Corte
di Cassazione 13 aprile 2001 n. 5525, Richiesta di restituzione
della somma versata dalla banca per il concordato fallimentare
omologato e successivamente risolto per inadempimento
FATTO
Con
decreto 1.7.99, notificato in data 13.7.99, il Tribunale
fallimentare di Pistoia rigettava il reclamo proposto dalla
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia contro il decreto,
con il quale il giudice delegato aveva respinto la richiesta
di restituzione della somma di lire 129.211.383, versata
dalla banca per il concordato fallimentare della Memorfin
s.r.l., omologato con sentenza 22.2.1999 e successivamente
risolto per inadempimento con sentenza 15.4.99.
Il Tribunale di Pistoia respingeva il reclamo, assumendo
che il pagamento da parte della Cassa di Risparmio summenzionata,
intervenuto nella fase antecedente all'omologazione, si
configurava quale mera modalità di adempimento di
un'obbligazione altrui, quella assunta dalla proponente
il concordato (Memorfin s.r.l. in liquidazione), secondo
il tipico strumento della delegazione di pagamento ex art.
1269 cod. civ., che si perfeziona con la sola partecipazione
del delegante, nel caso di specie la società fallita,
e del delegato, la Cassa di Risparmio, esaurendosi tale
negozio nella indicazione al creditore - il Fallimento Memorfin
- del soggetto che deve eseguire la prestazione.
Il tribunale affermava, altresì, che le condizioni
apposte dalla banca al momento del versamento della somma
a mani del curatore dovevano ritenersi inefficaci nei confronti
del terzo delegatario (il Fallimento Memorfin), estraneo
al rapporto intervenuto tra soggetto obbligato e terzo esecutore
dell'obbligazione.
A ciò dovevasi aggiungere che ai sensi dell'art.
140 legge fall. i creditori anteriori conservavano le garanzie
ad essi concesse dal debitore per l'adempimento delle obbligazioni
concordatarie, sicché il versamento delle somme effettuato
per l'adempimento non può comunque essere ripetuto
in danno dei creditori medesimi.
Avverso detto provvedimento la Cassa di Risparmio di Pistoia
e Pescia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di cinque motivi illustrati con memoria.
Il Fallimento Memorfin s.r.l. ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con
il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge
ex art. 111 della Costituzione, non avendo rispettato il
giudice a quo l'obbligo della motivazione.
Secondo la ricorrente sarebbe incomprensibile come l'adempimento
di un'obbligazione altrui da parte di un terzo, che ha il
suo riscontro legislativo nel disposto di cui all'art. 1180
cod. civ., possa essere equiparato alla delegazione di pagamento
ex art. 1269 cod. civ., dato che, mentre l'adempimento del
terzo ex art. 1180 c.c. postula un intervento spontaneo
ed unilaterale, non legato a precedenti accordi o convenzioni,
la delegazione di pagamento richiede la collaborazione di
tutti e tre i soggetti interessati (delegante, delegato
e delegatario).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la incomprensibilità
della ricostruzione della delegazione come negozio bilaterale,
che si sarebbe perfezionato con la sola partecipazione del
delegante (la società fallita) ed il delegato (la
Cassa di Risparmio) ed esaurito con la indicazione al creditore
- il Fallimento Memorfin - del soggetto che deve eseguire
la prestazione, dato che la delegazione di pagamento, essendo
un negozio trilaterale, non potrebbe mai perfezionarsi con
la sola partecipazione di due soggetti.
La configurazione della delegazione di pagamento fondata
sulla partecipazione bilaterale di due soggetti - delegante
e delegato - costituirebbe un impossibile logico-giuridico
che renderebbe del tutto inesistente o meramente apparente
la motivazione del provvedimento impugnato.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce che né l'adempimento
dell'obbligazione altrui, né la delegazione di pagamento
sarebbero schemi giuridici applicabili alla fattispecie
in esame.
Non potrebbe ricorrere la figura della delegazione di pagamento,
non essendovi alcun rapporto di provvista tra la CARIPIT
(preteso delegato) e la società fallita Memorfin
s.r.l. (preteso delegante).
Quest'ultima, infatti, non aveva alcun titolo che la legittimasse
ad impartire un qualsiasi ordine di pagamento alla CARIPIT,
che non rivestiva certo la figura di debitore nei confronti
della società fallita.
Stante la mancanza del rapporto di provvista, il pagamento
da parte della CARIPIT della somma di lire 129.211.383 nelle
mani del curatore della società fallita sarebbe avvenuto
per un interesse proprio del terzo (CARIPIT), che aveva
effettuato il pagamento stesso: interesse concretantesi
nel favorire la positiva conclusione ed esecuzione del concordato
fallimentare.
Non potrebbe ricorrere la figura dell'adempimento del terzo,
restando ciò escluso dall'interesse della CARIPIT
all'adempimento, avendo questa subordinato il versamento
della somma su indicata alla duplice condizione dell'omologazione
del concordato fallimentare proposto dalla Memorfin s.r.l.
ed al suo successivo adempimento.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la carenza di
motivazione non potendo essere considerata tale l'affermazione
del giudice a quo, secondo cui le condizioni apposte dalla
banca al momento del versamento della somma summenzionata
sarebbero inefficaci nei confronti del terzo delegatario,
estraneo al rapporto intervenuto tra soggetto obbligato
e terzo esecutore dell'obbligazione.
La efficacia delle dedotte condizioni deriverebbe, poi,
dall'essere la delegazione negozio trilaterale e dalla loro
opponibilità alla curatela (preteso delegatario),
ai sensi dell'art. 1271 cod. civ., il quale dispone che
il delegato può opporre al delegatario le eccezioni
relative ai suoi rapporti con questo.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce che il richiamo
effettuato nel provvedimento impugnato all'art. 140 legge
fall. - il quale prevede la conservazione delle garanzie
concesse ai creditori dal debitore per le obbligazioni concordatarie
anche laddove il concordato fallimentare sia risolto od
annullato - sarebbe incompatibile sia con la delegazione
di pagamento, sia con l'adempimento dell'obbligazione altrui;
l'atto di pagamento "solvendis causa" sarebbe,
infatti, inconciliabile con la figura giuridica della garanzia
del credito.
In ultima analisi, secondo la ricorrente, a seguito della
risoluzione del concordato fallimentare Memorfin s.r.l.
sarebbe venuta meno la stessa ragione giustificatrice che
aveva determinato la CARIPIT a concludere, con la curatela,
il negozio concretatosi poi nella dazione della somma di
danaro in questione.
Venuta meno la causa concreta del negozio, qualora fosse
consentito alla curatela di trattenere detta somma, si verificherebbe
un ingiustificato arricchimento del fallimento a spese della
CARIPIT.
Il ricorso è inammissibile.
Dal provvedimento impugnato risulta:
che la Cassa di Risparmio di Pistoia ha versato, in data
14 gennaio 1998, nelle mani del curatore del Fallimento
Memorfin s.r.l., la somma di lire 129.211.383 condizionatamente
alla omologazione ed all'adempimento del concordato fallimentare,
proposto dalla società menzionata;
che detto concordato, omologato in data 11-22.2.1999, è
stato risolto dal Tribunale di Pistoia con sentenza del
13-15.5.1999;
che a seguito di tale evento la CARIPIT ha chiesto al curatore
del fallimento la restituzione della somma sopraindicata
e, in difetto di risposta da parte del curatore, ha presentato
istanza di rimborso al giudice delegato del Fallimento Memorfin
s.r.l.;
che il giudice delegato ha respinto detta richiesta con
provvedimento del 17-18 maggio 1999;
che avverso tale provvedimento la CARIPIT ha proposto reclamo
al Tribunale di Pistoia;
che la curatela del Fallimento Memorfin s.r.l. si è
opposta all'accoglimento del reclamo sul rilievo che il
pagamento della somma de qua costituisce l'adempimento di
una obbligazione fondamentale assunta dal debitore con la
proposta di concordato e recepita nella sentenza di omologazione
del concordato medesimo;
che il Tribunale di cui sopra ha respinto il reclamo con
la decisione impugnata, dando atto che nella proposta di
concordato fallimentare la liquidatrice della società
Memorfin s.r.l. si era obbligata a porre a disposizione
del curatore tutte le somme occorrenti per l'adempimento
del concordato, al netto di quelle disponibili tra le attività
della procedura, e tale obbligazione era stata integralmente
recepita nella sentenza di omologazione del concordato quale
fondamentale condizione per l'omologazione dello stesso;
che a sostegno della propria decisione il tribunale afferma,
tra l'altro, che "ai sensi dell'art. 140 della legge
fallimentare i creditori anteriori conservano le garanzie
ad essi concesse dal debitore per l'adempimento delle obbligazioni
concordatarie, talché il versamento delle somme effettuate
per l'adempimento non può comunque essere ripetuto
in danno dei creditori medesimi", implicitamente configurando
il versamento da parte della banca della somma in questione
nelle mani del curatore come garanzia rientrante tra quelle,
offerte dal fallito "per il pagamento dei crediti,
delle spese di procedura e del compenso al curatore"
di cui all'art. 124 della legge fallimentare, atteso che,
nell'ipotesi di concordato fallimentare, normalmente le
garanzie prestate dal debitore provengono dal patrimonio
di terzi, essendo i beni del fallito acquisibili all'attivo
fallimentare.
Nel caso che ne occupa vi è pertanto la richiesta
di un terzo estraneo alla procedura fallimentare (la banca)
di restituzione di una somma di danaro, versata nel corso
della procedura di concordato, che, secondo la istante non
potrebbe essere trattenuta dal fallimento, essendo venuta
meno la ragione per la quale era stata versata, a cui si
oppone il fallimento, sostenendone la irripetibilità
perché il pagamento della somma de qua costituisce
l'adempimento di una obbligazione fondamentale assunta dal
debitore con la proposta di concordato e recepita nella
sentenza di omologazione.
Trattasi di una situazione litigiosa la cui soluzione esula
del tutto dai poteri del giudice delegato, non rientrando
in nessuna delle ipotesi previste dall'art. 25 della legge
fallimentare, e che deve essere risolta, quindi, attraverso
un ordinario giudizio di cognizione.
Pertanto sia il decreto del giudice delegato che quello
emesso dal tribunale fallimentare in sede di reclamo costituiscono
provvedimenti, che, essendo stati emessi in assoluta carenza
di potere, debbono ritenersi inesistenti e, come tali insuscettibili
di passare in giudicato.
Ne consegue che contro il provvedimento impugnato non può
essere esperito il ricorso per cassazione ex art. 111 Costituzione,
restando in facoltà della attuale ricorrente di farne
valere con l'actio nullitatis, in ogni tempo ed in ogni
sede, la inidoneità a produrre effetti giuridici
(cfr. per tutte in tal senso Cass. n. 4590/97).
Sussistono giusti motivi, data la novità della questione,
per la compensazione delle spese giudiziali del giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
La
Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese.
segnalataci
dal dr. Antonio Gallo il 25/10/01