Corte
Costituzionale, Sentenza 25 Febbraio 2002, n. 29, Giudizio
di legittimita' costituzionale in via incidentale. Credito
(Istituti di) - Contratti di mutuo - Interessi divenuti
usurari per effetto della riduzione del c.d. tasso soglia
- Interpretazione autentica - Affermata natura usuraria
dei soli interessi originariamente convenuti - Lamentata
sanatoria in favore delle banche - Fattispecie riguardante
interessi originariamente usurari - Difetto di rilevanza
- Inammissibilita' della questione. - D.L. 29 dicembre 2000
n. 394 (convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio
2001, n. 24), art. 1, comma 1. - Costituzione, artt. 3,
24, 35, 41, 47 e 77. Credito (Istituti di) - Contratti di
mutuo - Interessi divenuti usurari per effetto della riduzione
del c.d. tasso soglia - Interpretazione autentica - Affermata
natura usuraria dei soli interessi originariamente convenuti
- Lamentata sanatoria in favore delle banche - Denuncia
dei vizi attinenti alla decretazione d'urgenza - Efficacia
sanante della conversione in legge - Non fondatezza della
questione. - D.L. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito, con
modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), art.
1, comma 1. - Costituzione, art. 77. Credito (Istituti di)
- Contratti di mutuo - Interessi divenuti usurari per effetto
della riduzione del c.d. tasso soglia - Interpretazione
autentica - Affermata natura usuraria dei soli interessi
originariamente convenuti - Lamentata sanatoria in favore
delle banche - Asserita irragionevolezza con incidenza sul
diritto alla tutela giurisdizionale e sul principio di tutela
dell'accesso al risparmio - Non fondatezza della questione.
- D.L. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito, con modificazioni,
nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), art. 1, comma 1. -
Costituzione, artt. 3, 24, 35, 41 e 47. Credito (Istituti
di) - Contratti di mutuo - Interessi divenuti usurari per
effetto della riduzione del c.d. tasso soglia - Introduzione
del tasso di sostituzione - Decorrenza differita - Irragionevolezza
e disparita' di trattamento in danno dei mutuatari rispetto
alle banche - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- D.L. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito, con modificazioni,
nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), art. 1, commi 2 e
3. - Costituzione, art. 3.
SENTENZA
N.29
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Cesare RUPERTO Presidente
-
Massimo VARI Giudice
-
Riccardo CHIEPPA "
-
Gustavo ZAGREBELSKY "
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart.
1, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione
autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni
in materia di usura), promosso con ordinanza emessa il 30
dicembre 2000 dal Tribunale di Benevento, iscritta al n.
153 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale,
dellanno 2001, nonché nei giudizi di legittimità
costituzionale dellart. 1, comma 1, del decreto-legge
29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni,
in legge 28 febbraio 2001, n. 24, promossi con ordinanze
emesse il 4 maggio 2001 dal Tribunale di Benevento e il
27 giugno 2001 dal Tribunale di Taranto, rispettivamente
iscritte ai nn. 587 e 703 del registro ordinanze 2001 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.
33 e 38, prima serie speciale, dellanno 2001 e nel
giudizio di legittimità costituzionale dellart.
1 della legge 28 febbraio 2001, n. 24 (Conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n.
394, concernente interpretazione autentica della legge 7
marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura),
promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 2001 dal Tribunale
di Trento, iscritta al n. 369 del registro ordinanze 2001
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
21, prima serie speciale, dellanno 2001.
Visti gli atti di costituzione di Scialpi Stefano, della
Cassa rurale ed artigiana-Banca di credito cooperativo del
Sannio-Calvi s.c. a r.l., del Mediocredito Trentino-Alto
Adige s.p.a. e della Banca nazionale del lavoro s.p.a. nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nelludienza pubblica del 4 dicembre 2001 il
Giudice relatore Annibale Marini;
uditi gli avvocati Antonio Tanza e Bruno Inzitari per Scialpi
Stefano, lavvocato Antonio Baldassarre per la Cassa
rurale ed artigiana-Banca di credito cooperativo del Sannio-Calvi
s.c. a r.l., per Mediocredito Trentino-Alto Adige s.p.a.
e per la Banca nazionale del lavoro s.p.a. e lavvocato
dello Stato Giorgio DAmato per il Presidente del Consiglio
dei ministri
Ritenuto
in fatto
1.-
Con ordinanza del 30 dicembre 2000, depositata il 2 gennaio
2001, il Tribunale di Benevento - nel corso di un procedimento
di opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso, in favore
di un istituto di credito, per un credito derivante, a titolo
di capitale ed interessi, da un contratto di mutuo stipulato
in data 4 agosto 1994 - ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 24, 47 e 77 della Costituzione, «questione
di legittimità costituzionale dellart. 1, comma
1, del decreto-legge 28/12/2000» [recte: decreto-legge
29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione autentica della
legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia
di usura)].
Espone
il rimettente, in punto di rilevanza della questione, di
essere chiamato a decidere su unistanza di sospensione
della provvisoria esecuzione, fondata sulleccezione
di nullità sopravvenuta, ex art. 1815, secondo comma,
del codice civile, della pattuizione relativa agli interessi,
alla stregua dellindirizzo giurisprudenziale espresso
dalla Corte di cassazione nella sentenza 17 novembre 2000,
n. 14899. Aggiunge che, se non fosse intervenuta la norma
impugnata secondo la quale, ai fini dellapplicazione
dellart. 1815, secondo comma, del codice civile, lusurarietà
degli interessi va valutata esclusivamente al momento della
pattuizione egli si sarebbe senzaltro adeguato,
nelle decisioni sullistanza degli opponenti e più
in generale sulla successiva istruzione della causa, allopposto
principio di diritto sancito nella suddetta sentenza.
Ciò
posto, deduce nel merito che il citato art. 1, comma 1,
del decreto-legge n. 394 del 2000 sarebbe innanzitutto lesivo
dellart. 3 Cost. «in quanto [...] contraddittoriamente
ed irragionevolmente riserva un ingiustificato trattamento
di favore per le banche e gli altri enti creditizi che abbiano
commesso usura a danno di coloro che in passato, indiscriminatamente
sia prima sia dopo il marzo 1996, hanno contratto mutui
alle condizioni dettate dal cartello bancario, i quali non
possono più avvalersi delle disposizioni della legge
108/1996 e quindi della nullità delle clausole con
le quali sono stati convenuti interessi usurari e consequenzialmente
del disposto di cui agli artt. 1339 e 1815 comma 2 c.c.».
Ulteriore
lesione del principio costituzionale di eguaglianza deriverebbe
poi dalla efficacia retroattiva della norma, solo apparentemente
di interpretazione autentica ma in realtà innovativa
e contrastante con linterpretazione della legge n.
108 del 1996 pacificamente accolta in giurisprudenza, così
da costituire una sanatoria di rapporti di mutuo obiettivamente
usurari.
Per
gli stessi motivi risulterebbe altresì violato lart.
24 Cost., restando leso il diritto alla tutela giurisdizionale
di coloro i quali si sono opposti alle pretese degli istituti
di credito «in base al diritto vigente allepoca
della domanda».
La
norma denunciata si porrebbe inoltre in contrasto con lart.
47 Cost., non tutelando il risparmio bensì linteresse
dei banchieri ed ostacolando laccesso al credito ed
alla proprietà della casa di abitazione, nonché
con lart. 77 Cost. per carenza assoluta dei presupposti
di necessità ed urgenza giustificativi dellemanazione
dei decreti legge.
1.1.-
Si è costituita in giudizio la Cassa rurale ed artigianaBanca
di credito cooperativo del SannioCalvi s.c. a r.l.,
concludendo per «la manifesta inammissibilità
e/o manifesta infondatezza e, in subordine, linammissibilità
e/o infondatezza della questione».
In
una memoria depositata nellimminenza delludienza
pubblica la parte deduce a sostegno delleccezione
di inammissibilità della questione che le
censure che il rimettente muove alla norma impugnata non
si riferirebbero in realtà allinterpretazione
autentica dellart. 1815, secondo comma, cod. civ.
essendo già precedentemente evidente il riferimento
di tale norma al solo momento della pattuizione di interessi
ma riguarderebbero esclusivamente gli effetti della
norma stessa sulla diversa disposizione di cui allart.
644 del codice penale, di cui il medesimo giudice non sarebbe
chiamato a fare applicazione, nemmeno in via incidentale.
Che
il regime civilistico della nullità delle clausole
contenenti la pattuizione di interessi usurari sia del tutto
distinto dal profilo penalistico, ed in sé autosufficiente,
sarebbe del resto confermato dal fatto stesso che il legislatore
del 1996 ha provveduto a riscrivere tanto la norma di cui
allart. 644 cod. pen. quanto, e separatamente, quella
di cui allart. 1815, secondo comma, cod. civ.
Nel
merito la questione sarebbe comunque ad avviso della
stessa parte - manifestamente infondata o, in subordine,
infondata, con riferimento a tutti i parametri evocati.
Non
sussisterebbe, in primo luogo, lasserito contrasto
con lart. 3 Cost., sotto il profilo della contraddittorietà
e irragionevolezza, in quanto la norma impugnata non avrebbe
privato i mutuatari, diversamente da quanto assume il rimettente,
del diritto di far valere la nullità delle clausole
con le quali siano stati convenuti interessi usurari, ma
avrebbe solamente ricondotto a ragionevolezza linterpretazione
della disposizione che tale nullità sancisce, chiarendo
che la pattuizione è nulla solo se il tasso di interesse
convenuto è superiore al cosiddetto tasso soglia
al momento della pattuizione e non anche quando tale limite
sia superato nel corso del rapporto, per effetto di successive
oscillazioni del medesimo tasso soglia.
La
circostanza che le conseguenze di tale intervento interpretativo
siano obiettivamente favorevoli agli istituti di credito
non costituirebbe daltro canto ragione sufficiente
per affermare che si sia voluto riconoscere un ingiustificato
trattamento di favore alle banche, attesa lintrinseca
ragionevolezza della interpretazione imposta dal legislatore.
Prive
di fondamento sarebbero altresì le censure, del pari
riferite allart. 3 Cost., riguardanti lefficacia
retroattiva della norma.
Tali
censure sembrerebbero muovere ad avviso della parte
privata dallerroneo presupposto che linterpretazione
autentica sia legittima solo in presenza di un contrasto
di giurisprudenza e che daltro canto le norme retroattive
a carattere innovativo siano in quanto tali illegittime.
Sarebbe vero al contrario, secondo la stessa parte, che
il legislatore può emanare norme interpretative indipendentemente
da qualsiasi contrasto di giurisprudenza, ed anche al fine
di imporre linterpretazione che egli ritenga corretta,
in presenza di una difforme interpretazione giurisprudenziale,
così come dovrebbe in ogni caso ritenersi pacifica
alla luce della giurisprudenza della Corte
la legittimità, nei limiti della ragionevolezza,
di norme retroattive a carattere innovativo, con la sola
eccezione delle norme penali in malam partem.
La
norma impugnata, quandanche le si volesse attribuire
portata innovativa, avrebbe perciò i requisiti per
superare indenne lo scrutinio di costituzionalità.
Ritiene tuttavia la parte che essa sia effettivamente interpretativa,
in quanto ragionevolmente diretta per quanto riguarda
laspetto civilistico - ad impedire una interpretazione
dellart. 1815 cod. civ., pur avallata dalla Corte
di cassazione, contrastante con linequivoco tenore
letterale della disposizione stessa, oltreché con
numerosi principi costituzionali.
Linterpretazione
della legge n. 108 del 1996 accolta dalla Cassazione contrasterebbe
in particolare ad avviso sempre della parte
sia con lart. 3 Cost., perché favorirebbe irragionevolmente
una delle parti del rapporto, sia con lart. 47 Cost.,
perché introdurrebbe uno squilibrio nel sistema tale
da provocare la scomparsa dei mutui a tasso fisso, sia con
lart. 41, primo e secondo comma, Cost., perché
si tradurrebbe in una lesione dellautonomia privata
non giustificata da ragioni di utilità sociale, sia
infine con lart. 25, secondo comma, Cost., perché
renderebbe possibile, sul versante penalistico, lassoggettamento
a sanzione di una condotta non costituente reato nel momento
in cui viene posta in essere.
Alla
norma impugnata dovrebbe coerentemente riconoscersi carattere
interpretativo anche per quanto riguarda laspetto
penalistico QQ- peraltro privo di rilevanza nel giudizio
a quo proprio in quanto le modifiche apportate allart.
644 cod. pen. dalla legge n. 108 del 1996 non potevano sicuramente
attribuire autonomo rilievo penale al momento della corresponsione,
quando questa fosse stata attuativa di una legittima convenzione,
in quanto ne sarebbe appunto derivata la violazione dellart.
25, secondo comma, Cost.
Sarebbero
del pari non fondate le censure che il rimettente muove
alla norma impugnata, con riferimento al parametro di cui
allart. 24 Cost., in relazione al pregiudizio che
ne deriverebbe per coloro i quali hanno resistito in giudizio
alle pretese delle banche confidando nellindirizzo
giurisprudenziale seguito dalla Cassazione.
Secondo
la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, lincidenza
delle norme interpretative sui giudizi in corso non determina
lillegittimità costituzionale delle norme stesse,
se il loro contenuto non è irragionevole e non altera
ingiustificatamente la parità tra le parti.
La
norma impugnata, poi, non contrasterebbe nemmeno con lart.
47 Cost., in quanto, lungi dallo scoraggiare i piccoli risparmiatori
dallaccesso al credito per lacquisto della casa,
avrebbe anzi evitato la scomparsa dal mercato finanziario
dei mutui a tasso fisso, più graditi a coloro che
dispongono di redditi costanti.
La
censura riferita allart. 77 Cost. sarebbe infine superata
dallavvenuta conversione in legge del decreto.
1.2.-
E intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura
generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o infondatezza della questione.
In
via preliminare, la parte pubblica eccepisce il difetto
di motivazione in punto di rilevanza «con riferimento
sia allaspetto degli interessi moratori sia alla configurabilità
di clausole di pattuizione di interessi usurari nel caso
di fonte contrattuale del rapporto antecedente allentrata
in vigore della L. 108/96».
Nel
merito, quanto alle censure riferite allart. 3 Cost.,
lAvvocatura sottolinea il carattere strutturalmente
e funzionalmente interpretativo della norma denunciata,
«in quanto destinata a combinarsi in sede applicativa
con le immutate disposizioni interpretate, con le quali
forma, rispettivamente, un unico plesso precettivo».
Essa avrebbe lo scopo di eliminare ogni dubbio in ordine
alla funzione sanzionatoria, e non riequilibratrice del
rapporto sinallagmatico, dellart. 1815, secondo comma,
cod. civ., escludendo del tutto ragionevolmente che la valutazione
del carattere usurario degli interessi possa effettuarsi
con riferimento ad un momento successivo a quello della
stipulazione della relativa clausola.
Del
tutto insussistente sarebbe la lamentata violazione dellart.
24 Cost., operando la norma denunziata sul piano sostanziale
della disciplina dei rapporti e non su quello processuale
della tutela dei diritti, così come prive di fondamento
dovrebbero ritenersi le censure riferite allart. 47
Cost., discendendo proprio dalla norma costituzionale la
necessità di assicurare, nellinteresse dei
risparmiatori, lequilibrio finanziario delle imprese
esercenti il credito a medio e lungo termine e di tutelare
laffidabilità del settore assicurando certezza
alle relazioni giuridiche.
Quanto
infine al parametro di cui allart. 77 Cost., lAvvocatura
rileva come gli interventi di cui allart. 1, comma
2, del decreto-legge n. 394 del 2000 finalizzati
al riequilibrio dei rapporti di mutuo a tasso fisso
rendessero parallelamente necessaria una corretta definizione
del normale quadro applicativo degli artt. 644 cod. pen.
e 1815, secondo comma, cod. civ., soggetto a forzature in
sede giurisprudenziale a causa delle avvertite esigenze
di tutela delle situazioni di squilibrio determinate da
eventi eccezionali.
2.-
Con ordinanza del 18 marzo 2001, depositata il 4 aprile
2001, il Tribunale di Trento ha sollevato, in riferimento
allart. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale
dellart. 1 della legge 28 febbraio 2001, n. 24, avente
ad oggetto la conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge n. 394 del 2000.
Il
rimettente premette, quanto alla rilevanza della questione,
di essere chiamato a decidere, tra laltro, su una
domanda di accertamento della nullità della pattuizione
di interessi relativa ad un contratto di finanziamento stipulato
in data 26 gennaio 1993, avanzata nel corso dellanno
1998 per violazione delle norme di cui alla legge n. 108
del 1996, e precisa che, in difetto della intervenuta normativa
di cui al decreto-legge citato, egli si sarebbe senzaltro
uniformato alla giurisprudenza della Cassazione, secondo
cui deve ritenersi illegittima la pattuizione di interessi
moratori a tasso divenuto usurario a seguito della legge
n. 108 del 1996, anche se stipulata anteriormente allentrata
in vigore della legge, «con conseguente sostituzione
di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente
a quella parte di rapporto non ancora esaurito allentrata
in vigore della legge 108/96».
Ai
mutui a tasso fisso stipulati anteriormente allentrata
in vigore della legge n. 108 del 1996, ed ancora in essere
alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 394
del 2000, si applicherebbe invece la disciplina dettata
dallart. 1, comma 2, dello stesso decreto-legge, con
la conseguente sostituzione del tasso pattuito con quello
indicato al comma 3 dello stesso articolo. Tale sostituzione,
peraltro, in quanto limitata alle rate che scadono successivamente
al 2 gennaio 2001, comporterebbe che per il periodo intercorrente
tra lentrata in vigore della legge n. 108 del 1996
e la suddetta data del 2 gennaio 2001 il debitore sarebbe
tenuto a corrispondere gli interessi nella misura pattuita,
ancorché eccedente il cosiddetto tasso soglia.
Si
verificherebbe in tal modo, ad avviso del rimettente, una
ingiustificata disparità di trattamento tra cliente
e banca (oltre che tra singoli clienti in relazione alle
specifiche situazioni) con un trattamento di favore nei
confronti di questultima in danno di coloro che abbiano
contratto mutui a tasso fisso prima del 1996 e per
il periodo intercorrente tra lentrata in vigore della
legge n. 108 del 1996 ed il 31 dicembre 2000 non
possano giovarsi del cosiddetto tasso di sostituzione.
2.1.-
Si è costituita in giudizio la s.p.a. Mediocredito
Trentino-Alto Adige, convenuta nel giudizio a quo, concludendo
per la declaratoria di manifesta inammissibilità
o manifesta infondatezza, ovvero di inammissibilità
o infondatezza della questione.
Ad
avviso della parte, la questione come viene illustrato
in una memoria depositata nellimminenza delludienza
pubblica - sarebbe inammissibile sotto diversi profili.
In
primo luogo, per difetto di rilevanza, nella parte in cui
il rimettente sembrerebbe prospettare una disparità
di trattamento tra i singoli clienti degli istituti di credito.
Secondariamente,
per indeterminatezza della questione, non essendo chiaro
se lo stesso rimettente si dolga di una disparità
di trattamento, nei rapporti tra cliente e banca (quanto
ai mutui a tasso fisso), ponendo a confronto la situazione
di tali rapporti prima e dopo lentrata in vigore della
legge n. 108 del 1996, come interpretata dal decreto-legge
n. 394 del 2000, ovvero se egli invochi una pronunzia additiva
volta a retrodatare lapplicabilità dei tassi
di sostituzione.
Sotto
altro aspetto, ritenuta come vera la prima delle due ipotesi
sopra prospettate, per incomparabilità delle situazioni
messe a confronto, derivando la loro diversità di
disciplina dal normale fenomeno della successione temporale
delle leggi.
Da
ultimo perché il rimettente o vuole censurare il
merito della scelta legislativa, ma pone allora una questione
politica e non di legittimità costituzionale, ovvero
intende invocare riferendosi al secondo comma dellart.
1 del decreto-legge una pronuncia additiva in virtù
della quale lapplicabilità del cosiddetto tasso
di sostituzione venga fatta retroagire, ma in tal caso si
prefigurerebbe la possibilità di diverse alternative,
tali da rendere evidente come la scelta si collochi sul
piano tipico della discrezionalità legislativa.
Nel
merito, ed ipotizzando comunque che loggetto della
questione di legittimità costituzionale sia il secondo
comma dellart. 1 del decreto-legge, la parte privata
deduce che il legislatore, intervenuto con la norma di interpretazione
autentica contenuta nel primo comma dello stesso articolo,
al fine di riequilibrare la gravosa situazione che si era
venuta a creare per le banche a seguito della erronea interpretazione
della legge del 1996 operata dalla Cassazione, ha poi ritenuto
opportuno venire incontro pur senza esservi tenuto
ed in un quadro di complessivo bilanciamento degli interessi
contrapposti alle aspettative che erano insorte nei
mutuatari a tasso fisso «in considerazione delleccezionale
caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa ed in Italia»,
prevedendo, appunto ai commi secondo e terzo, una sostituzione
autoritativa in senso riduttivo dei tassi, al fine di riportarli
ad una soglia inferiore al tasso usurario.
Si
tratterebbe dunque ad avviso della parte di
un intervento non dovuto, ma giustificato da ragioni meramente
equitative che renderebbero non irragionevole la fissazione
della sua decorrenza da data prossima a quella di entrata
in vigore del decreto-legge e della successiva legge di
conversione piuttosto che dalla data di superamento del
tasso soglia o da quella di stipula dei mutui.
2.2.-
E intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura
generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o infondatezza della questione.
Ad
avviso dellAvvocatura, lordinanza sarebbe innanzitutto
carente di motivazione in punto di rilevanza nella parte
in cui prende a riferimento, al fine di valutare lusurarietà
sopravvenuta del tasso pattuito, il tasso soglia relativo
ai mutui con garanzia reale piuttosto che quello, più
elevato, riferito alle aperture di credito in conto corrente.
La
medesima ordinanza sarebbe inoltre ambigua quanto allindividuazione
delle disposizioni oggetto di censura, non essendo chiaro
se il dubbio di legittimità costituzionale si riferisca
al comma 1 dellart. 1 del decreto-legge ovvero ai
successivi commi 2 e 3.
Ulteriore
profilo di inammissibilità sarebbe rappresentato
dal fatto che il rimettente sembrerebbe invocare uninammissibile
sentenza manipolativa «che recuperi al sistema della
stessa legge antiusura 108/86 [recte: n. 108 del 1996] il
diverso parametro rappresentato dal tasso definito dal comma
3 dellart. 1 del DL 394/2000, così incidendo
sulle scelte di sistema (soluzioni e parametri) operate
dal legislatore nella sua discrezionalità».
Sarebbe
da ultimo non chiaro se nella specie si discuta di interessi
corrispettivi o moratori.
Nel
merito, la non fondatezza della questione è argomentata
sulla scorta di considerazioni del tutto analoghe a quelle
svolte nel precedente giudizio.
3.-
Con ordinanza emessa e depositata in data 4 maggio 2001,
il Tribunale di Benevento, nel corso di un giudizio di opposizione
a decreto ingiuntivo, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 24, 35, 41 e 47 Cost., questione di legittimità
costituzionale dellart. 1, comma 1, della legge 28
febbraio 2001, n. 24, di conversione dellart. 1, comma
1, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394.
Il
rimettente espone, in punto di rilevanza, di doversi pronunciare
sullistanza, avanzata dallopponente, di nomina
di un consulente tecnico contabile per il calcolo degli
interessi effettivamente dovuti in virtù di un contratto
di mutuo stipulato dopo lentrata in vigore della legge
n. 108 del 1996, sul presupposto della nullità della
originaria pattuizione alla stregua dellindirizzo
giurisprudenziale di cui alla sentenza della Corte di cassazione
17 novembre 2000, n. 14899. Precisa, in fatto, che il tasso
pattuito e richiesto dalla banca in via monitoria, corrispettivo
del 21% e moratorio del 2%, risulterebbe usurario sia in
riferimento al tasso effettivo globale medio da ultimo rilevato
per i finanziamenti bancari a medio termine, sia in riferimento
a quello ancor più basso delle rilevazioni precedenti.
Muovendo
dallesplicito presupposto che la norma impugnata trovi
applicazione anche in ipotesi di pattuizione di interessi
già in origine usurari, il rimettente assume violati
gli artt. 3, 24 e 47 Cost. in base ad argomentazioni sostanzialmente
identiche a quelle svolte nella precedente ordinanza del
30 dicembre 2000.
La
medesima norma, riconoscendo al prestito del denaro una
redditività eccessiva e sproporzionata rispetto alla
media stabilita dal libero mercato, contrasterebbe altresì
con lart. 35, primo comma, Cost., che tutela il lavoro
in tutte le sue forme ed applicazioni, e con lart.
41, secondo comma, Cost., secondo cui liniziativa
economica privata non può svolgersi in contrasto
con lutilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana.
3.1.-
E intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura
generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o infondatezza della questione.
Premesso
che il contratto dedotto nel giudizio a quo risulta stipulato
dopo lentrata in vigore della legge n. 108 del 1996,
la parte pubblica rileva in primo luogo che il rimettente
non avrebbe indicato a quale categoria di operazioni creditizie
si riferisca il contratto stesso, ai fini della individuazione
del tasso soglia, né avrebbe chiarito se il tasso
convenuto come in realtà sembrerebbe desumersi
da taluni passi dellordinanza - fosse superiore al
tasso soglia già al momento della stipula, dal che
deriverebbe lirrilevanza della questione.
Osserva
inoltre che lordinanza risulterebbe priva di motivazione
anche con riguardo alla problematica relativa allapplicabilità
delle norme antiusura agli interessi moratori.
Nel
merito, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3,
24 e 47 Cost., lAvvocatura ribadisce le argomentazioni
svolte nellatto di intervento nel primo giudizio promosso
dal medesimo rimettente. Quanto poi agli ulteriori parametri
di cui agli artt. 35, primo comma, e 41, secondo comma,
Cost., ne deduce la non pertinenza «data la sottolineata
essenzialità del momento della pattuizione ai fini
della qualificazione della condotta delloperatore
economico».
4.-
Il Tribunale di Taranto, con ordinanza emessa e depositata
in data 27 giugno 2001, nel corso di un giudizio di opposizione
allesecuzione ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della stessa norma, in riferimento agli artt.
3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, Cost.
Il
rimettente espone, in punto di rilevanza, che il credito
azionato in via esecutiva, derivante da un contratto di
mutuo stipulato anteriormente allentrata in vigore
della legge n. 108 del 1996, è in parte costituito
da interessi convenzionali ad un tasso che per un
periodo di oltre due anni, dal marzo 1997 allagosto
1999 risulta superiore al tasso soglia fissato ai
sensi della stessa legge.
Quanto
alla non manifesta infondatezza, assume innanzitutto che
le modifiche apportate allart. 644 del codice penale
dallart. 1 della citata legge n. 108 del 1996 avrebbero
portato a configurare due diverse tipologie di fatti di
usura: il farsi promettere interessi usurari ed il farsi
dare interessi usurari.
Il
decreto-legge n. 394 del 2000, nellescludere la rilevanza
penale della ricezione di interessi divenuti usurari, per
il superamento del tasso soglia, successivamente alla pattuizione,
avrebbe in realtà abrogato, con norma dunque innovativa
e non meramente interpretativa, la seconda delle due figure
di usura, con efficacia retroattiva anche agli effetti civili.
Siffatta
retroattività agli effetti civili si porrebbe in
contrasto, sotto diversi aspetti, con il principio generale
di ragionevolezza.
In
primo luogo, la norma introdurrebbe infatti una irragionevole
disparità di trattamento tra coloro i quali sono
ora tenuti a corrispondere somme che precedentemente non
erano dovute ed i percettori delle stesse, «ora ingiustificatamente
avvantaggiati, oltre che in sede penale, anche in sede civile».
Ulteriore
disparità di trattamento sussisterebbe poi tra gli
operatori del settore creditizio che abbiano correttamente
ricondotto i tassi di interesse pattuiti nei limiti del
tasso soglia e coloro che ciò non abbiano fatto e,
parallelamente, tra le rispettive controparti.
La
norma impugnata, infine, frustrerebbe la possibilità
di agire e resistere in giudizio in capo a coloro ai quali
la legge n. 108 del 1996 aveva attribuito la possibilità
di tutela giurisdizionale.
4.1.-
Si è costituito in giudizio Stefano Scialpi, opponente
nel giudizio a quo, concludendo per laccoglimento
della questione di legittimità costituzionale.
In
aggiunta ai profili di contrasto con lart. 3 Cost.
prospettati dal rimettente, la suddetta parte privata individua
unulteriore lesione del principio di eguaglianza nella
irragionevole disparità di trattamento che la norma
realizzerebbe tra i contraenti di mutui a tasso fisso stipulati
prima dellentrata in vigore della legge n. 108 del
1996 che si vedrebbero negati i rimedi di tutela
negoziale di cui agli artt. 1339 e 1815, secondo comma,
cod. civ. ed i contraenti di rapporti di credito
diversi da quelli interessati dalla sanatoria governativa
(come le aperture di credito in conto corrente), i quali
potrebbero continuare a giovarsi della normativa antiusura.
Con un trattamento, dunque, irragionevolmente deteriore
proprio per quella tipologia di relazioni i mutui
a tasso fisso - più direttamente interessata allo
strumento di tutela del contraente debole offerto dalla
legislazione antiusura.
La
medesima norma si porrebbe altresì in contrasto con
il principio di ragionevolezza in quanto restringerebbe
anche il campo di applicazione del delitto di cui allart.
644 cod. pen., privando la collettività di uno strumento
di lotta alle forme più subdole di usura.
La
parte assume poi che la norma censurata sarebbe ulteriormente
in contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 Cost. sotto
il profilo della violazione dei limiti costituzionali al
potere del legislatore di emanare disposizioni interpretative.
Dovrebbe
in primo luogo escludersi che si tratti di norma interpretativa
in senso stretto, proprio in quanto essa si riferisce non
già allintero complesso delle operazioni di
credito regolate dalla legge n. 108 del 1996 bensì
solamente ai rapporti di mutuo a tasso fisso.
Difetterebbero
poi, nella specie, i presupposti stessi per lemanazione
di norme interpretative, quali individuati dalla stessa
giurisprudenza costituzionale, attesa la mancanza di qualsiasi
contrasto interpretativo.
Risulterebbe
in ogni caso violato il principio dellaffidamento
del cittadino nella sicurezza giuridica, contrastandosi
dautorità, a distanza di oltre cinque anni
dalla entrata in vigore della legge, un indirizzo interpretativo
ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità,
mediante lintroduzione di una disciplina derogatoria
riguardante, irragionevolmente, i soli mutui a tasso fisso.
Ne
conseguirebbe, sotto altro aspetto, la violazione delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario,
difettando la norma dei necessari requisiti di generalità
ed astrattezza, nonché la lesione del diritto dei
cittadini alla tutela giurisdizionale.
La
stessa norma, infine, violerebbe lart. 77 Cost., per
carenza assoluta dei presupposti di necessità ed
urgenza giustificativi della decretazione durgenza,
nonché gli artt. 3 e 47 Cost., in quanto obiettivamente
finalizzata a convalidare una pratica dannosa per leconomia
e contrastante con il principio di tutela del risparmio.
4.2.-
Si è altresì costituita in giudizio la Banca
nazionale del lavoro s.p.a., convenuta nel giudizio di opposizione
allesecuzione, concludendo per «la manifesta
inammissibilità e/o la manifesta infondatezza e,
in subordine, la inammissibilità e/o la manifesta
infondatezza della questione».
A
sostegno della eccezione di inammissibilità per difetto
di rilevanza la parte deduce in una memoria depositata
nellimminenza delludienza pubblica che
la prospettazione del rimettente risulterebbe incentrata
sulla asserita illegittimità costituzionale di quella
parte della norma impugnata recante linterpretazione
autentica dellart. 644 cod. pen., di cui il rimettente
stesso non dovrebbe fare sicuramente applicazione.
La
questione, nei termini proposti, sarebbe comunque infondata
nel merito. Ad avviso della parte, infatti, il rimettente
muoverebbe da una premessa interpretativa erronea, in quanto
lart. 644 cod. pen., come modificato dalla legge n.
108 del 1996, non prevedeva come autonoma figura di reato
la percezione di interessi, superiori al tasso soglia, che
non fossero tuttavia usurari al momento della pattuizione.
Il riferimento, contenuto nella norma, al farsi dare, oltre
che al farsi promettere, interessi usurari, avrebbe avuto
unicamente lo scopo di rendere punibili i comportamenti
consistenti nella percezione di interessi usurari non preceduta
da una autonoma pattuizione.
Ne
resterebbe perciò confermata la funzione autenticamente
interpretativa della norma impugnata.
Deduce
ancora la parte sulla scorta di argomentazioni identiche
a quelle svolte dallistituto di credito costituito
nel procedimento promosso dal Tribunale di Benevento con
lordinanza del 30 dicembre 2000 lerroneità
dellinterpretazione data dalla Corte di cassazione
alla legge n. 108 del 1996 e contesta altresì la
tesi del rimettente secondo la quale la norma impugnata
avrebbe introdotto una ingiustificata disparità di
trattamento in danno di coloro i quali sarebbero ora tenuti
a corrispondere somme che non erano dovute prima che la
norma stessa intervenisse.
Quandanche,
infatti, volesse attribuirsi a detta norma carattere innovativo
e non interpretativo, essa risulterebbe comunque giustificata
dalla finalità di riequilibrare «la clamorosa
disparità di trattamento che si era venuta a determinare
tra le parti del contratto di mutuo per effetto della applicazione
di norme per le quali (sul piano civilistico in evidente
contrasto con lart. 1815 c.c. come modificato dalla
legge del 1996) il momento della corresponsione degli interessi
doveva essere quello cui far riferimento per la determinazione
della soglia usuraria, pur se tale corresponsione fosse
attuativa di una convenzione lecita al momento della pattuizione».
Parimenti
infondato o addirittura inammissibile sarebbe lassunto
relativo alla disparità di trattamento che si sarebbe
verificata tra le banche che avessero ricondotto spontaneamente
la pattuizione nei limiti della non usurarietà e
quelle che non si fossero invece indotte a tale rinegoziazione
e, parallelamente, tra i mutuatari che avessero beneficiato
di rinegoziazione e coloro che non lavessero ottenuta.
Lasserita
disparità tra banche sarebbe infatti irrilevante
nel giudizio a quo mentre quella tra mutuatari sarebbe una
disparità di mero fatto, dovuta a comportamenti del
tutto eventuali, in quanto tale irrilevante ai fini del
giudizio di costituzionalità.
Non
sussisterebbe, poi, la prospettata violazione del diritto
di agire in giudizio, né la conseguente lesione di
un affidamento legittimamente sorto, proprio in considerazione
della natura interpretativa della norma, in virtù
della quale deve escludersi che nel patrimonio giuridico
dei mutuatari sia mai entrato il diritto ad ottenere labbattimento
del tasso di interesse divenuto superiore al tasso soglia.
La
censura sarebbe daltro canto priva di pregio anche
se alla norma si attribuisse carattere innovativo, tenuto
conto degli effetti, contrastanti con numerosi principi
costituzionali, della norma modificata.
In
via ulteriormente subordinata, la parte eccepisce infine
linammissibilità della questione «per
discrezionalità del legislatore».
4.3.-
E intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura
generale dello Stato, concludendo per linammissibilità
o linfondatezza della questione.
Ad
avviso della parte pubblica, la questione sarebbe irrilevante
nel giudizio a quo in quanto, secondo lassunto dello
stesso rimettente, lart. 1815, secondo comma, cod.
civ. sarebbe comunque inapplicabile nellipotesi, dedotta
in giudizio, di clausola di interessi non originariamente
illecita.
Oltre
a ciò il rimettente avrebbe comunque omesso di considerare
che il mutuo, la cui restituzione è oggetto del giudizio
a quo, risulta erogato in franchi svizzeri, e che le operazioni
in valuta sono espressamente escluse dalla rilevazione trimestrale
effettuata ai fini della legge sullusura.
Risulterebbe
infine omessa qualsiasi indicazione sia in ordine alle modalità
di calcolo degli interessi moratori, sia in ordine alla
applicabilità a tali interessi della legge n. 108
del 1996.
Nel merito lAvvocatura, premessa lirrilevanza
nel giudizio a quo degli aspetti penalistici della normativa
in tema di usura, ribadisce linfondatezza della questione
sulla scorta di argomentazioni non dissimili da quelle svolte
negli altri giudizi.
Considerato
in diritto
1.-
Il Tribunale di Benevento, con due distinte ordinanze, ed
il Tribunale di Taranto sollevano, in riferimento agli artt.
3, 24, 35, 41, 47 e 77 della Costituzione, questioni di
legittimità costituzionale dellart. 1, comma
1, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione
autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni
in materia di usura), convertito, con modificazioni, in
legge 28 febbraio 2001, n. 24, secondo il quale «ai
fini dellapplicazione dellarticolo 644 del codice
penale e dellarticolo 1815, secondo comma, del codice
civile, si intendono usurari gli interessi che superano
il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi
sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal momento del loro pagamento».
Assumono
in buona sostanza i rimettenti che la norma, solo apparentemente
interpretativa ma in realtà innovativa, costituisca
irragionevole sanatoria ad esclusivo vantaggio degli
istituti di credito di comportamenti obiettivamente
usurari, così da porsi in contrasto con gli indicati
parametri costituzionali.
Il
Tribunale di Trento censura invece lart. 1 della legge
di conversione assumendo lesiva dellart.3 della Costituzione
la disciplina dettata dal medesimo decreto-legge nella parte
in cui prevede, per i contratti in corso, che la sostituzione
del tasso pattuito dalle parti con quello indicato allart.
1, commi 2 e 3, abbia luogo solamente per le rate con scadenza
successiva al 2 gennaio 2001.
Stante
levidente connessione oggettiva, i quattro giudizi
vanno riuniti per essere congiuntamente decisi.
2.-
La questione sollevata dal Tribunale di Benevento con lordinanza
del 4 maggio 2001 deve ritenersi inammissibile.
Il
giudice rimettente che dichiara accertata, nel giudizio
a quo, lusurarietà del tasso convenuto dalle
parti «vuoi considerando lodierno tasso effettivo
globale medio del 10,96, vuoi considerando quello ancor
più basso delle rilevazioni precedenti» - muove
dalla esplicita premessa che la norma impugnata comporti
limpossibilità di far valere la nullità
anche originaria delle clausole con le quali siano stati
convenuti, dopo lentrata in vigore della legge n.
108 del 1996, interessi usurari. Contrariamente a tale assunto,
nel caso di interessi originariamente usurari pattuiti dopo
l'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, è
indubbio che la nullità della relativa clausola ai
sensi dellart. 1815, secondo comma, cod. civ. come
novellato dalla suddetta legge del 1996 non è in
alcun modo preclusa dallapplicazione della norma impugnata.
E ciò rende priva di rilevanza la questione prospettata.
2.1.-
Vanno invece respinte le ulteriori eccezioni di inammissibilità,
sollevate sia dalla difesa delle parti private che dallAvvocatura
generale dello Stato ed analiticamente esposte in narrativa.
2.2.-
In particolare, la questione sollevata dal Tribunale di
Benevento con lordinanza del 30 dicembre 2000 si appalesa
rilevante nel giudizio a quo in quanto il rimettente
chiamato a pronunciarsi su una opposizione a decreto ingiuntivo
- si duole propriamente del fatto che la norma impugnata
nella parte in cui sarebbe, a suo avviso, modificativa
dellart. 1815, secondo comma, cod. civ. - precluda
la declaratoria di nullità sopravvenuta delle clausole
di interessi che risultino eccedenti il tasso soglia, contenute
in contratti stipulati anteriormente allentrata in
vigore della legge n. 108 del 1996, come nel caso in esame.
Il
difetto di una specifica motivazione in ordine alla applicabilità
anche agli interessi moratori dellart. 1815, secondo
comma, cod. civ. risulta ininfluente nella specie, in quanto
il credito azionato, essendo costituito da rate di mutuo,
è comunque comprensivo anche di interessi corrispettivi,
pur essi eccedenti il tasso soglia, rispetto ai quali la
rilevanza della questione è assolutamente pacifica.
Va in ogni caso osservato ed il rilievo appare in
sé decisivo che il riferimento, contenuto
nellart. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del
2000, agli interessi «a qualunque titolo convenuti»
rende plausibile senza necessità di specifica
motivazione lassunto, del resto fatto proprio
anche dal giudice di legittimità, secondo cui il
tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.
La
dichiarata adesione, da parte del rimettente, allindirizzo
interpretativo seguito dalla Corte di cassazione è
infine sufficiente a giustificare lopzione ermeneutica
da cui il rimettente muove - secondo la quale, in
mancanza della norma impugnata, le clausole di interessi
eccedenti il tasso soglia sarebbero colpite dalla sanzione
di nullità di cui al citato art. 1815, secondo comma,
cod. civ., pur se originariamente lecite in quanto contenute
in contratti stipulati anteriormente allentrata in
vigore della legge n. 108 del 1996.
2.3.-
La questione sollevata dal Tribunale di Trento è
a sua volta rilevante, in quanto il rimettente dinanzi
al quale è proposta domanda di accertamento della
nullità sopravvenuta di una pattuizione di interessi
contenuta in un contratto di finanziamento stipulato nel
1993 - prospetta il contrasto con lart. 3 Cost. della
disciplina recata dal decreto-legge n. 394 del 2000, come
modificato dalla legge di conversione, a motivo della applicabilità
del tasso di sostituzione, previsto dal secondo e terzo
comma dellart. 1, alle sole rate aventi scadenza successiva
al 2 gennaio 2001, a fronte dellefficacia retroattiva
riconosciuta invece al primo comma in forza della sua dichiarata
natura interpretativa.
La
censura di disparità di trattamento tra i singoli
clienti pur volendo ritenerla estranea alloggetto
del giudizio a quo non rende comunque irrilevante
la questione, essendo prospettata come profilo meramente
secondario ed aggiuntivo rispetto a quello principale, rappresentato
dalla irragionevolezza della norma impugnata.
Non
sussiste, sotto altro aspetto, alcuna ambiguità nella
individuazione della questione poiché lo stesso rimettente,
censurando la norma di conversione, invoca la caducazione
dellintero art. 1 del decreto-legge n. 394 del 2000,
non ritenendo in diverso modo emendabile il denunciato vizio
di legittimità costituzionale.
Costituisce
infine questione di fatto, rimessa allesclusiva valutazione
del giudice a quo, la qualificazione del rapporto contrattuale
dedotto in giudizio, al fine della individuazione del tasso
soglia ad esso riferibile.
3.-
Per quanto concerne da ultimo lordinanza del Tribunale
di Taranto, va in primo luogo rilevato che il giudice a
quo dà espressamente conto del fatto che loggetto
del contendere è rappresentato esclusivamente dalla
misura degli interessi, non essendovi contestazione alcuna
riguardo ai maggiori oneri derivanti per il mutuatario dal
mutamento del tasso di cambio tra lira e franco svizzero.
Il
fatto, poi, che il rimettente ritenga inapplicabile alla
fattispecie dedotta in giudizio lart. 1815, secondo
comma, cod. civ. non pregiudica la rilevanza della questione.
Il
rimettente medesimo muove infatti dalla premessa che linesigibilità
degli interessi eccedenti il tasso soglia, pur se lecitamente
convenuti, discenderebbe in mancanza della norma
impugnata, cui egli attribuisce efficacia di abolitio criminis
dalla illiceità penale della percezione di
tali interessi, a suo avviso originariamente sancita dalla
legge n. 108 del 1996.
La
norma impugnata, abrogando la figura criminosa rappresentata
dal farsi dare interessi usurari, avrebbe retroattivamente
escluso ad avviso dello stesso rimettente
anche linesigibilità della pretesa creditoria,
in tal modo precludendo laccoglimento della opposizione
allesecuzione sulla quale egli è chiamato a
pronunciarsi.
E
evidente anche in tal caso - che ogni eventuale valutazione
riguardo alla fondatezza di siffatta premessa interpretativa
attiene al merito e non già alla ammissibilità
della questione.
4.-
Le questioni, pure riguardanti lart.1, comma 1, del
decreto-legge n. 394 del 2000, sollevate dal Tribunale di
Benevento, con lordinanza del 30 dicembre 2000, in
riferimento agli artt. 3, 24, 47 e 77 Cost., e dal Tribunale
di Taranto, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e
24, primo e secondo comma, Cost., non sono fondate.
4.1.-
Per quanto riguarda il parametro di cui allart. 77
Cost., evocato dal Tribunale di Benevento sotto il profilo
della carenza dei presupposti di necessità ed urgenza,
è sufficiente osservare che eventuali vizi attinenti
ai presupposti della decretazione durgenza devono
ritenersi sanati in linea di principio dalla conversione
in legge e che deve comunque escludersi che nella specie
si versi in ipotesi di macroscopico difetto dei presupposti
della decretazione. Ferma restando lestensione alla
legge di conversione delle ulteriori censure riferite al
decreto-legge (sentenza n. 400 del 1996).
4.2.-
Con riferimento agli ulteriori parametri evocati, va rilevato
che entrambi i rimettenti pur nella diversità
dei rispettivi percorsi argomentativi muovono dalla
comune premessa della applicabilità della legge n.
108 del 1996 anche ai contratti in corso al momento della
sua entrata in vigore, da ciò facendo derivare la
nullità sopravvenuta delle clausole determinative
di interessi (ovvero, secondo la prospettazione del Tribunale
di Taranto, linesigibilità degli interessi
stessi) ogni qualvolta il tasso pattuito risulti, in prosieguo
di tempo, superiore al tasso soglia.
Sulla
scorta di tale assunto essi attribuiscono quindi alla norma
contenuta nellart. 1, comma 1, del decreto-legge n.
394 del 2000, unefficacia irrazionalmente sanante
della nullità (o inesigibilità) derivante
dalla natura (divenuta) obiettivamente usuraria di rapporti
contrattuali intercorrenti con gli istituti di credito,
tale da porsi in contrasto sia con il generale canone di
ragionevolezza, sia con il principio di eguaglianza, sia
con il diritto di difesa, sia infine con il principio di
favore per laccesso del risparmio popolare alla proprietà
della casa di abitazione.
Siffatta
impostazione appare peraltro viziata proprio nelle sue premesse.
Va
innanzitutto considerato che secondo la consolidata giurisprudenza
di questa Corte non può ritenersi precluso al legislatore
adottare norme che precisino il significato di precedenti
disposizioni legislative, pur a prescindere dallesistenza
di una situazione di incertezza nellapplicazione del
diritto o di contrasti giurisprudenziali, a condizione che
linterpretazione non collida con il generale principio
di ragionevolezza (cfr., da ultimo, le sentenze n. 525 del
2000 e n. 229 del 1999).
Lo
scrutinio di costituzionalità della norma impugnata
si sostanzia dunque nella valutazione riguardo alla sua
compatibilità con il tenore della norma interpretata,
alla ragionevolezza della opzione ermeneutica imposta ed
al rispetto dei limiti alla retroattività delle norme
extra-penali individuati dalla giurisprudenza di questa
Corte.
4.3.-
A tale riguardo occorre muovere dalla constatazione che
la ratio della legge n. 108 del 1996, quale risulta con
chiarezza dai lavori preparatori, è quella di contrastare
nella maniera più incisiva il fenomeno usurario.
Siffatta finalità è stata essenzialmente perseguita,
per ciò che interessa il presente giudizio, da un
lato rendendo più agevole laccertamento del
reato, attraverso lindividuazione di un tasso obiettivamente
usurario e la trasformazione dellapprofittamento dello
stato di bisogno, di difficile prova, da elemento costitutivo
del reato a circostanza aggravante, dallaltro inasprendo
le sanzioni penali e civili connesse alla condotta illecita
(artt. 1 e 4 della legge).
Assodato,
dunque, che la legge di cui si tratta risulta dettata dallesclusivo
e dichiarato intento di reprimere una specifica fattispecie
di illecito, non può non rilevarsi come fosse sorto
in giurisprudenza ed in dottrina il dubbio
(risolto con esiti interpretativi diversi) circa gli effetti,
ai fini penali e civili, da riconnettere allipotesi
in cui, nel corso del rapporto, il tasso soglia discenda
al di sotto del tasso di interessi convenzionale originariamente
pattuito.
La
norma denunciata trova giustificazione, sotto il profilo
della ragionevolezza, nellesistenza di tale obiettivo
dubbio ermeneutico sul significato delle espressioni si
fa dare [...] interessi [...] usurari e facendo
dare [...] un compenso usurario di cui allart.
644 cod. pen., in rapporto al tenore dellart. 1815,
secondo comma, cod. civ. (se sono convenuti interessi
usurari) ed agli effetti correlativi sul rapporto
di mutuo.
Lart.
1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, nel precisare
che le sanzioni penali e civili di cui agli artt. 644 cod.
pen. e 1815, secondo comma, cod. civ. trovano applicazione
con riguardo alle sole ipotesi di pattuizioni originariamente
usurarie, impone tra le tante astrattamente possibili
uninterpretazione chiara e lineare delle suddette
norme codicistiche, come modificate dalla legge n. 108 del
1996, che non è soltanto pienamente compatibile con
il tenore e la ratio della suddetta legge ma è altresì
del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza.
Restano,
invece, evidentemente estranei allambito di applicazione
della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti
di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina
codicistica dei rapporti contrattuali.
4.4.-
Deve, daltro canto, escludersi che la norma impugnata
si ponga in contrasto con gli ulteriori parametri evocati.
Quanto
allart. 24 Cost., è sufficiente rilevare che
lintervento legislativo oggetto di censura, operando
sul piano sostanziale, evidentemente non incide sul diritto
alla tutela giurisdizionale a cui esclusivo presidio è
posta la norma costituzionale invocata (sentenza n. 419
del 2000).
Egualmente
infondato è il richiamo allart. 47 Cost. che
enuncia secondo la giurisprudenza di questa Corte
un principio al quale il legislatore ordinario deve
ispirarsi, bilanciandolo con gli altri interessi costituzionalmente
rilevanti, nellesercizio di un potere discrezionale
che incontra il solo limite nella specie sicuramente
non valicato della contraddizione del principio stesso
(sentenze n. 143 del 1995 e n. 19 del 1994).
5.-
La questione di legittimità costituzionale dellart.
1 della legge 28 febbraio 2001, n. 24, sollevata dal Tribunale
di Trento in riferimento allart. 3 Cost., è
fondata, nei limiti di seguito precisati.
5.1.-
Il rimettente censura specificamente la disposizione, contenuta
nel secondo comma dellart. 1 del decreto-legge n.
394 del 2000, come modificato dalla legge di conversione,
secondo cui la sostituzione del tasso convenuto dalle parti
con quello, eventualmente più favorevole per il debitore,
previsto dalla stessa norma «si applica alle rate
che scadono successivamente al 2 gennaio 2001».
Ritiene
il giudice a quo che siffatto differimento della operatività
della norma sia irragionevole e fonte di disparità
di trattamento in danno dei mutuatari rispetto agli istituti
di credito, se posto in relazione con la efficacia retroattiva
della disposizione di cui al primo comma, in virtù
della quale i medesimi mutuatari si vedrebbero preclusa
la possibilità che ad essi, ad avviso dello
stesso rimettente, avrebbe dovuto precedentemente riconoscersi
- di far dichiarare la nullità sopravvenuta delle
clausole di interessi nei casi di superamento del tasso
soglia.
Le
considerazioni svolte riguardo alla natura interpretativa
della norma di cui allart. 1, comma 1, del decreto-legge
n. 394 del 2000 ed alla sua conformità al generale
canone di ragionevolezza rendono a questo punto palese linfondatezza
dellassunto, da cui muove il giudice a quo, secondo
il quale la suddetta disposizione avrebbe ingiustificatamente
avvantaggiato gli istituti di credito mediante una generalizzata
sanatoria di clausole contrattuali invalide, rendendo costituzionalmente
obbligata una altrettanto generalizzata applicazione del
tasso di sostituzione di cui al successivo comma 2 a tutte
le rate scadute successivamente allentrata in vigore
della legge n. 108 del 1996.
Ciò
non esclude, tuttavia, che il differimento delloperatività
del tasso di sostituzione si riveli, sotto altro aspetto,
comunque privo di ragionevolezza, così da porsi effettivamente
in contrasto con lart. 3 Cost.
Va
rilevato, a tale riguardo, che nel citato comma 2 dellart.
1 del decreto-legge è stata inserita una specifica
e puntuale indicazione delle ragioni dellintervento
durgenza del Governo sui contratti di mutuo a tasso
fisso in corso. Ragioni incentrate sulla constatazione «delleccezionale
caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa e in Italia
nel biennio 1998-1999, avente natura strutturale».
La
norma risulta, dunque, inequivocamente dettata dalla urgente
necessità di ricondurre ad equità in maniera
generalizzata ed indipendentemente dalleventuale
esercizio di azioni giudiziarie - i contratti di mutuo a
tasso fisso divenuti eccessivamente onerosi, a danno dei
mutuatari, per effetto delleccezionale caduta dei
tassi di interesse verificatasi nel biennio 1998-1999.
In
relazione a siffatta ratio, se non può certo ritenersi
costituzionalmente imposta una efficacia retroattiva della
norma censurata, risulta invece manifestamente irragionevole
la scelta di differirne, di pochissimi giorni, lefficacia
allevidente scopo di escludere che la norma possa
trovare applicazione anche riguardo alle rate in scadenza
tra il 31 dicembre 2000, giorno di entrata in vigore del
decreto-legge, ed il 2 gennaio 2001.
In
tal modo, infatti, il legislatore, anziché eliminare,
ha finito per protrarre, relativamente alle rate di mutuo
in scadenza nel periodo indicato, quella situazione di eccessiva
onerosità e, quindi, di sostanziale iniquità
per i mutuatari dallo stesso evidenziata ed ha, conseguentemente,
reso la norma, in parte qua, manifestamente illogica e contraddittoria
e, quindi, lesiva del generale canone di ragionevolezza
di cui allart. 3 della Costituzione.
Va,
pertanto, dichiarata lillegittimità costituzionale
dellart. 1, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre
2000, n. 394, convertito, con modificazioni, in legge 28
febbraio 2001, n. 24, nella parte in cui dispone che la
sostituzione prevista nello stesso comma si applica alle
rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001 piuttosto
che a quelle con scadenza a decorrere dal giorno stesso
dellentrata in vigore del decreto-legge.
Conseguentemente,
va dichiarata lillegittimità costituzionale
del comma 3 dello stesso articolo, limitatamente alle parole
«per le rate con scadenza a decorrere dal 3 gennaio
2001».
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
1)
dichiara lillegittimità costituzionale dellart.
1, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione
autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni
in materia di usura), convertito, con modificazioni, in
legge 28 febbraio 2001, n. 24, nella parte in cui dispone
che la sostituzione prevista nello stesso comma si applica
alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001
anziché a quelle che scadono dal giorno stesso dellentrata
in vigore del decreto-legge;
2)
dichiara lillegittimità costituzionale dellart.
1, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394,
convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 2001,
n. 24, limitatamente alle parole «per le rate con
scadenza a decorrere dal 3 gennaio 2001»;
3)
dichiara linammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dellart. 1, comma
1, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, convertito,
con modificazioni, in legge 28 febbraio 2001, n. 24, sollevata
dal Tribunale di Benevento, in riferimento agli artt. 3,
24, 35, 41 e 47 della Costituzione, con lordinanza
emessa il 4 maggio 2001.
4)
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dellart. 1, comma 1, del decreto-legge
29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni,
in legge 28 febbraio 2001, n. 24, sollevate dal Tribunale
di Benevento, in riferimento agli artt. 3, 24, 47 e 77 della
Costituzione, con lordinanza emessa il 30 dicembre
2000, e dal Tribunale di Taranto, in riferimento agli artt.
3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione,
con lordinanza in epigrafe;
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 14 febbraio 2002.
F.to:
Cesare
RUPERTO, Presidente
Annibale
MARINI, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 25 febbraio 2002.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA