Corte
di Cassazione, sez. I civile, 27 settembre 2001, n. 12093,
La banca deve consegnare al curatore la documentazione del
fallito
In
tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia
come un impegno di solidarietà, che impone a ciascuna
parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da
specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale
del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi
dell'altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio
a suo carico.
Il
cliente di una banca ha il diritto di ottenere la documentazione
di singole operazioni per un non breve arco di tempo, che
va oltre l'elementare dovere di informazione previsto dai
primi due commi dell'articolo 119, perché di ciascuna
operazione registrata sull'estratto conto legittima l'avente
titolo ad ottenere gli opportuni riscontri; legittimazione
che, alla luce del principio di buona fede, non è
dato limitare ad alcune soltanto delle operazioni, potendo
investire tutte quelle del periodo cui il cliente è
interessato. - In tal senso Cassazione 2503/1991.
Corte
di cassazione
Sezione
I civile
Sentenza
27 settembre 2001, n. 12093
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Il 3 gennaio 1996 il fallimento della società Scom
2 Sri convenne dinanzi al Tribunale di Brescia la filiale
del luogo del Banco ambrosiano veneto e della Cassa di risparmio
delle province lombarde e ne chiese la condanna alla consegna
delle copie dei contratti di conto corrente e di apertura
di credito regolati sui c/c 36975/19 e 26241/1 e 26241/3
intrattenuti con la fallita, nonché degli estratti
conto periodici degli ultimi due anni e delle connesse garanzie.
Dedusse che la richiesta di quei documenti era stata rifiutata
e che in sede di reclamo aveva ottenuto, ai sensi dell'articolo
700 c.p.c., l'ordine giudiziale alle banche di consegna
delle copie.
Entrambe
le banche resistettero, rilevando la inammissibilità
della richiesta, in quanto proponibile solo all'interno
di un procedimento già in corso e non a fini esplorativi.
Il
Tribunale accolse la domanda con sentenza 15 aprile 1997,
con cui ritenne che, in base alla normativa sulla «trasparenza
bancaria» (t.u. 385/93), vi fosse un diritto soggettivo
sostanziale del cliente alla esibizione della documentazione
afferente ai rapporti intrattenuti con la banca e che il
curatore fallimentare, subentrando nei rapporti preesistenti,
pure a fronte di contratti sciolti ai sensi dell'articolo
78 l.f., non è limitato nell'esercizio dei diritti
connessi al periodo in cui il contratto era in vigore, in
applicazione dell'articolo 1458 c.c., tanto più in
considerazione del rilievo pubblicistico della sua funzione.
Le
soccombenti proposero appello, che la Corte di Brescia ha
accolto con decisione del 14 giugno 1999, ritenendo che
la funzione pubblica non è sufficiente a giustificare
il diritto vantato, in difetto di disposizioni di legge
che tanto prevedano, né che tale diritto al curatore
competa in quanto causa del fallito, dal momento che a quest'ultimo,
una volta che il contratto si sia sciolto, non è
consentita quella pretesa, né ai sensi dell'articolo
1458 c.c., applicato dal primo giudice, né per effetto
di altre norme, non trovando essa fondamento nell'articolo
119 t.u. 385/93, il quale contempla il diritto del cliente
di avere copia della documentazione delle singole operazioni,
ma non anche di avere duplicati della documentazione già
fornita dalla banca.
Ha
poi disatteso la richiesta della curatela rilevando che,
se la esibizione nel processo, nei termini in cui risulta
codificata, postula la specificità dell'oggetto,
la individuazione del documento e la certezza della sua
esistenza, sarebbe singolare che si ammettesse un diritto
sostanziale senza alcuna base normativa, di contenuto persino
più ampio di quello processuale; e, quanto alla misura
cautelare concessa dal tribunale, ha escluso che ne ricorressero
i presupposti, sia perché il diritto alla esibizione
non era minacciato da un pericolo grave ed irreparabile,
sia perché la difesa cautelare era in realtà
mirata a conseguire il bene in contesa.
Pertanto
ha rigettato la domanda del fallimento Scom e dichiarato
inefficace la ordinanza del Tribunale emessa ai sensi dell'articolo
700 c.p.c..
Ha
proposto ricorso per cassazione il curatore del fallimento
con un motivo; hanno resistito con controricorsi la Cariplo,
il Banco ambrosiano veneto e la Banca intesa, questi ultimi,
rispettivamente, ai sensi dell'articolo 111, I, III e IV
comma, c.p.c., in quanto il Bav ha conferito il suo complesso
aziendale alla società Euragrind Srl, che ha assunto
la nuova denominazione di Banco ambrosiano veneto Spa, ed
ha contestualmente adottato la denominazione di Banca intesa.
I
tre intimati hanno proposto ricorsi incidentali condizionati
con due motivi.
Tutte
le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il
ricorso principale e quelli incidentali condizionati vanno
riuniti, ai sensi del disposto dell'articolo 335 c.p.c.
Dopo
avere premesso che la propria richiesta era stata diretta
alla consegna degli estratti periodici di conto corrente
e dei relativi contratti, il fallimento denunzia la violazione
degli articoli 1374 e 1375 c.c.; 78 e 33 l.f., 119 legge
bancaria, 210 c.p.c., per avere la corte di merito erroneamente
ritenuto insussistente il diritto del curatore ad ottenere
la copia di tali documenti.
Richiama
a riguardo la copia di tali documenti.
Richiama
a riguardo le sentenze 4598/99 e 4519/94 di questa Corte,
che tale diritto hanno riconosciuto, fondandolo - la prima
in particolare - sul principio di buona fede, operante non
solo in sede di interpretazione ed esecuzione del contratto,
ma anche quale fonte di integrazione della stessa regolamentazione
contrattuale.
Assume
che l'articolo 119 t.u. leggi bancarie e creditizie, contrariamente
a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata - che ha escluso
la esistenza di norme specifiche attributive del diritto
di ottenere copia degli estratti periodici già trasmessi
e dei contratti, esistendo invece solo quello alla documentazione
relativa a singole operazioni - sancisce sia il diritto
del cliente alla copia e all'invio degli estratti periodici
relativi al rapporto, sia quello ad ottenere copia della
documentazione relativa a singole operazioni, poste in essere
nel decennio anteriore.
Rileva
che il diritto sostanziale alla esibizione ha contenuto
diverso da quello processuale ex articolo 210 c.p.c., e
per tale verso censura la sentenza impugnata, che ha negato
il primo per il fatto che avrebbe una portata maggiore del
secondo, quasi che la misura di questo corrispondesse ad
un principio generale, con il quale verrebbe a contrastare
la ipotesi di un diritto maggiore.
Il
ricorso principale è fondato e va accolto, trovando
la proposta censura ragione nelle norme di cui è
stata denunziata la violazione, sia di quelle generali,
sostanziali e processuali, che di quelle speciali, delle
leggi fallimentare e bancaria.
I
passaggi argomentativi sui quali si incentra la decisione
impugnata sono i seguenti:
-
il curatore non ricava dalla sua funzione pubblica il diritto
a richiedere ed ottenere da chiunque documenti utili allo
svolgimento di quella funzione, in quanto manca nell'ordinamento
una norma che lo configuri;
-
il fallito, quale parte del rapporto di conto corrente con
la banca, non ha il diritto di ottenere ad libitum copie
ulteriori dei documenti relativi al rapporto, una volta
che abbia ricevuto le comunicazioni periodiche ex articolo
119 t.u. leggi bancarie (d.lgs. 385/93) in costanza di esso;
e quel diritto viene, comunque, meno una volta che il rapporto
si sia sciolto ai sensi dell'articolo 78 l.f. - conseguentemente
il curatore, quale suo avente causa, non può esercitare
pretese a riguardo, che sarebbero maggiori e diverse di
quelle del dante causa;
-
non esiste nell'ordinamento una norma che attribuisca al
«cliente» il diritto di avere copia della documentazione
periodica già inviatagli, l'articolo 119 citato consentendo
solo di ottenere quella relativa alla documentazione di
singole operazioni;
-
la esistenza del diritto sostanziale in questione porterebbe
ad una forte divergenza di esso rispetto a quello processuale
codificato, che postula specificità dell'oggetto,
individuazione del documento, certezza della sua esistenza.
Siffatta
ricostruzione del sistema non può essere condivisa,
tranne che nella premessa, in quanto si sostanzia in una
indagine semplicistica, mirata al rinvenimento di specifiche
norme, che espressamente costituiscano la fonte del diritto
di cui trattasi, e in una valutazione riduttiva della portata
delle disposizioni positive della legge bancaria.
Questa
Corte ha affermato (Cassazione 11733/99; 4598/97) che se
è vero che il curatore, allorché agisca per
la acquisizione della documentazione afferente alle operazioni
del fallito, non svolge compiti di rilievo pubblicistico
e non assume la qualità di ufficiale o agente di
polizia giudiziaria, restando le sue funzioni circoscritte
ad un ambito giusprivatistico, tuttavia deriva la propria
legittimazione a riguardo dal fatto di essere subentrato
al fallito ex articolo 31 l.f. - in corrispondenza della
limitazione su quest'ultimo prodotta dalla dichiarazione
di fallimento ai sensi dell'articolo 42 l.f. - e dalla circostanza
che in capo ad esso preesisteva un diritto siffatto, correlato
al rapporto pregresso tra «cliente» e banca
e fondato sul principio di buona fede, che è clausola
generale di interpretazione e di esecuzione del contratto
e fonte di integrazione della regolamentazione negoziale,
ai sensi degli articoli 1366, 1375, 1374 c.c.; sicché,
al di là del disposto dell'articolo 119 legge bancaria,
il diritto sostanziale di cui trattasi viene a trovare riscontro
nel dovere di solidarietà, ormai costituzionalizzato
(art. 2 Cost.), concorrendo la buona fede alla «conformazione
di tale regolamentazione in senso ampliativo-restrittivo,
rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l'ossequio
alla legalità formale non si traduca in sacrificio
della giustizia sostanziale».
Ed
ha aggiunto che è inconferente la circostanza che
il contratto di conto corrente, al pari del mandato, si
sciolga con il fallimento ai sensi dell'articolo 78 l.f.,
poiché tale scioglimento non sempre comporta la immediata
estinzione di ogni rapporto obbligatorio tra le parti. «Altro
è, invero, il venir meno del programma operativo
di realizzazione degli interessi che nell'atto negoziale
si era espresso, che effettivamente consegue allo scioglimento,
altro è la cessazione di ogni diritto ed obbligo
derivante dagli atti e dai comportamenti tenuti in esecuzione
di quel programma»; tant'è che, nel mandato,
allo scioglimento non consegue la immediata estinzione di
tutti gli obblighi gravanti sul mandatario a cominciare
da quelli di informazione in ordine agli atti già
compiuti, di rendiconto e di custodia e rimessione di quanto
ricevuto nell'interesse del mandante, sussistendo anche
dopo e talvolta anzi proprio a causa di ciò una serie
di obbligazioni, pur sempre di derivazione contrattuale,
cui fanno riscontro altrettante corrispondenti posizioni
di diritto soggettivo dell'altro contraente (Cassazione
4598/97).
Ha,
infine, rilevato che il diritto alla prova non può
essere considerato utile parametro per la determinazione
del diritto sostanziale di cui si controverte, essendo il
primo di natura processuale, strumentale al fine di soddisfare
un diverso interesse sostanziale, mentre il secondo è
l'oggetto del giudizio e prescinde dall'uso eventuale che
il curatore può fare eventualmente in altre sedi.
Ha
ribadito questa Corte (sentenza 11733/99) che, se il curatore
subentra nella posizione del fallito, il suo diritto non
ha limiti perché non è giudizialmente indirizzato,
andando oltre l'area degli articoli 263 e 116 c.p.c., non
essendo consentito, per l'attuazione della tutela di tipo
«finale», previamente valutare l'impiego che
della documentazione sarà fatto e che non è
conferente prospettare, al fine di paralizzare la pretesa,
la commistione in capo al curatore delle posizioni di parte
e di terzo - la prima legata alla applicazione dell'articolo
119 legge bancaria e la seconda a quella di attore eventuale
nel giudizio di revocazione di atti compiuti dal fallito
- in quanto essa deriva dalla posizione di amministratore
del patrimonio fallimentare, nel quale il diritto di cui
trattasi è presente.
Le
considerazioni che precedono giovano di per sé a
privare di valore giuridico le argomentazioni della sentenza
impugnata, in ordine alle quali si impone qualche ulteriore
rilievo, in relazione a quanto dedotto dai controricorrenti
e ricorrenti incidentali, i quali hanno, preliminarmente,
eccepito la inammissibilità del ricorso, per avere
mancato di spiegare le ragioni della denunziata violazione
delle norme indicate nella epigrafe del motivo di gravame
e, comunque, resistito ad esso rilevando che nessuna violazione
di legge la corte di merito ha commesso.
La
prima eccezioni non ha pregio, atteso che, al contrario
di quanto assumono i controricorrenti, il fallimento ha
posto a sostegno della censura le norme indicate, lamentandone
la violazione per il fatto che le conclusioni raggiunte
dalla sentenza impugnata le avessero disattese nel loro
reale significato giuridico, sia quelle che consacrano il
principio di buona fede nel contratto; sia quelle che disciplinano
la sostituzione del curatore al fallito nei rapporti negoziali;
sia quelle processuali sulla esibizione dei documenti, erroneamente
richiamate e valutate; sia, infine, quelle della legge bancaria,
non adeguatamente applicate.
E
non rileva, ovviamente, che tale critica nella esposizione
del motivi si sia giovata delle ragioni della sentenza 4598/97
di questa Corte, avendo il richiamo ancor più giovato
alla specificità e alla completezza dei motivi, secondo
le prescrizioni dell'articolo 366 c.p.c.
Ma
infondate sono anche le deduzioni volte a sostenere la decisione
impugnata.
Rileva
la difesa degli istituti di credito che a superare la carenza
di specifiche norme giustificatrici del diritto sostanziale
di cui si tratta non sia utile il principio di buona fede
e del dovere di solidarietà reciproca tra i contraenti,
esso trovando applicazione, in sede interpretativa, solo
quando la loro volontà è incerta; in sede
di integrazione, quando la regolamentazione negoziale è
incompleta; e, infine, in sede di esecuzione, se si tratti
di obbligazioni persistenti e non di obbligazioni estinte.
L'assunto
non può essere condiviso, giacché trascura
di considerare che la pretesa alla documentazione è
un diritto autonomo che, pur derivando dal contratto, è
estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono
lo specifico contenuto.
Esso
nasce dall'obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà,
che è accessorio di ogni prestazione dedotta in negozio
e consente alla parte interessata di conseguire ogni utilità
programmata, anche oltre quelle riferibili alle prestazioni
convenute, comportando esso stesso una prestazione, cui
ognuna delle parti è tenuta, in quanto imposta direttamente
dalla legge (articolo 1374 c.c.); per cui agli effetti del
contratto, che discendono dalle clausole pattizie, vanno
aggiunti quelli che la norma produce, in forza del rilevato
principio, il quale fissa una regola di condotta, cui debbono
attenersi i soggetti del rapporto obbligatorio, alla stregua
di quanto dispone l'articolo 1375 c.c., secondo il quale
il contratto deve essere eseguito, appunto, secondo buona
fede, generando doveri di comportamento, la cui inosservanza
costituisce inadempimento, al pari di quella riferita agli
obblighi convenzionali.
In
tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia,
infatti, come un impegno di solidarietà, che impone
a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere
da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale
del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi
dell'altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio
a suo carico (Cassazione 2503/1991).
La
clausola generale di buona fede e correttezza è operante
tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore
nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio, quanto sul
piano del complessivo assetto di interessi sottostanti alla
esecuzione di un contratto, specificandosi nel dovere di
ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse
della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione
attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando
così integrativamente il contenuto e gli effetti
del contratto (Cassazione 1078/99; 3775/94; 3362/89; 1960/86;
89/1966); e la sua rilevanza si esplica nell'imporre il
dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra,
a prescindere dalla esistenza di specifici obblighi contrattuali
o di quanto espressamente stabilito da singole norme di
legge (Cassazione 12310/99).
Né
rileva che l'adempimento di siffatta prescrizione sia suscettibile
di arrecare svantaggi al debitore, come conseguenza eventuale
e futura di esso. Se è vero, infatti, che l'obbligo
di salvaguardia delle altrui utilità esiste in quanto
non importi per il debitore un apprezzabile sacrificio,
è altrettanto vero che esso deve essere valutato
in relazione diretta con la prestazione, secondo un rigoroso
rapporto di causalità, mentre sfuggono a tale correlazione
gli effetti che derivano da atti diversi da quell'adempimento.
Per
ipotizzare, pertanto, che la consegna della documentazione
contrasti con l'interesse della banca a preservarsi dalle
azioni revocatorie delle rimesse attive effettuate sui conti
in periodo sospetto, occorrerebbe attribuire meritevolezza
a quell'interesse e riconoscere alla esibizione valenza
causale; elementi che difettano nella specie, giacché
a dar causa alla eventuale revoca delle rimesse sono il
compimento dell'atto in periodo sospetto, la sua qualificazione
come solutorio, la situazione di insolvenza dell'imprenditore
e la relativa conoscenza da parte dell'accipiens, non già
la documentazione che ne costituisce la prova. Mentre nessuna
relazione, in termini di effetti pregiudizievoli, è
attribuibile alla esibizione, al di là del relativo
costo materiale - che resta però sempre a carico
del richiedente - esso essendo il solo dato di cui occorre
tenere conto in sede di valutazione dei contrapposti interessi,
in cui, ove invece prevalesse la tutela di quello remoto
ed eventuale della banca, ne risulterebbe automaticamente
compromesso quello di controparte, che alla documentazione
ha titolo diretto ed immediato, come elemento di informazione
dei dati del rapporto intercorso, per le utilità
che possono derivargli nei confronti anche di terzi e che
non è dato preventivamente alla controparte scrutinare,
al fine di contrastare la pretesa, attraverso un giudizio
di probabilità o possibilità di esiti ulteriori,
connessi agli sviluppi di quella acquisizione, essendo l'utilità
oggettivamente prospettabile e giuridicamente rilevante,
in riferimento al contratto in questione, quella fine a
se stessa, di entrare cioè in possesso dei documenti,
come effetto de iure dei patti; mentre il sacrificio di
controparte, che merita di essere apprezzato, è solo
quello connesso alla attività diretta a renderli
conoscibili dal richiedente.
Avendo
il diritto sostanziale potenzialità indeterminate,
proprio per la sua natura non strumentale, non riceve limitazioni
nel suo contenuto dai diritti ulteriori, dei quali agevoli
l'esercizio, sia esso compiuto dal fallito o dal curatore
che gli subentri o dalla banca, parte al pari di lui del
rapporto, e del quale l'istituto di credito non può
impedire la utilizzazione attraverso la posizione di forza
che gli deriva dal possesso dei documenti, i quali, riflettendo
un rapporto che vede altri soggetti interessati, non sono
di esclusiva sua pertinenza, non sono riservati alla esclusiva
sua gestione e non sono sottoposti ad un sindacato prognostico
degli utilizzi futuri, capace di condizionarne la acquisizione.
Conferma
delle conclusioni cui porta la corretta applicazione degli
articoli 1374 e 1375 c.c. proviene dall'articolo 119 t.u.
leggi bancarie, la cui lettura non può essere compiuta
del tutto astraendo dalle citate norme codicistiche, che
rappresentano un cardine della disciplina legale delle obbligazioni.
Dispone
il primo comma che gli istituti creditizi forniscano per
iscritto al cliente, alla scadenza del contratto e comunque
almeno una volta all'anno, una comunicazione completa e
chiara in merito allo svolgimento del rapporto; il secondo
comma specifica per i rapporti di conto corrente tempi e
modalità di tale comunicazione, e il IV comma (con
la modifica introdotta dall'articolo 24 d.lgs. 324/99) aggiunge:
«il cliente, colui che gli succede a qualsiasi titolo
e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni
hanno diritto di ottenere a proprie spese entro un congruo
termine e comunque non oltre 90 giorni copia della documentazione
inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi
dieci anni».
Tali
norme contemplano, nel primo caso, una obbligazione della
banca, al di fuori di qualunque richiesta; nel secondo,
un diritto del cliente, da esercitarsi mercé specifica
domanda; e suppongono entrambe il più ampio diritto
alla documentazione, che attiene alla nascita del rapporto,
agli elementi fondanti, alla sua evoluzione, alla sua conclusione.
Ritenere
che l'obbligo della banca sia circoscritto al primo degli
adempimenti e si esaurisca con l'invio, non più ripetibile,
di un prospetto riproduttivo di una situazione, parziale
nel tempo e non sostenuta da pezze giustificative; e che
il secondo, a sollecitazione di parte, sia limitato alla
documentazione di singole operazioni, al punto da rendere
inesigibile la pretesa a conseguire la documentazione di
tutte quelle avvenute in un certo arco temporale, significa
frustrare la portata della legge, che, avendo inteso sin
dalla legge 154/92 dettare regole specifiche sulla trasparenza
delle condizioni contrattuali, delle operazioni e dei servizi
bancari e finanziari, non può essere interpretata
nel senso di limitare il diritto alla informazione, che
già nel sistema generale delle obbligazioni si è
visto essere tutelato.
Al
contrario, la norma stabilisce due regole, una minima ed
una massima - la prima, a carico della banca, consistente
nella periodica comunicazione di un prospetto che rappresenti
la situazione del momento nel rapporto con il cliente; la
seconda, a carico di quest'ultimo, di limitazione agli ultimi
dieci anni del diritto ad ottenere la documentazione delle
singole operazioni e di assunzione da parte sua del relativo
costo - e lascia per il resto immutata l'ordinaria disciplina
delle obbligazioni, fornendo una chiave di lettura testuale
dell'obbligo di correttezza e solidarietà in cui
si sostanzia il principio di buona fede, laddove, accordando
al cliente il diritto di ottenere la documentazione di singole
operazioni per un non breve arco di tempo, va oltre l'elementare
dovere di informazione previsto dai primi due commi dell'articolo
119, perché di ciascuna operazione registrata sull'estratto
conto legittima l'avente titolo ad ottenere gli opportuni
riscontri; legittimazione che, alla luce del più
volte richiamato principio di buona fede, non è dato
limitare ad alcune soltanto delle operazioni, potendo investire
tutte quelle del periodo cui il cliente è interessato.
Né
rileva che all'invio degli estratti conto l'istituto di
credito abbia già provveduto nei riguardi del cliente
in bonis, come non rileva, per quanto si è prima
visto, che il rapporto si sia sciolto, ai sensi dell'articolo
78 l.f. o per altre cause, poiché l'obbligo di correttezza
e solidarietà non si estingue sino a quando permane
l'interesse alla informazione in capo all'avente titolo,
il quale, se ne ha già fruito, è tenuto, oltreché
a sostenere il costo aggiuntivo della reiterazione, a dimostrare
la ragione per la quale quell'interesse residua (ad esempio
per sottrazione o smarrimento dei documenti), affinché
non si configuri un abuso del diritto; ragione che è
in re ipsa, ove sia il curatore ad esercitare la pretesa,
giacché, pur mutuando dal fallito il titolo ad esercitarla,
è, per essere un soggetto diverso da lui, nella condizione
di non dovere giustificare quel rinnovo, che trova implicito
fondamento nel mancato reperimento nella contabilità
e negli altri atti dell'imprenditore.
Il
ricorso principale è, dunque, fondato e le ragioni
che ne determinano l'accoglimento giovano al rigetto dei
ricorsi incidentali condizionati, uno congiuntamente proposto
dalla Banca intesa e dal Banco ambrosiano veneto e l'altro
della Cariplo, articolati su due motivi, ad entrambi comuni,
che costituiscono in realtà argomenti avversativi
della tesi del ricorrente.
Denunziano
gli istituti di credito, con il primo motivo, la violazione
e falsa applicazione degli articoli 100, 210 c.p.c., 94
disp. att. c.p.c.; e il difetto di motivazione su un punto
decisivo della controversia.
Rilevano
di avere eccepito nei gradi di merito la inammissibilità
dell'azione avversaria, perché, pretendendo di ottenere
un ordine di esibizione, senza che fosse in atto una controversia,
rispetto alla quale la esibizione dei documenti richiesti
risultasse strumentale, si era posta in contrasto con i
fondamentali principi dell'ordinamento processuale e non
consentiva di individuare in capo all'attore la imprescindibile
condizione dell'interesse ad agire di cui all'articolo 100
citato; rilevano, ancora, di avere contestato nel grado
di appello la mancata considerazione della eccezione da
parte dei primi giudici, che sul punto si erano limitati
ad osservare che il diritto sostanziale alla esibizione
è diverso da quello previsto dall'articolo 210 c.p.c.,
senza motivare tale apodittica affermazione.
Era
stata, inoltre, denunciata la inammissibilità della
pretesa del curatore di fondare la sua azione sulla posizione
di rappresentante della massa dei creditori e contemporaneamente
su quella diversa di sostituto del fallito, come pure di
perseguire interessi ed obbiettivi propri della massa invocando
le posizioni contrattuali del fallito e le relative norme
dettate a fini diversi.
Con
il secondo i ricorrenti incidentali denunziano la violazione
e falsa applicazione degli articoli 78 l.f. e 100 c.p.c.,
nonché il difetto di motivazione su un punto decisivo
della controversia. Deducono che in sede di appello si era
eccepita la infondatezza della domanda del curatore per
il fatto che ai sensi dell'articolo 78 citato il rapporto
di conto corrente con la società fallita si era sciolto,
per cui non vi era stato subentro del curatore, che, quindi,
non aveva alcun titolo ad acquisire la documentazione relativa.
Tale eccezione non era stata vagliata dalla corte di merito,
in quanto aveva ritenuto di rigettare la domanda, per cui,
al pari della precedente, essi istituti di credito l'hanno
riproposta, per la ipotesi di accoglimento del ricorso avversario.
Hanno, infine, dedotto di avere, sin dalla domanda di ammissione
al passivo, esibito la documentazione relativa ai rapporti
intercorsi con la fallita, sicché, almeno per quanto
riguarda le copie dei contratti, era da escludere l'interesse
ad agire della curatela.
La
identificazione del diritto sostanziale alla documentazione,
cui si è pervenuti, esprime e giustifica l'interesse
ad agire della curatela.
La
identificazione del diritto sostanziale alla documentazione,
cui si è pervenuti, esprime e giustifica l'interesse
ad agire del curatore, mentre la corrispondenza della sua
posizione con quella del fallito priva in radice di consistenza
anche il secondo profilo del primo motivo di censura.
Quanto
al secondo, le osservazioni svolte con riguardo alla persistenza
del diritto alla informazione, anche dopo lo scioglimento
del rapporto, giovano a disattendere la doglianza; mentre
la richiesta del fallimento dei soli estratti conto dell'ultimo
biennio (vedi penultimo capoverso della memoria difensiva
ex articolo 378 c.p.c.) fa venire meno ogni contestazione
riferita agli altri documenti.
Circa
poi la denunzia del vizio motivazionale, presente nei due
motivi di censura, la circostanza che la corte di merito
avesse rigettato la domanda della curatela fallimentare
determinava l'automatico assorbimento delle questioni prospettate,
rinnovate in questa sede.
La
sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, poiché
non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa
può essere decisa nel merito, con l'accoglimento
della domanda proposta dal fallimento della società
Scom 2 e la condanna della Cassa di risparmio delle province
lombarde (Cariplo), della Banca intesa e del Banco ambrosiano
veneto alla consegna alla curatela fallimentare di copia
- quanto ai contratti di conto corrente e di apertura di
credito regolati sui conti correnti numeri 2624 1/1 e 2624
1/3 della Cariplo e numeri 36975/19 dell'altro Istituto,
intrattenuti con la società fallita - degli estratti
conto periodici relativi ai due anni anteriori alla dichiarazione
di fallimento.
Le
spese processuali, del secondo grado e del presente giudizio,
seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti
incidentali, in solido, nella misura di lire 9.000.000 per
il grado di appello, di cui lire 6.000.000 per onorari e
lire 1.300.000 per diritti; e in lire 10.520.100, di cui
lire 10.000.000 per onorari, per il giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi;
accoglie il ricorso principale;
rigetta gli incidentali condizionati;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna
la Cassa di risparmio delle province lombarde, la Banca
intesa e il Banco ambrosiano veneto alla consegna alla curatela
fallimentare di copia - quanto ai contratti di conto corrente
e di apertura di credito regolati sui conti correnti numeri
26241/1 e 26241/3, e 36975/19, intrattenuti con la società
fallita, rispettivamente, dalla Cariplo e dagli altri istituti
- degli estratti conto periodici relativi ai due anni anteriori
alla dichiarazione di fallimento; condanna i resistenti-ricorrenti
incidentali in solido alle spese processuali in favore del
ricorrente, nella misura di lire 9.000.000 per il grado
di appello di cui lire 6.000.000 per onorari e lire 1.300.000
per diritti, nonché in lire 10.520.100, di cui lire
10.000.000 per onorari, per il giudizio di cassazione.