Corte di Cassazione, sez. I civile, 27 settembre 2001, n. 12093, La banca deve consegnare al curatore la documentazione del fallito

In tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia come un impegno di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico.

Il cliente di una banca ha il diritto di ottenere la documentazione di singole operazioni per un non breve arco di tempo, che va oltre l'elementare dovere di informazione previsto dai primi due commi dell'articolo 119, perché di ciascuna operazione registrata sull'estratto conto legittima l'avente titolo ad ottenere gli opportuni riscontri; legittimazione che, alla luce del principio di buona fede, non è dato limitare ad alcune soltanto delle operazioni, potendo investire tutte quelle del periodo cui il cliente è interessato. - In tal senso Cassazione 2503/1991.

Corte di cassazione

Sezione I civile

Sentenza 27 settembre 2001, n. 12093

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il 3 gennaio 1996 il fallimento della società Scom 2 Sri convenne dinanzi al Tribunale di Brescia la filiale del luogo del Banco ambrosiano veneto e della Cassa di risparmio delle province lombarde e ne chiese la condanna alla consegna delle copie dei contratti di conto corrente e di apertura di credito regolati sui c/c 36975/19 e 26241/1 e 26241/3 intrattenuti con la fallita, nonché degli estratti conto periodici degli ultimi due anni e delle connesse garanzie. Dedusse che la richiesta di quei documenti era stata rifiutata e che in sede di reclamo aveva ottenuto, ai sensi dell'articolo 700 c.p.c., l'ordine giudiziale alle banche di consegna delle copie.

Entrambe le banche resistettero, rilevando la inammissibilità della richiesta, in quanto proponibile solo all'interno di un procedimento già in corso e non a fini esplorativi.

Il Tribunale accolse la domanda con sentenza 15 aprile 1997, con cui ritenne che, in base alla normativa sulla «trasparenza bancaria» (t.u. 385/93), vi fosse un diritto soggettivo sostanziale del cliente alla esibizione della documentazione afferente ai rapporti intrattenuti con la banca e che il curatore fallimentare, subentrando nei rapporti preesistenti, pure a fronte di contratti sciolti ai sensi dell'articolo 78 l.f., non è limitato nell'esercizio dei diritti connessi al periodo in cui il contratto era in vigore, in applicazione dell'articolo 1458 c.c., tanto più in considerazione del rilievo pubblicistico della sua funzione.

Le soccombenti proposero appello, che la Corte di Brescia ha accolto con decisione del 14 giugno 1999, ritenendo che la funzione pubblica non è sufficiente a giustificare il diritto vantato, in difetto di disposizioni di legge che tanto prevedano, né che tale diritto al curatore competa in quanto causa del fallito, dal momento che a quest'ultimo, una volta che il contratto si sia sciolto, non è consentita quella pretesa, né ai sensi dell'articolo 1458 c.c., applicato dal primo giudice, né per effetto di altre norme, non trovando essa fondamento nell'articolo 119 t.u. 385/93, il quale contempla il diritto del cliente di avere copia della documentazione delle singole operazioni, ma non anche di avere duplicati della documentazione già fornita dalla banca.

Ha poi disatteso la richiesta della curatela rilevando che, se la esibizione nel processo, nei termini in cui risulta codificata, postula la specificità dell'oggetto, la individuazione del documento e la certezza della sua esistenza, sarebbe singolare che si ammettesse un diritto sostanziale senza alcuna base normativa, di contenuto persino più ampio di quello processuale; e, quanto alla misura cautelare concessa dal tribunale, ha escluso che ne ricorressero i presupposti, sia perché il diritto alla esibizione non era minacciato da un pericolo grave ed irreparabile, sia perché la difesa cautelare era in realtà mirata a conseguire il bene in contesa.

Pertanto ha rigettato la domanda del fallimento Scom e dichiarato inefficace la ordinanza del Tribunale emessa ai sensi dell'articolo 700 c.p.c..

Ha proposto ricorso per cassazione il curatore del fallimento con un motivo; hanno resistito con controricorsi la Cariplo, il Banco ambrosiano veneto e la Banca intesa, questi ultimi, rispettivamente, ai sensi dell'articolo 111, I, III e IV comma, c.p.c., in quanto il Bav ha conferito il suo complesso aziendale alla società Euragrind Srl, che ha assunto la nuova denominazione di Banco ambrosiano veneto Spa, ed ha contestualmente adottato la denominazione di Banca intesa.

I tre intimati hanno proposto ricorsi incidentali condizionati con due motivi.

Tutte le parti hanno depositato memorie.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quelli incidentali condizionati vanno riuniti, ai sensi del disposto dell'articolo 335 c.p.c.

Dopo avere premesso che la propria richiesta era stata diretta alla consegna degli estratti periodici di conto corrente e dei relativi contratti, il fallimento denunzia la violazione degli articoli 1374 e 1375 c.c.; 78 e 33 l.f., 119 legge bancaria, 210 c.p.c., per avere la corte di merito erroneamente ritenuto insussistente il diritto del curatore ad ottenere la copia di tali documenti.

Richiama a riguardo la copia di tali documenti.

Richiama a riguardo le sentenze 4598/99 e 4519/94 di questa Corte, che tale diritto hanno riconosciuto, fondandolo - la prima in particolare - sul principio di buona fede, operante non solo in sede di interpretazione ed esecuzione del contratto, ma anche quale fonte di integrazione della stessa regolamentazione contrattuale.

Assume che l'articolo 119 t.u. leggi bancarie e creditizie, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata - che ha escluso la esistenza di norme specifiche attributive del diritto di ottenere copia degli estratti periodici già trasmessi e dei contratti, esistendo invece solo quello alla documentazione relativa a singole operazioni - sancisce sia il diritto del cliente alla copia e all'invio degli estratti periodici relativi al rapporto, sia quello ad ottenere copia della documentazione relativa a singole operazioni, poste in essere nel decennio anteriore.

Rileva che il diritto sostanziale alla esibizione ha contenuto diverso da quello processuale ex articolo 210 c.p.c., e per tale verso censura la sentenza impugnata, che ha negato il primo per il fatto che avrebbe una portata maggiore del secondo, quasi che la misura di questo corrispondesse ad un principio generale, con il quale verrebbe a contrastare la ipotesi di un diritto maggiore.

Il ricorso principale è fondato e va accolto, trovando la proposta censura ragione nelle norme di cui è stata denunziata la violazione, sia di quelle generali, sostanziali e processuali, che di quelle speciali, delle leggi fallimentare e bancaria.

I passaggi argomentativi sui quali si incentra la decisione impugnata sono i seguenti:

- il curatore non ricava dalla sua funzione pubblica il diritto a richiedere ed ottenere da chiunque documenti utili allo svolgimento di quella funzione, in quanto manca nell'ordinamento una norma che lo configuri;

- il fallito, quale parte del rapporto di conto corrente con la banca, non ha il diritto di ottenere ad libitum copie ulteriori dei documenti relativi al rapporto, una volta che abbia ricevuto le comunicazioni periodiche ex articolo 119 t.u. leggi bancarie (d.lgs. 385/93) in costanza di esso; e quel diritto viene, comunque, meno una volta che il rapporto si sia sciolto ai sensi dell'articolo 78 l.f. - conseguentemente il curatore, quale suo avente causa, non può esercitare pretese a riguardo, che sarebbero maggiori e diverse di quelle del dante causa;

- non esiste nell'ordinamento una norma che attribuisca al «cliente» il diritto di avere copia della documentazione periodica già inviatagli, l'articolo 119 citato consentendo solo di ottenere quella relativa alla documentazione di singole operazioni;

- la esistenza del diritto sostanziale in questione porterebbe ad una forte divergenza di esso rispetto a quello processuale codificato, che postula specificità dell'oggetto, individuazione del documento, certezza della sua esistenza.

Siffatta ricostruzione del sistema non può essere condivisa, tranne che nella premessa, in quanto si sostanzia in una indagine semplicistica, mirata al rinvenimento di specifiche norme, che espressamente costituiscano la fonte del diritto di cui trattasi, e in una valutazione riduttiva della portata delle disposizioni positive della legge bancaria.

Questa Corte ha affermato (Cassazione 11733/99; 4598/97) che se è vero che il curatore, allorché agisca per la acquisizione della documentazione afferente alle operazioni del fallito, non svolge compiti di rilievo pubblicistico e non assume la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, restando le sue funzioni circoscritte ad un ambito giusprivatistico, tuttavia deriva la propria legittimazione a riguardo dal fatto di essere subentrato al fallito ex articolo 31 l.f. - in corrispondenza della limitazione su quest'ultimo prodotta dalla dichiarazione di fallimento ai sensi dell'articolo 42 l.f. - e dalla circostanza che in capo ad esso preesisteva un diritto siffatto, correlato al rapporto pregresso tra «cliente» e banca e fondato sul principio di buona fede, che è clausola generale di interpretazione e di esecuzione del contratto e fonte di integrazione della regolamentazione negoziale, ai sensi degli articoli 1366, 1375, 1374 c.c.; sicché, al di là del disposto dell'articolo 119 legge bancaria, il diritto sostanziale di cui trattasi viene a trovare riscontro nel dovere di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), concorrendo la buona fede alla «conformazione di tale regolamentazione in senso ampliativo-restrittivo, rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l'ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale».

Ed ha aggiunto che è inconferente la circostanza che il contratto di conto corrente, al pari del mandato, si sciolga con il fallimento ai sensi dell'articolo 78 l.f., poiché tale scioglimento non sempre comporta la immediata estinzione di ogni rapporto obbligatorio tra le parti. «Altro è, invero, il venir meno del programma operativo di realizzazione degli interessi che nell'atto negoziale si era espresso, che effettivamente consegue allo scioglimento, altro è la cessazione di ogni diritto ed obbligo derivante dagli atti e dai comportamenti tenuti in esecuzione di quel programma»; tant'è che, nel mandato, allo scioglimento non consegue la immediata estinzione di tutti gli obblighi gravanti sul mandatario a cominciare da quelli di informazione in ordine agli atti già compiuti, di rendiconto e di custodia e rimessione di quanto ricevuto nell'interesse del mandante, sussistendo anche dopo e talvolta anzi proprio a causa di ciò una serie di obbligazioni, pur sempre di derivazione contrattuale, cui fanno riscontro altrettante corrispondenti posizioni di diritto soggettivo dell'altro contraente (Cassazione 4598/97).

Ha, infine, rilevato che il diritto alla prova non può essere considerato utile parametro per la determinazione del diritto sostanziale di cui si controverte, essendo il primo di natura processuale, strumentale al fine di soddisfare un diverso interesse sostanziale, mentre il secondo è l'oggetto del giudizio e prescinde dall'uso eventuale che il curatore può fare eventualmente in altre sedi.

Ha ribadito questa Corte (sentenza 11733/99) che, se il curatore subentra nella posizione del fallito, il suo diritto non ha limiti perché non è giudizialmente indirizzato, andando oltre l'area degli articoli 263 e 116 c.p.c., non essendo consentito, per l'attuazione della tutela di tipo «finale», previamente valutare l'impiego che della documentazione sarà fatto e che non è conferente prospettare, al fine di paralizzare la pretesa, la commistione in capo al curatore delle posizioni di parte e di terzo - la prima legata alla applicazione dell'articolo 119 legge bancaria e la seconda a quella di attore eventuale nel giudizio di revocazione di atti compiuti dal fallito - in quanto essa deriva dalla posizione di amministratore del patrimonio fallimentare, nel quale il diritto di cui trattasi è presente.

Le considerazioni che precedono giovano di per sé a privare di valore giuridico le argomentazioni della sentenza impugnata, in ordine alle quali si impone qualche ulteriore rilievo, in relazione a quanto dedotto dai controricorrenti e ricorrenti incidentali, i quali hanno, preliminarmente, eccepito la inammissibilità del ricorso, per avere mancato di spiegare le ragioni della denunziata violazione delle norme indicate nella epigrafe del motivo di gravame e, comunque, resistito ad esso rilevando che nessuna violazione di legge la corte di merito ha commesso.

La prima eccezioni non ha pregio, atteso che, al contrario di quanto assumono i controricorrenti, il fallimento ha posto a sostegno della censura le norme indicate, lamentandone la violazione per il fatto che le conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata le avessero disattese nel loro reale significato giuridico, sia quelle che consacrano il principio di buona fede nel contratto; sia quelle che disciplinano la sostituzione del curatore al fallito nei rapporti negoziali; sia quelle processuali sulla esibizione dei documenti, erroneamente richiamate e valutate; sia, infine, quelle della legge bancaria, non adeguatamente applicate.

E non rileva, ovviamente, che tale critica nella esposizione del motivi si sia giovata delle ragioni della sentenza 4598/97 di questa Corte, avendo il richiamo ancor più giovato alla specificità e alla completezza dei motivi, secondo le prescrizioni dell'articolo 366 c.p.c.

Ma infondate sono anche le deduzioni volte a sostenere la decisione impugnata.

Rileva la difesa degli istituti di credito che a superare la carenza di specifiche norme giustificatrici del diritto sostanziale di cui si tratta non sia utile il principio di buona fede e del dovere di solidarietà reciproca tra i contraenti, esso trovando applicazione, in sede interpretativa, solo quando la loro volontà è incerta; in sede di integrazione, quando la regolamentazione negoziale è incompleta; e, infine, in sede di esecuzione, se si tratti di obbligazioni persistenti e non di obbligazioni estinte.

L'assunto non può essere condiviso, giacché trascura di considerare che la pretesa alla documentazione è un diritto autonomo che, pur derivando dal contratto, è estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto.

Esso nasce dall'obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà, che è accessorio di ogni prestazione dedotta in negozio e consente alla parte interessata di conseguire ogni utilità programmata, anche oltre quelle riferibili alle prestazioni convenute, comportando esso stesso una prestazione, cui ognuna delle parti è tenuta, in quanto imposta direttamente dalla legge (articolo 1374 c.c.); per cui agli effetti del contratto, che discendono dalle clausole pattizie, vanno aggiunti quelli che la norma produce, in forza del rilevato principio, il quale fissa una regola di condotta, cui debbono attenersi i soggetti del rapporto obbligatorio, alla stregua di quanto dispone l'articolo 1375 c.c., secondo il quale il contratto deve essere eseguito, appunto, secondo buona fede, generando doveri di comportamento, la cui inosservanza costituisce inadempimento, al pari di quella riferita agli obblighi convenzionali.

In tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia, infatti, come un impegno di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico (Cassazione 2503/1991).

La clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio, quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti alla esecuzione di un contratto, specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto (Cassazione 1078/99; 3775/94; 3362/89; 1960/86; 89/1966); e la sua rilevanza si esplica nell'imporre il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dalla esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cassazione 12310/99).

Né rileva che l'adempimento di siffatta prescrizione sia suscettibile di arrecare svantaggi al debitore, come conseguenza eventuale e futura di esso. Se è vero, infatti, che l'obbligo di salvaguardia delle altrui utilità esiste in quanto non importi per il debitore un apprezzabile sacrificio, è altrettanto vero che esso deve essere valutato in relazione diretta con la prestazione, secondo un rigoroso rapporto di causalità, mentre sfuggono a tale correlazione gli effetti che derivano da atti diversi da quell'adempimento.

Per ipotizzare, pertanto, che la consegna della documentazione contrasti con l'interesse della banca a preservarsi dalle azioni revocatorie delle rimesse attive effettuate sui conti in periodo sospetto, occorrerebbe attribuire meritevolezza a quell'interesse e riconoscere alla esibizione valenza causale; elementi che difettano nella specie, giacché a dar causa alla eventuale revoca delle rimesse sono il compimento dell'atto in periodo sospetto, la sua qualificazione come solutorio, la situazione di insolvenza dell'imprenditore e la relativa conoscenza da parte dell'accipiens, non già la documentazione che ne costituisce la prova. Mentre nessuna relazione, in termini di effetti pregiudizievoli, è attribuibile alla esibizione, al di là del relativo costo materiale - che resta però sempre a carico del richiedente - esso essendo il solo dato di cui occorre tenere conto in sede di valutazione dei contrapposti interessi, in cui, ove invece prevalesse la tutela di quello remoto ed eventuale della banca, ne risulterebbe automaticamente compromesso quello di controparte, che alla documentazione ha titolo diretto ed immediato, come elemento di informazione dei dati del rapporto intercorso, per le utilità che possono derivargli nei confronti anche di terzi e che non è dato preventivamente alla controparte scrutinare, al fine di contrastare la pretesa, attraverso un giudizio di probabilità o possibilità di esiti ulteriori, connessi agli sviluppi di quella acquisizione, essendo l'utilità oggettivamente prospettabile e giuridicamente rilevante, in riferimento al contratto in questione, quella fine a se stessa, di entrare cioè in possesso dei documenti, come effetto de iure dei patti; mentre il sacrificio di controparte, che merita di essere apprezzato, è solo quello connesso alla attività diretta a renderli conoscibili dal richiedente.

Avendo il diritto sostanziale potenzialità indeterminate, proprio per la sua natura non strumentale, non riceve limitazioni nel suo contenuto dai diritti ulteriori, dei quali agevoli l'esercizio, sia esso compiuto dal fallito o dal curatore che gli subentri o dalla banca, parte al pari di lui del rapporto, e del quale l'istituto di credito non può impedire la utilizzazione attraverso la posizione di forza che gli deriva dal possesso dei documenti, i quali, riflettendo un rapporto che vede altri soggetti interessati, non sono di esclusiva sua pertinenza, non sono riservati alla esclusiva sua gestione e non sono sottoposti ad un sindacato prognostico degli utilizzi futuri, capace di condizionarne la acquisizione.

Conferma delle conclusioni cui porta la corretta applicazione degli articoli 1374 e 1375 c.c. proviene dall'articolo 119 t.u. leggi bancarie, la cui lettura non può essere compiuta del tutto astraendo dalle citate norme codicistiche, che rappresentano un cardine della disciplina legale delle obbligazioni.

Dispone il primo comma che gli istituti creditizi forniscano per iscritto al cliente, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all'anno, una comunicazione completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto; il secondo comma specifica per i rapporti di conto corrente tempi e modalità di tale comunicazione, e il IV comma (con la modifica introdotta dall'articolo 24 d.lgs. 324/99) aggiunge: «il cliente, colui che gli succede a qualsiasi titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere a proprie spese entro un congruo termine e comunque non oltre 90 giorni copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».

Tali norme contemplano, nel primo caso, una obbligazione della banca, al di fuori di qualunque richiesta; nel secondo, un diritto del cliente, da esercitarsi mercé specifica domanda; e suppongono entrambe il più ampio diritto alla documentazione, che attiene alla nascita del rapporto, agli elementi fondanti, alla sua evoluzione, alla sua conclusione.

Ritenere che l'obbligo della banca sia circoscritto al primo degli adempimenti e si esaurisca con l'invio, non più ripetibile, di un prospetto riproduttivo di una situazione, parziale nel tempo e non sostenuta da pezze giustificative; e che il secondo, a sollecitazione di parte, sia limitato alla documentazione di singole operazioni, al punto da rendere inesigibile la pretesa a conseguire la documentazione di tutte quelle avvenute in un certo arco temporale, significa frustrare la portata della legge, che, avendo inteso sin dalla legge 154/92 dettare regole specifiche sulla trasparenza delle condizioni contrattuali, delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, non può essere interpretata nel senso di limitare il diritto alla informazione, che già nel sistema generale delle obbligazioni si è visto essere tutelato.

Al contrario, la norma stabilisce due regole, una minima ed una massima - la prima, a carico della banca, consistente nella periodica comunicazione di un prospetto che rappresenti la situazione del momento nel rapporto con il cliente; la seconda, a carico di quest'ultimo, di limitazione agli ultimi dieci anni del diritto ad ottenere la documentazione delle singole operazioni e di assunzione da parte sua del relativo costo - e lascia per il resto immutata l'ordinaria disciplina delle obbligazioni, fornendo una chiave di lettura testuale dell'obbligo di correttezza e solidarietà in cui si sostanzia il principio di buona fede, laddove, accordando al cliente il diritto di ottenere la documentazione di singole operazioni per un non breve arco di tempo, va oltre l'elementare dovere di informazione previsto dai primi due commi dell'articolo 119, perché di ciascuna operazione registrata sull'estratto conto legittima l'avente titolo ad ottenere gli opportuni riscontri; legittimazione che, alla luce del più volte richiamato principio di buona fede, non è dato limitare ad alcune soltanto delle operazioni, potendo investire tutte quelle del periodo cui il cliente è interessato.

Né rileva che all'invio degli estratti conto l'istituto di credito abbia già provveduto nei riguardi del cliente in bonis, come non rileva, per quanto si è prima visto, che il rapporto si sia sciolto, ai sensi dell'articolo 78 l.f. o per altre cause, poiché l'obbligo di correttezza e solidarietà non si estingue sino a quando permane l'interesse alla informazione in capo all'avente titolo, il quale, se ne ha già fruito, è tenuto, oltreché a sostenere il costo aggiuntivo della reiterazione, a dimostrare la ragione per la quale quell'interesse residua (ad esempio per sottrazione o smarrimento dei documenti), affinché non si configuri un abuso del diritto; ragione che è in re ipsa, ove sia il curatore ad esercitare la pretesa, giacché, pur mutuando dal fallito il titolo ad esercitarla, è, per essere un soggetto diverso da lui, nella condizione di non dovere giustificare quel rinnovo, che trova implicito fondamento nel mancato reperimento nella contabilità e negli altri atti dell'imprenditore.

Il ricorso principale è, dunque, fondato e le ragioni che ne determinano l'accoglimento giovano al rigetto dei ricorsi incidentali condizionati, uno congiuntamente proposto dalla Banca intesa e dal Banco ambrosiano veneto e l'altro della Cariplo, articolati su due motivi, ad entrambi comuni, che costituiscono in realtà argomenti avversativi della tesi del ricorrente.

Denunziano gli istituti di credito, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli articoli 100, 210 c.p.c., 94 disp. att. c.p.c.; e il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Rilevano di avere eccepito nei gradi di merito la inammissibilità dell'azione avversaria, perché, pretendendo di ottenere un ordine di esibizione, senza che fosse in atto una controversia, rispetto alla quale la esibizione dei documenti richiesti risultasse strumentale, si era posta in contrasto con i fondamentali principi dell'ordinamento processuale e non consentiva di individuare in capo all'attore la imprescindibile condizione dell'interesse ad agire di cui all'articolo 100 citato; rilevano, ancora, di avere contestato nel grado di appello la mancata considerazione della eccezione da parte dei primi giudici, che sul punto si erano limitati ad osservare che il diritto sostanziale alla esibizione è diverso da quello previsto dall'articolo 210 c.p.c., senza motivare tale apodittica affermazione.

Era stata, inoltre, denunciata la inammissibilità della pretesa del curatore di fondare la sua azione sulla posizione di rappresentante della massa dei creditori e contemporaneamente su quella diversa di sostituto del fallito, come pure di perseguire interessi ed obbiettivi propri della massa invocando le posizioni contrattuali del fallito e le relative norme dettate a fini diversi.

Con il secondo i ricorrenti incidentali denunziano la violazione e falsa applicazione degli articoli 78 l.f. e 100 c.p.c., nonché il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Deducono che in sede di appello si era eccepita la infondatezza della domanda del curatore per il fatto che ai sensi dell'articolo 78 citato il rapporto di conto corrente con la società fallita si era sciolto, per cui non vi era stato subentro del curatore, che, quindi, non aveva alcun titolo ad acquisire la documentazione relativa. Tale eccezione non era stata vagliata dalla corte di merito, in quanto aveva ritenuto di rigettare la domanda, per cui, al pari della precedente, essi istituti di credito l'hanno riproposta, per la ipotesi di accoglimento del ricorso avversario. Hanno, infine, dedotto di avere, sin dalla domanda di ammissione al passivo, esibito la documentazione relativa ai rapporti intercorsi con la fallita, sicché, almeno per quanto riguarda le copie dei contratti, era da escludere l'interesse ad agire della curatela.

La identificazione del diritto sostanziale alla documentazione, cui si è pervenuti, esprime e giustifica l'interesse ad agire della curatela.

La identificazione del diritto sostanziale alla documentazione, cui si è pervenuti, esprime e giustifica l'interesse ad agire del curatore, mentre la corrispondenza della sua posizione con quella del fallito priva in radice di consistenza anche il secondo profilo del primo motivo di censura.

Quanto al secondo, le osservazioni svolte con riguardo alla persistenza del diritto alla informazione, anche dopo lo scioglimento del rapporto, giovano a disattendere la doglianza; mentre la richiesta del fallimento dei soli estratti conto dell'ultimo biennio (vedi penultimo capoverso della memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c.) fa venire meno ogni contestazione riferita agli altri documenti.

Circa poi la denunzia del vizio motivazionale, presente nei due motivi di censura, la circostanza che la corte di merito avesse rigettato la domanda della curatela fallimentare determinava l'automatico assorbimento delle questioni prospettate, rinnovate in questa sede.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento della domanda proposta dal fallimento della società Scom 2 e la condanna della Cassa di risparmio delle province lombarde (Cariplo), della Banca intesa e del Banco ambrosiano veneto alla consegna alla curatela fallimentare di copia - quanto ai contratti di conto corrente e di apertura di credito regolati sui conti correnti numeri 2624 1/1 e 2624 1/3 della Cariplo e numeri 36975/19 dell'altro Istituto, intrattenuti con la società fallita - degli estratti conto periodici relativi ai due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Le spese processuali, del secondo grado e del presente giudizio, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti incidentali, in solido, nella misura di lire 9.000.000 per il grado di appello, di cui lire 6.000.000 per onorari e lire 1.300.000 per diritti; e in lire 10.520.100, di cui lire 10.000.000 per onorari, per il giudizio di cassazione.


P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi;
accoglie il ricorso principale;
rigetta gli incidentali condizionati;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la Cassa di risparmio delle province lombarde, la Banca intesa e il Banco ambrosiano veneto alla consegna alla curatela fallimentare di copia - quanto ai contratti di conto corrente e di apertura di credito regolati sui conti correnti numeri 26241/1 e 26241/3, e 36975/19, intrattenuti con la società fallita, rispettivamente, dalla Cariplo e dagli altri istituti - degli estratti conto periodici relativi ai due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; condanna i resistenti-ricorrenti incidentali in solido alle spese processuali in favore del ricorrente, nella misura di lire 9.000.000 per il grado di appello di cui lire 6.000.000 per onorari e lire 1.300.000 per diritti, nonché in lire 10.520.100, di cui lire 10.000.000 per onorari, per il giudizio di cassazione.












 

 

 


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