Corte
di Cassazione, 6 febbraio 2002 n. 1568, Fallimento -
costituzione in mora e interruzione della prescrizione
La
costituzione in mora quale mezzo di interruzione della prescrizione
non è compatibile con la pendenza della procedura
fallimentare, perché il fallimento è un procedimento
esecutivo concorsuale, nel quale i creditori del fallito
debbono presentare domanda agli organi fallimentari per
il pagamento dei loro crediti secondo le forme previste
dagli art. 93, 101 e 103 legge fall., mentre i debiti pecuniari
si considerano tutti scaduti alla data di dichiarazione
del fallimento. E, pertanto, inefficace un atto di
costituzione in mora compiuto nei confronti del fallito,
che ex art. 44 legge fall., non può eseguire pagamenti
o comunque atti di adempimento opponibili alla massa. Altrettanto
inefficace sarebbe un atto di costituzione in mora, per
debiti del fallito, compiuto nei confronti del curatore,
che non ha la libera disponibilità dei diritti e
degli obblighi del fallito.
Ne
consegue che soltanto la presentazione delle istanze per
la insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile
all'atto con cui si inizia un giudizio, determina l'interruzione
della prescrizione, con effetti permanenti fino alla chiusura
della procedura concorsuale in applicazione del principio
generale fissato dall'art. 2945 comma secondo c.c. (Cass.,
sez. II, 22 novembre 1990, n. 11269, m. 469864).
Ai
fini della costituzione in mora, non è sufficiente
che l'intimazione o la richiesta siano rivolte al debitore,
ma è necessario anche che il debitore sia capace
di agire e sia legittimato ad adempiere; il fallito, non
potendo efficacemente compiere neppure un pagamento, non
è legittimato quale destinatario di un atto di costituzione
in mora.
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
PRIMA CIVILE
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo GRIECO, Presidente
Dott. Donato PLENTEDA, Consigliere
Dott. Walter CELENTANO, Consigliere
Dott. Salvatore SALVAGO, Consigliere
Dott. Aniello NAPPI, Rel. Consigliere
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul
ricorso proposto da:
E.F.,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTE ZEBIO 30, presso
l'avvocato GIAMMARIA CAMICI, rappresentata e difesa dall'avvocato
GIOVANNI GIOVANNELLI, giusta delega a margine del ricorso;
ricorrente
contro
CURATELA
DEL FALLIMENTO M.N.;
intimato
avverso
la sentenza n. 1009/99 della Corte d'Appello di FIRENZE,
depositata il 28/07/99;
udita
la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/10/2001 dal Consigliere Dott. Aniello NAPPI;
udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Dario CAFIERO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento
del processo
1.
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Firenze
ribadí il rigetto della domanda di insinuazione tardiva
nel fallimento di N.M. proposta da E.F. per un credito complessivo
di 187.936.000, di cui £. 58.200.000 in privilegio.
Ritennero
i giudici del merito che il credito si era estinto per prescrizione,
benché garantito da un'ipoteca di durata ventennale,
perché la lettera di costituzione in mora inviata
al fallito non era opponibile al curatore del fallimento,
in quanto priva di data certa, ed era comunque inidonea
a interrompere il decorso della prescrizione in quanto diretta
a persona che ormai non poteva disporre del diritto controverso.
Ricorre
per cassazione E.F., che propone quattro motivi d'impugnazione.
Motivi
della decisione
Con
il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art.
2704 c.c. e vizio di motivazione della sentenza impugnata,
lamentando che i giudici del merito abbiano considerato
priva di data certa la lettera ricevuta dal fallito il 21
novembre 1985, benché, tanto risulti dalla data del
timbro postale apposto sull'avviso di ricevimento.
Con
il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art.
2943 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano ritenuto
inidonea la costituzione in mora del fallito effettuata
con la lettera di data certa.
Con
il terzo motivo la ricorrenze deduce violazione dei principi
generali in materia di legittimazione del fallito, lamentando
che erroneamente il tribunale abbia escluso l'idoneità
della costituzione in mora effettuata nei confronti del
fallito, considerato che il curatore fallimentare è
solo gestore e non titolare dei rapporti acquisiti al fallimento.
Con
il quarto motivo la ricorrente deduce violazione dell'art.
2847 c.c., sostenendo che l'efficacia per vent'anni dell'iscrizione
ipotecaria impedisce il decorso del termine di prescrizione
del diritto garantito.
2.
Esaminando i motivi di ricorso nell'ordine logico della
loro rilevanza, risulta immediatamente infondato il quarzo
motivo.
La
durata ventennale prevista dall'art. 2847 c.c. per l'iscrizione
ipotecaria riguarda, invero, solo gli effetti della pubblicità
e va distinta sia dal termine di prescrizione del diritto
d'ipoteca sia dal termine di prescrizione del diritto di
credito garantito. Il decorso del termine di cui all'art.
2847 c.c. determina solo la perdita del precedente grado
d'iscrizione, ma non preclude una nuova iscrizione dell'ipoteca
(Cass., sez. I, 17 dicembre 1969, n. 3988, m. 344452). L'estinzione
per prescrizione del credito garantito, invece, determina
sempre l'estinzione anche del diritto accessorio d'ipoteca,
secondo quanto prevede l'art. 2878 n. 3 c.c. Infine l'ipoteca,
in quanto diritto reale su cosa altrui, ha anche un suo
termine ventennale di prescrizione, che opera però
soltanto nei confronti del terzo acquirente, che non è
personalmente obbligato, e decorre dalla data di trascrizione
del trasferimento del bene ipotecato (art. 2880 c.c.).
Nel
caso in esame, perciò, il mancato decorso del termine
previsto dall'art. 2847 c.c. per la rinnovazione dell'iscrizione
ipotecaria non ha alcuna rilevanza ai fini del decorso del
termine di prescrizione del credito garantito.
Infondati
sono anche il secondo e il terzo motivo del ricorso, con
i quali si sostiene l'idoneità di una richiesta di
pagamento rivolta al fallito quale atto di costituzione
in mora del debitore.
Secondo
la prevalente interpretazione dottrinale e giurisprudenziale,
invero, la costituzione in mora quale mezzo di interruzione
della prescrizione non è compatibile con la pendenza
della procedura fallimentare, perché il fallimento
è un procedimento esecutivo concorsuale, nel quale
i creditori del fallito debbono presentare domanda agli
organi fallimentari per il pagamento dei loro crediti secondo
le forme previste dagli art. 93, 101 e 103 legge fall.,
mentre i debiti pecuniari si considerano tutti scaduti alla
data di dichiarazione del fallimento. Sicché sarebbe
inefficace un atto di costituzione in mora compiuto nei
confronti del fallito, che, secondo quanto prevede l'art.
44 legge fall., non può eseguire pagamenti o comunque
atti di adempimento opponibili alla massa. Come sarebbe
inefficace un atto di costituzione in mora, per debiti del
fallito, compiuto nei confronti del curatore, che non ha
la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi
del fallito.
Ne
consegue che soltanto la presentazione delle istanze per
la insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile
all'atto con cui si inizia un giudizio, determina l'interruzione
della prescrizione, con effetti permanenti fino alla chiusura
della procedura concorsuale in applicazione del principio
generale fissato dall'art. 2945 comma secondo c.c. (Cass.,
sez. II, 22 novembre 1990, n. 11269, m. 469864).
La
ricorrente rileva, in contrario, che, anche dopo la dichiarazione
del fallimento, il fallito rimane titolare dei suoi diritti
e dei suoi obblighi; e sostiene che, perciò, l'intimazione
o la richiesta rivolta per iscritto al fallito, a norma
dell'art. 1219 c.c., dovrebbe valere come atto di costituzione
in mora. Tuttavia, ai fini della costituzione in mora, non
è sufficiente che l'intimazione o la richiesta siano
rivolte al debitore, ma è necessario anche che il
debitore sia capace di agire e sia legittimato ad adempiere.
La
ricorrente richiama, a sostegno della sua tesi, la giurisprudenza
che riconosce efficacia alla costituzione in mora compiuta
nei confronti dell'inabilitato. Ma proprio questa giurisprudenza
precisa che l'efficacia dell'atto di costituzione in mora
può essere riconosciuta solo "in quanto l'adempimento
dell'obbligazione che ne viene sollecitata, essendo un'attività
non dispositiva, ma vincolata all'attuazione di un obbligo
preesistente, non eccedente l'ordinaria amministrazione,
può essere, a norma del combinato disposto degli
artt. 42 e 39 c.c., compiuta anche dall'inabilitato, senza
necessità di assistenza del curatore" (Cass.,
sez. I, 7 agosto 1989, n. 3616, m. 463565).
Sicché
ne risulta confermato, a contrario, che il fallito, non
potendo efficacemente compiere neppure un pagamento, non
è legittimato quale destinatario di un atto di costituzione
in mora.
E
questa conclusione in ordine al secondo e al terzo motivo
rende superfluo l'esame del primo motivo del ricorso, che,
attenendo alla prova della data certa dell'atto di intimazione
al pagamento indirizzato al fallito, rimane evidentemente
assorbito dall'accertata inidoneità dell'atto anche
se di data certa.
Il
ricorso va, pertanto, respinto, senza pronuncia sulle spese
in mancanza di costituzione in giudizio della curatela.
Cosí
deciso in Roma il 10 ottobre 2001, nella camera di consiglio
della prima Sezione civile.
Depositata
in cancelleria il 6 febbraio 2002.