TRIBUNALE
PALERMO 16 marzo 2001
Fallimento - Azione revocatoria fallimentare - Fideiussione
- Versamento sul conto corrente del fallito da parte del
fideiussore dopo il fallimento - Adempimento all'obbligo
di garanzia - Sussistenza - Inefficacia - Esclusione.
Allorché un terzo versi sul conto corrente del debitore,
e dopo il fallimento di costui, una somma corrispondente
allo scoperto del conto stesso per il quale esso terzo aveva
prestato una fideiussione, e risulti, altresì, l'inesistenza
di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi
che costui abbia adempiuto al proprio obbligo di garanzia,
restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla
dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 44 l. fall.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale di Palermo, sezione quarta civile e fallimentare,
in persona del Giudice Istruttore dott. Fabrizio Anfuso
in funzione di Giudice Unico
ha
pronunziato la seguente
s
e n t e n z a
nel
procedimento civile iscritto al n° 3260/98 R.G. affari
civili contenziosi
t
r a
FALLIMENTO
DELLA SOCIETÀ DI FATTO TRA MARCECA ROBERTO E SCOZZARI
SILVANA E DEI SOCI PERSONALMENTE , in persona del Curatore
avv. Vincenzo Siracusa, rappresentato e difeso dall'avv.
Domenico Carota del Foro di Palermo per procura in calce
all'atto di citazione, giusta autorizzazione del Giudice
delegato al fallimento, ed elettivamente domiciliato presso
lo studio del difensore in questa via G. Jung n. 11.
attore
contro
BANCA
COMMERCIALE ITALIANA S.P.A. , in persona del Direttore pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Messina per procura
a margine della copia notificata dell'atto di citazione,
ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore
in questa via S. Meccio n. 25.
convenuto
avente
ad oggetto: revocatoria ex art. 67, comma 2°, L.F. ed
azione di inefficacia ex art. 44 L.F.
Conclusioni
dell'attore
"Voglia
l'ill.mo Tribunale adito
dichiarare
l'inefficacia, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, L.F.,
dei versamenti effettuati dalla s.d.f. fallita e dai soci
nell'anno antecedente al fallimento, per complessive lire
22.994.000;
dichiarare
l'inefficacia, ai sensi dell'art. 44 L.F., dei versamenti
effettuati dalla s.d.f. fallita e dai soci nell'anno successivo
al fallimento, per complessive lire 28.417.779;
conseguentemente
condannare l'Istituto convenuto al pagamento in favore della
Curatela della somma di lire 51.411.779, con gli interessi
legali e la rivalutazione monetaria sino al soddisfo;
con
vittoria di spese e compensi del giudizio;
salvo
ogni altro diritto"
Conclusioni
del convenuto
"
Il Tribunale
voglia
accogliere le seguenti conclusioni:
ritenere
e dichiarare che il conto corrente n. 5497240.01.67 è
un conto passivo, in quanto coperto da fido sino alla concorrenza
di lire 100.000.000;
ritenere
e dichiarare non soggetti a revoca i pagamenti ante fallimento,
in quanto operati da terzi con denaro proprio e senza azione
di rivalsa;
ritenere
e dichiarare non soggetti a revoca i pagamenti post fallimento,
in quanto operati dai fideiussori con denaro proprio e senza
azione di rivalsa;
rigettare
in toto le domande del fallimento;
condannare
la parte attrice al pagamento delle spese, competenze ed
onorari di causa."
FATTO
Con
citazione notificata il 18.5.1998 l'avv. Vincenzo Siracusa,
nella qualità di Curatore del fallimento della società
di fatto tra Marceca Roberto e Scozzari Silvana, convenne
in giudizio innanzi a questo Giudice la Banca Commerciale
Italiana s.p.a. (appresso indicata per comodità Comit),
in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, esponendo
che:
A)
il Tribunale di Palermo con sentenza del 21.1.1994 ha dichiarato
il fallimento della s.d.f. tra i predetti Marceca e Scozzari,
nonché dei medesimi personalmente;
B)
dall'esame dei documenti acquisiti al fallimento il Marceca
è risultato titolare del conto corrente n. 5497240.01.67
acceso presso l'agenzia 3 dell'istituto di credito convenuto;
C)
nell'atto anteriore al fallimento, e segnatamente dall'1.2
al 9.12.1993, sono stati effettuati, in presenza di scopertura
del conto, più versamenti a carattere solutorio,
per complessive lire 22.994.000, revocabili ai sensi dell'art.
67 L.F. in quanto pagamenti di debiti liquidi e scaduti;
D)
successivamente alla dichiarazione di fallimento sono state
operate rimesse per complessive lire 28.417.779, inefficaci
ai sensi dell'art. 44 L.F.;
E)
sussiste la scientia decoctionis, perché a carico
del Marceca sin dal 1992 sono stati levati e pubblicati
innumerevoli protesti.
Tanto
premesso, chiese la condanna dell'istituto di credito a
restituire l'importo complessivo di lire 51.411.779, oltre
interessi legali e rivalutazione monetaria sino al soddisfo,
con vittoria delle spese di lite.
La
Comit, costituitasi in giudizio, contestò la fondatezza
delle domande del Curatore, deducendo che:
A)
il conto corrente in parola sin dal 17.10.1991 era affidato
fino alla concorrenza di lire 100.000.000 e, pertanto, le
rimesse non avevano natura solutoria bensì di reintegrazione
della provvista e della disponibilità del fido, e
come tali non revocabili;
B)
in ogni caso detti versamenti sono stati eseguiti da un
terzo espromissore con denaro proprio e senza animo di rivalsa;
C)
del pari le rimesse successive al fallimento provengono
da terzi fideiussori, obbligati personalmente verso l'istituto
di credito.
Instò,
pertanto, per il rigetto delle domande, con spese processuali
refuse.
All'esito
della trattazione, in assenza di attività istruttoria,
ed assunte dai procuratori delle parti le conclusioni sopra
trascritte, la causa è stata posta in decisione all'udienza
del 21.12.2001 con l'assegnazione dei termini di cui all'art.
190 bis c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali
e delle memorie di replica.
DIRITTO
Il
Curatore ha chiesto la revoca, ai sensi dell'art. 67 L.F.,
delle rimesse confluite, nell'anno antecedente alla dichiarazione
di fallimento (pronunziata il 21.1.1994), sul conto corrente
"scoperto" n. 5497240.01.67 acceso dal fallito
Marceca Roberto presso l'agenzia 3 della Comit, e segnatamente:
lire 5.544.000 in data 1.2.1993 (valuta del 2.2.1993), lire
3.000.000 in data 5.2.1993( valuta del 8.2.1993), lire 2.500.000
in data 16.2.1993 (valuta del 17.2.1993), lire 3.000.000
in data 17.3.1993 (valuta del 18.3.1993), lire 3.000.000
in data 8.4.1993 (valuta del 9.4.1993), lire 3.000.000 dell'
11.5.1993 (valuta del 12.5.1993), lire 1.000.000 in data
9.9.1993 (valuta del 10.9.1993), lire 1.000.000 in data
15.10.1993 (valuta del 18.10.1993), lire 950.000 in data
9.12.1993 (valuta del 10.12.1993), per complessive lire
22.994.000.
La
Banca ha contestato la natura solutoria e, quindi, l'inefficacia
dei predetti versamenti sotto plurimi motivi:
A)
il conto era affidato sino alla concorrenza di lire 100.000.000,
atteso che il fallito in data 9.10.1991 aveva chiesto all'istituto
di credito (mediante modello 264) la concessione di un fido
di corrispondente importo; la Comit, con delibera del 17.1.1991
apposta in calce al modello 264, in accoglimento della richiesta,
ha " provveduto ad assegnare la linea di credito alle
accresciute necessità finanziarie, considerato il
sufficiente assetto patrimoniale aziendale recentemente
integrato da quello dei sigg. Vella e Scozzari ";
B)
sebbene nel foglio della richiesta di fido, nella parte
riservata alla banca, e nel libro fidi (regolarmente vidimato
dal notaio Stella in data 25.2.1991) l'affidamento risultava
a scadere nel giugno 1992, ciò aveva valenza meramente
interna ed in funzione dei controlli ispettivi della Banca
di Italia; in realtà si trattava di un fido concesso
a "revoca", ossia revocabile soltanto su apposita
richiesta scritta del correntista, mai inoltrata prima del
fallimento.
C)
le rimesse sono state eseguite, con denaro proprio e senza
animus di rivalsa, da terzi "espromissori" (rectius:
espromittenti), tali Scafidi Concetta e Vella Camilla, come
è dato evincersi dall'esame delle nove distinte di
bonifico (mod. 1203), in ognuna delle quali è apposta
la dicitura " in qualità di espromissori ai
sensi dell'art. 1272 c.c. "
Ciò
posto, va ribadito in linea generale - in adesione al consolidato
trend giurisprudenziale (ex plurimis Cass. sez. I, 5.12.1996
n. 10848; Cass. sez. I, 23.6.1994 n. 6031)- che sono suscettibili
di revocatoria le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore
poi fallito nell'ipotesi in cui il conto medesimo, all'atto
dei versamenti, risulti "scoperto", intendendosi
tale sia il conto non assistito da apertura di credito che
presenti un saldo a debito del cliente, sia il conto scoperto
a seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato
al correntista.
In
siffatti casi, infatti, le rimesse estinguono o riducono
un credito esigibile dalla banca, assumendo natura propriamente
solutoria.
Al
contrario le rimesse sul conto "passivo", dal
momento che attengono ad un conto corrente assistito cioè
da uno specifico contratto di concessione di credito con
cui la banca di obbliga a mettere a disposizione del cliente
una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo
indeterminato (artt. 1842 e 1852 c.c.), nella misura in
cui rispettano il limite dell'affidamento, consistono in
mere operazioni di accreditamento dirette a ripristinare
la provvista messa a disposizione, e, pertanto, non configurando
un credito della banca esigibile verso il cliente, non assumono
natura solutoria agli effetti di cui all'art. 67 L.F.
Per
quanto attiene al regime della distribuzione dell'onere
della prova in siffatte situazioni, mentre al fallimento
spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa
in conto corrente dell'imprenditore fallito, oltre che ovviamente
del requisito soggettivo della scientia decoctionis , sulla
banca incombe l'onere di provare sia l'esistenza del contratto
di affidamento alla data della rimessa, sia l'esatto ammontare,
alla data stessa, della somma di denaro che l'istituto di
credito si è obbligato a tenere a disposizione del
correntista.
Nella
specie la Comit ha prodotto la richiesta di concessione
del fido sottoscritta dal fallito (e dai garanti) in data
17.9.1991 e l'accettazione da parte della banca, apposta
in calce alla predetta richiesta e con data 17.10.1991.
Va,
subito, che detti documenti costituiscono ed esauriscono
il compendio documentale da prendere in considerazione,
in quanto il libro fidi della banca risulta vidimato dal
Notaio Stella il 25.2.1991 e, quindi, in data ben anteriore
a quando Comit assume di aver concesso l'apertura di credito.
Va,
pertanto, esaminato se da essi possa inferirsi in primo
luogo l'esistenza del contratto di apertura di credito,
ed in successiva analisi la persistenza dell'affidamento
alla data dei pagamenti revocandi (dal gennaio al dicembre
1993).
A
tal fine giova innanzitutto osservare che a tale epoca per
la stipula del contratto in parola non era richiesta la
forma scritta ad substantiam, giacché tale requisito
è stato introdotto, a pena di nullità, soltanto
a partire dall'1.1.1994 con il D.Lgs 1.9.1993 n. 385.
Era,
pertanto, prassi ricorrente (e legittima) raccogliere la
richiesta di fido del cliente, per lo più in forma
scritta, sottoporla all'organo deliberante della banca,
e far seguire una comunicazione, talvolta solo verbale,
dei termini della delibera di concessione dell'apertura
di credito.
E
tale situazione di fatto ricorre nel caso in esame, laddove
per di più la concessione dell'affidamento è
stata apposta in calce alla richiesta di fido e motivata,
oltre che sulla scorta della situazione patrimoniale dell'impresa
debitrice al 31.12.1990, anche dal "sufficiente assetto
patrimoniale aziendale recentemente integrato dai fideiussori
Vella e Scozzari (titolari di immobili valutati lire 160.000.000
)".
L'eccezione
del Curatore di carenza di data certa dei documenti in parola,
computabile ai sensi dell'art. 2704 c.c., non pare pertinente,
atteso che la posizione di "terzo" del Curatore
può semmai rendergli inopponibili atti o comportamenti
negoziali del fallito, ma non quelli di altri soggetti.
Ciò
posto, la domanda del fallimento è, comunque, fondata
in relazione ad un diverso profilo argomentativo.
Si
legge, infatti, nella richiesta di concessione del fido
che esso veniva a scadere nel giugno 1992, ossia in epoca
di molto antecedente alle rimesse revocande.
Al
riguardo la banca ha dedotto che, in realtà, il fido
non era soggetto a scadenza in quanto trattavasi di fido
a revoca, come - a suo dire - si desumerebbe dall'apposizione
della lettera "I", e che l'indicazione del 6/92,
quale data di cessazione dell'apertura di credito, era stata
fatta al solo fine dei controlli della Banca di Italia.
Detti
rilievi non persuadono affatto né tantomeno sono
decisivi: innanzitutto l'apposizione di una lettera dell'alfabeto,
piuttosto che di un'altra, nulla prova, trattandosi di codici
interni alla banca, intellegibili solo dalla stessa; difetta,
altresì, la dimostrazione che -nei rapporti interni
alla Comit- la lettera "I" identificasse il fido
a revoca; appare, infine, risibile l'assunto secondo cui
la scadenza indicata servisse solo per i controlli ispettivi
della Banca di Italia.
Del
resto, neppure può fondatamente affermarsi che è
insita al contratto di apertura di credito un'esecuzione
protratta a tempo indeterminato, giacché l'art. 1842
c.c. prevede espressamente che l'obbligo della banca può
essere convenzionalmente stabilito anche " per un dato
periodo di tempo ".
Il
fatto, poi, che la pattuizione di affidamento fosse a forma
libera, non significa che possono riconoscersi validità
a supposte clausole, indicate con codici interni di ardua
intelligibilità all'esterno, che appaiono, invero,
unilateralmente determinate dall'istituto di credito in
deroga alle pattuizioni intercorse con il correntista ed
in violazione dei precetti di chiarezza e trasparenza, regole
di comportamento di fatto vigenti anche prima della loro
"consacrazione" normativa.
Come,
poi, ha correttamente osservato il fallimento appare contrario
ad ogni logica ritenere che la Comit abbia mantenuto il
fido sino a tutto il 1993, quando nell'anno antecedente,
a carico del Marceca, vennero levati in protesto ben sedici
titoli per svariati milioni (cfr. fascicolo dell'attore).
Per
escluderne la revocabilità, la Comit ha, altresì,
dedotto che le rimesse sarebbero state eseguite da espromittenti,
come risulterebbe dalle annotazioni apposte su alcune distinte
di versamento e sugli estratti conto relativi alle operazioni
de quibus .
La
circostanza è rimasta prova di prova, trattandosi
di generiche annotazioni di provenienza unilaterale della
banca.
Ed
invero, non vi è la benché minima dimostrazione
della sussistenza di un contratto di espromissione, in forza
del quale i terzi, Scafidi Concetta e Camilla Vella, avrebbero
spontaneamente pagato, con denaro proprio, le esposizioni
del Marceca nei confronti della Comit.
In
difetto di prova dell'accordo espromissorio, può
legittimamente affermarsi che le annotazioni in parola possono
essere state apposte in qualunque tempo e proprio allo scopo
di eludere l'eventuale revocatoria.
Sussiste,
infine, la prova della scientia decoctionis da parte dell'istituto
di credito, avendo il Curatore documentato (cfr. produzione
nel proprio fascicolo processuale) che il Marceca, in epoca
antecedente ai pagamenti impugnati, aveva subìto
numerosissimi protesti cambiari e di assegni (oltre settanta),
anche per notevoli importi, onde la banca avrebbe potuto
facilmente e con un minimo di diligenza ed avvedutezza rendersi
conto della situazione di impotenza funzionale del proprio
debitore, attesa la pubblicità dei protesti e la
penetrante capacità informativa di un qualsiasi operatore
bancario.
Infatti,
seppure la conoscenza da parte del creditore dello stato
di insolvenza del debitore deve essere effettiva e non potenziale,
sicché la relativa prova deve avere ad oggetto la
concreta situazione psicologica del creditore e non la mera
conoscibilità oggettiva dello stato d'insolvenza
dell'imprenditore, tale dimostrazione può, tuttavia,
fondarsi anche su elementi indiziari, semprecché
questi, per la loro gravità, precisione e concordanza,
siano tali da far desumere la conoscibilità del dissesto
del debitore da parte di un soggetto di ordinaria prudenza
ed avvedutezza (cfr., tra le tante, Cass. 6 novembre 1987
n° 8234; Cass. 4.9.1996 n. 8076; Cass. sez. I 4.11.1998
n. 11060; Cass. sez. I 27.4.1998 n. 4277).
E'
indubbio che i protesti di titoli cambiari e di assegni,
in virtù del loro carattere di "anomalia"
rispetto al normale adempimento dei debiti di impresa, si
inseriscono nel novero degli elementi rilevanti, in via
gravemente indiziaria, agli effetti della prova presuntiva
della scientia decoctionis , attesane la natura di precoci
manifestazioni di quello stato di impotenza funzionale riconosciuto
e sanzionato -necessariamente a posteriori- con la sentenza
dichiarativa di fallimento.
Dai
rilievi che precedono deriva l'inefficacia dei pagamenti
per complessive lire 22.994.000 e l'obbligo della Comit
di restituire, oltre alla sorte capitale, gli interessi
legali a decorrere dall'atto di introduttivo del giudizio
(18.5.1998) che equivale a costituzione in mora, atteso
che è la pronuncia di revoca, avente natura costitutiva,
ad eliminare gli effetti pregiudizievoli dell'atto impugnato
e la corresponsione degli interessi rientra tra gli effetti
restitutori riguardo ai quali la sentenza retroagisce al
momento della notificazione della citazione (cfr., in ultimo,
Cass. Sez. Unite, 8.7.1996 n. 6225).
Va,
invece, rigettata la richiesta di rivalutazione monetaria
delle somme dovute, atteso che il maggior danno a tal titolo
reclamato resta assorbito dal saggio degli interessi che
è comprensivo dell'indice di svalutazione.
Venendo,
ora, alla domanda di inefficacia ex art. 44 L.F. dei pagamenti
effettuati sul conto corrente del fallito in epoca successiva
al fallimento (dal 24.1 al 16.3.1994), per complessive lire
28.417.779, la Comit ha dedotto che le rimesse sono state
eseguite dai fideiussori Scozzari Vincenzo e Vella Giovanna,
con denaro proprio e senza animo di rivalsa, in adempimento
di una obbligazione diretta e personale verso l'istituto
di credito.
Benché
il fallimento abbia fatto riferimento alla problematica
della revocatoria del pagamento del terzo, invero non pare
corretto parlare nella specie di tale ipotesi, perché
il fideiussore non opera come terzo, ma come soggetto tenuto
all'adempimento di un obbligo giuridico che non è
del fallito, quale debitore principale, ma suo proprio,
quale garante.
Secondo
il diffuso orientamento della Suprema Corte, " qualora,
nel periodo sospetto, un terzo esegua il versamento di una
somma di denaro sul conto corrente del fallito con l'espressa
allegazione di averlo fatto a titolo di fideiussione e con
impegno a non rivalersi sull'imprenditore poi fallito, il
versamento con il quale sia stato ripianato uno scoperto
di conto, non può essere revocato per mancanza di
danno alla massa dei creditori, sempreché la fideiussione
sia provata, a norma dell'art. 2704 c.c., con atto scritto
avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento
" (Cass. sez. I 13.3.1997 n. 2556; Cass. 29.11.1985
n. 5956).
In
altri termini non vi è violazione del principio della
par condicio creditorum né depauperamento del patrimonio
del fallito quando il terzo, personalmente obbligato verso
il creditore in virtù di un atto di data certa anteriore
al fallimento, paga costui con denaro proprio e senza animus
di rivalsa verso il debitore principale.
Avendo
la Comit prodotto la lettera fideiussoria, composta da due
fogli sottoscritti dai sigg. Scozzari Vincenzo e Vella Giovanna,
inviata a mezzo raccomandata A.R. e con bollo postale del
20.9.1991 (il che vale a conferire alla scrittura data certa,
cfr. Cass. 11.1.1983 n. 186), la missiva del 22.6.1992 di
limitazione dell'importo garantito, a norma della legge
154/92, le varie distinte di bonifico, con l'espressa indicazione
della causale del versamento, non possono sorgere dubbi
sull'esistenza del rapporto fideiussorio alla data dei pagamenti,
sul fatto che i garanti abbiano eseguito i versamenti con
soldi propri e senza rivalsa (come, peraltro, riconosciuto
implicitamente dal fallimento), ed in adempimento di un
loro personale ed autonomo obbligo giuridico.
Questo
Giudice non trascura che talvolta nella giurisprudenza di
legittimità (Cass. sez. I 1611.1998 n. 11520) si
è affermato che qualora un terzo abbia compiuto un
versamento sul conto corrente del fallito quest'ultimo acquista
la titolarità della rimessa; in tal caso nell'operazione,
si inserisce il diaframma del rapporto di conto corrente,
nel quale il versamento del terzo viene attratto, finendo
-per effetto di quello- con il costituire non altro che
una variazione quantitativa del conto, una posta attiva,
cioè del correntista, nella cui titolarità
l'importo accreditato viene a confluire. Da ciò deriva
che, ai fini dell'inefficacia ex art. 67 o 44 L.F., le rimesse
del terzo sul conto corrente dell'imprenditore sono equiparate
a quelle del correntista medesimo.
Il
ragionamento è stato oggetto di serrate critiche
in dottrina ed anche tra gli stessi Giudici di legittimità
(Cass. sez. I 6.8.1998 n. 7695, Cass. 22.1.1999 n. 570).
È
stato, infatti, osservato che " dalla circostanza che
il terzo abbia eseguito il pagamento sul conto corrente
dell'imprenditore fallito non può giuridicamente
desumersi, per ciò solo, che sia stato quest'ultimo
ad operarlo; trattasi, invero, di una semplice modalità
di pagamento che non muta né la provenienza del denaro
dal terzo nè il destinatario, che rimane sempre la
banca in virtù del rapporto obbligatorio personale
insorto con la fideiussione e della indisponibilità
del conto da parte dell'imprenditore".
Il
principio di autonoma contrattuale consente che il fideiussore
di uno scoperto di conto corrente bancario estingua il proprio
debito fideiussorio in modo indiretto, ossia mediante accreditamento
della somma sul conto dell'obbligato principale perché
la banca se ne giovi, anzicché in modo diretto, ossia
mediante versamento alla banca personalmente.
Con
la conseguenza che allorché un terzo versi sul conto
corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una
somma corrispondente allo scoperto del conto stesso per
il quale esso terzo aveva prestato una fideiussione, e risulti,
altresì, l'inesistenza di debiti verso il fallito
da parte del terzo, deve ritenersi che costui abbia adempiuto
al proprio obbligo di garanzia, restando pertanto il relativo
accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia
di cui all'art. 44 L.F.
Opportunamente
precisato che il fallimento del correntista ha comportato
lo scioglimento del rapporto ai sensi dell'art. 78 L.F.
e che, dunque, l'annotamento in conto corrente del bonifico
più che una rimessa, costituiva, in realtà,
la mera imputazione contabile di un pagamento che la banca
aveva ricevuto dal fideiussore il quale in tal modo adempiva
in via diretta ad una propria obbligazione, nella specie
il fallimento non ha provato che i sigg. Scozzari e Vella,
suoceri del fallito, all'epoca dei pagamenti fossero stati
debitori del Marceca.
Ne
deriva che la domanda di inefficacia proposta dal Curatore
è infondata.
Stante
l'esito del giudizio e considerato che il fallimento ha
chiesto invano la restituzione in via bonaria delle somme
revocabili ai sensi dell'art. 67 L.F., sussistono giustificati
motivi per compensare per metà le spese processuali
e porre a carico della Comit la restante metà.
Spese
che si liquidano, in via complessiva, in lire 426.800 per
spese, lire 1.700.000 per diritti, lire 6.000.000 per onorari,
lire 770.000 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA
ex lege
P.Q.M.
Il
Tribunale, in persona del Giudice Istruttore, in funzione
di Giudice Unico, definitivamente pronunziando, sentiti
i procuratori delle parti, respinta ogni contraria e diversa
istanza, eccezione o difesa;
in
accoglimento della domanda ex art. 67 L.F. proposta dal
fallimento della società di fatto tra Marceca Roberto
e Scozzari Silvana e degli stessi personalmente, n. 21/1994,
dichiara inefficaci e, per l'effetto, revoca i pagamenti
ante fallimento (meglio indicati in parte motiva) per complessive
lire 22.994.000;
condanna
la Banca Commerciale Italiana s.p.a., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, a restituire al Curatore fallimentare,
oltre alla sorte capitale, gli interessi legali a decorrere
dalla notifica dell'atto di introduttivo del presente giudizio
(18.5.1998) e sino al soddisfo;
rigetta
la domanda proposta dal Curatore del fallimento ai sensi
ed in forza dell'art. 44 L.F.;
liquida
le spese processuali in complessive lire 426.800 per spese,
lire 1.700.000 per diritti, lire 6.000.000 per onorari,
lire 770.000 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA
ex lege;
pone
le spese processuali per metà a carico della Banca
Commerciale Italiana s.p.a. e per l'altra metà dichiara
le stesse integralmente compensate tra le parti.
Così
deciso in Palermo l'11.3.2001.
Il
Giudice Istruttore
dott.
Fabrizio Anfuso
Data
di pubblicazione: 16/03/2001.