Corte costituzionale,31 maggio 2001, n. 176, Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione

ORDINANZA N.176
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO Giudice
- Massimo VARI "
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1999 dal Tribunale di Vigevano sull'istanza di ricusazione proposta da Caserta Franco, iscritta al numero 489 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Tribunale di Vigevano, nel corso di un procedimento di ricusazione, con ordinanza emessa l'8 luglio 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile, "nella parte in cui non prevede che il giudice delegato del fallimento, il quale abbia autorizzato il curatore a promuovere contro gli amministratori della società fallita azione di responsabilità ai sensi dell'art. 146, secondo comma, della legge fallimentare e abbia nel contempo autorizzato, o comunque disposto, in vista di detta causa, il sequestro dei beni degli amministratori medesimi ai sensi del terzo comma dell'articolo ora in ultimo citato, debba poi obbligatoriamente astenersi dal giudicare nella causa medesima";
che, ad avviso del rimettente, il giudice delegato, autorizzando il curatore a promuovere l'azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita e disponendo, nel contempo, il sequestro conservativo dei beni di costoro, esprimerebbe necessariamente una valutazione "contenutistica", sia pure allo stato degli atti, sulla illiceità e dannosità del comportamento degli amministratori medesimi, idonea a condizionarlo, per la cosiddetta "forza della prevenzione", nel successivo giudizio sulla fondatezza dell'azione medesima;
che pertanto la norma denunciata - non contemplando il caso in questione tra le ipotesi di astensione obbligatoria e, perciò, di ricusazione del giudice - si porrebbe in contrasto con il principio del "giusto processo", sancito dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, in base al quale il giudice, sia civile che penale, deve non solo essere, ma anche apparire, imparziale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione;
che, in una memoria illustrativa depositata nell'imminenza della camera di consiglio, l'Avvocatura osserva che la stessa Corte, in precedenti pronunce relative ad ipotesi parzialmente analoghe, avrebbe posto in luce come il processo fallimentare sia ispirato al principio della concentrazione presso i suoi organi di ogni controversia che ne deriva, con conseguenti inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non rilevabili tuttavia agli effetti della legittimazione del giudice, stante la prevalente esigenza di portare davanti allo stesso organo giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unità;
che in ogni caso l'autorizzazione al curatore a promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita non sarebbe un provvedimento giurisdizionale di carattere decisorio e non presupporrebbe valutazioni di merito in ordine alla responsabilità degli amministratori, cosicché esso non potrebbe rientrare nella categoria degli atti aventi effetti pregiudicanti per l'imparzialità del giudice;
che ad analoghe conclusioni dovrebbe pervenirsi anche per quanto riguarda i provvedimenti cautelari che il giudice delegato può adottare d'ufficio, ex art. 146 della legge fallimentare, allorché autorizza il curatore a promuovere l'azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita, trattandosi di provvedimenti fondati su valutazioni sommarie, che ben possono essere superate nel giudizio di merito, all'esito dell'istruttoria.
Considerato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, condizione necessaria per l'incompatibilità endoprocessuale, nell'ambito del giudizio civile, è la preesistenza di valutazioni ricadenti sulla medesima res iudicanda (sentenze n. 387 del 1999, n. 341 del 1998 e n. 326 del 1997, ordinanza n. 304 del 1998);
che siffatta condizione con evidenza non ricorre nel caso del giudice delegato il quale faccia parte del collegio chiamato a decidere sull'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, da lui stesso autorizzata, atteso che l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità non è un provvedimento giurisdizionale di carattere decisorio e pertanto non comporta alcuna valutazione ricadente sulla res iudicanda;
che, per quanto riguarda poi la concessione, da parte del medesimo giudice delegato, su istanza del curatore, del sequestro conservativo dei beni degli amministratori, questa Corte ha già affermato che non vi è identità di res iudicanda - né, conseguentemente, duplicazione di giudizi - ove diverso sia l'ambito della cognizione, come è appunto nel caso del giudizio cautelare rispetto a quello di merito (sentenze n. 326 del 1997 e n. 94 del 1975, ordinanze nn. 359, 315 e 193 del 1998);
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Vigevano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2001.














 

 

 


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