TRIBUNALE
PADOVA 9 maggio 2001
Fallimento - Privilegio - Ammissione al passivo - Crediti
delle cooperative agricole e dei loro consorzi - Privilegio
ex art. 2751-bis c.c. - Criteri di attribuzione - Prevalenza
dell'apporto dei beni conferiti dai soci sui beni acquistati
da terzi - Provenienza dei beni dai soci - Necessità.
Condizioni per il riconoscimento del privilegio delle cooperative
agricole e dei loro consorzi sono l'iscrizione al registro
prefettizio, la prevalenza dell'apporto dei prodotti dei
soci rispetto agli acquisti da terzi, prescindendo dal concorso
di altri fattori di produzione (lavoro altrui, capitale),
potendo anche mancare del tutto la partecipazione diretta
dei soci all'attività lavorativa dell'ente, e l'appartenenza
dei soci, in prevalenza, a categorie di soggetti che a loro
volta godrebbero del privilegio, secondo i criteri di attribuzione
propri di ciascuna categoria. È necessario altresì
che i beni venduti, per il cui corrispettivio è chiesto
il privilegio, siano stati conferiti dai soci.
(Dr. Raimondo Olmo)
REPUBBLICA ITALIANA
In
nome del popolo italiano
TRIBUNALE
DI PADOVA
in
persona dei Magistrati:
dr.
A. Della Rocca Presidente
dr.
M. Farini Giudice
dr.
G. Limitone Giudice rel.
ha
pronunciato la seguente
S
E N T E N Z A
nella
causa civile di 1° grado iscritta a ruolo il 1°.4.1997
al n .1255/97 R.G., promossa con ricorso depositato il 28.2.1997
e notificato il 22.3.1997 da Aiut. Uff. Giud. del Tribunale
di Padova
DA
Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl
-
Opponente -
rappresentata
e difesa come da mandato a margine del ricorso dall'avv.
Antonio Cappellini di Rovigo e dall'avv. M. Nicoletta Alessi,
con Studio e domicilio eletto in Padova, via Morgagni n.22
CONTRO
Fallimento Agrinve srl, in persona del Curatore dr. Raniero
Mazzucato
-
Opposto -
rappresentato
e difeso come da mandato a margine della comparsa di risposta
dall'avv. Antonio Lovisetto, con Studio e domicilio eletto
in Padova, C.so Garibaldi n.18
OGGETTO:
opposizione allo stato passivo.
CONCLUSIONI
dell'opponente:
ammettere
l'opponente al passivo privilegiato per la somma di L..31.013.095,
con interessi di legge; vittoria di spese ;
dell'opposto:
preso
atto delle risultanze istruttorie del presente giudizio,
ammettere l'opponente al passivo per l'importo di L..28.608.095
oltre gli interessi maturati dal 23.2.1996 alla data del
fallimento (19.7.1996), in via chirografaria; con vittoria
di spese .
FATTO
Con
ricorso depositato il 28.2.1997 e notificato il 22.3.1997,
la Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl proponeva
opposizione al provvedimento di rigetto pronunciato dal
Giudice delegato del Fallimento Agrinve srl in ordine alla
domanda di insinuazione della stessa, relativa al credito
per fornitura di mais, alle spese della fase monitoria ed
al privilegio, richiesto ex art. 2751 bis n.5 bis cc; affermava
che il credito era stato ingiunto con decreto del Pretore
di Rovigo e che, quindi, le spettavano anche le spese della
fase monitoria e, inoltre, di avere diritto al privilegio
richiesto, in quanto società cooperativa agricola.
Si
costituiva il Fallimento, chiedendo il rigetto in toto dell'opposizione
perché infondata.
A
seguito dell'istruttoria, tuttavia, preso atto delle risultanze
della stessa, il Fallimento modificava le proprie conclusioni,
chiedendo che il credito insinuato venisse ammesso nel minor
importo di L..28.608.095, ferme restando l'esclusione del
credito per la fase monitoria e del privilegio.
La
causa era istruita documentalmente e per testi, e, precisate
le conclusioni il 9.6.2000, veniva in tale udienza rimessa
al Collegio per la decisione, con termine fino al 23.9.2000
per il deposito delle comparse conclusionali e fino al 13.10.2000
per le repliche eventuali.
DIRITTO
Va
subito sgombrato il campo da una prima questione introdotta
dall'opponente nella comparsa conclusionale, inerente i
limiti che sarebbero imposti al Tribunale dalla natura del
giudizio di opposizione allo stato passivo, in relazione
al contenuto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
pendente alla data della dichiarazione di fallimento: afferma
la Cooperativa che nella presente sede non potrebbe trovare
ingresso la questione della spettanza del privilegio, poiché
di questo non si era mai discusso in sede di opposizione
a decreto ingiuntivo.
L'obiezione
si spiega soltanto in termini di sovrapposizione di due
situazioni processuali che non hanno invece nulla a che
fare tra di loro.
L'opposizione
a decreto ingiuntivo riguarda la pretesa che il singolo
creditore fa valere nei confronti del proprio debitore.
Nel
presente giudizio, invece, si discute di un credito, e della
sua collocazione, rispetto alla massa dei creditori, cosicché
mentre in questa sede ha senso parlare di privilegio, non
ne aveva alcuno nella fase di cognizione postmonitoria.
In
ogni caso, è pacifico che se il giudizio di opposizione
a decreto ingiuntivo pende alla data del fallimento, il
decreto ingiuntivo non è opponibile alla massa dei
creditori, in quanto non è divenuto definitivo, e
perciò, non solo non può costituire il fondamento
per il riconoscimento del credito nel concorso (Cass. 23
luglio 1998 n.7221, Il fall. n.5/1999, 537), ma neppure
possono essere accollati alla massa dei creditori i costi
inerenti la fase dalla quale è sortito il provvedimento
ad essa inopponibile.
La
mancata riassunzione del giudizio interrotto a seguito del
fallimento del debitore opponente, non comporta altro effetto
che la definitività del decreto nei suoi confronti,
che perciò potrà essere fatto valere solo
dopo la chiusura del fallimento ed il ritorno in bonis del
debitore opponente.
Nessun
effetto invece nell'ambito del concorso, né sostanziale,
né processuale.
Ne
consegue la necessità che il creditore dimostri autonomamente
in sede concorsuale il proprio credito, la qual cosa è
avvenuta grazie alle produzioni documentali ed alle testimonianze
rese nel presente giudizio.
Cosicché,
il riconoscimento del credito che il fallimento ha fatto
solo a seguito dell'espletata istruttoria non consente di
configurare alcuna responsabilità dello stesso in
ordine alle spese di causa, che si è resa necessaria
proprio in ragione della lacunosa situazione probatoria
inizialmente fatta valere dal creditore istante.
L'esclusione
del credito per spese della fase monitoria importa la riduzione
dell'ammissione alla somma indicata dal Fallimento nelle
sue conclusioni (che corrisponde a quella domandata, al
netto delle spese dell'ingiunzione e di quelle successive).
Rimane
da trattare del privilegio spettante alle Cooperative agricole
ai sensi dell'art.2751 bis n.5 bis cc.
E'irrilevante
che di tale questione non si sia fatto cenno nel provvedimento
di non ammissione, poiché esso non vincola in alcun
modo il giudice dell'opposizione, che è un ordinario
giudizio di cognizione in cui il creditore deve dare prova
del suo diritto, senza che rilevino le ragioni del rigetto
in sede di verifica (cfr. Cass. 15 agosto n.6963 n.1996,
Il fall. n.5/1997, 468), le quali potrebbero, perciò,
anche non essere state indicate dal Giudice delegato.
Deve
essere chiarito che il creditore non ha diritto al privilegio
spettante alle cooperative agricole e ai loro consorzi sol
per il fatto dell'iscrizione all'albo prefettizio, dovendosi
invece accertare in concreto la ricorrenza dei presupposti
comuni a tutti i soggetti indicati dalla norma del codice
civile e, in ogni caso, che i prodotti per la cui vendita
esso chiede di essere preferito ad altri creditori siano
stati conferiti dai propri soci, e non acquistati da terzi,
e che i soci siano a loro volta qualificati ad avere il
privilegio, se operanti individualmente.
Invero,
in nessuno dei casi previsti dall'art. 2751 bis n.5 bis
si può prescindere dalla ratio informativa del privilegio,
che attiene alla tutela del lavoro, anche se attuato in
forma cooperativa, e non della cooperazione snaturata (o
semplicemente fraintesa) in attività commerciale
o industriale.
La
questione della spettanza del privilegio ai sensi dell'art.2751
bis n.5 bis deve essere risolta muovendo dalla genesi della
postilla del n.5 bis al n.5 dell'art.2751 bis, introdotta
dall'art.18 n.2 della legge 31 gennaio 1992 n.59, la cui
ratio è chiaramente spiegata nella proposta di legge
di iniziativa parlamentare del 2 luglio 1993 (al n. 2868/93
C), sfociata nella legge 18 gennaio 1994 n.44, la quale
ha stabilito l'efficacia retroattiva della norma istitutiva
del privilegio.
Quest'ultimo,
spiega il Proponente, era stato introdotto esplicitamente
poiché erano sorti dubbi interpretativi in ordine
alla sua spettanza in base al n.5 dell'art.2751 bis, per
il fatto che i soci delle cooperative agricole non prestavano
alcuna attività lavorativa all'interno delle cooperative,
come invece i soci delle cooperative di produzione e lavoro,
limitandosi a conferire il prodotto da trasformare, concludendo
che "stante la manifesta inadeguatezza della interpretazione
più restrittiva (..), la legge n.59 del 1992 ha opportunamente
posto rimedio ad una situazione di grave ingiustizia e disparità
che caratterizzava la situazione delle cooperative agricole
rispetto a quelle di produzione, sul presupposto delle identiche
motivazioni di tutela del lavoro svolto in forma di cooperativa
(..)" (a chiaro testo non fare oscura glossa).
In
altre parole, il Legislatore ha voluto chiarire expressis
verbis ciò che doveva reputarsi implicito già
nella lettura del n.5 dell'art.2751 bis, ponendo rimedio
alla interpretazione fondata sul dato letterale che escludeva
dal privilegio gli enti nei quali il socio non conferisse
direttamente attività lavorativa.
Trattandosi
di norma di chiarimento, quindi, non le si può attribuire
l'effetto di stravolgere completamente il sistema dei privilegi
previsti da quell'articolo riconoscendo la preferenza ad
enti in cui la prestazione lavorativa dei soci non abbia
alcuna rilevanza, neppure indiretta, cioè ad enti
commerciali o industriali.
Ed
invero, ciò che è rilevante nel fenomeno cooperativo
può essere espresso con la massima l'unione fa la
forza, nel senso che i soci ottengono, grazie all'unione
delle loro energie economiche, migliori condizioni di mercato
oppure occasioni di lavoro, eliminando l'intermediazione
speculativa di terzi, e mirando a conseguire un profitto
per effetto della diretta partecipazione all'attività
della società, e non per effetto della ripartizione
degli utili conseguiti aliunde da questa, come è
nelle società lucrative.
D'altronde,
la legge non preclude alle società cooperative -
oltre alla gestione a favore dei soci - di svolgere pure
attività produttive autonome nei confronti dei terzi,
in tal caso però snaturandosi la finalità
mutualistica, e operando la cooperativa in modo sostanzialmente
non difforme da qualunque altra impresa collettiva.
Nel
riconoscere la matrice interpretativa dal n.5 dell'art.2751
bis c.c. del suo n.5 bis, il Legislatore ha voluto che il
privilegio ridondasse a favore dei soci delle cooperative
agricole, attraverso l'attribuzione del medesimo a quegli
enti (le stesse cooperative ed i loro consorzi) nei quali,
in ultima analisi, finiva per confluire il risultato del
loro lavoro, cioè i prodotti agricoli, con ciò
superando i dubbi nascenti dal fatto che tali soci non conferivano
direttamente il loro lavoro come nelle cooperative di cui
al n.5.
In
realtà, a ben guardare, anche nelle cooperative agricole
è rilevante l'elemento del lavoro dei soci, poiché
questi, pur non conferendo direttamente lavoro, conferiscono
ciò che al lavoro è intimamente connesso,
cioè il suo risultato.
In
tal modo, può dirsi che il conferimento di lavoro
è solo indiretto, ma ciò non elimina il dato
di comunanza interpretativa tra il n.5 bis ed il n.5 dell'art.2751
bis c.c., sulla base del quale la stessa giurisprudenza
(vedi Cass. 10 luglio 1998 n.6704, Il fall. n.6/1999, 599)
che sembrerebbe non attribuire alcuna rilevanza all'elemento
lavorativo in realtà afferma a chiare lettere che
"Il Legislatore ha inteso accordare il privilegio generale
e la relativa collocazione preferenziale anche a talune
categorie di imprenditori, sia individuali sia collettivi
(estesa anche ai consorzi) - la cui comune caratteristica
è quella di produrre beni con il lavoro personale
- prescindendo dalla considerazione che alla formazione
del prezzo dei prodotti concorrono anche altri fattori della
produzione, quali la terra, i macchinari, etc." e che
il fine della norma è quello di "proteggere
il lavoro prestato in organizzazioni mutualistiche"
, cosicché può all'evidenza sostenersi che
il rilievo che la Corte di Cassazione vuole dare alla norma
è di tutela del lavoro indirettamente confluito nella
cooperativa, anche se non caratterizzato dalla prestazione
diretta del socio (e senza che rilevi il concorso di altri
fattori di produzione), in armonia con la struttura ed i
connotati propri del fenomeno cooperativistico, in cui il
socio realizza il fine produttivo affidando alcune fasi
del processo economico ad un organismo collettivo, formato
da altri soggetti con le sue stesse caratteristiche.
Ciò
che avviene, infatti, nelle cooperative agricole è
che il socio conferisce beni perché essi siano trasformati
(latte in formaggi, uva in vino, frutta in conserve) dall'ente
collettivo, anziché provvedervi direttamente, con
risparmio di spese ed incremento di utili.
La
legge del 1992 ha voluto parificare in modo espresso il
trattamento ai fini del privilegio dei crediti degli agricoltori
singoli (i coltivatori diretti di cui al n.4) con i crediti
di agricoltori riuniti in cooperative, essendo in dubbio
che già rientrassero nel n.5 dell'art.2751 bis c.c.,
senza voler stravolgere la ratio della norma.
Il
rilievo dato dagli interpreti alla (nuova?) tutela del fenomeno
cooperativistico, infatti, non è per nulla incompatibile
con l'oggetto di generale tutela della norma che è
il lavoro, poiché anche nelle cooperative, come si
è detto, deve essere significativa la prestazione
del socio attraverso il conferimento del suo prodotto.
Tale
interpretazione non solo sembra essere più coerente
con tutto l'impianto dell'art.2751 bis c.c., ma anche con
il sistema generale dei privilegi, non essendo altrimenti
giustificabile il motivo della preferenza accordata a enormi
enti commerciali o industriali a scapito dei piccoli commercianti
ed altri produttori di beni o servizi (che non hanno alcun
privilegio).
Ed
invero non può certo farsi confusione tra il fenomeno
cooperativistico, che implica l'apporto di lavoro o di risorse
comunque provenienti dai soci e ridondanti a loro vantaggio,
con l'apporto di beni o servizi per l'esercizio in comune
di un'attività economica allo scopo di dividerne
gli utili, la cui definizione è data dall'art.2247
c.c. al fenomeno societario non cooperativo, laddove nel
primo caso i beni o le energie lavorative utilizzati nel
processo produttivo provengono esclusivamente dai soci,
che li offrono direttamente ai terzi per trarne maggior
guadagno attraverso l'eliminazione del profitto dell'intermediario,
mentre nel secondo caso i beni o i servizi utilizzati nel
processo produttivo provengono normalmente dall'acquisto
da terzi e sono destinati alla rivendita (previa la loro
eventuale trasformazione).
Opinare
diversamente significherebbe che in ogni riparto di procedura
esecutiva verrebbero pagati con preferenza i crediti di
enti commerciali o industriali, con il mero nomen della
cooperativa, senza che nella sostanza vi sia nulla del fenomeno
cooperativistico, a danno di altri creditori con non minori
diritti.
Il
riscontro positivo di ciò viene anche dalla giurisprudenza
di legittimità, la quale, pur non ponendo nella dovuta
evidenza che l'art.2751 bis n.5 bis c.c. non prescinde dalla
tutela del lavoro, sia pure considerato in forma mediata,
in ogni caso ritiene che la collocazione del privilegio
de quo sia la stessa di quella dei nn.4 e 5 dell'art.2751
bis c.c., come stabilisce l'art.2777 co.2° lett. c)
c.c., attesa l' "indiscutibile affinità tra
le cooperative di produzione e lavoro e quelle agricole"
(Cass. 10 luglio 1998 n.6704, cit.) con ciò riconoscendone
l'identità di ratio , altrimenti avrebbe optato necessariamente
per la posposizione del privilegio del n.5 bis rispetto
agli altri, in ragione dell'ipotetica diversità di
ratio : non ha senso, infatti, affermare che le due ipotesi
sono affini ed hanno la stessa collocazione, se poi si prescinde
nell'interpretarne una dal significato generale della norma
in cui le due ipotesi sono contenute.
E
ulteriori coerenti conferme vengono da tutte quelle pronunce
che richiedono come elemento essenziale per il riconoscimento
del privilegio la provenienza dai soci (e non da terzi)
dei beni (eventualmente trasformati) dalla vendita dei quali
è nato il credito (si veda Cass. 15 dicembre 1994
n.10741; Cass. 25 agosto 1998 n.8421; Cass. 27 novembre
1998 n.12054, Il fall. n.10/1999, 1107).
Da
ultimo, la Cassazione si è pronunciata in un caso
analogo al presente, affermando la necessità di "esaminare
e accertare se il credito, in riferimento al quale si invoca
il privilegio, sia conseguente alla vendita di prodotti
che i consorzi abbiano ricevuto dalle cooperative agricole
consorziate, per la loro commercializzazione, o che abbiano
provveduto a trasformare" (Cass. 5 maggio 2000 n.5635,
Guida al dir. n. 25/2000, 56), con ciò rimarcando,
sia pure per implicito, che il fattore lavoro dei soci,
anche se in concorso con altri fattori della produzione
all'interno dell'ente cooperativo, è comunque indirettamente
presente, e rilevante ai fini del privilegio.
La
stessa sede sistematica del nuovo 5 bis, del resto, induce
a ritenere che il Legislatore volesse principalmente tutelare
ed incentivare il fenomeno cooperativo (quale espressione
indiretta del lavoro dei singoli), piuttosto che rafforzare
la tutela della prestazione lavorativa resa direttamente
all'interno di fenomeni cooperativi.
In
tale prospettiva diviene dunque irrilevante l'aspetto dimensionale
della cooperativa, la quale può accogliere anche
centinaia di agricoltori, così come risulta irrilevante
il rapporto tra il lavoro prestato direttamente dai soci
all'interno della cooperativa (che può anche mancare)
e gli altri fattori della produzione (capitale e lavoro
dipendente), purché la stessa cooperativa tratti
in prevalenza i prodotti dei soci, eventualmente provvedendo
anche alla loro trasformazione, attività che può
ricondursi lato sensu a quella agricola, quale attività
connessa, ai sensi dell'art.2135 co.2° c.c.
Infatti,
anche sotto tale profilo risulta la giustificazione del
privilegio per le sole e vere cooperative agricole e relativi
consorzi, poiché l'attività di trasformazione
non snatura la qualificazione di agricola dell'attività
principale svolta dagli stessi agricoltori per il tramite
della cooperativa, che altro non fa che realizzare (con
minori costi e maggior guadagni) la stessa attività
di trasformazione dei prodotti agricoli che avrebbe compiuto
il socio da solo (in tal caso godendo del privilegio ai
sensi dell'art.2751 bis n.4 c.c.), da cui la necessità
che l'attività dell'ente associativo sia pur sempre
collegata alla primaria attività dei produttori associati,
secondo quanto dispone la norma di cui all'art.2135 co.2°
c.c., ossia si tratti di attività agricola o ad essa
connessa (cfr. Trib. Grosseto 18 settembre 1999, Il fall.
n.1/2000, 113).
Proprio
non si comprenderebbe, dunque, un privilegio concesso automaticamente
a qualunque soggetto si fregiasse del nome della cooperativa
agricola, senza però averne le caratteristiche sostanziali
di unione di agricoltori con finalità mutualistica,
ribadendo che quest'ultima non può essere riconosciuta
in virtù del mero nomen .
D'altronde,
lo stesso agricoltore individuale che privilegiasse nella
propria attività d'impresa la compera per rivendere
rispetto alla produzione di beni in proprio perderebbe le
caratteristiche di agricoltore e diverrebbe imprenditore
commerciale, con ogni conseguenza in ordine alla fallibilità
ed al privilegio dei suoi crediti.
Perché
ciò non debba valere anche per gli enti collettivi
di agricoltori non si spiega.
Sotto
altro profilo, esaminando il fenomeno nella sua sostanzialità,
i soci agricoltori della cooperativa hanno uguale diritto
di ottenere il privilegio rispetto agli agricoltori che
operano individualmente, per il fatto che dalla vendita
dei loro prodotti essi traggono il sostentamento, così
come avviene per tutte le altre ipotesi di cui all'art.2751
bis, la cui ratio informatrice è quella di "accordare
un trattamento preferenziale a diritti che hanno natura
di retribuzione o di compenso di attività lavorative,
in quanto frutto, almeno prevalente, di estrinsecazione,
anche in forma organizzata, delle energie fisiche e/o intellettuali
di una o più persone" (Cass. 12 maggio 1997
n.4108), finalità che è assolutamente compatibile,
nei termini detti, con il fenomeno mutualistico (quello
vero).
Laddove
però i soci della cooperativa agricola traggano profitto
di impresa commerciale o industriale dalla vendita o dalla
trasformazione e vendita di beni acquistati da terzi, essi
non hanno più alcun bisogno di essere preferiti ad
altri creditori ugualmente commercianti o industriali, e
non soffriranno certo del concorso con tali creditori chirografari,
lasciando il privilegio a chi ne ha veramente bisogno.
In
tal caso, non vi è più alcuna ragione della
tutela legislativa offerta dall'art.2751 bis c.c., la cui
applicazione a sproposito darebbe luogo a seri dubbi di
incostituzionalità, in quanto la tutela del lavoro
in forma cooperativa si attua solo attraverso la tutela
del credito che sorge dai prodotti dei soci, altrimenti
offrendosi tutela gratuita a società commerciali.
In
definitiva, una cooperativa agricola che trasformi o venda
beni dei soci ed anche acquisti beni di terzi per rivenderli,
ma in misura non prevalente, avrebbe diritto al privilegio,
però limitatamente al corrispettivo della vendita
dei beni conferiti dai soci e da essa trasformati, o semplicemente
venduti e non per la parte di profitto di pura impresa commerciale,
tale essendo il disposto dell'art.2751 bis n.5 bis c.c..
L'aspetto
dimensionale non rileva perché non è tutelata
direttamente la cooperativa quale soggetto a sé stante
(in tal caso, dovrebbe prevalere il fattore lavoro all'interno
di essa), ma il lavoro (considerato in forma mediata) dei
suoi soci, così anche indirettamente agevolandosi
lo sviluppo del fenomeno cooperativo.
Si
può, pertanto, affermare che, nel caso di specie,
il conferimento dei prodotti dei soci identifichi e sostituisca
l'apporto diretto di lavoro, con la necessità che
si compia un giudizio di prevalenza del conferimento dei
beni dei soci sugli acquisti da terzi, così come
per l'artigiano e per il coltivatore diretto si valuta l'aspetto
dimensionale per giudicare della prevalenza del lavoro,
mentre il problema non si pone per agenti e professionisti
intellettuali, per i quali è coessenziale la prevalenza
del lavoro sugli altri fattori di produzione.
Deve,
pertanto, concludersi che condizioni per il riconoscimento
del privilegio delle cooperative agricole e dei loro consorzi,
assolutamente assenti (o indimostrate) nel caso di specie,
sono:
-
l'iscrizione al registro prefettizio (senza la quale manca
del tutto il requisito soggettivo);
-
la prevalenza dell'apporto dei prodotti dei soci rispetto
agli acquisti da terzi, prescindendo dal concorso di altri
fattori di produzione (lavoro altrui, capitale), potendo
anche mancare del tutto la partecipazione diretta dei soci
all'attività lavorativa dell'ente;
-
l'appartenenza della prevalenza dei soci della cooperativa
o del consorzio a categorie di soggetti che a loro volta
potrebbero godere del privilegio, secondo i canoni di attribuzione
propri di ciascuna categoria (altrimenti si finirebbe per
riconoscerlo anche a cooperative di commercianti o industriali,
solo sulla carta agricoltori).
In
presenza di tali requisiti, il privilegio spetta soltanto
in relazione ai beni conferiti dai soci (e ceduti all'imprenditore
poi fallito), solo così potendosi attuare in concreto
la tutela del lavoro voluta dal Legislatore.
Nel
caso in esame, confrontando (si vedano i dati riepilogativi
di cui alla memoria di replica dell'opponente) il dato dei
conferimenti dei soci (L..3.803.556.372), con quello degli
acquisti da terzi (L..562.899.092 per cereali, e L..386.083.503
per altri prodotti), e con il volume di affari (4.804.596.882),
risulta la netta prevalenza sull'attività commerciale
di quella di trasformazione dei prodotti degli associati.
La
Cooperativa, tuttavia, non ha dimostrato:
a)
che i soci sono in prevalenza agricoltori, come tali aventi
diritto al privilegio, poiché se fossero in prevalenza
commercianti o industriali non si giustificherebbe alcun
privilegio (si pensi ad un "agricoltore" che,
invece di conferire alla Cooperativa prodotti propri, conferisca
prodotti che egli abbia acquistato da terzi: che differenza
vi sarebbe con l'attività commerciale? Quale norma
attribuisce il privilegio alle cooperative di commercianti?)
=" in tal modo non vi è prova del requisito
soggettivo;
b)
che i prodotti venduti alla Agrinve srl provenissero effettivamente
dai soci della Cooperativa =" requisito oggettivo (l'affermazione
in positivo della presenza di questo requisito è
stata fatta soltanto in comparsa conclusionale, con la pronta
contestazione del Fallimento in sede di replica), in ordine
al quale il dubbio è legittimo, poiché la
Cooperativa risulta acquistare cereali in proporzione consistente
anche da terzi, oltre che riceverlo dai soci (cfr. i dati
riepilogati nella memoria di replica della società).
Ne
consegue il rigetto dell'opposizione nella parte relativa
al mancato riconoscimento del privilegio.
Le
spese seguono, per legge, la soccombenza, integralmente
individuata nell'opponente.
P.Q.M.
Il
Tribunale,
definitivamente
pronunciando;
ogni
contraria e diversa istanza rigettata;
ammette
al passivo del Fallimento Agrinve srl il credito della Cooperativa
Produttori Mais San Martino scarl, per la somma di L..28.608.095,
in via chirografaria;
condanna
la Cooperativa Produttori Mais San Martino scarl al pagamento
delle spese processuali, che liquida in complessive L..7.880.500,
di cui L..1.407.000 per spese in senso stretto, L..588.500
per spese generali, L..2.335.000 per diritti e L..3.550.000
per onorari, oltre iva e cpa.
Così
deciso in Camera di consiglio il giorno 19.10.2000.
Il
Giudice est.
Il
Presidente