Corte di cassazione, udienza 12 ottobre 2001
Accertamento del passivo - Ammissione - Privilegio speciale su credito del fallito - Impossibilità di acquisizione alla massa del credito - Ammissione al passivo - (In)ammissibilità

Le Sezioni unite sono chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza sulla questione se per ammettere al passivo un credito sorto con privilegio speciale sia necessaria l'esistenza nell'attivo fallimentare, al momento stesso del provvedimento di ammissione da parte del giudice delegato, del bene su cui si deve esercitare la prelazione, oppure se sia possibile ammettere al rango privilegiato il credito postergando il controllo sull'esistenza o meno del bene vincolato alla fase della graduazione dei crediti preordinata al riparto.

Alcune pronunce (v. le sentenze 15 novembre 1976, n. 4218 e 2 febbraio 1995, n. 1227) sostengono espressamente che l'ammissione nello stato passivo fallimentare di un credito con privilegio speciale presuppone la già avvenuta acquisizione alla massa attiva del bene su cui si deve esercitare la prelazione.

Costituisce, per altro, espressione della tesi per cui l'ammissione al passivo di un credito in via privilegiata non presuppone, ove si tratti di privilegio speciale su determinati beni, che detti beni siano già acquisiti alla massa, salvo la possibilità del positivo esercizio del privilegio al momento del riparto la sentenza 18 giugno 1982, n. 3728.

In parte diversa, ma non univoca quanto alla soluzione del problema in esame, è la sentenza 1° giugno 1995, n. 6149, la quale pare affermare che la questione della concreta esercitabilità del privilegio sia da rinviare alla fase del riparto e distingue fra le ipotesi della sussistenza del bene al momento della verifica, della "contingente insussistenza" dello stesso in tale frangente e della "non individuabilità" in occasione del sorgere del credito di alcun bene o valore sul quale il privilegio possa trovare collocazione. Nei primi due casi, il credito andrebbe ammesso con collocazione privilegiata (nel primo, per ovvie ragioni, nel secondo perché non potrebbe escludersi a priori la successiva acquisizione del bene), mentre nel terzo, nascendo il credito ab origine senza un oggetto su cui poter esercitare la prelazione, esso andrebbe senz'altro ammesso al chirografo, dovendosi considerare, ab origine, alla stregua di un credito chirografario.

Nessun cenno in tale pronuncia al caso in cui, al momento del sorgere del credito, un bene su cui esercitare il privilegio esisteva (sicché non si rientra nell'ultima delle tre fattispecie sopra individuate), e l'assenza del bene era, al momento della verifica, non "contingente", ma definitiva (ipotesi, quindi, estranea sia alla seconda che alla prima).

Analogamente, non sembra potersi iscrivere in tale orientamento la sentenza 3 dicembre 1996, n. 10786 la quale fa piuttosto riferimento al diverso, seppur collegato, problema del modo in cui deve avvenire l'indicazione dei beni. Essa si limita ad affermare che in sede di verifica del passivo fallimentare, affinché possa utilmente richiedersi il riconoscimento di un privilegio speciale, non è necessario che il creditore dia l'indicazione di ciascun bene oggetto della causa di prelazione (della cui presenza nel patrimonio del debitore egli potrebbe anche non essere a conoscenza), ma è sufficiente - al fine della specificità della domanda e della garanzia del contraddittorio - che il diritto venga indicato nelle componenti essenziali, di fatto e di diritto, da cui derivino i criteri di individuazione e di determinazione dei beni soggetti alla soddisfazione prioritaria del creditore fruente del privilegio.

Secondo la sentenza 9 agosto 1991, n. 8685 le questioni relative all'identificazione dei beni oggetto della prelazione, non individuati all'atto dell'ammissione allo stato passivo, vanno proposte mediante impugnazione del piano di riparto. Ma le sentenze 9 aprile 1984, n. 2255, resa a Sezioni unite, e 26 gennaio 1985, n. 391 hanno riconfermato che l'indagine volta ad accertare che tutti i beni indicati come oggetto di prelazione siano acquisiti all'attivo "è normalmente estranea alla sede della verifica dei crediti… e finanche irrilevante".

Tali ultime due pronunce, la seconda delle quali resa in tema di prelazione ipotecaria, hanno ribadito che la cognizione affidata al giudice della verifica è limitata all'esistenza e alla misura del diritto al concorso e al rango del credito, oltre che (ovviamente) ai necessari presupposti logici, quali per esempio, la validità e l'efficacia del negozio da cui il credito e la prelazione derivano. Sicché, quando il provvedimento di ammissione si esprime in formula generica senza alcuna indagine in ordine all'esistenza dei beni su cui la prelazione grava o l'estensibilità della prelazione a determinati beni non abbia costituito un punto disputato e deciso, l'accertamento delle condizioni di fatto e di diritto ai fini del concreto esercizio della prelazione "rimane quindi impregiudicato nella sede propriamente destinata a tale concreto esercizio: cioè la sede della ripartizione delle somme ricavate dalla vendita di quei beni".
















 

 

 


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