Sentenza
inviata alla redazione dal Dott. Alberto Russo
Corte
di Cassazione, 25 maggio 2001 n. 7110, Sequestro conservativo
e fallimento ed effetti su una fideiussione prestata in
luogo della cauzione ai sensi dell'articolo 684 c.p.c.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Il
Tribunale di Genova con la sentenza pubblicata il 21 aprile
1994, accogliendo la domanda proposta dalla s.p.a. Nuova
Italsider nei confronti della s.p.a. Gamma Serbatoi, condannava
la società convenuta al pagamento di Lire 1.600.000.000
a favore della S.I.P. Società Italiana per l'esercizio
delle Telecomunicazioni p.a. (succeduta per incorporazione
alla Nuova Italsider e volontariamente costituitasi in giudizio
ex art. 300, comma 2, c.p.c.), convalidando il sequestro
conservativo che l'attrice aveva ottenuto ante causam e
che su istanza della convenuta lo stesso presidente del
Tribunale aveva revocato a norma dell'art. 384 c.p.c. dietro
prestazione di cauzione nella forma di fideiussione bancaria.
Nel corso del giudizio di appello - promosso dalla s.p.a.
Gamma Serbatoi - sopravveniva il fallimento della stessa
società e il giudizio proseguiva nei confronti del
curatore volontariamente costituitosi. La Corte d'appello
di Genova, accogliendo in parte l'appello della Gamma Serbatoi
fatto proprio del curatore, rigettava la domanda di convalida
del sequestro autorizzato dal presidente del Tribunale di
Genova e dallo stesso revocato e "convertito quanto
al suo oggetto" e disponeva la liberazione della fideiussione
prestata con funzione di cauzione a norma dell'art. 384
c.p.c.; confermava nel merito la decisione, rigettava la
domanda ex art. 96 c.p.c. riproposta dal curatore e l'appello
incidentale proposto dalla S.I.P., compensando le spese
del giudizio di appello nella misura di un terzo e condannando
il fallimento al rimborso di due terzi delle spese a favore
della società appellata. Con riferimento - in particolare
- al sequestro conservativo, la Corte di merito, premesso
che la revoca del sequestro ex art. 384 c.p.c. "incide
solo sulle modalità di esecuzione della misura cautelare,
sostituendone l'oggetto, ma non vale ad escludere l'esigenza
della sua necessaria convalida", rilevava che la sopravvenuta
dichiarazione di fallimento della società "sequestrata"
aveva - ex art. 51 l.f. - prodotto l'effetto di caducazione
della misura cautelare, essendo perciò venuto meno
lo stesso oggetto del relativo giudizio di convalida che
non poteva quindi essere proseguito dal creditore: sicché,
in conclusione, doveva essere disposta la liberazione della
fideiussione prestata dal Banco di Roma con lettera 6 giugno
1984.Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione
la Telecom Italia s.p.a. - già S.I.P. - società
italiana per l'esercizio delle telecomunicazioni - con due
motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso il
curatore del fallimento che ha proposto ricorso incidentale
con due motivi di censura. Entrambe le parti hanno presentato
memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
1.
I due ricorsi - separatamente iscritti nel ruolo generale
- debbono essere preliminarmente riuniti a norma dell'art.
335 c.p.c.
2.
Con il primo motivo la Telecom Italia prospetta violazione
degli artt. 684 c.p.c., 51 legge fallimentare e 1936 e ss.
Cod. Civ. e censura la decisione per avere la Corte d'appello
dell'art. 51 l.f. dato una interpretazione estensiva così
da far conseguire alla dichiarazione di fallimento del debitore
sequestrato il venir meno non solo della garanzia sostitutiva
prestata dallo stesso debitore nella forma propria della
cauzione (ex art. 384 c.p.c.), ma pure della prestazione
della fideiussione da parte del terzo istituto di credito,
che rimane invece regolata dalla disciplina ex art. 1936
c.c. come assunzione della obbligazione, non già
ovviamente verso il debitore, ma verso il creditore sequestrante
e su tale rapporto non può in alcun modo influire
la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del debitore.
Con
l'atto 6 giugno 1984 l'istituto bancario assumeva infatti
una autonoma obbligazione verso la creditrice, dando così
vita a un autonomo rapporto di garanzia, condizionato soltanto
alla "esibizione di copia autentica della sentenza
esecutiva e senza possibilità di opporre eccezione
di sorta", senza alcun riferimento alla convalida del
sequestro, sicché la Corte di merito "dichiarando
la liberazione della fideiussione" ha indebitamente
inciso sul rapporto SIP - banca obbligata, cui il fallimento,
ormai privo di alcun interesse al riguardo, era divenuto
estraneo.
Con
il secondo motivo la stessa ricorrente censura vizio di
motivazione su punto decisivo della controversia, per avere
la Corte di merito totalmente omesso di argomentare le ragioni
per cui, caducato il sequestro per l'intervenuto fallimento,
ne derivava l'automatico effetto della liberazione della
fideiussione prestata dal terzo istituto di credito.
3.
Con il primo motivo del ricorso incidentale il curatore
del fallimento censura la decisione per "violazione
e falsa applicazione" degli artt. 671, 96 e 112 c.p.c.,
nonché per vizio di motivazione, avendo la Corte
di merito totalmente omesso di pronunciare sul motivo di
impugnazione con il quale il fallimento riproponeva la domanda
di condanna per responsabilità aggravata ex art.
96, comma 2, c.p.c. per essere stato il sequestro richiesto
e autorizzato nel difetto dei necessari presupposti (fumus
boni iuris e periculum in mora) ed eseguito "con reiterazione
delle inibitorie ex art. 678 c.p.c. nei confronti di tutte
le banche di cui la sequestrata era cliente".
Con
il secondo motivo il curatore censura il regolamento delle
spese adottato dal giudice di appello in contrasto con la
pronuncia negativa della convalida del sequestro.
4.
I due motivi del ricorso principale debbono essere congiuntamente
esaminati, poiché argomentano una unitaria censura
diretta al punto della decisione impugnata là dove
la Corte di merito dalla negata convalida del sequestro,
in dipendenza dalla ragione estrinseca della sopravvenuta
dichiarazione di fallimento della società debitrice,
ha fatto discendere l'effetto automatico della estinzione
dell'autonomo rapporto di fideiussione, cui ha dato vita
la dichiarazione 6 giugno 1984 del Banco di Roma, parte
estranea al presente procedimento.
La
censura così formulata è, con le precisazioni
di cui di seguito si dirà, fondata.
4.1
Non è controvertibile, e costituisce per altro principio
fermo nella giurisprudenza di legittimità, che la
dichiarazione di fallimento della parte che ha subito il
sequestro conservativo, sopravvenuta nel corso del giudizio
di convalida, per ragioni funzionali intrinseche al procedimento
di esecuzione collettiva (il divieto posto dall'art. 51
l.f. necessariamente si estende alle strumentali azioni
cautelari) comporta la caducazione della misura cautelare
e fa venire meno, perciò, lo stesso oggetto del giudizio
di convalida, che non può essere proseguito dal creditore
neppure al fine di utilizzare la pronuncia nei confronti
del debitore ritornato in bonis (Cass. nn. 520/1995; 2346/1992;
3518/1983; 243/1966). Controversa invece nel presente giudizio
è la sorte della fideiussione che, su richiesta della
società debitrice, la s.p.a. Banco di Roma ha prestato,
obbligandosi verso la società creditrice al pagamento
della somma che sarebbe stata accertata - in via definitiva
- come ad essa dovuta dalla debitrice s.p.a. Gamma Serbatoi,
essendo la produzione della relativa dichiarazione dell'istituto
di credito (6 giugno 1984) valsa ad ottenere la revoca del
sequestro a norma dell'art. 684 c.p.c. Come già si
è riferito, la Corte di merito ha fatto discendere
dal "rigetto" della domanda di convalida ("dovrà
conseguentemente essere disposta..."), come suo effetto
necessitato, "la liberazione della fideiussione",
senza considerare perciò il tenore in concreto di
quella dichiarazione dell'istituto fideiussore.
4.2
Che la mancata convalida del sequestro (in dipendenza dalla
dichiarazione di fallimento del debitore intervenuta nel
corso del giudizio per la convalida e il merito) comporti
come sua conseguenza necessitata la "liberazione della
fideiussione" prestata in luogo della cauzione, e al
fine di far conseguire al debitore la revoca del sequestro
ex art. 684 c.p.c., è stato implicitamente negato
da Cass. n. 520 del 1995. Con tale pronuncia, infatti, che
concluse la controversia promossa da una società
assicuratrice per la dichiarazione di inefficacia della
"polizza di assicurazione cauzionale" con essa
stipulata - ai fini della revoca del sequestro - da un debitore
poi dichiarato fallito, questa Corte rigettò il ricorso
della stessa società contro la sentenza della Corte
d'appello (che aveva affermato la persistente efficacia
della fideiussione sul fondamento della analisi in concreto
del contenuto dell'atto negoziale intervenuto tra debitore
e fideiussore), valutando adeguata, e perciò incensurabile,
la motivazione con cui i giudici di merito avevano dato
ragione del proprio convincimento.
Condivide
il collegio il principio implicito in tale pronuncia.
La
speciale "cauzione", ammessa e invalsa nella prassi
giudiziaria (tanto da costituire oggetto tipico della impresa
di assicurazione) introduce infatti nel giudizio cautelare
un sub-rapporto con un soggetto estraneo - fideiussore -,
fondato sul contratto stipulato tra lui e il debitore, a
favore del terzo (art. 1411 C.C.) creditore, e la valutazione
di idoneità al riguardo - compiuta dal giudice in
funzione della revoca del sequestro - comporta la irrevocabilità
della stipulazione, ma non ne può condizionare la
efficacia alla pronuncia di convalida, rimanendo la obbligazione
del fideiussore regolata dal tenore in concreto del contratto
che ne costituisce la autonoma fonte.
E
il giudice che, come nella specie, abbia negato la convalida
della misura cautelare (respingendo la relativa domanda,
ma più correttamente avrebbe dovuto dichiarare la
improcedibilità - sul modello dell'art. 51 l.f. -
dell'azione cautelare), non può dichiarare la inefficacia
di quel contratto perché non ha la potestà
di conoscere della latitudine della obbligazione assunta
dal fideiussore (di pronunciare - cioè - in ordine
ad un rapporto costituito da un terzo estraneo al giudizio)
e la eventuale controversia sul contenuto di tale rapporto
costituirà l'oggetto di un separato giudizio tra
creditore e fideiussore - come quello nel quale ha pronunciato
Cass. n. 520 del 1995 -.
5.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la difesa del
fallimento deduce la asserita omissione di pronuncia in
ordine al motivo dell'appello, diretto al punto della decisione
del Tribunale che, avendo accertato il credito fatto valere
in via cautelare e nel merito dalla s.p.a. Nuova Italsider
(con riduzione del relativo importo da lire 1.793.057.774
a lire 1.700.000.000 in ragione della accolta eccezione
di ritardata esecuzione dell'opera) e convalidato il sequestro
conservativo, ha rigettato la domanda riconvenzionale della
società debitrice "proposta per il risarcimento
dei danni anche conseguenti alla richiesta e alla esecuzione
del sequestro, oltre che ex art. 96 c.p.c.".
Il
motivo è infondato.
Se
è vero, infatti, che la Corte di merito non ha pronunciato
esplicitamente sulla domanda riconvenzionale di risarcimento
dei danni rigettata dal Tribunale e fatta oggetto di uno
specifico motivo di appello, non v'è dubbio che quella
domanda fosse accessoria alla prospettazione difensiva di
merito (fatta propria dal curatore del fallimento della
appellante s.p.a. Gamma Serbatoi, dichiarato nel corso del
giudizio di appello) che aveva in via principale concluso
per il rigetto della domanda proposta dalla Nuova Italsider
e in subordine per la determinazione dell'importo del credito
azionato in lire 353.894.539 (a fronte delle richieste lire
1.793.057.774); e non v'è del pari dubbio che, fondata
sulla responsabilità processuale aggravata ex art.
96 c.p.c., la stessa domanda della appellante fosse risultata
necessariamente travolta dalla decisione di merito che aveva
confermato l'accertamento del credito fatto valere dalla
S.I.P. (succeduta per incorporazione alla s.p.a. Nuova Italsider)
come già determinato dal Tribunale (con la riduzione
di cui si è detto rispetto all'importo del credito
oggetto della originaria domanda).
Non
è controvertibile che la domanda riconvenzionale
proposta dalla s.p.a. Gamma Serbatoi, benché prospettata
come diretta al "risarcimento dei danni anche conseguenti
alla richiesta ed alla esecuzione del sequestro, oltre che
ex art. 96 c.p.c.", fosse esclusivamente fondata sulla
responsabilità processuale aggravata ex art. 96,
comma 2, c.p.c., come è reso palese dalla indicazione
contenuta nelle stesse conclusioni rese al giudice di appello
quanto al criterio di liquidazione dell'asserito pregiudizio
"nell'importo almeno pari alla maggior somma dedotta
nella richiesta di sequestro [rispetto] a quella effettivamente
riconoscibile a favore dell'istante".
Sicché,
accertata l'esistenza del diritto fatto valere pure in via
cautelare, ed esclusa perciò la soccombenza nel merito
della parte attrice (che costituisce l'indefettibile presupposto
oggettivo della "responsabilità aggravata"
a norma dell'art. 96 c.p.c.), la pronuncia di rigetto dell'appello
in ordine alla statuizione del Tribunale sulla domanda di
merito - accolta -, ha comportato necessariamente (pur se
non reso esplicito) il rigetto pure del motivo relativo
al negato accoglimento della domanda riconvenzionalmente
proposta dalla parte debitrice - sequestrata sul presupposto
della soccombenza nel merito della parte attrice - sequestrante
(sul presupposto, cioè, della accertata "inesistenza
del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento
cautelare: art. 96, c. 2, c.p.c.).
Palesemente
inammissibile è infine il secondo motivo del ricorso
incidentale che critica il regolamento delle spese del giudizio
di appello, là dove la Corte di merito, con incensurabile
apprezzamento discrezionale, tenuto conto dell'esito del
giudizio per la convalida - preclusa dalla sopravvenuta
dichiarazione di fallimento delle debitrice - e in ragione
della soccombenza reciproca delle parti (avendo respinto
anche l'appello incidentale della S.I.P. diretto al rigetto
della eccezione di riduzione del corrispettivo dell'opera
in ragione della asserita ritardata esecuzione), ha parzialmente
compensato le spese, riconoscendo prevalenza, nella economia
generale della decisione, alla soccombenza della parte appellante
in via principale (accertata debitrice di lire 1.700.000.000,
oltre interessi, rispetto a pretesa di importo di poco superiore,
pari a lire 1.793.057.774).
Il
ricorso incidentale, affidato a un motivo infondato e ad
altro inammissibile, deve essere perciò rigettato.
6.
Accolto invece il ricorso principale (la cui unitaria censura
è fondata per le ragioni di cui sub 4), la sentenza
impugnata deve essere cassata nel punto - censurato - in
cui ha disposto "la liberazione della fideiussione"
prestata - in luogo della cauzione - del Banco di Roma.
E poiché non sono necessari ulteriori accertamenti
di fatto, la causa ben può essere decisa nel merito
a norma dell'art. 384, ultimo comma, ultima ipotesi, c.p.c.,
con il rigetto della domanda proposta dal curatore del fallimento
della s.p.a. Gamma Serbatoi, diretta alla "liberazione
della fideiussione" prestata dal Banco di Roma.
Soccombente,
il fallimento della s.p.a. Gamma Serbatoi è tenuto
al rimborso delle spese di questa fase del giudizio a favore
della s.p.a. S.I.P.
P.Q.M.
La
Corte, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale e rigetta
quello incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione
alla censura accolta e, decidendo nel merito ex art. 384
c.p.c., rigetta la domanda del fallimento della s.p.a. Gamma
Serbatoi diretta alla liberazione della fideiussione prestata
dal Banco di Roma; condanna il fallimento al rimborso delle
spese di questa fase del giudizio - a favore della ricorrente
in via principale - liquidate in complessive L. 15.220.000
delle quali lire 15 milioni per onorari di avvocato.