REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello
di Bari - Sezione del Lavoro - composta dai Magistrati:
1) Dott. Donato BERLOCO Presidente 2) Dott. Michele CRISTINO
Consigliere Relatore 3) Dott. Pietro CURZIO Consigliere
ha emesso la seguente SENTENZA N.1319 nella causa di lavoro
in grado di appello per "T.F.R.", iscritta nel Ruolo Generale
Lavoro, sotto il numero d'ordine 1275/2001. TRA I.N.P.S.
assistito e difeso dall'Avv. Punzi -APPELLANTE- Ricatti
Giuseppe assistito e difeso dagli Avv. Carpagnano e Capacchione
-APPELLATO- all'udienza collegiale del 27/11/2001 la
causa veniva discussa e decisa sulle conclusioni delle
parti in narrativa precisate. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento monitorio n.519 del 9/6/97, accogliendo
la relativa richiesta avanzata da Ricatti Giuseppe, il
Giudice del lavoro del Tribunale di Trani ingiungeva all'INPS
il pagamento della somma di £ 1.437.670, oltre alla rivalutazione
monetaria ed agli interessi legali, a titolo di saldo
degli accessori maturati per effetto del ritardato pagamento
del T.F.R. ai sensi della L. 297/82. Avverso tale decreto
ingiuntivo proponeva opposizione l'INPS assumendo per
un verso che, per effetto dell'art.22, comma 36, della
L. n. 724/94 , non era più possibile il cumulo della rivalutazione
monetaria e degli interessi legali e, per altro verso
che, poiché il Ricatti, dopo il fallimento della impresa
datrice di lavoro, era stato posto in CIGS, gli accessori
sul T.F.R. andavano liquidati a partire dalla scadenza
della cassa integrazione e non già dalla sentenza dichiarativa
di fallimento; a tal fine l'INPS spiegava domanda riconvenzionale
per le somme indebitamente versate al lavoratore a titolo
di interessi legali. Si costituiva ritualmente l'opposto
che insisteva per il rigetto dell'opposizione e la conferma
del provvedimento opposto. Avverso la decisione che rigettava
sia l'opposizione che la domanda riconvenzionale, spiegava
appello l'INPS, con ricorso depositato in data 14/5/2001,
per i motivi che ivi si leggono e che ripropongono quelli
già svolti in prime cure. Si costituiva nuovamente l'appellato
che insisteva per il rigetto dell'appello e la conferma
della sentenza impugnata. All'odierna udienza di discussione,
uditi i procuratori delle parti, la causa veniva decisa
come da dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Entrambi
i motivi dedotti con il presente appello vanno disattesi
perché infondati. Quanto al motivo relativo alla decorrenza
degli interessi sul T.F.R. e, quindi, al problema se al
lavoratore gli interessi spettino dalla cessazione della
CIGS ovvero dalla data di fallimento dell'impresa, nel
premettere che analoga questione è stata già trattata
e decisa da questa Corte (cfr. sentenza INPS/ Di Paola
del 18/9/01), si torna a ribadire come la soluzione stia
nel tenere distinti i due rapporti di lavoro: quello intrattenuto
con l'imprenditore fallito e quello proseguito con la
curatela fallimentare (distinzione che necessariamente
si ripercuote anche sul T.F.R.). Al primo rapporto si
collega 1'art.2 L.297/82, che disciplina il Fondo di garanzia
costituito presso l'INPS, per l'anticipazione del T.F.R.
maturato dai lavoratori nei confronti dei datori di lavoro
divenuti insolventi, il cui secondo comma dispone, testualmente,
che "trascorsi 15 giorni dal deposito dello stato passivo,
reso esecutivo ai sensi dell'art.97 del r.d. 16/3/42 n.267,
ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all'art.99
dello stesso decreto, per il caso ché siano proposte opposizioni
o impugnazioni riguardanti il suo credito ...., il lavoratore
o suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento,
a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di
lavoro e dei relativi crediti accessori ...”. Di fronte
ad una disposizione normativa così chiara, che fa espresso
riferimento anche ai crediti accessori, si impone la soluzione
per cui gli accessori spettino a decorrere da tale epoca.
In definitiva, come già precisato nella decisione richiamata,
"il Fondo di garanzia si accolla ex lege solo le obbligazioni
del datore di lavoro fallito e, quindi, le quote di T.F.R.
maturate sino alla sentenza dichiarativa di fallimento
e cristallizzate nello stato passivo definitivo, non pure
quelle maturate successivamente per effetto della eventuale
prosecuzione del rapporto di lavoro con la curatela fallimentare
(da considerarsi credito verso la massa)". Anche la questione
relativa al secondo motivo di appello è stata già trattata
e risolta da questa Corte, con argomentazioni che contrastano
quelle svolte dall'INPS, e che portano a negare la natura
previdenziale dell'erogazione del T.F.R. a carico del
Fondo di garanzia, ed a preferire la tesi si verta in
tema di accollo ex lege, del medesimo debito privatistico
insoluto dell'imprenditore. Che questa sia la tesi da
preferire, si ricava almeno da due elementi di giudizio
assai rilevanti: 1) innanzitutto, in generale, dalla circostanza
che il pagamento dovuto all'INPS ha funzione soltanto
anticipataria, atteso che l'ente previdenziale ha diritto
di surrogarsi nel passivo fallimentare nella stessa posizione
del dipendente ammesso, al fine di pretendere dal fallimento,
con collocazione di uguale privilegio,esattamente lo stesso
importo erogato al lavoratore avente diritto; 2) inoltre,
la Corte Cost., con sentenza n.459/2000, resa proprio
in una controversia tra l'INPS ed un ex dipendente di
impresa fallita, identica a questa causa, ha statuito
l'illegittimità costituzionale del divieto di cumulo svalutazione
e interessi, relativamente all'applicabilità di tale regime
ai dipendenti privati. A fugare ogni perplessità è intervenuta,
di recente, la S.C., la quale ha statuito che l'intervento
del Fondo di garanzia, avente come oggetto il T.F.R.,
integra "una speciale forma di assicurazione sociale,
in cui l'interesse del lavoratore è conseguito non attraverso
l'erogazione di un’autonoma indennità, ma mediante l'assunzione,
in caso di insolvenza del datore di lavoro, della responsabilità
solidale per l'erogazione del trattamento di fine rapporto
da parte dell'Istituto previdenziale indicato come competente
per legge, così che sia garantita, mediante tale accollo
cumulativo ex lege, l'identità delle prestazioni rispetto
a quelle dovute in base alla disciplina lavoristica, anche
dal punto di vista di quegli accessori, quali gli interessi
e la rivalutazione, che per i crediti di lavoro costituiscono
parte integrante del credito principale e che devono essere
riconosciuti anche dal Fondo di garanzia, dal giorno della
maturazione del trattamento di fine rapporto al saldo
(Cass.23/3/01 n.4261). Al rigetto dell'appello consegue
la conferma della sentenza impugnata e la condanna dell'appellante
al pagamento delle spese processuali, liquidate come da
dispositivo. P.Q.M. La Corte di Appello di Bari, Sezione
Lavoro, uditi i procuratori delle parti, rigetta l'appello
proposto dall'INPS, con ricorso del 14/5/2001, avverso
la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Trani
del 16/3/2001, nei confronti di Ricatti Giuseppe e condanna
l’appellante al pagamento, in favore dell'appellato, delle
spese di questo grado del giudizio, che liquida in £ 800.000,
di cui £ 450.000 di onorario e £ 30.000 di esborsi e distrae
in favore dell'avv. Domenico Carpagnano. Così deciso in
Bari, nella Camera di consiglio il 27/11/2001 IL PRESIDENTE
(F.to: dr. Donato Berloco) IL CONSIGLIERE RELATORE (F.to:
dr. Michele Cristino) Depositato in Cancelleria Il 21
dicembre 2001