altro articolo la medesima testuale prescrizione
di forma della sottoscrizione, nel senso appunto che «ogni
sottoscrizione» (sia cambiaria che dell'assegno) «deve
contenere il nome e cognome o la ditta di colui che si obbliga»;
mentre «è valida tuttavia la sottoscrizione
nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola
iniziale». Si discute cioè se la firma del
rappresentante di un ente collettivo (società di
persone o di capitali) debba corrispondere a quella prescrizione,
con la indicazione del nome (eventualmente attraverso la
sola iniziale) e il cognome propri della persona fisica
che agisce nel nome del rappresentato.
4.1. La prevalente dottrina dà risposta affermativa
alla questione così formulata, rilevando che non
v'è ragione di sottrarre al rigore formale dell'art.
8 l.c. la sottoscrizione del rappresentante, che nel quadro
della disciplina cambiaria deve essere riconosciuta come
dichiarazione cambiaria perfetta (alla stregua di ogni altra
sottoscrizione), e che infatti sarà imputata al rappresentato
ovvero allo stesso rappresentante («come se avesse
firmato in proprio» secondo il disposto del successivo
art. 11 c.c.) a seconda della esistenza o meno dei relativi
poteri: poiché l'esistenza di tali poteri non risulta
dal titolo, la qualità di obbligato cambiario spetta
potenzialmente sia al rappresentato che al rappresentante
e dunque anche al rappresentante è applicabile la
prescrizione dettata per la ipotesi (normale, l'unica espressamente
considerata dall'art. 8 c.c.) in cui il sottoscrittore del
titolo e l'obbligato cartolare coincidano. Conclusioni -
queste - cui altra dottrina oppone che il requisito formale
dell'art. 8 l.c. è dettato per la rigorosa identificazione
del soggetto dell'atto cambiario - del soggetto obbligato
- ma non dell'autore materiale dell'atto di gestione: e
all'atto gestorio, in ragione della sua autonomia, non sarebbero
estensibili regole "formali" in contrasto con
la prassi largamente seguita.
4.2. Nel più recente precedente specifico - in tema
cioè di estensione della prescrizione dello art.
8 l.c. alla sottoscrizione del rappresentante di società
di capitali - questa Corte (Cass. 19 giugno 1987, n. 5374)
ha giudicato, in rapporto alla fattispecie decisa, che la
firma del rappresentante nella forma della sigla fosse sufficiente
ad imputare alla società rappresentata la obbligazione
cambiaria, poiché «alla stregua della indagine
compiuta in sede di merito» era stato accertato che
la cambiale recava il timbro della società e la sigla
era stata apposta da persona fisica identificata «nella
sua veste di amministratore delegato» e come tale
«effettivamente titolare del potere di rappresentanza»
(e dunque la Corte ha ricavato la conferma della identità
fisica del sottoscrittore attraverso riscontri extracartolari).
Sull'art. 11 della legge sull'assegno Cass. 28 giugno 1988,
n. 4367 è giunta invece ad opposta conclusione sul
rilievo che quel disposto non ha fatto richiamo alla ragione
sociale o alla denominazione della società (art.
2567 c.c.), dovendo la espressione «ditta» essere
intesa nel senso proprio del nome speso dall'imprenditore
individuale, e dunque la identificazione della società
attraverso la sua denominazione «non esplica di per
sé alcuna rilevanza giuridica» se non sia accompagnata
dalla sottoscrizione del rappresentante che non sfugge pertanto
al rigore della prescrizione normativa. Più recente
decisione (Cass. 15 ottobre 1999, n. 11621) ha confermato
questo indirizzo interpretativo dell'art. 11 legge sull'assegno
e, valorizzando la espressione testuale («ogni sottoscrizione»)
ha negato che la disposizione, solo perché riferita
alla persona fisica del sottoscrittore che si obblighi in
proprio, non debba estendersi anche alla sottoscrizione
cambiaria dell'ente collettivo, dovendo valere la medesima
esigenza di assicurare la riferibilità della firma
al soggetto obbligato: e, dissentendo da un passaggio della
motivazione della decisione di merito, ha affermato che
«la sottoscrizione illeggibile non è di per
sé idonea ad individuare il soggetto che si impegna
giuridicamente attraverso la sottoscrizione».
4.3. Condivide il collegio l'indirizzo interpretativo che
coglie nell'art. 8 l.c. (e nell'art. 11 l.a.) una prescrizione
di rigore formale operante per «ogni sottoscrizione
cambiaria» della persona fisica che si obblighi in
proprio ovvero, quale rappresentante, nel nome altrui.
Non sembra controvertibile che l'art. 8 l.c. (come l'art.
11 l.a.) consideri esclusivamente la sottoscrizione cambiaria
di chi si obbliga «in proprio» e la alternativa
prevista per l'imprenditore, ammesso a sottoscrivere pure
con la ditta, pone problemi - non rilevanti nella presente
controversia - rispetto alla sopravvenuta (la legge cambiaria
essendo entrata nell'ordinamento in vigenza del codice di
commercio) disciplina della ditta introdotta con il codice
civile del 1942 che considera la ipotesi della ditta derivata
(art. 2565 c.c.) e ritiene soddisfatto il requisito della
verità con l'inserimento nella ditta pur della sola
sigla personale dell'imprenditore (art. 2563, c. 2, c.c.).
Certo è che la espressione «ditta» dell'art.
8 l.c. non consente di stabilire alcuna corrispondenza con
la ragione sociale e la denominazione della società,
per arguirne in ipotesi la efficacia identificante della
indicazione dell'una e dell'altra come il soggetto cambiariamente
obbligato, indipendentemente dalla sicura identificazione
cartolare (e pur in difetto di essa) della persona fisica
del rappresentante, che abbia apposto cioè una sottoscrizione
non corrispondente alla composizione formale prescritta
dall'art. 8 l.c. E alla affermazione che tale prescrizione
è dettata per la rigorosa identificazione del soggetto
dell'atto cambiario - del soggetto obbligato - non dell'autore
dell'atto gestorio, si oppone la considerazione che nel
negozio cambiario rappresentativo la identificazione del
soggetto obbligato - avviene necessariamente attraverso
la identificazione della persona fisica che si obbliga in
suo nome con la riconoscibile propria firma autografa, non
potendo per certo attribuirsi altrimenti idoneità
identificante e funzione di spendita del nome alla riproduzione
meccanica (normalmente con «timbro») della ragione
sociale o della denominazione della società, al di
sotto della quale sia stato posto (come nel caso di specie)
un grafema indecifrabile. Sicché la sottoscrizione
autografa e riconoscibile del rappresentante risponde alla
duplice esigenza della verifica dei poteri di rappresentanza
(con la conseguenza che l'art. 11 della legge cambiaria
connette - in deviazione dal diritto comune: art. 1398 c.c.
- alla sottoscrizione del falsus procurator, che «è
obbligato cambiariamente come se avesse firmato in proprio»
- e per certo nessuna obbligazione cartolare può
sorgere a suo carico se la firma non abbia i requisiti dell'art.
8 l.c. -) e della verifica della autenticità della
sottoscrizione (cui certo sfugge un segno grafico non identificante).
E allora deve concludersi che l'art. 8 l.c. (come l'art.
11 l.a.) riflette la esigenza (insita nello stesso carattere
di letteralità e autonomia del titolo cambiario)
di un requisito formale minimo - come è stato affermato
da autorevole dottrina - di «ogni sottoscrizione cambiaria»
apposta sul titolo da colui che si obbliga in nome proprio
ovvero in nome altrui, con la prescrizione che la identificazione
dell'obbligato non possa avvenire che in quella forma pregnante
(e non con riferimento ad elementi estrinseci integrativi
della fattispecie, come ha giudicato invece Cass. 19 giugno
1987, n. 5324).
5. È appena il caso infine di aggiungere che la Corte
di merito ha valutato non rispondenti alla prescrizione
di forma dell'art. 8 l.c. così la firma di girata
sotto il timbro della società Azienda Agraria La
Fonte, perché «non consente di decifrare né
il nome né il cognome del firmatario», come
- innanzitutto - la firma di emissione del titolo «vergata
sul timbro recante la dicitura Medilmec s.r.l. - L'Amministratore
unico», quale «incomprensibile segno grafico
che non ha neppure le caratteristiche di una sigla»:
sicché è sufficiente il riferimento alla invalida
sottoscrizione di emissione del titolo a dar fondamento
alla pronuncia di esclusione del credito ipotecario dallo
stato passivo del fallimento. Basti quindi dar conto che
pure parte della dottrina che estende alla firma del rappresentante
la prescrizione di rigore formale ritiene tuttavia irrilevante
il requisito di leggibilità della sottoscrizione
cambiaria nella quale - a differenza della sottoscrizione
di emissione - nel caso di specie siano riconoscibili i
segni grafici, riconducibili a simboli alfabetici, di un
nome e di un cognome: posizione questa - osserva il collegio
- che contraddice la funzione di identificazione del sottoscrittore
propria della firma cambiaria (perciò rispondente
al requisito minimo di forma di cui all'art. 8 l.c.) se
non desume dalla letteralità del titolo gli elementi
necessari per ricondurre con sicurezza ad un determinato
soggetto i non decifrabili grafemi (ma si avvale al riguardo
di riferimenti extratestuali).
6. Infondati essendo tutti i profili di censura argomentati
dalla società ricorrente nell'unico motivo di impugnazione,
il ricorso deve essere rigettato, con condanna della stessa
ricorrente al rimborso delle spese a favore del fallimento
resistente.
PQM
La
Corte rigetta il ricorso.