Corte
di Cassazione, 28 gennaio 2002, n. 982, Sez. III, Mandato
- inadempimento - danni - fallimento
Massima:
Mandato - inadempimento - danni - fallimento
Testo
Sentenza del 28-01-2002, n. 00982, Sez. III - Giustiniani,
Segreto, Sepe Ea.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
atto di citazione, notificato il 23.6.1994 la Omnia Cars
conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Parma, Bosi
Gianluigi, per sentirlo condannare al pagamento della somma
di L. 3.600.000, assumendo che questi, come curatore del
fallimento della Stilcar s.r.l., concessionaria dell'Alfa
Romeo in Parma, aveva proposto all'Alfa Romeo ed alla Omnia
Cars di provvedere alla vendita delle auto Alfa ancora di
proprietà di quest'ultima, e detenute dalla fallita, in
nome e per conto dell'Omnia, che se ne sarebbe resa formalmente
acquirente dall'Alfa Romeo, e ad i prezzi pattuiti dalla
casa madre, che il Bosi avrebbe riscosso dagli acquirenti
e versati alla venditrice Omnia; che in esecuzione di quest'accordo
intervenuto tra i tre, il Bosi aveva anche venduto a tale
Abelli Luana un'autovettura al prezzo di L. 11 milioni,
mentre il prezzo fissato era di L. 14.600.000, per cui se
ne richiedeva la differenza. Si costituiva il Bosi e resisteva
alla domanda. Con sentenza del 12.3.1996 il Pretore accoglieva
la domanda. Proponeva appello il Bosi. Il Tribunale di Parma
con sentenza del 12.11.1990, rigettava l'appello. Riteneva
il tribunale che dalle deposizioni testimoniali emergeva
l'esistenza di un accordo negoziale atipico tra il Bosi
e l'Alfa Romeo, e necessariamente l'Omnia Cars, senza la
cui partecipazione il meccanismo non avrebbe potuto avere
attuazione, per cui il Bosi provvedeva alla vendita delle
auto dell'Alfa ed indirizzava poi gli acquirenti all'Omnia
Cars per la fatturazione, provvedendo spesso personalmente
a riscuotere il prezzo ed a consegnare la documentazione
al fine del passaggio di proprietà alla Omnia; che nella
gestione delle trattative e nella conclusione dei contratti
il Bosi operava in autonomia con la possibilità di concedere
sconti del 5%; che costituiva violazione dell'impegno negoziale
assunto dal Bosi il fatto che questi avesse venduto all'Abelli
un'auto per L. 11 milioni a fronte del prezzo indicato dall'Alfa
Romeo, comprensivo di sconto, di L. 14.600.000; che in ogni
caso la prova dell'inadempimento del Bosi non gravava sull'attrice,
competendo al debitore provare il proprio adempimento. Avverso
questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Bosi.
Resiste con controricorso la Omnia Cars. Entrambe le parti
hanno presentato memorie.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
1.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1325
c.c., ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'omessa
contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo
della controversia, a norma dell'art. 360, n. 5 c.p.c. Assume
il ricorrente che erroneamente l'impugnata sentenza non
ha verificato se nell'ipotizzata pattuizione vi fossero
gli elementi del contratto, costituiti dall'accordo tra
le parti e dalla causa del contratto. Sostiene il ricorrente
che non è provato un accordo tra egli, l'Alfa Romeo e la
Omnia Cars. In ogni caso, secondo il ricorrente, il contratto
in questione, ritenuto atipico dalla sentenza impugnata
era privo di corrispettivo, in suo favore, e, pertanto era
privo di causa, in quanto, anche nei contratti atipici è
necessaria la causa, mentre nella fattispecie egli effettuava
la sua prestazione a favore dell'Alfa Romeo a titolo di
pura cortesia. Infine, secondo il ricorrente, la sentenza
impugnata non ha considerato che era la Omnia Cars che effettuava
la vendita con la fatturazione, per cui, se non era d'accordo
sul prezzo, poteva non effettuare detta vendita al prezzo
indicato dal Bosi. 2. Ritiene questa Corte che il suddetto
articolato motivo sia in parte infondato ed in parte inammissibile
e che lo stesso vada rigettato. Quanto alla censura della
mancanza di un accordo tra le tre parti del contratto ritenuto
atipico, osserva questa Corte che la sentenza impugnata
sulla base delle testimonianze dei testi Paini, Perdezzani,
Abelli e Graziani ha ritenuto che il Bosi si impegnò con
il Graziani, responsabile dell'Alfa Romeo per la zona di
Bologna a vendere le autovetture rinvenute presso i locali
della fallita Stilcar ai prezzi al medesimo indicati dalla
casa produttrice, con uno sconto non superiore al 5%, indirizzando
gli acquirenti alla Omnia Cars, concessionaria dell'Alfa
Romeo, per la consegna dell'auto e per la fatturazione;
che, raggiunto l'accordo sul prezzo, questo il più delle
volte veniva riscosso proprio dal Bosi, che spesso consegnava
anche i documenti alla Omnia Cars per la fatturazione. La
sentenza impugnata, sulla base di tali risultanze probatorie,
ha ritenuto che non potesse dubitarsi dell'esistenza di
un rapporto negoziale atipico intercorso tra il Bosi, l'Alfa
Romeo e, necessariamente, anche l'Omnia Cars "senza la cui
partecipazione il descritto meccanismo non avrebbe potuto
avere attuazione". Ne consegue che la sentenza impugnata,
contrariamente all'assunto del ricorrente, ha preso in esame
ed ha ritenuto sussistente un accordo tra le parti, con
la conseguenza che non è ravvisabile la ritenuta violazione
dell'art. 1325 c.c., sotto questo profilo. 3. Diversa questione
è se la motivazione adottata dalla corte di merito sul punto
sia immune dalle censure mosse. In effetti la sentenza impugnata
ha ritenuto provato l'accordo "a tre" sulla base sia delle
prove testimoniali raccolte sia sulla base della considerazione
che "il meccanismo" attuato richiedeva necessariamente la
partecipazione dell'Omnia Cars e quindi l'esistenza di un
rapporto negoziale tra i tre soggetti. La ricostruzione
fattuale è quindi stata operata dal giudice di merito sulla
base delle prove testimoniali e della prova presuntiva.
A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito
l'individuazione delle fonti del proprio convincimento,
e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo
della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le
risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare
i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via
logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in
ragione del loro diverso spessore probatorio, con l'unico
limite della adeguata e congrua motivazione del criterio
adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione,
il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte
le risultanze processuali, né a confutare singolarmente
le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece
sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso,
indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento
e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le
proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli
logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass.
6 settembre 1995, n. 9384). 4. Quanto alla censura di assunta
violazione dell'art. 1322 e 1325 c.c., in quanto il contratto
in questione sarebbe privo di causa, poiché privo di corrispettivo
in favore del Bosi, essa è egualmente infondata. Va preliminarmente
osservato che anche i contratti atipici non possono essere
privi di causa, come emerge dall'art. 1323 c.c., che dispone
che tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi
che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle
norme generali sui contratti (art. 1325 e ss. c.c.; cfr.
Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1992, n. 12401). Va, tuttavia,
condiviso il principio espresso dalla dottrina, secondo
cui la disciplina dei tipi contrattuali non previsti dall'ordinamento
(c.d. contratti atipici) risulta solo in parte da quanto
stabilito dall'art. 1323 c.c., nel senso che, ove non sia
risolubile il problema in base alle norme del titolo II,
si potrà far ricorso per via analogica anche alle norme
sui singoli contratti espressamente regolati dalla legge.
5.1. Superando la più antica dottrina italiana che, riportandosi
alla tradizione francese, ricollegava la causa all'obbligazione
di ciascun contraente, intendendola come lo scopo da questi
perseguito tramite l'assunzione del vincolo (ed a cui sembra
far riferimento la resistente nell'indicare i vari scopi
che ciascuna delle parti si proponeva), per cui non sempre
erano chiari i confini tra causa e motivi del contratto,
prevale oggi, sia pure con qualche oscillazione, la teoria
oggettiva, che identifica la causa con la funzione obiettiva
economico-sociale del contratto (Cass. 15.7.1993, n. 7844).
Sennonché, premesso ciò, non può ritenersi, come ritiene
il ricorrente, che la sola mancanza del corrispettivo in
favore di una delle parti del contratto atipico, comporti
la mancanza di causa. A tal fine il ricorrente richiama
una sentenza di questa Corte (Cass. 20.11.1992, n. 12401),
secondo cui la semplice ed unilaterale attribuzione non
può in alcun caso assurgere a causa giuridica del negozio,
in quanto non consente di identificare lo scopo e stabilirne,
di conseguenza la rilevanza economico-sociale, ed in ultima
analisi, la liceità, per cui il contratto con cui si trasferisca
ad altri un bene, senza specificazione del titolo di tale
trasferimento, non è assumibile nella nozione di contratto
atipico e resta un atto nullo per mancanza di causa. Tale
principio (da condividere), infatti, è stato espresso in
tema di negozi, per quanto atipici, che adempiono ad una
funzione di scambio, una volta esclusa quella di liberalità,
per cui la mancanza di controprestazione comporta la nullità
del contratto per mancanza di causa (cfr. 15.6.1999, n.
5917). 5.2. Sennonché il contratto atipico non può essere
limitato solo ai contratti a prestazioni corrispettive,
o più in generale ai soli contratti a titolo oneroso, in
quanto la lettera dell'art. 1322 c.c., pone agli stessi
come unico limite quello che essi siano diretti a realizzare
interessi meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento,
e non può certamente ritenersi che sia meritevole di tutela
solo ciò che è oneroso. Ne consegue, che, in astratto, ben
possono le parti, nell'ambito dell'autonomia contrattuale,
porre in essere contratti atipici a titolo gratuito, salva
la meritevolezza degli interessi cui sono diretti. 5.3.
Nella fattispecie il contratto atipico posto in essere dalle
parti è assimilabile ad un contratto di mandato a vendere
le auto (o ad una commissione), ed il contratto di mandato
può essere anche a titolo gratuito, essendone l'onerosità
solo una presunzione (art. 1709 c.c.), mentre per la commissione,
pur prevedendo la legge il diritto alla provvigione (art.
1733), non è escluso dalla dottrina che possa esservi anche
una commissione a titolo gratuito, se vi è patto espresso
in merito. La mancanza eventuale di detto patto non rileva
nella fattispecie, in quanto qui non si discute se il Bosi
abbia diritto o meno al corrispettivo, ma solo se un contratto
atipico, assimilabile alla commissione gratuita, sia dotato
di causa e cioè adempia ad una obiettiva funzione economico-sociale.
Da ciò consegue che il contratto atipico in questione aveva
un'obiettiva funzione economico-sociale e che lo stesso
era diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela
da parte dell'ordinamento. 6.1. Quanto alla censura secondo
cui la Omnia Cars poteva, in ogni caso, rifiutarsi di vendere
la macchina alla Abelli ad un prezzo inferiore, rispetto
a quello indicato dalla casa, e pattuito tra il Bosi e la
Abelli, per cui avendo accettato detto prezzo non poteva
più chiederne la differenza, la stessa è inammissibile,
trattandosi di questione nuova proposta per la prima volta
in questa sede. Premesso, anzitutto, che dalla ricostruzione
fattuale operata dal giudice di merito, la vendita dell'auto
all'Abelli era già stata effettuata dal Bosi, per cui la
Omnia Cars si limitava solo a fatturare la vendita ed a
formalizzarla con la documentazione necessaria (giova a
tal fine ricordare che la vendita di autoveicoli ben può
essere effettuata anche in forma verbale, (Cass. n. 7070
del 1986; Cass. n. 698 del 1984), la questione posta dal
ricorrente (secondo cui, avendo la Omnia accettato di vendere
in ogni caso la macchina all'Abelli al prezzo inferiore
praticato dal Bosi, essa non aveva più azione nei confronti
del Bosi) costituisce - in ogni caso - questione nuova in
questa sede. In sostanza si tratterebbe di ratifica da parte
del mandante dell'operato del mandatario che ha agito oltre
i limiti del mandato (art. 1711 c.c., applicato analogicamente
al contratto atipico in questione). 6.2. E' giurisprudenza
pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione
devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che
siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di
appello, non essendo prospettabili per la prima volta in
Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione
non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio
(Cass. 29.3.1996; Cass. 10.5.1995, n. 5106; Cass. 8.7.1994,
n. 6428). 7. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente
lamenta la violazione dell'art. 2697 c.c., nonché la mancanza,
illogicità e contraddittorietà della motivazione, a norma
dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per aver la corte di merito
ritenuto che gravava su esso appellante provare il proprio
adempimento, mentre avendo l'attrice agito non per l'esatto
adempimento del contratto, ma per il risarcimento del danno,
doveva provare non solo l'esistenza del contratto, ma anche
l'inadempimento della controparte e cioè di esso ricorrente,
secondo la giurisprudenza della suprema corte. 8.1. Ritiene
questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso
vada rigettato. Anzitutto non è esatto quanto sostenuto
dal resistente, secondo cui nella fattispecie si tratterebbe
di azione di esatto adempimento del contratto. Infatti,
ritenuto il contratto in questione assimilabile ad un contratto
di mandato, per quanto atipico, il Bosi aveva l'obbligo
di rimettere alla Omnia tutto quanto aveva ricevuto in esecuzione
del mandato (art. 1713 c.c.). Se l'attrice avesse agito
per ottenere ciò, la sua azione sarebbe stata quella di
esatto adempimento. Tuttavia nella fattispecie l'attrice
non pone in discussione che il Bosi le ha esattamente versato
quanto ricevuto dall'Abelli, ma, sul presupposto che il
Bosi non ha rispettato il limite di prezzo fissato dalla
Casa produttrice, ne ha richiesto la differenza al convenuto.
Ciò costituisce una domanda di risarcimento di danno per
inadempimento contrattuale. 8.2. Infatti, qualora il mandatario
ponga in essere un contratto eccedente i limiti del mandato
(a cui, come detto, è assimilabile il contratto in questione),
in caso di mancanza di ratifica, esso è inopponibile al
mandante ed i suoi effetti si producono nel patrimonio del
mandatario, che li assume a suo carico ed ha l'obbligo di
tenere indenne il mandante da qualsiasi pregiudizio che
possa derivare per il suo patrimonio dalla stipulazione
e dall'esecuzione del negozio (Cass. 10.3.1995, n. 2802).
Nella fattispecie, quindi l'azione proposta dall'attrice
non costituiva un'azione di esatto adempimento, in quanto,
essa non richiedeva che il Bosi fosse condannato al pagamento
di una somma che aveva incassato in esecuzione del contratto,
ma che fosse condannato al pagamento del pregiudizio economico
subito, per avere il Bosi alienato l'auto ad un prezzo più
basso: in definitiva al risarcimento del danno per la violazione
dei limiti del "mandato" e quindi per inadempimento. 9.
Sennonché ritiene questa Corte che anche in questo caso
(come nel caso di domanda di risoluzione del contratto)
la prova dell'inadempimento non grava sull'attore, ma è
onere del convenuto provare il proprio adempimento. Costituisce
vexata quaestio se sia il creditore agente, che lamenta
la violazione del suo diritto, ad essere gravato dall'onere
di dimostrare il mancato o inesatto adempimento dell'obbligazione,
quale fondamento dell'azione di esatto adempimento, o di
risoluzione o di risarcimento del danno, ovvero se incomba
sul debitore resistente, che eccepisca l'estinzione dell'obbligazione
per adempimento, la prova dell'avvenuto compimento dell'attività
solutoria. Segnatamente in tema di azione di risoluzione,
secondo un orientamento giurisprudenziale (prevalente) e
dottrinale (minoritario), nel proporre la domanda di risoluzione
del contratto per inadempimento della controparte, l'attore
non può sottrarsi all'onere di provare il fatto negativo
dell'inadempimento altrui, quale supporto essenziale della
sua azione, mentre, secondo altro orientamento, una volta
offerta dall'attore la prova del contratto, incomberà sul
convenuto la prova liberatoria. Il contrasto giurisprudenziale
è stato risolto recentemente dalla S.U. (30.10.2001, n.
13533), che hanno statuito che il creditore, sia che agisca
per l'adempimento che per la risoluzione o per il risarcimento
del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale
del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza,
mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte,
sia esso totale, che parziale, dovendo invece il debitore
fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito
dall'esatto adempimento. 10.1. Ritiene questa Corte di dover
aderire a questo secondo orientamento, per cui tanto in
caso di domanda di esatto adempimento che in caso di domanda
di risoluzione del contratto per inadempimento o in caso
di autonoma domanda di risarcimento dei danni per inadempimento
è sufficiente che l'attore alleghi detto inadempimento,
competendo al convenuto provare che l'inadempimento non
sussiste, avendo egli adempiuto all'obbligazione. A favore
di questa soluzione del riparto dell'onere della prova,
in tema di domanda di risoluzione per inadempimento nelle
obbligazioni positive, militano: - il criterio di ragionevolezza,
sotteso all'attività ermeneutica delle norme, alla cui luce
appare irrazionale che di fronte ad un'identica situazione
probatoria della ragione del credito (dell'esistenza dell'obbligazione
contrattuale e del diritto ad ottenere l'adempimento) vi
sia una diversa disciplina dell'onere probatorio, solo perché
il creditore sceglie di chiedere il risarcimento in denaro
del danno determinato dall'inadempimento, in luogo dell'adempimento,
se ancora possibile, o del risarcimento in forma specifica
(pretesa quest'ultima diretta a realizzare gli stessi effetti
dell'adempimento); - il criterio di riferibilità della prova,
a seconda, in concreto della possibilità per l'uno o l'altro
soggetto di provare fatti e circostanze che ricadano nelle
rispettive sfere di azione (criterio, sviluppato dalla dottrina
tedesca, al quale del resto si ispira l'art. 2697 c.c.,
distinguendo tra fatti costitutivi, modificativi od estintivi),
cosicché è conforme a norma che la prova dell'adempimento,
fatto estintivo del diritto per la cui tutela agisce il
creditore, (sia che agisca in via diretta che per il risarcimento),
spetti al debitore, convenuto in giudizio, che dovrà in
sostanza dare la prova diretta e positiva di un fatto riferibile
alla sua sfera di azione; - la distinzione tra la responsabilità
contrattuale e la responsabilità da fatto illecito, che
comporta oneri probatori del tutto diversi, in ordine all'individuazione
di quelli che sono i fatti costitutivi della pretesa, nell'un
caso il contratto o la fonte negoziale o legale e nell'altro
il comportamento lesivo, cosicché nel primo caso è il debitore
tenuto a provare il suo adempimento di un'obbligazione specifica,
in genere di natura negoziale, mentre nel secondo è il creditore
che dovrà provare nella sua interezza il fatto colposo o
doloso nei suoi elementi materiali e soggettivi, compiuto
dal danneggiante in violazione dell'art. 2043 c.c. 10.2.
In relazione al primo punto (parità della domanda di adempimento
e di quella di risoluzione e/o di risarcimento nell'art.
1453 c.c.) si deve aggiungere un'ulteriore considerazione.
Secondo gran parte della dottrina (e questo orientamento
merita di essere condiviso) il diritto alla risoluzione
del contratto, come l'obbligo del risarcimento in caso di
domanda autonoma e non accessoria, conseguente all'inadempimento,
attua una responsabilità del debitore coeva al sorgere del
rapporto obbligatorio. Il risarcimento del danno o la risoluzione
per inadempimento, così come l'adempimento, sono intrinseci
al rapporto obbligatorio, inteso come struttura complessa,
costituito da un insieme funzionalmente unitario di effetti
giuridici, i quali possono mutare senza che il rapporto
perda la sua identità. Ne consegue che, nelle obbligazioni
positive, con il contratto sorge sia il diritto alla prestazione
sia contemporaneamente il diritto alla risoluzione ed al
risarcimento del danno, tant'è che la domanda di risoluzione
e quella di adempimento possono essere proposte anche nel
medesimo giudizio, la seconda subordinatamente alla prima
(Cass. 19 luglio 1983, n. 4980). Il disposto di cui alla
seconda parte del 2° c. dell'art. 1453 c.c., secondo cui
non può domandarsi l'adempimento quando è stata domandata
la risoluzione, costituisce una preclusione di tipo esclusivamente
processuale; infatti, come rilevato dalla dottrina, se la
risoluzione è stata richiesta solo in via stragiudiziale,
può sempre essere richiesto l'adempimento. Se così è, non
è l'inadempimento che si pone come fatto costitutivo della
domanda di risoluzione, ma è l'adempimento che si pone come
fatto estintivo dei diritti sorti con il contratto in favore
del creditore coevamente (diritto all'adempimento o alla
risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno).
Dovrà essere, quindi, il debitore a provare di aver adempiuto,
salvo che non opponga un'eccezione "inadimplenti non est
adimplendum", nel qual caso sarà l'altra parte a doverla
neutralizzare provando il proprio adempimento o che la sua
obbligazione non era ancora dovuta. 10.3. Un ulteriore riscontro
del fatto che il legislatore sia partito dal presupposto
dell'incidenza sul soggetto passivo dell'onere di dimostrare
l'adempimento, pare potersi ricavare dall'art. 1199 c.c.,
che attribuisce al debitore il diritto ad ottenere la quietanza.
Questa è un vero e proprio diritto soggettivo cui è sotteso
l'interesse del debitore di aver una prova, proveniente
dallo stesso creditore, del proprio adempimento. 10.4. Solo
nelle obbligazioni negative ed in quelle di protezione o
di vigilanza, invece, nella struttura stessa del diritto
di credito è già insito il soddisfacimento. Si potrebbe
dire che detti diritti sono potenzialmente soddisfatti,
tant'è che se essi durassero pochi istanti, non sarebbe
concepibile un inadempimento. Quindi in questi casi l'inadempimento
si pone come fatto aggiuntivo, che porta il diritto del
creditore dalla posizione di potenziale attuale soddisfacimento
a quella di insoddisfacimento: è cioè un quid novi, che
viene a ledere la posizione esistente già al momento della
conclusione del contratto, e che va, quindi, provato dal
creditore. 11. Da ciò consegue che nella fattispecie il
giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi
in tema di ripartizione dell'onere probatorio e che la censura
mossa è infondata. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Esistono
giusti motivi per compensare per intero tra le parti le
spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio
di Cassazione.