TRIBUNALE PALERMO 16 marzo 2001
Fallimento - Azione revocatoria fallimentare - Fideiussione - Versamento sul conto corrente del fallito da parte del fideiussore dopo il fallimento - Adempimento all'obbligo di garanzia - Sussistenza - Inefficacia - Esclusione.


Allorché un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma corrispondente allo scoperto del conto stesso per il quale esso terzo aveva prestato una fideiussione, e risulti, altresì, l'inesistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che costui abbia adempiuto al proprio obbligo di garanzia, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 44 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Palermo, sezione quarta civile e fallimentare, in persona del Giudice Istruttore dott. Fabrizio Anfuso in funzione di Giudice Unico

ha pronunziato la seguente

s e n t e n z a

nel procedimento civile iscritto al n° 3260/98 R.G. affari civili contenziosi

t r a

FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ DI FATTO TRA MARCECA ROBERTO E SCOZZARI SILVANA E DEI SOCI PERSONALMENTE , in persona del Curatore avv. Vincenzo Siracusa, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Carota del Foro di Palermo per procura in calce all'atto di citazione, giusta autorizzazione del Giudice delegato al fallimento, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in questa via G. Jung n. 11.

attore

contro

BANCA COMMERCIALE ITALIANA S.P.A. , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Messina per procura a margine della copia notificata dell'atto di citazione, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in questa via S. Meccio n. 25.

convenuto

avente ad oggetto: revocatoria ex art. 67, comma 2°, L.F. ed azione di inefficacia ex art. 44 L.F.

Conclusioni dell'attore

"Voglia l'ill.mo Tribunale adito

dichiarare l'inefficacia, ai sensi dell'art. 67, secondo comma, L.F., dei versamenti effettuati dalla s.d.f. fallita e dai soci nell'anno antecedente al fallimento, per complessive lire 22.994.000;

dichiarare l'inefficacia, ai sensi dell'art. 44 L.F., dei versamenti effettuati dalla s.d.f. fallita e dai soci nell'anno successivo al fallimento, per complessive lire 28.417.779;

conseguentemente condannare l'Istituto convenuto al pagamento in favore della Curatela della somma di lire 51.411.779, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sino al soddisfo;

con vittoria di spese e compensi del giudizio;

salvo ogni altro diritto"

Conclusioni del convenuto

" Il Tribunale

voglia accogliere le seguenti conclusioni:

ritenere e dichiarare che il conto corrente n. 5497240.01.67 è un conto passivo, in quanto coperto da fido sino alla concorrenza di lire 100.000.000;

ritenere e dichiarare non soggetti a revoca i pagamenti ante fallimento, in quanto operati da terzi con denaro proprio e senza azione di rivalsa;

ritenere e dichiarare non soggetti a revoca i pagamenti post fallimento, in quanto operati dai fideiussori con denaro proprio e senza azione di rivalsa;

rigettare in toto le domande del fallimento;

condannare la parte attrice al pagamento delle spese, competenze ed onorari di causa."

FATTO

Con citazione notificata il 18.5.1998 l'avv. Vincenzo Siracusa, nella qualità di Curatore del fallimento della società di fatto tra Marceca Roberto e Scozzari Silvana, convenne in giudizio innanzi a questo Giudice la Banca Commerciale Italiana s.p.a. (appresso indicata per comodità Comit), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, esponendo che:

A) il Tribunale di Palermo con sentenza del 21.1.1994 ha dichiarato il fallimento della s.d.f. tra i predetti Marceca e Scozzari, nonché dei medesimi personalmente;

B) dall'esame dei documenti acquisiti al fallimento il Marceca è risultato titolare del conto corrente n. 5497240.01.67 acceso presso l'agenzia 3 dell'istituto di credito convenuto;

C) nell'atto anteriore al fallimento, e segnatamente dall'1.2 al 9.12.1993, sono stati effettuati, in presenza di scopertura del conto, più versamenti a carattere solutorio, per complessive lire 22.994.000, revocabili ai sensi dell'art. 67 L.F. in quanto pagamenti di debiti liquidi e scaduti;

D) successivamente alla dichiarazione di fallimento sono state operate rimesse per complessive lire 28.417.779, inefficaci ai sensi dell'art. 44 L.F.;

E) sussiste la scientia decoctionis, perché a carico del Marceca sin dal 1992 sono stati levati e pubblicati innumerevoli protesti.

Tanto premesso, chiese la condanna dell'istituto di credito a restituire l'importo complessivo di lire 51.411.779, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sino al soddisfo, con vittoria delle spese di lite.

La Comit, costituitasi in giudizio, contestò la fondatezza delle domande del Curatore, deducendo che:

A) il conto corrente in parola sin dal 17.10.1991 era affidato fino alla concorrenza di lire 100.000.000 e, pertanto, le rimesse non avevano natura solutoria bensì di reintegrazione della provvista e della disponibilità del fido, e come tali non revocabili;

B) in ogni caso detti versamenti sono stati eseguiti da un terzo espromissore con denaro proprio e senza animo di rivalsa;

C) del pari le rimesse successive al fallimento provengono da terzi fideiussori, obbligati personalmente verso l'istituto di credito.

Instò, pertanto, per il rigetto delle domande, con spese processuali refuse.

All'esito della trattazione, in assenza di attività istruttoria, ed assunte dai procuratori delle parti le conclusioni sopra trascritte, la causa è stata posta in decisione all'udienza del 21.12.2001 con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190 bis c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

DIRITTO

Il Curatore ha chiesto la revoca, ai sensi dell'art. 67 L.F., delle rimesse confluite, nell'anno antecedente alla dichiarazione di fallimento (pronunziata il 21.1.1994), sul conto corrente "scoperto" n. 5497240.01.67 acceso dal fallito Marceca Roberto presso l'agenzia 3 della Comit, e segnatamente: lire 5.544.000 in data 1.2.1993 (valuta del 2.2.1993), lire 3.000.000 in data 5.2.1993( valuta del 8.2.1993), lire 2.500.000 in data 16.2.1993 (valuta del 17.2.1993), lire 3.000.000 in data 17.3.1993 (valuta del 18.3.1993), lire 3.000.000 in data 8.4.1993 (valuta del 9.4.1993), lire 3.000.000 dell' 11.5.1993 (valuta del 12.5.1993), lire 1.000.000 in data 9.9.1993 (valuta del 10.9.1993), lire 1.000.000 in data 15.10.1993 (valuta del 18.10.1993), lire 950.000 in data 9.12.1993 (valuta del 10.12.1993), per complessive lire 22.994.000.

La Banca ha contestato la natura solutoria e, quindi, l'inefficacia dei predetti versamenti sotto plurimi motivi:

A) il conto era affidato sino alla concorrenza di lire 100.000.000, atteso che il fallito in data 9.10.1991 aveva chiesto all'istituto di credito (mediante modello 264) la concessione di un fido di corrispondente importo; la Comit, con delibera del 17.1.1991 apposta in calce al modello 264, in accoglimento della richiesta, ha " provveduto ad assegnare la linea di credito alle accresciute necessità finanziarie, considerato il sufficiente assetto patrimoniale aziendale recentemente integrato da quello dei sigg. Vella e Scozzari ";

B) sebbene nel foglio della richiesta di fido, nella parte riservata alla banca, e nel libro fidi (regolarmente vidimato dal notaio Stella in data 25.2.1991) l'affidamento risultava a scadere nel giugno 1992, ciò aveva valenza meramente interna ed in funzione dei controlli ispettivi della Banca di Italia; in realtà si trattava di un fido concesso a "revoca", ossia revocabile soltanto su apposita richiesta scritta del correntista, mai inoltrata prima del fallimento.

C) le rimesse sono state eseguite, con denaro proprio e senza animus di rivalsa, da terzi "espromissori" (rectius: espromittenti), tali Scafidi Concetta e Vella Camilla, come è dato evincersi dall'esame delle nove distinte di bonifico (mod. 1203), in ognuna delle quali è apposta la dicitura " in qualità di espromissori ai sensi dell'art. 1272 c.c. "

Ciò posto, va ribadito in linea generale - in adesione al consolidato trend giurisprudenziale (ex plurimis Cass. sez. I, 5.12.1996 n. 10848; Cass. sez. I, 23.6.1994 n. 6031)- che sono suscettibili di revocatoria le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore poi fallito nell'ipotesi in cui il conto medesimo, all'atto dei versamenti, risulti "scoperto", intendendosi tale sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia il conto scoperto a seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato al correntista.

In siffatti casi, infatti, le rimesse estinguono o riducono un credito esigibile dalla banca, assumendo natura propriamente solutoria.

Al contrario le rimesse sul conto "passivo", dal momento che attengono ad un conto corrente assistito cioè da uno specifico contratto di concessione di credito con cui la banca di obbliga a mettere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (artt. 1842 e 1852 c.c.), nella misura in cui rispettano il limite dell'affidamento, consistono in mere operazioni di accreditamento dirette a ripristinare la provvista messa a disposizione, e, pertanto, non configurando un credito della banca esigibile verso il cliente, non assumono natura solutoria agli effetti di cui all'art. 67 L.F.

Per quanto attiene al regime della distribuzione dell'onere della prova in siffatte situazioni, mentre al fallimento spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa in conto corrente dell'imprenditore fallito, oltre che ovviamente del requisito soggettivo della scientia decoctionis , sulla banca incombe l'onere di provare sia l'esistenza del contratto di affidamento alla data della rimessa, sia l'esatto ammontare, alla data stessa, della somma di denaro che l'istituto di credito si è obbligato a tenere a disposizione del correntista.

Nella specie la Comit ha prodotto la richiesta di concessione del fido sottoscritta dal fallito (e dai garanti) in data 17.9.1991 e l'accettazione da parte della banca, apposta in calce alla predetta richiesta e con data 17.10.1991.

Va, subito, che detti documenti costituiscono ed esauriscono il compendio documentale da prendere in considerazione, in quanto il libro fidi della banca risulta vidimato dal Notaio Stella il 25.2.1991 e, quindi, in data ben anteriore a quando Comit assume di aver concesso l'apertura di credito.

Va, pertanto, esaminato se da essi possa inferirsi in primo luogo l'esistenza del contratto di apertura di credito, ed in successiva analisi la persistenza dell'affidamento alla data dei pagamenti revocandi (dal gennaio al dicembre 1993).

A tal fine giova innanzitutto osservare che a tale epoca per la stipula del contratto in parola non era richiesta la forma scritta ad substantiam, giacché tale requisito è stato introdotto, a pena di nullità, soltanto a partire dall'1.1.1994 con il D.Lgs 1.9.1993 n. 385.

Era, pertanto, prassi ricorrente (e legittima) raccogliere la richiesta di fido del cliente, per lo più in forma scritta, sottoporla all'organo deliberante della banca, e far seguire una comunicazione, talvolta solo verbale, dei termini della delibera di concessione dell'apertura di credito.

E tale situazione di fatto ricorre nel caso in esame, laddove per di più la concessione dell'affidamento è stata apposta in calce alla richiesta di fido e motivata, oltre che sulla scorta della situazione patrimoniale dell'impresa debitrice al 31.12.1990, anche dal "sufficiente assetto patrimoniale aziendale recentemente integrato dai fideiussori Vella e Scozzari (titolari di immobili valutati lire 160.000.000 )".

L'eccezione del Curatore di carenza di data certa dei documenti in parola, computabile ai sensi dell'art. 2704 c.c., non pare pertinente, atteso che la posizione di "terzo" del Curatore può semmai rendergli inopponibili atti o comportamenti negoziali del fallito, ma non quelli di altri soggetti.

Ciò posto, la domanda del fallimento è, comunque, fondata in relazione ad un diverso profilo argomentativo.

Si legge, infatti, nella richiesta di concessione del fido che esso veniva a scadere nel giugno 1992, ossia in epoca di molto antecedente alle rimesse revocande.

Al riguardo la banca ha dedotto che, in realtà, il fido non era soggetto a scadenza in quanto trattavasi di fido a revoca, come - a suo dire - si desumerebbe dall'apposizione della lettera "I", e che l'indicazione del 6/92, quale data di cessazione dell'apertura di credito, era stata fatta al solo fine dei controlli della Banca di Italia.

Detti rilievi non persuadono affatto né tantomeno sono decisivi: innanzitutto l'apposizione di una lettera dell'alfabeto, piuttosto che di un'altra, nulla prova, trattandosi di codici interni alla banca, intellegibili solo dalla stessa; difetta, altresì, la dimostrazione che -nei rapporti interni alla Comit- la lettera "I" identificasse il fido a revoca; appare, infine, risibile l'assunto secondo cui la scadenza indicata servisse solo per i controlli ispettivi della Banca di Italia.

Del resto, neppure può fondatamente affermarsi che è insita al contratto di apertura di credito un'esecuzione protratta a tempo indeterminato, giacché l'art. 1842 c.c. prevede espressamente che l'obbligo della banca può essere convenzionalmente stabilito anche " per un dato periodo di tempo ".

Il fatto, poi, che la pattuizione di affidamento fosse a forma libera, non significa che possono riconoscersi validità a supposte clausole, indicate con codici interni di ardua intelligibilità all'esterno, che appaiono, invero, unilateralmente determinate dall'istituto di credito in deroga alle pattuizioni intercorse con il correntista ed in violazione dei precetti di chiarezza e trasparenza, regole di comportamento di fatto vigenti anche prima della loro "consacrazione" normativa.

Come, poi, ha correttamente osservato il fallimento appare contrario ad ogni logica ritenere che la Comit abbia mantenuto il fido sino a tutto il 1993, quando nell'anno antecedente, a carico del Marceca, vennero levati in protesto ben sedici titoli per svariati milioni (cfr. fascicolo dell'attore).

Per escluderne la revocabilità, la Comit ha, altresì, dedotto che le rimesse sarebbero state eseguite da espromittenti, come risulterebbe dalle annotazioni apposte su alcune distinte di versamento e sugli estratti conto relativi alle operazioni de quibus .

La circostanza è rimasta prova di prova, trattandosi di generiche annotazioni di provenienza unilaterale della banca.

Ed invero, non vi è la benché minima dimostrazione della sussistenza di un contratto di espromissione, in forza del quale i terzi, Scafidi Concetta e Camilla Vella, avrebbero spontaneamente pagato, con denaro proprio, le esposizioni del Marceca nei confronti della Comit.

In difetto di prova dell'accordo espromissorio, può legittimamente affermarsi che le annotazioni in parola possono essere state apposte in qualunque tempo e proprio allo scopo di eludere l'eventuale revocatoria.

Sussiste, infine, la prova della scientia decoctionis da parte dell'istituto di credito, avendo il Curatore documentato (cfr. produzione nel proprio fascicolo processuale) che il Marceca, in epoca antecedente ai pagamenti impugnati, aveva subìto numerosissimi protesti cambiari e di assegni (oltre settanta), anche per notevoli importi, onde la banca avrebbe potuto facilmente e con un minimo di diligenza ed avvedutezza rendersi conto della situazione di impotenza funzionale del proprio debitore, attesa la pubblicità dei protesti e la penetrante capacità informativa di un qualsiasi operatore bancario.

Infatti, seppure la conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore deve essere effettiva e non potenziale, sicché la relativa prova deve avere ad oggetto la concreta situazione psicologica del creditore e non la mera conoscibilità oggettiva dello stato d'insolvenza dell'imprenditore, tale dimostrazione può, tuttavia, fondarsi anche su elementi indiziari, semprecché questi, per la loro gravità, precisione e concordanza, siano tali da far desumere la conoscibilità del dissesto del debitore da parte di un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza (cfr., tra le tante, Cass. 6 novembre 1987 n° 8234; Cass. 4.9.1996 n. 8076; Cass. sez. I 4.11.1998 n. 11060; Cass. sez. I 27.4.1998 n. 4277).

E' indubbio che i protesti di titoli cambiari e di assegni, in virtù del loro carattere di "anomalia" rispetto al normale adempimento dei debiti di impresa, si inseriscono nel novero degli elementi rilevanti, in via gravemente indiziaria, agli effetti della prova presuntiva della scientia decoctionis , attesane la natura di precoci manifestazioni di quello stato di impotenza funzionale riconosciuto e sanzionato -necessariamente a posteriori- con la sentenza dichiarativa di fallimento.

Dai rilievi che precedono deriva l'inefficacia dei pagamenti per complessive lire 22.994.000 e l'obbligo della Comit di restituire, oltre alla sorte capitale, gli interessi legali a decorrere dall'atto di introduttivo del giudizio (18.5.1998) che equivale a costituzione in mora, atteso che è la pronuncia di revoca, avente natura costitutiva, ad eliminare gli effetti pregiudizievoli dell'atto impugnato e la corresponsione degli interessi rientra tra gli effetti restitutori riguardo ai quali la sentenza retroagisce al momento della notificazione della citazione (cfr., in ultimo, Cass. Sez. Unite, 8.7.1996 n. 6225).

Va, invece, rigettata la richiesta di rivalutazione monetaria delle somme dovute, atteso che il maggior danno a tal titolo reclamato resta assorbito dal saggio degli interessi che è comprensivo dell'indice di svalutazione.

Venendo, ora, alla domanda di inefficacia ex art. 44 L.F. dei pagamenti effettuati sul conto corrente del fallito in epoca successiva al fallimento (dal 24.1 al 16.3.1994), per complessive lire 28.417.779, la Comit ha dedotto che le rimesse sono state eseguite dai fideiussori Scozzari Vincenzo e Vella Giovanna, con denaro proprio e senza animo di rivalsa, in adempimento di una obbligazione diretta e personale verso l'istituto di credito.

Benché il fallimento abbia fatto riferimento alla problematica della revocatoria del pagamento del terzo, invero non pare corretto parlare nella specie di tale ipotesi, perché il fideiussore non opera come terzo, ma come soggetto tenuto all'adempimento di un obbligo giuridico che non è del fallito, quale debitore principale, ma suo proprio, quale garante.

Secondo il diffuso orientamento della Suprema Corte, " qualora, nel periodo sospetto, un terzo esegua il versamento di una somma di denaro sul conto corrente del fallito con l'espressa allegazione di averlo fatto a titolo di fideiussione e con impegno a non rivalersi sull'imprenditore poi fallito, il versamento con il quale sia stato ripianato uno scoperto di conto, non può essere revocato per mancanza di danno alla massa dei creditori, sempreché la fideiussione sia provata, a norma dell'art. 2704 c.c., con atto scritto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento " (Cass. sez. I 13.3.1997 n. 2556; Cass. 29.11.1985 n. 5956).

In altri termini non vi è violazione del principio della par condicio creditorum né depauperamento del patrimonio del fallito quando il terzo, personalmente obbligato verso il creditore in virtù di un atto di data certa anteriore al fallimento, paga costui con denaro proprio e senza animus di rivalsa verso il debitore principale.

Avendo la Comit prodotto la lettera fideiussoria, composta da due fogli sottoscritti dai sigg. Scozzari Vincenzo e Vella Giovanna, inviata a mezzo raccomandata A.R. e con bollo postale del 20.9.1991 (il che vale a conferire alla scrittura data certa, cfr. Cass. 11.1.1983 n. 186), la missiva del 22.6.1992 di limitazione dell'importo garantito, a norma della legge 154/92, le varie distinte di bonifico, con l'espressa indicazione della causale del versamento, non possono sorgere dubbi sull'esistenza del rapporto fideiussorio alla data dei pagamenti, sul fatto che i garanti abbiano eseguito i versamenti con soldi propri e senza rivalsa (come, peraltro, riconosciuto implicitamente dal fallimento), ed in adempimento di un loro personale ed autonomo obbligo giuridico.

Questo Giudice non trascura che talvolta nella giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. I 1611.1998 n. 11520) si è affermato che qualora un terzo abbia compiuto un versamento sul conto corrente del fallito quest'ultimo acquista la titolarità della rimessa; in tal caso nell'operazione, si inserisce il diaframma del rapporto di conto corrente, nel quale il versamento del terzo viene attratto, finendo -per effetto di quello- con il costituire non altro che una variazione quantitativa del conto, una posta attiva, cioè del correntista, nella cui titolarità l'importo accreditato viene a confluire. Da ciò deriva che, ai fini dell'inefficacia ex art. 67 o 44 L.F., le rimesse del terzo sul conto corrente dell'imprenditore sono equiparate a quelle del correntista medesimo.

Il ragionamento è stato oggetto di serrate critiche in dottrina ed anche tra gli stessi Giudici di legittimità (Cass. sez. I 6.8.1998 n. 7695, Cass. 22.1.1999 n. 570).

È stato, infatti, osservato che " dalla circostanza che il terzo abbia eseguito il pagamento sul conto corrente dell'imprenditore fallito non può giuridicamente desumersi, per ciò solo, che sia stato quest'ultimo ad operarlo; trattasi, invero, di una semplice modalità di pagamento che non muta né la provenienza del denaro dal terzo nè il destinatario, che rimane sempre la banca in virtù del rapporto obbligatorio personale insorto con la fideiussione e della indisponibilità del conto da parte dell'imprenditore".

Il principio di autonoma contrattuale consente che il fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario estingua il proprio debito fideiussorio in modo indiretto, ossia mediante accreditamento della somma sul conto dell'obbligato principale perché la banca se ne giovi, anzicché in modo diretto, ossia mediante versamento alla banca personalmente.

Con la conseguenza che allorché un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma corrispondente allo scoperto del conto stesso per il quale esso terzo aveva prestato una fideiussione, e risulti, altresì, l'inesistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che costui abbia adempiuto al proprio obbligo di garanzia, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 44 L.F.

Opportunamente precisato che il fallimento del correntista ha comportato lo scioglimento del rapporto ai sensi dell'art. 78 L.F. e che, dunque, l'annotamento in conto corrente del bonifico più che una rimessa, costituiva, in realtà, la mera imputazione contabile di un pagamento che la banca aveva ricevuto dal fideiussore il quale in tal modo adempiva in via diretta ad una propria obbligazione, nella specie il fallimento non ha provato che i sigg. Scozzari e Vella, suoceri del fallito, all'epoca dei pagamenti fossero stati debitori del Marceca.

Ne deriva che la domanda di inefficacia proposta dal Curatore è infondata.

Stante l'esito del giudizio e considerato che il fallimento ha chiesto invano la restituzione in via bonaria delle somme revocabili ai sensi dell'art. 67 L.F., sussistono giustificati motivi per compensare per metà le spese processuali e porre a carico della Comit la restante metà.

Spese che si liquidano, in via complessiva, in lire 426.800 per spese, lire 1.700.000 per diritti, lire 6.000.000 per onorari, lire 770.000 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA ex lege

P.Q.M.

Il Tribunale, in persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, definitivamente pronunziando, sentiti i procuratori delle parti, respinta ogni contraria e diversa istanza, eccezione o difesa;

in accoglimento della domanda ex art. 67 L.F. proposta dal fallimento della società di fatto tra Marceca Roberto e Scozzari Silvana e degli stessi personalmente, n. 21/1994, dichiara inefficaci e, per l'effetto, revoca i pagamenti ante fallimento (meglio indicati in parte motiva) per complessive lire 22.994.000;

condanna la Banca Commerciale Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire al Curatore fallimentare, oltre alla sorte capitale, gli interessi legali a decorrere dalla notifica dell'atto di introduttivo del presente giudizio (18.5.1998) e sino al soddisfo;

rigetta la domanda proposta dal Curatore del fallimento ai sensi ed in forza dell'art. 44 L.F.;

liquida le spese processuali in complessive lire 426.800 per spese, lire 1.700.000 per diritti, lire 6.000.000 per onorari, lire 770.000 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA ex lege;

pone le spese processuali per metà a carico della Banca Commerciale Italiana s.p.a. e per l'altra metà dichiara le stesse integralmente compensate tra le parti.

Così deciso in Palermo l'11.3.2001.

Il Giudice Istruttore

dott. Fabrizio Anfuso

Data di pubblicazione: 16/03/2001.

 












 

 

 


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